| Capitolo 1 - Parte 2 - Pioggia Rossa |
Una figura alata discese dal cielo, ondeggiando come una piuma. Le guardie rimasero col naso all'insù a chiedersi di cosa si trattasse ed entrambe convennero che tutta quella situazione avrebbe provocato loro solo un gran torcicollo. Bianchino provò ad afferrarla, ma questa sfuggì alla presa cavalcando una lingua di vento improvviso. Atterrò su un canale di scolo, lasciandosi trasportare dalla corrente fino a una poltiglia di foglie secche. Era un origami, la rappresentazione cartacea di un'anatra dai denti a sciabola. Ne seguirono altre: stormi di rapaci, branchi di cani, gatti, volpi e scoiattoli di carta. Alcuni fallivano l'atterraggio e si coricavano di lato, imbarcavano acqua e si sfaldavano come biscotti nel latte bollente.
«Ma cos'è?» domandò Joe, cercando tra i tetti la presenza di qualcuno. Che si trattasse delle solite stramberie di quell'idiota di Dubois? Pregò che la sua Zoe non fosse coinvolta in una bravata del genere. Non poteva guardarle le spalle in eterno. Si lasciò sfuggire una bestemmia nell'immaginarla a spargere secchiate di cartaccia dai tetti.
Bianchino gli impose il silenzio con l'indice sul muso «Arriva qualcos'altro» sussurrò drizzando le orecchie al cielo. Sguainò la spada e indicò tre scie di luce verde.
Tre uova, oggetti non identificati grandi come comodini, si preparavano all'impatto col suolo dispiegando bianche ali angeliche.
Due si posarono in mezzo alla strada, mentre una andò a finire in bilico sul marciapiede.
«Quale creatura depone uova così grandi? Un drago? Un'aquilama?» chiese Bianchino, pettinandosi le vibrisse. Si avvicinò a uno di quelli, picchiettandolo con la punta dell'artiglio per farlo dondolare.
«Non lo so, e non mi interessa. Andiamo via da qui, prima che la gente ci veda» lo sguardo vagava in cerca di un qualche segnale di vita dalle abitazioni circostanti; vide solo ombre nascondersi dietro ai tendaggi.
Maledisse la curiosità del collega: sapeva che questa l'avrebbe portato alla morte, ma era convinto che sarebbe sopraggiunta il suo ultimo giorno di servizio, come era prassi nella sua professione.
Prima che Bianchino potesse colpire l'uovo in bilico con una zampata, tutte e tre si schiusero, liberando una nuvola di fumo verde. Odorava di menta appena colta, il che rendeva gradevole quegli attimi di sgomento. Dalla coltre di fumo balzarono fuori tre esserini dal cranio a uovo, proprio come le navicelle che li avevano condotti su Uma. Joe lì guardò bene, convinto del fatto che quella sarebbe stata l'ultima volta che li avrebbe visti. Strinse l'elsa della spada e si fece minaccioso.
Li guardò ancora. Non avevano nulla di intimidatorio: erano piccoli e sproporzionati. Sembravano impassibili a ogni cosa, con i loro testoni ovali, calvi e luccicanti. Perchè allora aveva così tanta paura? Era fuori addestramento e conduceva uno stile di vita che tutto era tranne che sano, ma a picchiare deboli e indifesi ci riusciva ancora bene. Che male potevano fargli? Non avevano né naso né orecchie e quello era un gran vantaggio. Si voltò e il compare ricambiò il suo sguardo.
Avanzarono di qualche passo tenendo le armi ritte davanto a loro. Da dove arrivava tutto quel coraggio?
I tre indossavano un'armatura sulla quale correvano rapide le luci al neon, fatta d'un materiale che luccicava come il metallo, ma si fletteva e spiegazzava come la stoffa.
Il primo si stiracchiò come un gatto, fiutando l'aria e muggendo suoni metallici; il secondo andò a sdraiarsi a terra, abbracciandola diverse volte; il terzo armeggiava un macchinario a forma di alice che gli si avvinghiava al polso. Ogni volta che le dita dell'essere gli sfioravano le lische, il pesciolino sembrava arrossire e i suoi occhi vitrei luccicavano di vita.
Gli torse le pinne laterali e scandì le sue prima parole.
«Melanie, registra pure: il veicuovo non ha retto l'impatto con l'atmosfera aliena. Scorte di colla di merluzzo in esaurimento: richiedere rifornimento una volta terminata la ricognizione. Annotare entità dei danni e ricordarsi di contattare l'assicurazione» disse con voce rauca e distinta.
«Fortuna che conservo sempre gli scontrini. Più o meno» disse a Joe e Bianchino.
«Melanie, avvia la conversazione. Chiama il Presidente.»
«Quale Presidente vuole che chiami?»
«Chiama IL Presidente.»
«Avvio conversazione in corso, attendere. Attendere. Attendere...»
E partì una bella musichetta tipica dei centri benessere più rinomati della galassia. Un minuto dopo Melanie avvisò che l'alicetrasmittente era al momento irraggiungibile.
«Andato. I vostri vasi comunicanti funzionano?»
Gli altri due scossero il capo. «No comandante. L'acido citrico della pioggia disinibisce le alicitrasmittenti, inibendo il loro raggio d'azione.»
«Dobbiamo attendere che il maltempo cessi» aggiunse il secondo.
Lo squillare delle loro tute acquietò le creature, che poterono svitarsi via la faccia e rivelare dei visi da infante sotto ai loro caschi lisci. Il loro capo era calvo, mentre i suoi sottoposti sfoggiavano folte criniere rispettivamente biondo grano e castano.
«Sì, l'aria è respirabile come pensavamo. D'altronde dovremmo avere una struttura genetica simile a tutti questi primitivi, sì».
«No, il suolo non è poi così duro come invece raccontavano i resoconti, no» disse l'essere che abbracciava terra mettendosi a sedere.
«Bah, alla faccia del progresso» osservò il terzo essere scalciando quel che restava del suo uovo. I residui di albume si addensarono in uno sciame di api origami. «Il dispositivo di smaltimento artistico è inefficace e pericoloso!».
«È tecnologia Gallica, cosa pretendete? Avete visto che fine ha fatto Martinez?»
«No, ero in stasi».
«Sì, io sì, è esploso in mille pezzi il poveraccio; che riposi nella Culla»
«Che riposi nella Culla» ripeterono tutti e tre chinando il capo.
Joe e Bianchino assistevano in silenzio, indecisi se partire alla carica o darsela a gambe.
«Voi non comprendete la mia parlata, vero?» Chiese il comandante che scandendo ogni singola parola.
I due non risposero.
«L'avrei dovuto immaginare: così tipico di quelli della vostra fibra aliena».
«No, non hanno mantenuto il nostro ceppo linguistico, no. No no» il bimbo biondo annotò la cosa sulla sua alicetrasmittente «il minestrone culturale e l'isolamento prolungato hanno portato a un imbastardimento della lingua. Un fenomeno assai comune sulle colonie lontane dall'Asilo.»
«Non è possibile, si sono ribellati l'altro ieri. Sono così smemorati?»
Parlavano un linguaggio incomprensibile, troppo lontano da qualsiasi altro idioma avessero mai sentito. Qualcosa di padroneggiato ancora da qualche ammuffito studioso di linguistica, poche sagge nonnine delle braccia più inaccessibili e una manciata di demoni di livello superiore (nipoti di quelle sagge nonnine).
«No, questo non lo dicevano all'addestramento.»
«Non dicevano un po' troppe cose mi pare» rispose il loro capo sospirando «faccio io, non scomodatevi.»
Accarezzò il pesciolino e un fascio verde partì dai suoi occhi vitrei; la luce li sondò entrambi, da Bianchino a Joe, dall'alto in basso, lasciando di essi intravedere prima i fasci muscolari, poi gli organi interni e infine il nudo scheletro.
«Soggetto numero uno: anni trentaquattro. Razza felina senziente: muscittoide o pisittoide. Scarse difese immunitarie. Alcolista. Mancano, ancora, DUE, bicchieri, alla, cirrosi» disse l'alice da polso con tono metallico. Scandì la parola cirrosi.
«Soggetto numero due: anni trentatré. Diciotto fratture diverse. Alitosi. Il suo valore di fede nel divino, è, il, triplo, del coefficiente di Dwarf. Corruttibile, insaziabile, soggiogabile. Rilevo una seconda presenza al suo interno. Ipotesi: figlio? Verificare. Corruttibile, insaziabile, soggiogabile.»
Oltre a un check up approfondito il raggio erose le loro armi, riducendole a un mucchio di polvere rossa.
«Sì, grazie Melanie, potresti impostare il mio buon periodare verso onde comprensibili a questi due impauriti bifolchi, sì?»
La voce dell'intelligenza artificiale sfumò in un jazz da sala d'attesa; una melodia che si protrasse finché una campanella non decretò il termine del processo di conversione linguistica.
«Sì, ecco fatto. Chiedo a voi perdono per non essermi presentato a lorsignori. Vi chiedo di mettervi a sedere comodi e ascoltarmi con attenzione. Il mio nome è Trenino, ma vi concedo l'onore di chiamarmi T. Quello alla mia sinistra, il più silenzioso, è l'Ingegner Jean Sonaglio, mentre alla mia destra, seduto a terra, potete vedere il Dottor Igor Pannetto, sì sì.»
«È linguaggio demoniaco questo!» esclamò Bianchino.
«Sì, certo. "demoniaco"» Trenino aprì diverse virgolette con le dita.
«Siete stati sottoposti a una scansione fisico-cognitiva ed ora siete in grado di comprendere il mio idioma "demoniaco". Ah, sì, scordavo: sia chiaro che il traduttore potrebbe prendersi qualche licenza poetica o sorvolare su termini che individui come voi che hanno perso la retta via hanno di sicuro scordato. C'è inoltre il rischio che possiate riportare gravi lesioni al lobo frontale, ma credo non sia importante visto che a breve potreste essere morti. Vi dice nulla la parola LA-VA-STO-VI-GLIE?»
I due, che non vivevano un'esperienza di tale intensità dalla vittoria dell'Ardaras PallaSpada al torneo parrocchiale del 48', si prostrarono in ginocchio.
«Ne deduco che non sappiate di cosa io stia favellando, uhm?» Scioccò la lingua, passeggiando davanti alle due guardie.
Joe si guardava attorno, in cerca di luci che si accendevano e finestre che si aprivano.
«Peccato sì. Un vero peccato che non possiate conoscere l'ebrezza del non dover mai più lavare le vostre stoviglie a mano. Se saprete rispondere alle prossime domande potrei pensare di procurarvene una» le lunghe ciglia si chiusero in un occhiolino.
Bianchino si gettò a terra, implorando di avere salva la vita.
«Allora ditemi: Dubois. Conoscete qualcuno marchiato da questo sventurato nome?»
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