XXI - Nobil cuore innamorato (1)
Clarke era preoccupata.
Roxanne non era rientrata a casa quella notte. Se n'era accorta subito, dato che era lei a svegliarla praticamente ogni giorno. Le era venuto un colpo quando era sgattaiolata in camera sua e non l'aveva trovata: non si conoscevano da molto, e di certo non si reputava un genio, ma non ci voleva chissà quale quoziente intellettivo per capire che non era tipa da avventure notturne. Aveva provato a chiamarla, ancora mezza addormentata e con la tazza di caffè sotto il naso, però lei non le aveva risposto, accrescendo ancor di più la sua paura. L'aveva aspettata seduta sul bordo del divano fino ad un minuto prima che iniziassero le lezioni, poi, seppur a malincuore, era stata costretta a correre via: non poteva permettersi altre assenze per quel mese, ne aveva già sprecate troppe per restare sdraiata a letto con Bellamy o per riprendersi dalle feste finite a tarda notte.
In ogni caso, stare in classe non le dispiaceva, o almeno non più come una volta: nonostante non fosse un'amante dello studio, alcuni corsi che seguiva per la sua laurea in marketing erano davvero stimolanti. Si sentiva incentivata a dare il meglio di sé in un ambiente così tranquillo.
Sicuramente non avrebbe mai raggiunto la prontezza di Bellamy o la capacità di parola di Roxanne, ma si sentiva più sicura delle sue capacità in quel nuovo mondo, lontana dai ragazzi che l'avevano sempre derisa nei corridoi del suo vecchio liceo. Non era facile scappare ai bulli in un paese con una sola scuola, ed era stata obbligata a sopportare i loro commenti dalle elementari fino al diploma, quando aveva finalmente avuto la possibilità di fuggire da quello sconsolato angolo di terra. Eppure. nonostante fosse a decine di chilometri di distanza da loro, continuava a sentire le loro risate ad ogni esame, ogni volta che dimenticava la coniugazione di un verbo o il significato di una parola, loro erano lì, a peggiorare ancor di più la situazione.
Bellamy era stata la prima persona, al di fuori della sua famiglia, a cui l'aveva raccontato. Lui era rimasto in silenzio, aveva lasciato che si sfogasse, che gli raccontasse tutti i più inutili particolari del suo disturbo, poi l'aveva stretta in un lungo abbraccio mentre lei singhiozzava sulla sua spalla. Lei si aspettava che, dopo aver scoperto della dislessia e della disnomia, Bellamy sarebbe sparito lasciandosi dietro solo una nuvoletta. Insomma, lui era perfetto, non aveva bisogno di una come lei. E invece era rimasto. Da allora aveva smesso di usare un vocabolario complesso quando le parlava, per non farla sentire inadeguata, e si proponeva di aiutarla a studiare per ogni esame. Con lui a tenerle la mano, i dizionari le facevano meno paura.
Così, quando la professoressa di economia fissò la data dell'appello di dicembre, lui fu la prima persona che chiamò: voleva organizzare delle sedute di studio con lui, per potersi preparare il discorso e allenarsi a non andare in panico quando le mancavano i sinonimi.
Alla terza telefonata capì che non ci sarebbe stata risposta neanche da parte sua. Sbuffò innervosita. Nell'ultimo periodo Blake era perennemente impegnato, non faceva altro che disdire appuntamenti e, quelle poche volte in cui la degnava della sua presenza, non era mai veramente lì con lei. C'era un'idea che lo affliggeva, che lo rapiva, allontanandolo da lei e dal presente. Era alla disperata ricerca di qualcosa che non poteva raggiungere, qualcosa che aveva cambiato irreparabilmente una parte di lui. E la cosa peggiore era che lei non poteva far nulla. Non le restava altro che osservarlo mentre si perdeva a fissare il vuoto, avvolto dalla nube dei suoi pensieri, mentre annuiva, anche se lei sapeva perfettamente che non la stava ascoltando, mentre mentiva, dicendo che tutto andava alla perfezione.
Peccato che nulla andasse bene: lui era bloccato in chissà quale angolo della sua mente, Roxanne spariva di punto in bianco, dandole sempre giustificazioni vage e tergiversanti, Jennifer -la sua migliore amica- si era fidanzata e non si staccava dalla ragazza neanche per andare in bagno, e sua cugina era tornata in paese per delle faccende da sbrigare con sua madre. Si sentiva sola, rilegata in un piano di minor importanza da chiunque la conoscesse. Non voleva sembrare egocentrica ma...
Il flusso dei suoi pensieri fu bruscamente interrotto dalla voce di una donna. Una signora sulla quarantina si stava avvicinando a lei, seduta compostamente su una delle sedie dell'area comune. Era bella, ma di una bellezza fredda, distaccata, spaventosa. Aveva i capelli lisci e biondi tagliati all'altezza delle gracili spalle, occhi azzurri come il mare ghiacciato e piccole rughe d'espressione intorno alla linea severa della bocca. Indossava il tailleur di Yves Saint Laurent nero a righe sottili che aveva visto qualche settimana fa in una rivista di moda. Doveva averlo pagato una fortuna.
<<Ciao, sei Clarke Griffin, vero?>> le domandò facendo un paio di passi verso di lei. I suoi tacchi tintinnavano sul pavimento. La sua voce le sembrò vagamente familiare.
<<Sì, sono io.>> annuì lei richiudendo il libro che teneva aperto sulle ginocchia. Era rimasta a fissarlo senza leggerne neanche una singola parola.
<<Io sono Christabelle, la madre di Roxanne.>> si presentò <<Lei deve averti sicuramente parlato di me.>>
Clarke spalancò la bocca: che sorpresa ritrovarsi all'improvviso davanti alla madre della sua coinquilina! Ore che le aveva svelato la sua identità, riusciva a cogliere delle somiglianze nelle due, nel loro atteggiamento fiero e nella curva dura delle labbra. Malgrado ciò, Roxanne non aveva fatto altro che utilizzare parole terribili per descrivere sua madre, perciò ritenne più saggio tenersele per sè. <<Ah, piacere di conoscerla! Ha ragione, ovviamente Roxanne mi ha detto tante cose su di lei.>> Preferì mantenersi sul vago: non era brava a dire le bugie, quindi la soluzione migliore era parlare per mezze verità.
<<Sono così felice di conoscere finalmente la sua coinquilina!>> esclamò con un tono melenso che Clarke non poté non reputare fasullo <<Sai, Roxanne non parla mai di nessuno -devo tirarle fuori le cose a forza-, invece di te non fa altro che dire cose positive!>>
La ragazza annuì con un sorriso. <<Mi fa piacere.>>
<<Raccontami un po' di te, dai, sono molto curiosa.>> disse sedendosi finalmente nella sedia di fronte alla sua. Cominciava a metterle ansia in piedi accanto a lei.
<<Be', non c'è molto da dire: mi chiamo Clarke. vengo da Elmstead, ho due sorelle e due fratelli e frequento il secondo anno di Digital Marketing.>> raccontò con una punta di soggezione. Non sapeva bene dove quella donna volesse andare a parare, ma si sentiva in imbarazzo a parlarle senza la presenza confortante della figlia.
Christabelle strinse le labbra, come se sapesse che aveva appositamente omesso qualcosa di molto importante. <<Mi sembra che Roxanne mi abbia anche accennato a proposito del tuo fidanzato... come ha detto che si chiama? Ah, sì! Bellamy. Ricordo bene?>>
Il modo in cui pronunciò il suo nome fece scattare una lampadina nel cervello di Clarke. Era stata giusto sul punto di rispondere, quando le saltò in mente ciò che le aveva raccontato Bellamy, ossia che le loro famiglie, a seguito di un terribile litigio, avevano vietato a lui e a Roxanne di vedersi. Divieto che, nel corso delle ultime settimane, era stato ampiamente trasgredito. Ciò fece insinuare in lei il dubbio che si trattasse di una domanda trabocchetto per incastrare Roxanne o che, ancora peggio, tutta quella scenetta non fosse altro che una trappola ben camuffata per estorcerle informazioni sulla famiglia di Blake. Non voleva che l'amica, né tantomeno il suo ragazzo, finissero nei guai per colpa sua. Doveva necessariamente inventarsi qualcosa. <<Sì, ho un ragazzo, ma non si chiama Bellamy. Il suo nome è Benjamin, e comunque Roxanne non l'ha mai incontrato.>>
La madre di Roxanne aggrottò le sopracciglia contrariata. <<Ah no?>>
<<No.>> ribadì scuotendo la testa <<Purtroppo Ben non passa quasi mai per di qui, è molto impegnato con le sue faccende in paese... pensi che io stessa non lo vedo da un mese!>> Mentire cominciò a farle sudare le mani e il collo. La maglia cominciò ad appiccicarsi alla pelle umida. Non era abituata a una simile pressione: già non era solita a dire menzogne, figuriamoci farlo con un adulto.
La donna non sembrava volersi convincere della sua spiegazione quindi chiese: <<Perciò non conoscete nessun Bellamy Blake? Ne sei sicura?>>
<<No, io non conosco nessuno con questo nome... e mi creda, conosco quasi tutti in questo college!>> Forse esagerare un po ' le cose era la strada giusta per far filare bene le sceneggiate.
Christabelle scattò in piedi come una molla, spaventandola a morte. Per poco non balzò di scatto dal cuscino anche lei. <<Va bene, allora mi fido di te.>> Voce dolce come il miele, bugie taglienti come il vetro. Una fitta di senso di colpa si fece strada in lei: stava mentendo ad una signora preoccupata per sua figlia... con quale diritto commetteva una simile infamia? Si rispose da sola: nessuno. In ogni caso, ormai era troppo tardi per disfare tutta la matassa, quindi sperò in silenzio che Christabelle mettesse un punto a quel discorso senza un briciolo di senso logico. <<Grazie mille per la disponibilità. Sei stata davvero gentilissima. Ci vediamo a casa vostra per pranzo? Vieni anche tu? Così magari mi racconti di Elmstead e di come si vive in Canada. Dicono che sia completamente diverso e, allo stesso tempo, identico agli Stati Uniti.>>
<<Va bene, certo.>> accettò Clarke con un sorriso tirato <<A dopo.>>
Non la vide mai più.
***
Malgrado fossero passate già delle ore da quando Roxanne l'aveva baciato, Isaac era ancora convinto di essere cristallizzato in un sogno ad occhi aperti.
Gli era stato donato ciò che bramava di più: la redenzione. Adesso la sua anima volteggiava leggera nel cielo stellato e si rallegrava di nuovo per le gioie terrene. Si sentiva libero, senza confine alcuno, infinito nella sua limitatezza umana. Era risuscitato, scappato dalla sua tomba emotiva, e ora aveva fame di vita. E di amore. Oh, l'amore. Il cuore minacciava di scoppiargli nel petto come un palloncino troppo pieno tanta era la gratitudine e la beatitudine che provava ad ogni respiro: Roxanne gli aveva concesso di amarla, il che era l'occasione più preziosa che potesse ricevere. Voleva tenersela stretta, godersela, ma allo stesso tempo guadagnarsela. Desiderava essere perfetto. Per lei.
Eppure, già mentre la stava vivendo, il ragazzo sentiva che tutta quella felicità sarebbe costata cara: appariva quasi come un oltraggio al Caos che governava le loro vite.
Non a caso, la rivincita del Male non tardò ad arrivare.
Difatti, nonostante Blake fosse stato attento a contraffare i suoi documenti e a nascondersi da internet, a Christabelle Moore non occorsero più di trentasei ore per scovarlo. Roxanne e Isaac si erano prodigati affinché tale tragedia non avvenisse, corrompendo qualche studente qui e qualche professore di lì, eppure il temporale si abbatté minaccioso sulle rive assolate della loro isola.
Christabelle fece irruzione nell'appartamento mentre stavano preparando il pranzo: Roxanne apparecchiava la tavola quando, al suono del campanello, si accinse ad aprire la porta, convinta che si trattasse della sua coinquilina di ritorno dalle lezioni mattutine. Non fece in tempo ad abbassare la maniglia che la donna la spinse di lato e si insediò in casa come un nemico crudele. Roxanne socchiuse le labbra sbalordita da tale irruenza e lui, capendo al volo che la situazione si sarebbe protratta per le lunghe, spense il fornello e posò sul mobiletto lo straccio che teneva in mano. Il rumore dell'acqua che bolliva si affievolì man mano alle sue spalle.
<<Buongiorno anche a te, madre.>> borbottò la ragazza facendo scattare il chiavistello. Era meglio non avere altri visitatori per il momento: si respirava aria di guerra.
<<Fai le valigie, muoviti. Ti riporto a Detroit.>> esordì con tono perentorio. Indicò alla figlia il corridoio con uno sbrigativo gesto della mano.
Roxanne rise nervosamente. <Ma di che parli? Io non vengo da nessuna parte.>>
<<Non farmi perdere tempo. So tutto.>>
Roxanne continuava a non muoversi, restando piantonata con le braccia incrociate e la fronte corrugata. <<Non so cosa tu creda di sapere, ma tra le due quella che sta perdendo tempo per colpa dell'altra sono io.>>
<<Tieniti quest'aria saccente per quando ti trascinerò davanti al Tribunale, traditrice.>> sibilò Christabelle sfilandosi il cappotto nero e gettandolo sul bracciolo del divano. Quel gesto, così scenografico per una donna come lei, unito ad un simile incipit, non prometteva niente di buono. Si voltò di scatto verso di lui. Gelide fiamme azzurre ribollivano nei suoi occhi. I capelli chiari, l'unica cosa che la riconduceva alla sua parentela con Roxanne, le ricaddero perfettamente ai lati del viso tirato. La paura gli serrò immediatamente lo stomaco. <<Sei stato tu ad infettarla.>> lo accusò puntandogli un dito contro. Il suo tono era piatto e freddo come sempre. <<Tu le hai trasmesso l'abitudine di tradire. Quando mia figlia sarà confinata, tornerò ad ucciderti.>>
Isaac la fissò senza parlare, troppo sconvolto anche solo per proferire una singola parola; ognuna di quelle sillabe veniva scagliata dalla bocca di Christabelle e si trasformava in uno stiletto puntato contro il suo cuore. Non avrebbe mai assimilato l'innata capacità di Roxanne a non lasciarsi toccare dai commenti della madre. Per fortuna la ragazza prese prontamente in mano la situazione. <<Si può sapere cosa stai farneticando?>>
<<Cosa sto farneticando? Fingi anche di non saperlo? Sei così patetica! Quanti anni sprecati per la tua istruzione... non sei altro che una bambina viziata, arrogante e incapace, e questo rimarrai per il resto della tua vita!>> alzò la voce esasperata.
<<Sì, va bene, possiamo arrivare direttamente alla parte in cui mi dici qual'è il presunto tradimento?>> domandò Roxanne alzando gli occhi al cielo. Isaac non riusciva a capacitarsi di come potesse non essere sconvolta da un comportamento così estremo da parte di Christabelle, una donna tanto compita e subdola.
Christabelle le rivolse un'occhiata dall'alto verso il basso, trasmettendo la delusione che provava per l'innata stupidità della figlia. <<Quello che ti ha spinta a vivere in pace e in armonia con il peggior nemico della nostra famiglia. Credevo che con il rifiuto dell'iniziazione avessi toccato il fondo, ma mi sbagliavo. Continui a sorprendermi con la tua viltà.>>
<<Be', devo ammettere che sarebbe stato davvero divertente prendere un caffè con Alexander Ward prima di sparargli in testa, però non si è fatto vedere da queste parti. Mi dispiace.>>
<<Non Alexander, stupida. Sai perfettamente che sto parlando di Bellamy Blake. Il tuo altro amichetto.>> la corresse accennando distrattamente ad Isaac con il braccio.
Roxanne rise di gusto.<<Blake qui? Ma per favore! Figuriamoci se un altolocato come lui potrebbe mai studiare in una topaia del genere!>> scherzò.
<<Smettila di mentire!>> la interruppe. <<Hai persino corrotto la tua stupida coinquilina pur di proteggere quel Blake.>> I ragazzi si scambiarono un'occhiata stranita: che diavolo c'entrava Clarke in quella storia? E com'era possibile che li avesse coperti senza che la avvisassero? <<Cosa ti ha promesso in cambio? Eh? Di tornare ad essere il tuo amante? Ninfomane che non sei altro!>>
<<Come osi...>> Roxanne si avventò sulla madre come un'auto in folle. La scaraventò a terra e in un attimo le fu sopra. Le bloccò le mani esili ai lati della testa. Isaac rimase a guardare, inchiodato sul posto dallo stupore. <<Te lo ripeterò un'ultima volta, poi se ti permetterai di fare un'altra scenata chiamerò tuo marito.>> sussurrò ad un centimetro dal viso della madre <<Io non ho idea di dove sia Blake. Vorrei tanto saperlo, per poterlo finalmente mandare al Creatore, ma purtroppo non è così.>> Era così credibile che, se lui non avesse visto Bellamy con i suoi occhi, non avrebbe avuto alcun dubbio che quella fosse la verità.
<<Io so che lui era qui, in questo college merdoso che ti sei scelta per scappare dai tuoi doveri. E so che l'hai incontrato, vi hanno visti insieme.>> la istigò Christabelle, sdraiata sul pavimento ma per niente disposta a piegarsi al potere della figlia. <<Ti trascinerò davanti a tuo padre e ti farò implorare pietà.>>
<<Ah si? E come pensi di fare?>> la schernì avvicinando il naso al suo. I loro occhi combatterono una battaglia silenziosa poi, di punto in bianco, Christabelle scoppiò a ridere. Era una risata fredda, per niente divertita, la sua. <<Che diavolo ti prende adesso? Sei completamente uscita di senno per caso?>>
<<Oh, mia dolce, ingenua, Roxanne. Credevi davvero che venissi da te impreparata? Nessuno, più di una madre, conosce i punti deboli dei propri figli.>> Le rivolse un sorriso sornione. Roxanne aggrottò le sopracciglia e subito alzò gli occhi su di lui. Uno sguardo terrorizzato le si dipinse sul volto.
<<Isaac, non muoverti.>> ordinò sollevando le mani verso di lui.
Il ragazzo la osservò nervoso. <<Che c'è?>> Si guardò intorno: nulla di allarmante.
<<Sta' fermo, Isaac, ti prego.>>
Allora lui si limitò semplicemente ad osservarsi le mani e fu così che lo vide, il puntino di luce verde che gli colorava il petto all'altezza del cuore. <<Oh mio Dio.>> imprecò. Fu più forte di lui, fece un passo indietro. Sulla loro destra un vaso pieno di fiori colorati andò in frantumi. Fecero giusto in tempo a girarsi prima che una pioggia di schegge e acqua li coprisse tutti e tre. Il proiettile, sparato da un fucile di precisione silenziato, era passato dalla finestra senza apportare danni irreparabili. Lui sapeva che non era un caso: erano in un college pieno di mondani, uno sparo rumoroso e un vetro in frantumi avrebbero scatenato il panico. Con i Moore non c'era spazio per gli errori.
<<Adesso che avete fatto conoscenza con il mio cecchino, ti dirò cosa devi fare... sempre se vuoi che Isaac continui a respirare. A me che viva o muoia non cambia nulla, anzi. Vorrei tanto farla finita con la sua stirpe. Sta a te decidere.>> disse la signora Moore fissando la figlia eretta sopra di lei.
Roxanne sospirò. <<Cosa devo fare?>>
<<Per prima cosa, fammi alzare. Mi stai stropicciando il completo di Yves Saint Laurent.>> dispose la donna <<Poi, vieni con me a Detroit. Senza fare scherzetti, altrimenti il tuo amico muore.>>
<<Verrò.>>
<<Roxanne, no.>> mormorò. Avrebbe voluto andarle vicino, ma forse era meglio non peggiorare le cose beccandosi una seconda pallottola. Stavano andando già per il verso sbagliato senza un suo ulteriore aiutino.
Lei lo ignorò. <<Lasciami solo cinque minuti con lui, okay? Tanto il tuo cecchino ci tiene sotto tiro, non potremmo fare nulla di male e uscirne illesi.>>
Christabelle dilatò le narici, però annuì in modo secco. <<Ora levati.>> E la spinse malamente di lato. Sbattendo per terra, per poco non si tagliò le mani sui cocci rotti. La donna, com'era prevedibile, non le chiese scusa.
Roxanne aspettò che la madre uscisse dalla porta prima di raggiungerlo. Lui le poggiò subito le mani sulle spalle e le disse: <<Non voglio che tu vada.>>
<<E io non voglio che tu muoia.>> ribatté dura. Gli rivolse un'occhiata penetrante, facendogli intendere che la madre li stava con ogni probabilità ascoltando. <<Tanto non ha alcuna prova contro di me. Lo sa anche lei che non può farmi nulla. È solo una sua fantasia.>> Lui chiuse gli occhi combattuto. Non voleva separarsi da lei, si erano appena riconciliati. E se le fosse successo qualcosa? E se fosse rimasto in giro qualche indizio rilevante? Il tormento si faceva strada dentro di lui ancora prima che lei partisse. <<Isaac, lo sai che devo andare. Altrimenti non ci libereremo mai di lei.>>
<<Lo so.>> mormorò. Lei gli accarezzò la testa e lui si abbassò per nascondere il volto nella curva del suo collo sottile. Con le braccia riusciva ad avvolgerla quasi due volte, tuttavia era lui quello che si sentiva cullato dall'abbraccio. <<Promettimi che farai attenzione.>> sussurrò, le labbra contro la pelle diafana di Roxanne.
<<Te lo prometto.>> Aumentò la stretta per un secondo, poi gli prese il viso tra le mani e glielo fece sollevare. I suoi occhi verdi erano screziati di blu scuro, segno che era preoccupata, malgrado non lo volesse dare a vedere. Lo baciò, prima piano e poi sempre più forte. Lui si immerse in lei e si lasciò guidare senza opporre resistenza. Quando si tirò indietro, aveva sulle labbra il sapore della donna che amava e il giuramento che non le era concesso di pronunciare: Tornerò.
***
scrivere di roxi e isaac mi fa piangere. li amo troppo.
spero che questa parte del capitolo vi piaccia quanto piace a me.
vi voglio beneee
a presto
ps. stavolta sono perfettamente puntuale, amatemi <3
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