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Capitolo IX

Tutti gli anni Catullo organizzava una festa in maschera per festeggiare il nuovo anno e puntualmente invitava mezzo mondo: non che lui avesse così tanti amici, sia ben chiaro, ma aveva la brutta abitudine di chiamare tutti quelli a cui stava simpatico. E lui stava simpatico a chiunque.

"Nun c'hai freddo?" chiese Orazio rabbrividendo.

"Sì, ma è pe' 'n bene superiore" rispose Virgilio citofonando.

"Ma proprio da legionario te dovevi vesti' a gennaio?" domandò Mecenate, ben al caldo nella sua divisa da Corvonero, che sfoggiava sempre con un certo orgoglio.

"Nun so' 'n legionario: so' Achille" lo corresse l'altro.

"Comunque co' 'a gonnella e senza calze te geli: se te pija 'na bronchite so' cazzi tua" commentò Properzio.

Presto Saffo, la gemella di Catullo, arrivò ad aprire il portone e si ritrovarono proiettati nell'atmosfera più surreale e magica di cui avessero memoria: tutto il salone e gran parte della cucina erano decorati con centinaia di lucine a led, che attraversavano le stanze da una parte all'altra pendendo sopra alle loro teste. Properzio se la diede presto a gambe e scappò via da Cinzia, che aveva avuto la brillante idea di realizzare un costume di coppia: lui il Grande Puffo, lei Puffetta.

"Pur de scopa' te pitturi pure tutto de blu" aveva commentato Orazio dall'alto del suo costume da Tom Cruise in Top Gun.

"Almeno io scopo" era stata la risposta di Properzio.

Come ormai era abitudine, andarono subito a prendersi da bere e si diedero un'occhiata in giro: non conoscevano la metà di tutta quella gente e di sicuro neanche Catullo.

"Carpe diem, stronzi!" urlò Orazio prima di scolarsi il primo drink della serata.

"Giuro che, se ce ne annamo prima perché sbocchi, te lasso ner vomito tuo" lo ammonì Mecenate.

"Ma tranquillo: io lo reggo l'alcol!".

Si fecero strada sulla pista da ballo e cominciarono a scatenarsi: Mecenate non faceva altro che saltare sulle sue gambe da gru e togliersi i capelli dalla faccia, Orazio, invece, agitava in modo strano e convulso le braccia e salì perfino sulle spalle di Virgilio, che lo portò in giro in mezzo agli invitati, facendosi spesso strada verso la zona bar. Virgilio non amava che ci fosse così tanta gente e ogni tanto gli veniva quasi un senso di claustrofobia, ma cercava in tutti i modi di non pensarci e beveva per sciogliersi il più possibile.

E mentre tutti quanti ballavano e cantavano in quel salone caotico e stracolmo, Orazio ebbe una visione: a pochi metri da lui, volteggiando nel suo costume da ninfetta, c'era la ragazza più bella che avesse mai visto. Una cascata di capelli dorati le ricadeva sulle spalle fino alla schiena, muovendosi continuamente in quella danza sfrenata. Un paio di occhi di ghiaccio, più grigi che celesti, scintillavano in quella penombra psichedelica. Per un secondo Orazio ebbe come la sensazione che il mondo attorno a lui rallentasse e che solo loro due continuassero a muoversi normalmente.

"Ora', è fori dalla tua porta" lo riportò alla realtà Virgilio.

"Che la conosci?" chiese subito Orazio.

"Sì, se chiama Pirra, è una delle tante amiche de Corinna. Sta ar terzo anno de pedagogia: è troppo grande pe' te" rispose l'altro cercando di disilluderlo il prima possibile.

"Carpe diem, Virgi'!" esclamò sorridendo il suo amico prima di avvicinarsi a Pirra.

Iniziò a ballare vicino a lei, tentando di sembrare il più vago possibile: si era tirato su le maniche del giubbotto di pelle, si era sistemato velocemente occhiali da sole e capelli specchiandosi nel riflesso del cellulare ed era partito all'attacco.

"Bel costume" provò ad attaccare bottone dopo averle ronzato intorno per un po'.

Ma lei non gli rispose e continuò a dimenarsi come una menade danzante in mezzo alla folla. Orazio pensò che, magari, con tutto quel casino non lo avesse sentito, così ci riprovò.

"Bel costume!" gridò.

La ragazza si girò per un istante e lo squadrò dalla testa ai piedi: si sentì come nudo, ma non nel modo in cui avrebbe voluto, ed ebbe la sensazione di essere sotto processo.

"Grazie" gli rispose con freddezza prima di tornare ad ignorarlo completamente.

"Come te chiami?" le domandò per farsela sfuggire.

"Ah regazzi, scollate!" esclamò seccata.

"Scusa" balbettò Orazio ripiegando dai suoi amici.

Virgilio stava per fare una battuta sul fatto che glielo avesse detto che sarebbe andata a finire così, ma cambiò idea nel vedere la sua espressione abbattuta.

"Carpe diem!" gli disse Mecenate allungando ad Orazio una birra.

"Ce sta l'amore tuo laggiù. Chi è quella bionda?" gli chiese indicando Augusto dall'altra parte della stanza.

"Se fa chiama' Dru ed è la ragazza sua" rispose l'altro ostentando un certo disprezzo.

"E te come lo sai?".

"Me l'ha presentata".

"E quanno?" si intromise Virgilio incuriosito dalla piega che stava prendendo quella conversazione.

"Settimana scorsa m'ha 'nvitato a fa' colazione e lui e li amici sua hanno fondato 'na specie de partito, nun ho capito", cominciò a raccontare, "M'ha presentato 'sta scema e m'ha chiesto de cura' 'a propaganda".

"E nun sei contento? D''a propaganda dico" domandò Orazio osservando l'espressione triste del suo amico.

"Ho rifiutato. Raga, nun so' 'n grado de gesti' 'na cosa der genere. E comunque nun condivido i suoi ideali" si spiegò Mecenate, ma sul suo volto si dipinse una mesta malinconia.

"Che t'ha fatto?" chiese Virgilio con tono inquisitorio sentendo che c'era dell'altro.

"Niente" mentì l'altro.

"Fino a settimana scorsa avresti fatto i salti de gioia pe' 'sta carica, pure se t'ha friendzonato de brutto, pure se nun c'avete le stesse idee politiche. Che cazzo t'ha fatto?" insistette il suo amico, visto che aveva avuto modo di sentire certi discorsi tenuti da Augusto.

"L'ho sentito che me dava der finocchio de merda co' li amici sua" ammise alla fine Mecenate.

"Perfetto. Se me scusate, lo vado a corca' de botte" disse Orazio togliendosi gli occhiali da sole e voltandosi verso Augusto con sguardo feroce.

"Statte bono te!", lo trattenne per una manica Virgilio, "Tanto nun risolvi niente. Piuttosto, Mecena', perché nun ce l'hai detto prima?".

La verità era che si vergognava. Fare coming out non era stato per niente facile per lui, sia con i suoi compagni di classe sia con la sua famiglia: era andata così male che aveva avuto paura di uscire allo scoperto perfino con Marzia, temendo di perdere la persona che amava quasi più di sua madre. Lui non era affatto come Catullo: lui stava con Giovenzio, ma era riuscito a portarsi a letto Clodia e aveva un modo di fare sì gentile e cortese, ma sapeva diventare una belva se lo si faceva arrabbiare. Nessuno avrebbe mai pensato di dargli fastidio o parlargli dietro. Mecenate non era come lui: col suo aspetto da efebo e il suo temperamento mite, le battutine erano all'ordine del giorno. Nessuno poteva farci nulla, tanto valeva non andare a lamentarsi con gli altri, che avevano problemi ben più grandi dei suoi.

"Boh, nun c'ho pensato" mentì spudoratamente di nuovo.

"La prossima volta diccelo subito, così glie bucamo 'e rote der motorino" tuonò Orazio prendendosi un altro drink.

"I tuoi lo sanno?" domandò Virgilio.

"Sanno cosa? Che me danno della checca dietro? Nun esse' ridicolo, Virgi'!", esclamò Mecenate, "I miei manco se 'nteressano se so' vivo o morto, figuramoce se qualcuno me pija pe' er culo!".

Virgilio si rattristì osservando la malinconia degli occhi del suo amico: era vero, purtroppo, i suoi non c'erano quasi mai e, quando c'erano, non sembravano curarsi molto della vita del figlio. E sapeva anche quante cose la gente dicesse alle sue spalle, facendo commenti di pessimo gusto sul suo fisico androgino e sul quel suo modo di fare sempre disponibile e allegro. Avrebbe voluto aiutarlo a sfogarsi o a risolvere la questione, ma Mecenate era molto riservato quando si parlava dei suoi sentimenti e non voleva calcare troppo la mano.

Il trio tornò alla sua solita giocondità dopo qualche altro bicchiere, accompagnato da tutto il cibo che i padroni di casa avevano cucinato. Da lontano intravidero Properzio e Cinzia che si allontanavano mano nella mano verso lo sgabuzzino e preferirono non chiedersi cosa avrebbero fatto lì dentro, anche se la risposta era piuttosto ovvia. Tra un ballo, uno shottino e un giro di rifornimento di pizzette al formaggio, mancavano pochi minuti alla mezzanotte. Le luci si riaccesero, la musica si abbassò e tutti corsero a procurarsi qualcosa da bere.

"Un minuto!" urlò Saffo, che teneva d'occhio l'orologio.

Le coppie che si erano separate si ritrovarono, pronti a limonare allo scoccare del nuovo anno, e un gruppetto di ragazzini uscì di corsa per accendere i fuochi d'artificio.

"Dieci! Nove! Otto!".

Orazio strinse a sé Mecenate e Virgilio, afferrandoli per le spalle.

"Daje raga che pure 'st'anno semo sopravvissuti!" gridò entusiasta Mecenate.

"Sette! Sei! Cinque!".

"Ve voglio be' raga" disse Orazio, ammorbidito da vari litri d'alcol che scorrevano nel suo organismo.

"Pure noi, deficie'!" gli rispose Virgilio sorridendo.

"Quattro! Tre! Due!".

Un botto precoce si sentì in lontananza, seguito da una valanga di scoppiettii.

"Uno! Buon anno, merde!".

I tre si scolarono tutto d'un fiato il loro bicchiere di spumante e cominciarono a saltarsi addosso a vicenda come facevano da quando erano piccoli, dandosi delle spintarelle e sorreggendosi a vicenda al tempo stesso.

"Chi nun scopa a Capodanno nun scopa tutto l'anno!" gridò Orazio prima di scomparire tra la folla.

Virgilio rise divertito da quella battuta vecchia decenni, ma che continuava a sembrargli divertente nella sua tragica ironia. 

"Ehi, ciao Virgilio" lo chiamò qualcuno toccandogli un braccio.

Virgilio si voltò e per un istante si sentì come fuori dal suo corpo: davanti a lui si ergeva in tutto il suo splendore un ragazzo vestito da angelo che gli sorrideva timidamente. 

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