Capitolo LII
Virgilio aveva dovuto attendere due ore per avere una spiegazione perfettamente logica e razionale a quel Me so 'nnamorato de Orazio. Erano state solo due ore, ma gli erano sembrate infinite, come se il tempo si fosse dilatato con il solo scopo di godere della sua impazienza. Aveva lanciato diverse occhiate confuse ad entrambi, cercando di carpire dalle loro espressioni un qualsiasi indizio, ma niente: avrebbe dovuto aspettare l'intervallo. Sapeva che arrovellarcisi sopra non avrebbe risolto un bel niente, visto che solo loro due potevano rivelargli la soluzione di quel puzzle, eppure non riusciva a pensare a nient'altro che a quel semplice e sospirato Me so 'nnamorato de Orazio.
Certo, aveva notato che negli ultimi tempi Orazio gli moriva dietro e che passavano molto più tempo da soli, dato che lui era stato troppo preso dal mantenere uniti i cocci della sua esistenza e Properzio non faceva altro che pensare al bambino in arrivo, ma era anche vero che aveva avuto problemi ben più grandi per potersi permettere di farsi film mentali perfino su quei due. Del resto, poi, non si sarebbe mai immaginato che i suoi migliori amici si sarebbero potuti mettere insieme - ma stavano sul serio insieme?
No, non poteva essere, altrimenti lo avrebbe già saputo. Oppure no? D'altronde non gli avevano nemmeno detto che Orazio e Varo se l'erano date a vicenda, quindi perché non nascondergli anche la loro relazione? C'erano troppi segreti tra loro tre negli ultimi tempi e Virgilio non poteva non darsene un po' la colpa: era stato troppo focalizzato sullo studiare, mandare avanti casa sua, pensare a sua nonna, gestire suo padre e trovare il tempo per stare con il suo Dante per prestare attenzione anche ai suoi amici.
Dopo due interminabili ore di supplizio e paranoie, non appena suonò la campanella dell'intervallo, i tre scapparono via dalla loro classe, si rifugiarono, come al loro solito, sotto le scale antincendio e Mecenate gli spiegò, non senza qualche esitazione, ogni cosa: gli raccontò che cosa era successo quel folle venerdì sera a casa di Catullo e Saffo, provò a dare voce a quel suo dissidio interiore che lo torturava da allora e, non senza arrossire leggermente, descrisse come Orazio si fosse fatto strada nel suo cuore.
Il ragazzone, da parte sua, non poté non guardarlo come uno stoccafisso mentre parlava di quello che provava per lui. Il modo in cui stringeva le labbra prima di pronunciare ogni frase dolce, gli sguardi fugaci che gli lanciava, qualche timido raggio di sole che gli indorava i capelli spettinati: ogni minimo dettaglio, anche il più insignificante, sembrava urlargli di stringerlo forte a sé e baciarlo, baciarlo come avrebbe voluto. Ma non era proprio il caso, pertanto si limitò a intrecciare silenziosamente le proprie dita tra le sue.
"E quanno pensavate de dimmello, quanno ve pijavate 'nsieme 'n cane?" chiese Virgilio una volta che il biondino ebbe terminato.
"Io mo ho chiarito co' Batillo, eh" rispose l'altro mentendo a metà. Lui e quel ragazzino, infatti, erano ben lontani dall'aver chiarito: avevano discusso e si erano lasciati con l'amaro in bocca. Aveva volontariamente omesso le parti in cui gli aveva ricordato quanto fosse una merda a non saper prendere una decisione, non se l'era sentita di raccontare anche del suo odio e della sua pena. "Te l'ho detto mo che è ufficiale".
"Quinni state 'nsieme?" domandò per avere la conferma definitiva il suo amico.
Gli occhi di Mecenate si incastrarono in quelli di Orazio. Erano sempre stati così brillanti, così espressivi, così inquieti, ma mai così ardenti, ma mai così raggianti di speranza, di felicità, di amore.
"Sì, stamo 'nsieme" disse il biondino con un sorrisetto timido e soddisfatto.
Il suo ragazzo - finalmente poteva definirlo tale - gli strinse forte la mano e si morse il labbro inferiore nel tentativo di porre un freno ai suoi impulsi: se non lo avesse fatto, gli sarebbe saltato addosso e lo avrebbe baciato fino a togliersi il fiato. Era il suo ragazzo, era finalmente e ufficialmente il suo ragazzo. Nessun se, nessun ma, nessun forse: era il suo ragazzo. Avrebbe voluto urlarlo per quanto era euforico, il suo cuore sarebbe potuto esplodere per tutta quella gioia e lui non avrebbe battuto ciglio: era il suo ragazzo, era il ragazzo di Mecenate.
"Mado che parto!", esclamò Virgilio alzando gli occhi al cielo e intimamente felice, "So' contento pe' voi, raga. Cercherò de nun fa' troppo er terzo 'ncomodo e...".
"Ma 'n realtà nun è che cambi molto", lo interruppe subito Mecenate per rassicurarlo, "Semo sempre i due stessi cojoni scassacazzi, però ce starà qualche effusione 'n più".
"Ma poraccio!", commentò ridendo Orazio, "Questo c'ha l'amore suo 'n culonia: mica se potemo limona' davanti a lui! Poi ce rosica troppo!".
"Mortacci vostra! Nun v'azzardate a favve 'sti problemi: magari nun scopate davanti a me, però che cazzo!".
Il ragazzone non se lo fece ripetere due volte. Posò delicatamente la mano libera sulla guancia del suo ragazzo e lo baciò con foga sulle labbra. L'altro, dal canto suo, non poté fare a meno di rispondergli con uguale entusiasmo, acceso dalla consapevolezza che, ormai, cose come quella sarebbero accadute molto più spesso.
Eppure, nella sua testa c'era quel rumore di sottofondo, che gracchiava sul suo buonumore come il suono del vinile su una canzone. Non hai davvero scelto lui: è stato Batillo a farlo al posto tuo. E tu, in fondo, anche se lui ti ha appena smerdato, continui a provare qualcosa per lui. Non hai scelto. Sei un miserabile. Tu mi fai pena.
"Ce stanno altre cose che dovrei sape'? Diventerò zio a breve o cose der genere?" fece sarcastico Virgilio, che stava già cominciando a sentirsi davvero il terzo incomodo.
"No, però mi' madre stasera fa er polpettone", gli diede corda Orazio staccandosi a malincuore dalla sua bocca preferita, "Capace che nun ce arrivemo manco a dima' mattina!".
"Ma è bono er polpettone de tu' madre, oh!", esclamò Mecenate fingendosi indignato, "Ce mette pure 'e ova, mica pizza e fichi! Sarà pure 'n po' pesante, però è bono, oh! De che te lamenti? Quasi quasi io me 'mbuco a cena!".
"E te 'mbucate, però nun te veni' a lamenta' che te s'è ripresentato a''e tre de notte!".
"No, guarda: te manno 'n audio de du' ore solo pe' rompette li cojoni!".
"Piccionci', voi fate come cazzo ve pare", rise divertito il loro amico, "Basta che nun me rompete er cazzo che devo chiama' Babe".
"Lui deve chiama' Babe", gli fece il verso il ragazzone, "Che nun t'è bastato avecello 'n giro mezzo nudo pe' casa pe' du' giorni e nudo ner letto pe' du' notti?".
"Ma vaffanculo, mortacci tua!", imprecò bonariamente l'altro, "Fosse pe' me, nun se dovrebbe manco arza' dar letto".
"E me sa che qua Parthenias ha fatto 'na finaccia...".
"Ma capiscila, povera apetta", lo interruppe il biondino con aria beffarda, "Questo mo ce va 'n'astinenza! Mica ce regge fino a sabato: capace che tocca portallo su a Firenze pe' frustrazione sessuale!".
"Tra stronzi ve pijate proprio, ve? Mortacci vostra!", commentò Virgilio con una certa malizia sulla campanella di fine intervallo, "Mo 'namo che 'nterroga arte e nun sapemo 'n cazzo".
"Eh va be', che sarà mai!", esclamò Orazio sollevando le spalle, "Me basta che me fate sape' se stasera 'o volemo fa' 'sto torneo de Fifa".
"'o famo, 'o famo", sospirò Mecenate, "Ma prima studiemo e se magnemo er polpettone de tu madre". Aspettò che il loro amico si allontanasse un po' e poi aggiunse: "Poi dopo me te magno pure a te".
"Nun vedo l'ora" pensò il suo ragazzo sorridendo soddisfatto.
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