XXI - Nobil cuore innamorato (2)
Roxanne era incredula.
Possibile che non ci fosse fine alla serie di sfortune che si abbattevano su di lei? Si ripeteva sempre che doveva andare avanti, che sarebbe riuscita a risolvere tutto grazie alla sua forza e alla sua resilienza, ma cominciava ad essere sempre più difficile abbindolarsi in questo modo, dato che finiva sempre per ricadere in qualcosa di persino peggiore.
Sua madre la stava aspettando fuori dalla porta dell'appartamento, barricata al di là della serratura chiusa, ma non c'era bisogno che la vedesse per essere certa di cosa stesse facendo: senza dubbio se ne stava con l'orecchio incollato al muro, pronta a captare ogni segnale di dialogo da parte loro, le mani sui fianchi e la punta del tacco che andava su e giù a tempo con il suo nervosismo. Sapeva che era già impaziente di aspettare.
Un motivo in più per non cercare minimamente di accelerare i suoi movimenti, anzi, per prendersi tutto il tempo di preparare la valigia e ricontrollare attentamente di aver impilato tutto. Sperava di dover stare via poco - e c'era da tenere in conto che stava pur sempre tornando a casa sua, dove c'erano il suo armadio e il suo amato letto a baldacchino - dunque se la cavò con un piccolo trolley da viaggio. Ci infilò dentro lo stretto necessario. Peccato che non potesse ficcarci dentro anche ciò che in quel momento necessitava di più: Isaac.
Il ragazzo la contemplava appoggiato pesantemente contro lo stipite della porta, le gambe accavallate e le braccia incrociate sul petto. Nei tratti del suo viso si leggeva la sofferenza fisica e mentale che provava. La spalla, in quella posizione, doveva fargli un male terribile. I suoi occhi erano due perle nere che rilucevano per i riflessi accesi del sole di mezzogiorno. Tristemente, erano l'unica cosa che riluceva in lui: il suo solito splendore era svanito, oscurato dalla pesante coltre di nubi temporalesche soffiate lì da sua madre. Non c'era bisogno che Isaac parlasse per farle intendere cosa stava pensando: lei lo sapeva e basta. Si sentiva il suo sguardo addosso come se fosse stato una calda coperta di lana. Non voleva togliersela. Non voleva allontanarsi da lui. Non ora che aveva scoperto come poteva farla sentire.
Ma doveva andar via. O altrimenti lui sarebbe morto. Roxanne sapeva bene che sua madre non scherzava su queste cose: non avrebbe esitato un secondo a premere il grilletto della pistola puntata alla sua testa. Avrebbe fatto qualunque cosa per evitarlo, anche rischiare di compromettersi.
Quando ebbe chiuso anche l'ultima zip, si avvicinò ad Isaac. Il rumore delle rotelle della valigetta la seguì nel breve percorso. Lui aprì prontamente le braccia per accoglierla e lei vi ci affondò dentro. Il suo profumo e il rumore del suo cuore, così familiari e così vicini, la rilassarono, infondendole la forza necessaria a combattere affinché lui sopravvivesse.
<<Mi dispiace di non averti potuto cambiare la fasciatura...>> mormorò, la guancia schiacciata contro il suo petto <<Mi sa che dovrai farlo da solo.>>
Isaac produsse un suono singolare. <<Al diavolo la mia stupida ferita! Pensa piuttosto a tornare qui il più in fretta possibile, è chiaro? Non so quanto riuscirò a resistere senza di te.>>
<<Non fare lo stupido.>> obiettò <<Ci sei riuscito per più di due anni.>> Malgrado tutto, un sorriso le spuntò sulle labbra.
<<Era diverso.>> Le passò una mano sui capelli, stringendole piano la nuca nel palmo. Le baciò la fronte.
Roxanne sospirò. <<Andrà tutto bene. Abbi cura di Clarke da parte mia, okay? Non voglio che le succeda qualcosa, né che si preoccupi perchè sono scomparsa di punto in bianco.>>
<<Lo farò.>>
La ragazza alzò il viso e poggiò il mento sul suo sterno per poterlo guardare in faccia. Sembrava ancora più pallido del solito. <<Grazie.>>
<<Di badare a Clarke? Per così poco?>> ridacchiò <<L'erede dei Moore non dovrebbe dispensare così tanti ringraziamenti.>>
Scosse piano la testa, ondeggiando da un lato e dall'altro il mento sulla curvatura del suo petto. <<Non è solo per questo. È un grazie per tutto.>>
Lui la guardò negli occhi e un respiro tremante gli sfuggì dalle labbra rosee. <<Non parlare così. Sembra che tu mi stia dicendo addio.>>
<<Non puoi proteggermi sempre...>> sussurrò lei, il cuore in balia di mille emozioni diverse. Nascose il naso nelle pieghe della sua giacca e ne respirò a fondo l'odore. Se lo incise nella mente, nella speranza che quella non fosse l'ultima volta in cui avrebbe avuto occasione di sentirlo.
Lui sbuffò. <<Perlomeno lasciami il diritto di provare.>> Le sistemò i capelli dietro le orecchie e i suoi cerchietti dorati tintinnarono.
<<Non rendermi le cose più difficili.>> disse lei con un rantolo strozzato. <<Non è veramente una scelta quella che mi ha messo davanti mia madre.>>
<<Potresti sempre lasciarmi morire.>> propose un un sorriso palesemente forzato. Il fatto che tentasse di sdrammatizzare la situazione, se da un lato la addolciva, dall'altro la innervosiva. Non sapeva bene come due sentimenti del genere potessero coesistere, ma gli venne in automatico di rispondere alla provocazione con uno schiaffo. Il rumore sordo si propagò per secondi infiniti tra di loro.
<<Parli come se non fossi io quella che ci tira sempre fuori dai guai.>> brontolò con un tono più tagliente del previsto. Isaac sembrò non curarsene troppo.
<<Ah si?>> esclamò inarcando un sopracciglio <<E io non ti faccio andare via mai più...>> E così dicendo la tirò su, staccandola da terra come se il suo peso non lo scalfisse minimamente. Roxanne spalancò gli occhi sorpresa, ma non oppose resistenza. I suoi piedi ciondolavano accanto alle ginocchia di Isaac, le mani di lui le stringevano con delicatezza le gambe. Gli accarezzò le spalle, il collo, le guance. Guardarlo dall'alto era bizzarro, sì da suscitare in lei perplessità, sorpresa e anche singolare interesse e curiosità. Forse lo trovava ancora più bello visto da lì, perché tale prospettiva lo rendeva più vulnerabile ai suoi occhi.
<<Devi.>> ordinò con la fronte premuta contro la sua. Gli diede un bacio lungo, poi uno corto e poi si fece mettere giù a malincuore. Lo salutò in fretta e furia, prima che perdesse il coraggio. Si voltò a guardarlo mentre percorreva il lungo corridoio retto, e lo trovò lì a fissarla. Bilanciava il peso poggiando una mano alla porta, i capelli disordinati dai movimenti bruschi gli pendevano da un lato, la maglietta spiegazzata gli era sfuggita dai jeans. L'altra mano era invece stretta a pugno intorno a qualcosa sul suo petto. Qualcosa di luccicante.
Un sorriso le increspò le labbra.
Erano i loro anelli.
***
Era un primo pomeriggio molto freddo quello in cui vide le due donne camminare a passo spedito verso i cancelli del college.
Entrambe portavano cappotti neri e lunghi che facevano risaltare a colpo d'occhio i capelli chiari che vi ci si appoggiavano sopra. Una era minuta, quasi scompariva nel suo impermeabile, però l'atteggiamento e la postura regale che assumeva lasciavano intendere che navigasse ormai da tempo nell'età adulta. L'altra figura, invece, era più alta, con i capelli lunghi fino alla vita e una strana ansia che le faceva contrarre i muscoli e lanciare occhiate sospettose in giro. Sembrava conoscere bene il college, probabilmente perché ci abitava. Si trascinava dietro un trolley da viaggio, di quelli piccoli, utili solo per un pernottamento breve e indesiderato. Quello non era il solo indizio che le faceva pensare che la partenza non fosse gradita: gli sguardi gelidi verso l'altra donna, i pugni serrati lungo i fianchi, la posa stizzita della testa trasudavano insoddisfazione.
Si portò il binocolo tascabile agli occhi. Lo teneva con sé ovunque andasse nell'ultimo periodo, dalle lezioni alle partite e alle feste. Ogni scusa era buona per stare all'erta. Le avevano insegnato a non distrarsi mai, a non dare nulla per scontato, eppure non si sarebbe mai aspettata che si rivelasse tanto facile. Aveva immaginato qualche scoperta dell'ultimo minuto, di certo non che le sue prede le sfilassero davanti come in una marcia militare di gloria. Le riconobbe subito: aveva fissato le loro foto per ore e ore nell'arduo compito di imprimersi nella mente ogni dettaglio del loro volto, della loro storia.
Un sorriso le comparve sulle labbra. Doveva solo scoprire dove erano dirette, dato che avevano fatto loro stesse il lavoro sporco. Si tenne a debita distanza mentre le seguiva, riparandosi dal vento e dalla vista camminando sotto i cornicioni degli edifici e nell'ombra degli alberi. A quell'ora il college era stracolmo di ragazzi, era il momento migliore per fuggire, ma quello peggiore per pedinare. Per sua fortuna era un asso nel seguire le persone. Era per quella ragione che l'avevano scelta, si ripeteva avanzando tra la folla, si erano fidati di lei e non poteva deluderli. Doveva portare a termine la missione.
Le due donne varcarono i cancelli d'uscita mezzo minuto prima di lei. Il coltello era diventato ormai tiepido a contatto con la sua schiena, ma continuava a premerle contro la pelle, infastidendola mentre zigzagava nella marmaglia per raggiungerle. Lo sistemò con un gesto nervoso e aumentò la velocità, piegandosi leggermente in avanti per combattere lo sferzare violento del vento. Le vide girare verso il parcheggio, dove le seguì. Ad aspettarle c'era una macchina nera dai finestrini oscurati, la classica Mercedes Benz Classe S che guidavano tutti gli autisti della famiglia Moore. Persino il più inutile dei loro galoppini ne possedeva una uguale. La ragazza aprì il cofano con uno sbuffo frustrato. Erano così sicure di loro stesse che neanche si accorsero della sua presenza. In ogni caso, onde evitare imprevisti, lei si avvicinò quel tanto che le bastava a distinguere le loro voci, poi si acquattò dietro un'auto parcheggiata e rimase in silenzio.
<<Me la pagherai per questo...>> minacciò la più giovane delle due <<Aspetta solo che lo venga a sapere papà!>>
<<Un giorno mi ringrazierai, quel traditore non ti merita.>> brontolò l'altra.
Ci fu qualche attimo di stallo. La tentazione di alzarsi a controllare fu difficile da frenare. <<Se scopro che mi stai riportando a Detroit solo per allontanarmi da Isaac, giuro che ti faccio fuori. Inventare tutta questa storia dal nulla, riunire il Clan senza motivo, organizzare un falso processo... Dominic ti detesterà così tanto che distruggerti sarà un gioco da ragazzi.>>
La risposta della signora fu attutita dal rumore degli sportelli sbattuti e del rombo del motore. L'automobile prese vita e cominciò ad avanzare verso l'uscita. Ben presto sparì alla sua vista. Attese pazientemente qualche minuto prima di andare all'esterno anche lei, respirando l'aria pulita mentre tastava le tasche alla ricerca del telefono. Controllò che ci fosse campo prima di comporre il numero marchiato con inchiostro di seppia nella sua mente.
Cinque squilli, seguiti dalla voce familiare del suo preposto.
<<Finn, sono Hannah. Avevi ragione, Christabelle Moore era qui insieme a sua figlia. Sono dirette a Detroit. Tocca a te intercettarle adesso.>>
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