Capitolo LI
Orazio buttò lo zaino per terra e si lasciò andare sulla sedia con un mezzo sospiro. Una miriade di pensieri si susseguivano e si accavallavano nella sua mente, impigliandosi in una matassa caotica e angosciante.
Sapeva che Mecenate avrebbe dovuto parlare con Batillo, prima o poi, e sapeva anche di non avere nulla di cui preoccuparsi: si era innamorato di lui, non di quel primino del cazzo. Eppure non riusciva a restare tranquillo: sentiva il sangue stridergli nelle vene e il cuore urlargli nel petto, battendo all'impazzata per uscire fuori e palesare la sua sofferenza. Aveva notato l'espressione del suo più-che-amico quando aveva visto il ragazzino davanti alla porta della loro aula: era piuttosto evidente che quel Batillo non gli era del tutto indifferente come pensava.
"Che è mo 'sta faccia?" gli chiese Virgilio, che ormai conosceva bene quell'espressione crucciata.
"Che faccia?" sbuffò l'altro con voce malinconica e occhi vacui.
"'sta faccia da cane bastonato, che faccia? Che c'hai?".
"Ma nun c'ho niente, che c'ho?" mentì andando sulla difensiva il ragazzone.
"Sì o no? Non mi pare difficile come domanda!" sentirono urlare Batillo dal corridoio.
Orazio trasalì sulla sedia e si morse istintivamente il labbro inferiore. Stavano litigando, quindi. Anzi, quel moccioso gli stava gridando contro: non era buon segno. O forse sì? Se stavano discutendo, molto probabilmente non sarebbe finita bene tra loro due e avrebbe avuto Mecenate tutto per sé. Ma questo non significava che il biondino si sarebbe schiarito le idee del tutto e questo lo angustiava: cercava di non darlo a vedere e di essere il più comprensivo possibile, ma quell'esitare lo stava facendo uscire di senno.
"Sicuro che nun c'hai niente?" insistette ancora Virgilio.
"None!".
"Quinni nun è che te piace Mecenate e stai a rosica', no?".
Il ragazzone sgranò gli occhi e fissò in volto il suo amico. All'inizio credette che stesse scherzando: erano stati attenti a non farsi vedere in giro mentre si tenevano per mano o si baciavano; con gli altri si erano sforzati di non stare sempre incollati l'uno all'altro, consolandosi col pensiero che dopo sarebbero stati insieme e da soli; avevano continuato a comportarsi come sempre. Tuttavia, in quello sguardo di ghiaccio e da inquisitore, non vide ombra di dubbio: solo quel solito sarcasmo con cui era solito indorare le verità più scomode.
"Ma come cazzo...".
"Porca puttana, Ora': sei proprio antisgamo!", lo interruppe Virgilio tentando di non suonare troppo beffardo, "Te devi vede' come 'o guardi quanno lui nun te se 'ncula: sembra che l'anima tua se stia a squarcia' dentro! E poi te pare che nun li noto i sorrisetti ebeti che te spuntano 'n faccia quanno te parla? Pe' carità, se vede che te sforzi de nun pare' 'n sottone der cazzo, però che cazzo!".
"Ma è così evidente?" domandò Orazio con una vocetta sofferente che non sapeva appartenergli.
"No, però te conosco da quanno semo nati 'n pratica: nun c'hai segreti pe' me", gli rispose l'altro per rassicurarlo, "Però me rode er culo che nun m'hai detto che sei bi. O pan. O omni. O quello che cazzo è. Nun avrei detto nulla a Mecenate d''a crush e...".
"Ma Mecenate lo sa" confessò sospirando il ragazzone.
Stavolta fu il turno di Virgilio di rimanere sorpreso e, in fondo, tradito. Era da quando erano piccoli che avevano sempre condiviso tutto quanto: non c'erano mai stati segreti tra loro, nel bene o nel male. Quell'improvvisa segretezza, quell'omissione voluta, il fatto che l'avessero escluso da qualcosa di così importante per la prima volta lo fece sentire escluso per la prima volta in diciotto anni.
"E allora perché io nun c''o sapevo?" chiese ferito.
"E perché te nun m'hai detto che Varo ce l'ha quasi ammazzato de botte?" gli rispose secco e diretto cogliendolo alla sprovvista.
L'altro rimase in silenzio per qualche istante prima di difendersi.
"Prima de tutto, perché sei 'na testa de cazzo che se scalla subito: conoscendote, capace che annavi a cercallo e te corcava de botte. Punto secondo, quer cojone dell'amico nostro m'ha fatto giura' de nun ditte niente perché c'aveva paura pe' te. Però alla fine t'ha detto tutto, quinni".
"Lui nun m'ha detto 'n cazzo", lo corresse con sguardo truce, "Avemo beccato quell'encefalico de Varo e Mecenate è ito ner panico più totale. Er resto 'n po' l'ho capito io, 'n po' me l'ha detto quer cojone prima che ce pijassimo a cazzotti".
"Aspe, ma che cazzo stai a di'?" esclamò Virgilio esterrefatto.
Orazio raccontò sinteticamente cosa era successo: gli disse degli occhi terrorizzati del biondino e del modo in cui era rimasto immobile e tremante in mezzo alla strada; gli descrisse il ghigno compiaciuto di Varo mentre si vantava di averlo conciato per le feste e l'impeto di rabbia che lo aveva travolto un secondo prima di cominciare a prenderlo a pugni. Il suo amico ascoltò senza mai interromperlo, trattenendosi dal tirargli un ceffone ogni volta che elencava l'ennesimo gesto impulsivo, che in quelle circostanze e con quel soggetto avrebbe potuto davvero costargli la vita.
"Te sei proprio 'n cojone" sospirò sconcertato alla fine con aria di rimprovero.
Eppure non era arrabbiato, almeno non più. Per un certo verso, lo capiva: quando aveva visto Mecenate sanguinante che arrancava per raggiungere la porta di casa sua, quando aveva osservato meglio le ferite e i colpi per alleviare i danni e il dolore, quando aveva udito la sua voce terrorizzata incrinarsi nel pronunciare il nome di Varo, allora aveva provato il desiderio di spaccargli la faccia.
"Armeno io 'ca cosa l'ho fatta" commentò l'altro senza cattiveria.
"Io c'ho provato a convincello a denuncia', ma quello è de coccio. Però armeno nun me pare che ce sia rimasto troppo de merda: okay che i primi tempi era 'no spettro ambulante, però mo me pare che s'è ripreso e...".
"Nun s'è ripreso manco cor cazzo, Virgi'", lo interruppe Orazio duro, "C'ha gli incubi tutte 'e cazzo de notti. Tutte 'e notti se sogna Varo che 'o soffoca. Tutte 'e stracazzo de notti. Pija 'a valeriana pe' dormi e...".
"E tu questo come cazzo 'o sai?" gli chiese di getto Virgilio.
"'o so perché avemo dormito 'nsieme giovedì sera, ricordi?".
Entrambi rimasero in silenzio. Come aveva potuto Virgilio essere così cieco e stupido? Era più che logico che il suo amico fosse rimasto traumatizzato da quell'evento ed era ancora più logico, considerato il suo carattere, che stesse nascondendo ogni cosa per non farli preoccupare! Come aveva potuto proprio lui, Virgilio, colui che scrutava e notava ogni cosa, non vedere l'ombra che incombeva su di lui, l'oscurità che celava dietro ai suoi sorrisi luminosi?
"Però nun glielo di' che te l'ho detto, che poi se 'ncazza e..." aggiunse subito dopo Orazio, cominciando a chiedersi se fosse stato giusto rivelargli anche quello.
"Ma no che nun glielo dico! Mica so' scemo!" lo rassicurò l'altro giusto prima che il diretto interessato entrasse in classe.
Mecenate posò lo zaino sul banco e si diresse con aria esausta dai suoi amici. Teneva lo sguardo basso e le mani affondate nelle tasche dei pantaloni, ancora strette a pugno.
"Che è successo?" domandò Orazio trepidante.
I suoi occhi si impuntarono su quel volto scarno e pallido che ormai gli apparteneva, tentando di scorgervi una risposta prima ancora che aprisse bocca. Sembrava veramente stremato e a pezzi, ma trasmetteva un senso di calma malinconica, quell'inquieta placidità del mare immobile dopo una tempesta.
"Tra me e Batillo è finita" gli rispose il ragazzo apatico.
Virgilio non poté non notare l'espressione di sollievo che si era dipinta nell'arco di pochissimi istanti sul volto del ragazzone e ne fu infastidito: davanti a loro avevano il loro amico palesemente a pezzi e l'unica cosa a cui riusciva a pensare era se stesso? Davvero non riusciva a provare un briciolo d'empatia nei suoi confronti?
"E perché?" gli chiese ingenuamente mentre imprecava mentalmente contro Orazio, aspettandosi tutto tranne quella risposta.
"Perché me so 'nnamorato de Orazio: sorpresa".
Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro