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XVIII - Contro il Cielo (2)

Un quarto d'ora più tardi Roxanne tornò in salotto, con i ciuffi che le si arricciavano sulle tempie per l'umidità della doccia e le pantofole ai piedi, e trovò Isaac addormentato scompostamente sul divano. Metà del suo pallido viso affondava pesantemente in uno di quei cuscini dall'aria scomoda e dalla fodera che pizzica. Lui non sembrava curarsi di tali fastidi. Se ne stava lì, disteso prono e con la bocca semi aperta, russando come se non avesse appena ricevuto una pallottola nella spalla. A Roxanne venne da sorridere: aveva fatto tante storie, tentando invano di apparire spavaldo, per poi crollare sul divano una manciata di minuti dopo. Doveva essere davvero stremato per arrivare a tali livelli, non era mai stato tipo da pisolini improvvisati. La preoccupazione spinse Roxanne a recuperare una coperta calda e a rimboccargliela fino al collo. In questo modo copriva anche la macchia di sangue alla vista di eventuali e inaspettati visitatori.

A guardarlo sentì una fitta al petto. Sapeva perfettamente a cosa era dovuta: il gelido antro di disperazione che era stato il suo cuore stava iniziando a scongelare. Il ragazzo aveva portato in lei la primavera, la promessa di un nuovo inizio, ma non capiva se questo la rendeva felice o meno. Non provare sentimenti le aveva permesso di evitare il dolore, il timore e il rimpianto; se adesso la sua barriera era sul punto di crollare, quante probabilità c'erano che non ne venisse sommersa? E, per di più, quanto le conveniva riabilitare le sue emozioni proprio al minacciare di una guerra? Non le avevano forse insegnato che l'insensibilità è l'arma più potente? Eppure, seguire quelle lezioni d'odio a cosa l'aveva condotta? Al fallimento, al vuoto, alla solitudine. Era forse il momento di tentare una via più moderata?

Accarezzò lievemente i capelli di Isaac.

Quel ragazzo rivolterebbe il mondo per te.

Le parole di sua madre riecheggiavano lentamente nei meandri della sua testa. Non riusciva a smettere di pensare al modo in cui le aveva pronunciate, come se l'adorazione che Isaac provava nei suoi confronti fosse la cosa più basilare dell'universo; come se lei si fosse calata una benda sugli occhi per non vedere. La cosa peggiore era che Roxanne iniziava a intravedere attraverso il velo di Maya, la cortina che la riparava dalla verità si stava disfacendo in cenere: ora scorgeva gesti, parole, sguardi che mai prima di allora aveva notato. Se ne rendeva conto perché nel tempo era cambiata o perchè adesso voleva notarli?

Amava Isaac, non poteva negarlo, ma non era poi una grande novità: lo faceva da quando erano ancora nella culla, da quando avevano imparato a camminare, da quando avevano pronunciato per la prima volta il nome dell'altro. Tuttavia, se lui l'avesse amata in un modo diverso, in un modo romantico, sarebbe stata capace di ricambiarlo? Sarebbe riuscita ad aprire il suo cuore a qualcuno diverso da Bellamy? Non poteva darsi una risposta concreta e la sua stessa insicurezza la mandava in bestia. Aveva bisogno di capire a fondo i cambiamenti che la stavano attraversando nell'ultimo periodo, solo in questo modo sarebbe riuscita a scoprire le sue vere intenzioni.

Sospiró. Non aveva molto tempo da dedicare all'autoanalisi della sua psiche: doveva occuparsi di sua madre. Era un pericolo averla lì, ad un passo dalle sue bugie e dalle sue occultazioni. Se avesse scoperto di Bellamy... Non voleva pensare a cosa sarebbe potuto accadere in tale nefasta eventualità. Non aveva bisogno di altri pensieri negativi, ne aveva già abbastanza così.

Diede un'ultima carezza ad Isaac e se ne andò a riposare.

***

Isaac si svegliò mentre il cielo era ancora colorato d'arancio.

Il breve pisolino si era trasformato in un'intera notte a quanto pareva. Scalciò via la coperta che Roxanne gli aveva rimboccato durante la notte e si mise in piedi con un brontolio. Gli faceva male ogni singola parte del corpo, a partire dalle ossa sino ad arrivare ai tendini. La ferita gli bruciava sordidamente sulla spalla, impedendogli di stiracchiarsi o di sistemarsi a dovere i vestiti. Guardò fuori dai vetri del balcone lì accanto; Roxanne aveva lasciato le tende aperte nella fretta della sera precedente e vi poteva scorgere il pallido profilo delle montagne canadesi in lontananza. Un sorriso gli increspò le labbra: il mondo era davvero un posto meraviglioso. Si concesse un paio di minuti di stallo contemplativo, poi distolse lo sguardo e si convinse a lasciare l'appartamento di Roxanne prima che la sua coinquilina rientrasse: sarebbe stato davvero imbarazzante dover spiegare perché aveva dormito lì o come si era procurato quella macchia di sangue dietro la schiena. Era meglio sparire in fretta.

Lasciò a Roxanne un bigliettino spiegazzato - precedentemente utilizzato come lista della spesa - su cui scrisse nel linguaggio criptato più basilare che conoscesse:

Buongiorno,

vado via prima che torni Clarke. Scusa se mi sono addormentato sul divano. Torno nel pomeriggio per farmi cambiare la fasciatura e per parlare di Blake.

A presto, Isaac.

Era certo che Roxanne non ci avrebbe messo più di due minuti interi per decriptarlo, ma per chiunque altro sarebbe parso qualcosa di tremendamente faticoso ed evitabile. Nessuno avrebbe prestato attenzione a quel biglietto al di fuori della destinataria. Lo lasciò sul tavolo, in bella mostra, in un posto in cui l'avrebbe di certo trovato. Lanciò un'occhiata piena di desiderio alla porta socchiusa in fondo al corridoio: avrebbe voluto scostarla e guardare Roxanne dormire. L'aveva fatto così tante volte nella sua vita precedente... Conosceva a memoria il profilo sfarfallante delle sue ciglia e l'espressione beata che le rilassava le rughe sulla fronte e ai lati della bocca. La assumeva solo quando era assopita, pensava e si preoccupava troppo da sveglia per poter essere davvero serena. Lei era sempre all'erta, anche quando non lo dava ad intendere.

Un sospiro sofferto gli sfuggì dalle labbra. Non voleva andarsene: quella casa profumava di Roxanne e se guardava il bracciolo del divano riusciva a sentire di nuovo le dita leggere di lei sulla pelle nuda. Non voleva andarsene, ma doveva. La rivedrai tra poco, promise a se stesso. Eppure, appena mise un piede fuori dall'appartamento, Roxanne iniziò immediatamente a mancargli. Sapeva di star sbagliando ad abituarsi tanto alla sua presenza, presto non sarebbe riuscito più a far a meno di lei, però, proprio come un tossicodipendente, non riusciva a negarsi la sua droga preferita: la anelava e la assaporava ogni volta che poteva. E non se ne pentiva. Per lo meno ne sarebbe valsa la pena.

Si guardò in giro sospettoso. Aveva paura che Christabelle potesse sbucare da un angolo e finire il lavoro lasciato a metà. Quella donna lo terrorizzava sin da quando, all'età di sei anni, lo aveva schiaffeggiato così forte da farlo piangere e poi l'aveva costretto a guardare mentre faceva lo stesso con sua figlia. Lei non aveva versato una sola lacrima, si era limitata a fissare sua madre con un odio tanto profondo da spaventarlo. Quel ricordo era vivido nella sua memoria come se fosse avvenuto solo due giorni prima.

Arrivato davanti alla porta del suo appartamento, si sistemò meglio il giubbotto sulle spalle per coprire i residui di sangue: era l'alba, ma il suo coinquilino aveva degli strani orari e non si poteva mai sapere con lui. Girò lentamente la chiave nella serratura per non svegliare nessuno, ma fu pressoché inutile considerando che Matthew era seduto sul divano, del tutto lucido e pimpante. Accanto a lui sedeva una ragazza dai capelli rosso fuoco - palesemente tinti - e la pelle diafana. Non gli sembrava di averla mai vista prima d'allora.

<<Ehi, bello! Si può sapere dove diavolo sei stato?>> esclamò il suo amico rivolgendogli un sorriso indagatore. I suoi occhi scuri rilucevano mentre lo fissava, proprio come i suoi lunghi capelli ondulati sotto la luce dell'aurora. Indossava ancora - o già - il pigiama, ma sembrava completamente a suo agio in quella mise.

Isaac assunse un'espressione maliziosa, frivola e spensierata, anche se gli pareva di stare andando a fuoco tanto era il dolore alla spalla. <<Non sei mia madre, non sono obbligato a rispondere a queste domande.>> ridacchiò. Poi, per cambiare argomento aggiunse: <<Mi presenti la tua amica o no?>>

<<Ma sì, certo. Lei è Hannah. Hannah lui è Isaac.>> disse Matthew senza guardarli. Era tutto concentrato a chiudere una canna.

<<Piacere di conoscerti, Isaac.>> La ragazza si sporse per offrirgli la mano e Isaac ricambiò la stretta. La mano inanellata di lei strinse forte la sua, procurandogli una fitta alla ferita.

<<Piacere mio.>> sussurrò boccheggiando. Hannah gli sorrise in un modo strano, da brividi. Ritrasse in fretta la mano. La compagnie di Matthew sapevano essere davvero molto losche e inquietanti.

Matthew, nel frattempo, diede fuoco ad un'estremità della cartina lunga e l'odore fresco della marjiuana si sparse nell'aria. <<Vuoi favorire? Oppure la mamma ti ha detto di non accettare cose da me, oltre che non rispondere alle mie domande?>>

Isaac gli alzò il dito medio con fare scherzoso e si fece passare la canna. Aveva proprio bisogno di sedare un po' la sofferenza psicofisica. Magari sarebbe anche riuscito a dormire un'oretta o due su un materasso decente. Fece qualche tiro profondo sotto lo sguardo indiscreto di Hannah, la quale sembrava volergli perforare il cranio con i suoi occhi azzurri. Gli aveva forse fatto qualche torto senza volerlo? Non ne era sicuro. Inspirò un'ultima volta, poi restituì l'oggetto al legittimo proprietario.

<<Vado a dormire. Mi svegli prima di uscire? Non posso perdermi ancora le prime due ore di lezione.>>

Matt annuì. <<Inizi un'ora dopo di me il mercoledì, vero?>>

<<Sì, ho la prima classe alle nove.>>

<<D'accordo, passo prima di scendere.>> acconsentì.

<<Grazie, Matt. Ciao, Hannah, alla prossima.>>

Lei, in tutta risposta, gli fece un segno cordiale con la mano, ma la sua espressione gelida lo fece rabbrividire. Gli ricordò vagamente Christabelle e il suo sguardo insensibile. Fuggì svelto in camera sua e chiuse la porta dietro di sé.

***

Roxanne si aggirava nervosamente per l'appartamento nell'attesa che Isaac arrivasse.
Quella mattina c'era rimasta un po' male quando, al suo risveglio, non aveva trovato altro che un bigliettino. In cuor suo aveva sperato che Isaac rimanesse: avrebbero potuto fare colazione, bere un caffè, fumare insieme la prima sigaretta della giornata. Anche se sarebbe stato del tutto sbagliato le avrebbe fatto ugualmente piacere e avrebbe alleviato l'opprimente ansia che la attanagliava. Purtroppo, però, lui aveva fatto bene ad andar via, e non solo perché le aveva risparmiato un'imbarazzante chiacchierata con Clarke, ma anche perché, a dirla tutta, non le avrebbe giovato passare così tanto tempo con lui. Era meglio vederlo a piccole dosi, specialmente in un periodo delicato come quello. Con tutti i dubbi che aveva sulla loro amicizia avrebbe potuto costruire un chilometrico ponte di parole.
Si fece schioccare le articolazioni della mano. Era un'ora che lo aspettava irrequieta nel salotto, pronta a scattare a qualsiasi rumore proveniente dall'altro lato della porta e terrorizzata all'idea che potesse essergli successo qualcosa. Sua madre era una terribile minaccia per Isaac, nonostante cercasse di non darglielo a intendere, e, durante tutte le sue attività, quel giorno non aveva fatto altro che pensare a lui e a come avrebbe potuto proteggerlo. A lui e a Bellamy, ovviamente.
Perché non ti basta salvarlo dalla tua stessa vendetta... no, certo che no! Devi anche preoccupati che tua madre non lo uccida. Dio! Ti comporti come se lui avesse ancora dodici anni! Si rimproverava. Eppure il cuore le mancava un battito ogni volta che scorgeva uno dei guardaspalle di sua madre in giro per il college. In uno di quei momenti di panico era tornata a casa e aveva utilizzato uno dei telefoni monouso che si portava sempre dietro per inviargli un avvertimento.

Resta a casa. Vengo a parlarti stasera.
- R
P.S. Ascolta un mio consiglio per una volta... ne va della tua vita.

Lui non le poteva rispondere, ma sperava che avesse ricevuto e letto il messaggio. Doveva credere che non avessero ancora scoperto il suo segreto, che Bellamy si fidasse ancora un briciolo del suo giudizio e che si fosse barricato in camera sua tutto il giorno, o sarebbe andata in pezzi.
Il campanello suonò facendo evaporare velocemente i suoi pensieri. Sull'uscio c'era Christabelle.

<<Quindi sei ancora qui... speravo fossi tornata a Detroit.>> brontolò Roxanne aprendo la porta solo per metà. Non voleva che sua madre mettesse piede nel suo appartamento, sarebbe parsa come la profanazione di un sogno.

Christabelle indossava un elegante vestito blu notte e dei tacchi discretamente alti che comunque non le permettevano di superare la statura di sua figlia. Le fece un sorrisetto crudele. <<Non preoccuparti, resterò qui ancora per un bel po'. Be', non mi fai entrare? Un paio di mesi in Canada e hai già dimenticato le buone maniere?>>

<<Quelle di certo non me le hai insegnate tu.>> ridacchiò alludendo al completo disinteresse di sua madre nei confronti della sua educazione nella prima parte della sua vita. Erano state Dorothy, la sua governante, e la madre di Isaac a interpretare il ruolo di madre per lei. <<E comunque no, non ti farò entrare, quindi mettiti l'anima in pace.>>

<<Vuoi davvero parlare di questioni così delicate nel corridoio?>> chiese a voce bassa e concitata. Si guardò in giro, ma a quell'ora del pomeriggio non c'era quasi nessuno, erano tutti rintanati in casa a studiare.

Roxanne alzò un angolo della bocca. <<Io non voglio parlare e basta.>> Fece per chiuderle in faccia la porta, ma sua madre la bloccò. Era sorprendente forte per essere così minuta.

<<Devi sbarazzarti di quella serpe.>> ordinò spingendo la porta indietro. <<Non è un gioco. É colpa della sua famiglia se sei stata rapita.>>

<<Sai perfettamente che è stato suo padre. Eppure non mi sembra che tu abbia sgridato papà per essersi fatto abbindolare del suo migliore amico. É Ludovic che ci ha traditi.>> sbottó Roxanne.

<<Grazie alle informazioni di chi?>> domandò sarcasticamente <<Per lo meno ti ha detto perché l'ha fatto?>>

Roxanne abbassò lo sguardo. <<Ci sto ancora lavorando.>>

<<Sei un disastro. Se solo Corey...>>

Roxanne grugnì. <<Corey è morto! Quando smetterai di paragonarmi continuamente a lui? Credi davvero che io non sappia che lui era mille volte meglio di me? Non c'è bisogno che tu me lo ripeta ogni singolo giorno!>>

<<Te lo dico perché sembra che a te non interessi nulla! Sei l'erede di tuo padre, tu prenderai il controllo del Clan, ma in te non c'è un briciolo della bravura di tuo fratello. Non so dove ci condurrai di questo passo.>>

<<Lo so che vorresti che fossi morta io e non lui.>> sussurrò Roxanne fissando gli occhi in quelli della donna che l'aveva messa al mondo <<Se potessi dare la mia vita per la sua la scambierei sedutastante, purtroppo  non è così semplice.>> Il viso di Christabelle non fu attraversato da una singola emozione mentre proferiva tale confessione e Roxanne ne fu terribilmente offesa. Cercò di non darlo a vedere e rilassò i muscoli della faccia.

Sua madre la analizzò da capo a piedi, poi sbuffò infastidita. <<È morto per salvare te e tu stai sprecando il suo sacrificio. Sarebbe davvero deluso dal tuo comportamento.>>

<<Corey non potrebbe mai essere deluso da Roxanne.>> Roxanne si voltò in cerca della persona che aveva osato contraddire sua madre e riconobbe Isaac alla fine del corridoio. Sembrava estremamente dolorante e si teneva la spalla ferita, ma per lo meno aveva ripreso colore e non barcollava. Gli sorrise timidamente.

Se gli sguardi avessero potuto uccidere, quello di Christabelle avrebbe stroncato il respiro di Isaac sul colpo. La donna alzò il mento in segno di sfida. <<E tu cosa ne puoi mai sapere di quello che avrebbe pensato mio figlio? Osi mettere in dubbio la parola di sua madre?>> sibilò mettendo mano alla cintura. Sicuramente vi nascondeva qualche arma.

Isaac fece qualche passo verso di loro. Roxanne sapeva che lui stava affrontando la sua paura di contraddire la moglie del boss che l'aveva esiliato, tuttavia, se non l'avesse conosciuto così bene, non avrebbe mai sospettato le sue insicurezze. <<Non oso mettere in dubbio nulla. Dico solo la verità: Corey amava Roxanne più della sua stessa vita. Non sarebbe stato capace di detestarla neanche impegnandosi, e di certo non perché sta cercando di essere felice dopo tutta la sofferenza che noi tutti le abbiamo causato.>>

Christabelle strinse le labbra contrariata. Isaac adesso era abbastanza vicino da costringerla ad alzare il capo per guardarlo e Roxanne sapeva perfettamente quanto sua madre odiasse dover affrontare le persone in una posizione di svantaggio, anche se si trattava solo di una discussione. <<Tu non dovresti neanche respirare, il tuo cuore avrebbe dovuto fermarsi insieme a quello di tuo padre nel nostro giardino due anni fa, quindi ti conviene tenere la bocca chiusa se non vuoi raggiungerlo al più presto. Sono solo la stupidità di mia figlia e il buon cuore di mio marito a tenerti ancorato alla vita. Non ti giova scherzare con il fuoco.>>

<<E poi sarei io la melodrammatica...>> brontolò Roxanne alzando un sopracciglio <<Dai, vieni dentro Isaac; mia madre stava giusto andando via.>> Isaac le passò accanto senza toccarla ed entrò in casa. Lei si avvicinò a sua madre e ringhiò: <<Lasciaci in pace.>> Poi le fece il dito medio e le sbattè la porta in faccia prima che potesse replicare. 

<<Non mi erano affatto mancate le scenate di tua madre.>> disse Isaac dietro di lei. Si sedette pesantemente sul divano con un'espressione di sofferenza. Adesso che sua madre era andata via sembrava disposto a concedersi di provare dolore.

<<Neanche a me.>> Gli si avvicinò di qualche metro sistemandosi di fronte al sofá. <<Come stai?>>

Isaac gettò il capo all'indietro e chiuse gli occhi. Il suo pallido incarnato era quasi trasparente sotto la luce della lampada e le permetteva di distinguere ogni singola vena che gli solcava il volto. <<Ho passato giorni migliori.>>

La ragazza lo raggiunse e si lasciò affondare tra i cuscini grigi. <<La ferita? Ha ricominciato a sanguinare?>>

<<Sì, stamattina durante le lezioni. Mi sono ritrovato tutti i vestiti imbrattati durante l'ora di storia dell'arte. Sono dovuto scappare via all'improvviso... è stato tremendo.>>

Roxanne sospirò. <<Mi dispiace. A questo punto credo che l'unica soluzione sia mettere i punti.>>

Isaac la guardò spaventato. <<No, ti prego. Non farmi questo.>>

A lei venne un po' da ridere. <<Fammi vedere, su. Dipende tutto da come si sta rimarginando il foro.>>

Isaac si sfilò controvoglia la felpa larga e la gettò di lato, poi si voltò per mostrarle la schiena fasciata. Lei tagliò la garza che gli stringeva le spalle e staccò delicatamente il bendaggio. <<Cazzo! Stai sanguinano di nuovo.>> Imprecò mentre le mani le si riempivano di un liquido rosso e denso. Corse subito in cucina a prendere uno straccio con cui tamponare la fuoriuscita di sangue e fece pressione nella speranza di bloccare l'emorragia. <<Merda!>>

<<Scusa.>>

<<Non scusarti, idiota. Passami la cassetta piuttosto.>> lo rimbeccò lei. Lui ubbidì e si tenne premuto da solo il panno in modo da permetterle di preparare l'occorrente. Prese ago e filo e si fece coraggio. Le veniva da vomitare all'idea di dover ricucire la pelle di Isaac, ma sapeva di dover essere forte per lui. Aveva bisogno di lei. <<Lascia, ha smesso.>> gli intimò <<Ti disinfetto, okay?>>

Lui acconsentì con un cenno. Stavolta non urlò quando l'acqua ossigenata gli corse lungo il dorso, segno che, per lo meno, avevano scongiurato il rischio di infezioni... per ora. <<Adesso ho bisogno che ti calmi, Isaac. Se ti muovi non farò un bel lavoro e rimarrai con una brutta cicatrice e poi ce l'avrai con me per averti sfregiato.>>

<<Non sarebbe la prima volta.>> sottolineò alludendo alla lunga striscia bianca che aveva sul braccio. Era il segno della lama del suo pugnale che gli aveva penetrato la pelle durante un'estenuante sessione di allenamento.

<<Touchè!>> esclamò. Strinse tra le dita l'ago sterilizzato e osservò la ferita pulsante sulla schiena dell'amico. <<Possiamo farcela.>> Non sapeva se cercava di incoraggiare se stessa o il suo paziente.

<<Prima che inizi... ho bisogno di qualcosa di forte.>>

<<Brandy?>> propose alzandosi. Senza attendere una risposta - dato che già sapeva che il brandy era tra gli alcolici preferiti di Isaac - prelevò l'intera bottiglia dal mobiletto e gliela mise tra le mani. <<Bevine un bel po'. Farà davvero male.>>

Isaac ingollò due lunghe sorsate. <<Tu promettimi che continuerai a ricucirmi anche se dovessi scoppiare a piangere o mettermi ad urlare.>>

A Roxanne venne a ridere, però si sentiva in pena per lui e quindi si sforzò di resistere. <<Promesso.>> Lasciò ad Isaac qualche minuto per continuare a bere e un altro paio perchè l'alcol iniziasse ad andargli in circolo. Avrebbe voluto usufruirne anche lei, ma aveva paura che potessero tremare le mani, quindi si limitò a mettere il chiavistello alla porta e a pulire la schiena del ragazzo dal sangue rappreso. Solo quando lui le diede il permesso iniziò a rammentare gli orli della sua epidermide. Passava cautamente il filo da un lembo all'altro e tirava tanto piano da poterne sentire il rumore. Fu un lavoro estenuante. Non era un medico, dunque era spaventata all'idea di sbagliare o di procurargli ancora più sofferenza del previsto e ciò la mandava costantemente in ansia. Isaac come da patto non si mosse e Roxanne andò avanti nonostante riuscisse a scorgere le lacrime scorrere sulle guance dell'amico. Non gli parlò fino a che non ebbe concluso la medicazione i altrimenti non sarebbe riuscita a proseguire.

Ci vollero tre punti, un cerotto e una fasciatura prima che potesse sentirsi soddisfatta. Solo dopo avergli agganciato la benda sul petto - così che potesse sfirarsela per fare la doccia - si concesse di guardarlo in faccia. I muscoli della fronte gli si contraevano per il dolore e le lacrime luccicavano nei suoi occhi neri come le stelle in un cielo notturno. Gli passò i pollici sugli zigomi per asciugarle. La sua pelle scottava come un tizzone ardente.

<<Mi dispiace.>> gli sussurrò. Sapeva di non avere colpa di quel male, ma le pesava comunque l'idea di averlo fatto piangere. Lui le fece un leggero sorriso forzato. <<Vuoi stenderti un po'?>>

<<Sì. Mi serve una mano però.>> La sua voce era rauca e tesa, stravolta come la sua espressione.

A Roxanne fece una tenerezza infinita. Si alzò e lo guidò gentilmente nei movimenti per mettersi steso sulla pancia. Sembrava aver perso tutte le forze che gli restavano in corpo e anche delle piccole e semplici mosse gli costavano fatica. Gli mise un cuscino sotto il capo e recuperò una sedia per sé stessa.

<<Tra un paio d'ore puoi iniziare a prendere gli antidolorifici e gli antibiotici. Ora, però, devi pensare a smaltire il brandy.>>

<<Per lo meno non sto vomitando come fai tu di solito.>> disse con la bocca che premeva contro il cuscino. Lei finse di essere offesa da tale affermazione e gli diede un piccolo buffetto sulla mano. <<Credo che non avrei neanche la forza per farlo al momento.>>

<<Si vede. Hai un aspetto terribile... più del solito s'intende.>> ridacchiò. Voleva provare a sollevargli il morale visto che non poteva fare molto di più per alleviare le sue sofferenze.

Lui grugnì. <<Grazie mille.>>

<<Comunque sul serio, forse è meglio se resti qui finché non torno da casa di Bellamy. Sicuramente tra un po' ti sentirai meglio e poi non puoi andar via sulle tue gambe. Devo accompagnarti.>> suggerì tornando seria.

<<Lo penso anch'io.>> sussurrò mentre uno sbadiglio gli deformava il viso. Il movimento gli causò una fitta alla spalla.

Cogliendo il suo fastidio Roxanne gli chiese: <<Vuoi che resti qui ancora un po'?>>

Isaac scosse lentamente la testa. <<Lo vorrei, ma forse è meglio se ti sbrighi a parlare con Blake. Sospetto che non resisterà a stare nascosto ancora per molto.>>

<<Hai ragione.>> Roxanne si grattò il capo. <<Dio, impazzirà quando saprà di mia madre!>>

<<Chissà, magari deciderà di andarsene e di lasciarci in pace per sempre.>> Il suo tono assomigliava tanto ad un inespressa preghiera.

<<E dopo che scopo potrebbe mai avere la sua esistenza? Lui è nato per essere petulante e tormentare gli altri!>>

Isaac rise. <<Come sempre hai ragione tu. Non saprebbe più cosa farsene del tempo che gli resta.>>

<<E noi ci sentiremo troppo a nostro agio senza il suo fatalismo catastrofico.>> aggiunse con un sorriso.

<<E senza la sua mancanza di tatto, non dimentichiamola. Mi raccomando, appena lo vedi, ringrazialo per il post scriptum della lettera: davvero gentile da parte sua non tentare più di uccidermi!>>

Roxanne scosse divertita la testa. <<Dai, smettila di fare lo stupito. Tirati su, così ti infilò la maglia prima di andare.>>

Data la momentanea inettitudine di Isaac, fu lei stessa a metterlo seduto di peso, spingendolo e tirandolo con forza. Si sporse verso di lui per prendere la felpa e una lunga collana argentata fuoriuscì dal colletto del suo maglione marrone. Isaac dovette rivolgergli più di uno sguardo prima di mettere a fuoco lucidamente cosa aveva davanti. Afferrò il ciondolo.

<<Lo porti ancora.>> constatò con tono asciutto. L'anello luccicò sotto la luce mentre lo stringeva tra le dita.

Roxanne lo guardò stranita, poi abbassò gli occhi sull'oggetto e comprese. <<Sì, come puoi ben vedere.>>

<<L'hai sempre avuto?>> domandò fissandole il viso in cerca di una risposta autentica. <<Non l'hai mai messo via, non è vero? Quando ti ho mostrato il mio mi hai fatto sentire un idiota per essermi legato tanto a quel ricordo, ma in realtà l'hai conservato anche tu.>>

Lei gli rivolse un'occhiataccia e gli strappò rudemente la presa dal piccolo gioiello. <<Non sono tenuta a risponderti.>> La sua voce aveva perso ogni traccia del divertimento precedente.

<<Ma io...>>

<<Ma tu cosa?>> lo interruppe brusca <<Non puoi far leva su nulla, Isaac. Non mi hai detto niente su di te, sulla tua nuova vita, a cosa vorresti aggrapparti? Al fatto che ho ferito il tuo orgoglio facendoti credere di aver gettato via quello stupido anello? Be' no, non sono mai riuscita a toglierlo!>> sbottó <<Sei felice adesso? Ho risposto alla tua domanda nonostante tu non abbia mai voluto rispondere alla mia!>>

Isaac aggrottò la fronte confuso. <<Ma di che diavolo stai parlando? Io sono sempre stato sincero con te, sin dal primo momento!>>

<<Ah sì? E allora te lo richiedo, vediamo se stavolta ti degnerai di darmi una risposta: perchè mi hai tradita quel giorno?>>

Il sangue si gelò nelle vene del ragazzo. Distolse lo sguardo da lei, non potè farne a meno. Era improvvisamente troppo vicina e lui troppo indegno per guardarla.

<<Penso di meritarmi per lo meno una motivazione, non credi?>> sussurrò lei. Sembrava un'altra persona ora che il suo tono si era abbassato di un'ottava. Non era più appassionata e invulnerabile, ma una normalissima ragazza in cerca di certezze. Tuttavia, Isaac non riuscì a parlare. Aveva la lingua intorpidita dalla paura. <<A quanto pare no...>> Roxanne strinse le labbra e si mise in piedi.

Isaac divenne tutt'a un tratto cosciente di star perdendo l'occasione della sua vita per confessare finalmente le verità. Non voleva lasciarla andare così. La testa gli girava per l'alcol e il dolore, però si fece forza e si mise in piedi. Sbandò un po' e Roxanne, nonostante fosse arrabbiata, si sporse per prenderlo. Lui le fece segno con la mano di farcela da solo. I loro occhi si incontrarono e prima che potesse pentirsene ammise: <<Ero geloso.>>

Le sopracciglia di Roxanne scattarono verso l'alto. Appariva piena di sorpresa, ma se questa fosse dovuta al fatto di aver ricevuto una risposta o al contenuto di essa Isaac non avrebbe saputo dirlo. <<Geloso? E di cosa esattamente?>>

<<Di Bellamy.>> tossicchiò lui. Era davvero imbarazzante esternare tali emozioni.

<<Ma perchè? Io e te vivevamo praticamente insieme, eri invidioso di quei brevi e rari appuntamenti che ci concedevamo?>> Lui scosse la testa. <<E di cosa allora?>> lo incalzò.

Isaac prese un lungo e sofferto respiro. Stava per dirlo. Stava per pronunciare quella fatidica frase che avrebbe cambiato tutto e da cui non ci sarebbe mai stato ritorno. Non aveva molta scelta: se non avesse confessato, lei avrebbe iniziato a detestarlo e lui non sarebbe stato capace di sopravvivere al suo odio. <<Ero geloso perchè io ti amo, Roxanne.>>
Quelle parole, pesanti come macigni, lo lasciarono svuotato e tremante.

La ragazza barcollò indietro portandosi una mano al petto. <<C-cosa?>>

<<Non farmelo ripetere, ti prego.>> rantolò lui, sempre più certo del suo rifiuto. Si mise a sedere: non poteva sostenere il peso del suo corpo insieme a quello della vergogna.

<<Da quanto?>> chiese lei in maniera asciutta.

Lui si strinse nelle spalle. <<Da sempre.>>

Roxanne rabbrividì. <<Come ho fatto ad essere così cieca…>> mormorò tra sé. Si strofinò distratta il volto cereo.

<<Non è colpa tua.>> affermò scuotendo le mani.

<<No, infatti, non lo è.>> ripetè alzando lo sguardo su di lui <<É stato il tuo amore a causare tutto.>>

Il cuore di Isaac cominciò a sanguinare copiosamente dallo squarcio causato da tali affermazioni. Gli mancava il fiato quando biascicò: <<Volevo solo proteggerti.>>

<<Lo so, Isaac.>> mormorò Roxanne rendendosi conto troppo tardi di quanto il suo tono fosse sembrato duro e accusatorio. Piombarono in un silenzio stretto come una gabbia, entrambi troppo concentrati sui propri sentimenti e su quelli dell’altro per poter parlare. <<Forse è meglio se ora vado.>>

Isaac annuì prendendosi il capo tra le mani. Le fissó i piedi mentre assentiva: <<Si, forse è meglio così.>>

***

A Roxanne sudavano le mani.
Isaac aveva ragione: la verità non le era piaciuta. Adesso non aveva più nessuno da smascherare e incolpare violentemente per ciò che le era accaduto. Dopo tutti quei mesi passati a tormentarsi, il mistero era stato svelato. Le rimaneva solo la consapevolezza che tutto era stato generato dal più puro dei sentimenti, il quale, per un crudele scherzo del destino, aveva finito per causarle il più atroce dei dolori. Tutti i suoi valori iniziarono a crollare, schiantandosi in maniera assordante sul suolo e frantumandosi in schegge taglienti come vetro. La vendetta, l'onore, l'amore, l'amicizia con Isaac: ogni cosa adesso andava rivalutata da una nuova prospettiva. Il suo passato sfociava in bugie raccontate dalla sua stessa mente per auto preservarsi. Come era riuscita ad impedirsi di vedere i veri sentimenti della persona a lei più cara? Erano cresciuti fianco a fianco giorno per giorno e lei era stata capace di non accorgersi del mutamento del suo sguardo o del modo in cui le parlava e le stringeva le mani. O almeno non allora. Ora, mentre affannava per le interminabili scale del dormitorio, mille fugaci momenti le danzarono davanti agli occhi mostrandole quanto poco aveva in realtà osservato. Si era sempre ritenuta un'attenta scrutatrice, una capace di leggere il più nascosto dei cuori, eppure non si era mai soffermata su chi le stava accanto. Ripensando agli anni passati si pentì amaramente di tutte le volte in cui aveva parlato a sproposito, di quelle in cui, senza saperlo, l'aveva di certo offeso e, soprattutto, di quelle in cui non era stata abbastanza attenta alle sue reazioni. Avrebbe potuto, avrebbe dovuto ascoltare e riflettere di più. Isaac era ciò che di più caro aveva al mondo, ma, nonostante questo, era stata bravissima a ferirlo.
Tuttavia, tra tutte le idee, i rimorsi e i dubbi che le ronzavano per il cervello ce n'era uno che continuava a gridare più forte per sovrastare tutti gli altri: quale sarebbe stata la sua prossima mossa? La regina bianca avrebbe mangiato l'alfiere o gli avrebbe permesso di penetrare nella coltre di nubi che ammantava il suo castello desolato? Roxanne avrebbe tanto desiderato che trovare la risposta fosse più semplice: i suoi sentimenti erano confusionari e il tempismo non era dei migliori. Sull'orlo di un possibile conflitto e con il Clan dei Blake alle calcagna non era certa di voler immischiare Isaac nella sua vita frenetica.
Se solo tutto fosse stato diverso… sospirò tra sé. Purtroppo era una preghiera futile e infantile, lei era Roxanne Moore, non poteva scappare. Il sangue nero nelle sue vene l'avrebbe seguita ovunque, marchiandola come la peggiore delle infamie.
Si acconciò malamente i capelli dietro la nuca, stufa di sentirli strusciare contro il collo, e accelerò. Il sole era ormai tramontato, ma il cielo era ancora lievemente illuminato da una sfumatura celeste amalgamata nel blu della notte. Quando era ormai prossima alla villetta che ospitava la confraternita il freddo e il vento cominciarono ad essere più violenti. Girò l'angolo e imboccò il vialetto della casa. Un brivido la scosse: qualcuno la stava spiando. Percepiva nettamente il peso dei suddetti occhi sulla sua schiena, l'asfissiante sensazione di essere seguiti. Sapeva che si trattava degli uomini che sua madre ingaggiata al di fuori del Clan perchè lavorassero esclusivamente ai suoi comandi, senza interferenze da parte della Legge e della gerarchia del Clan, e sapeva anche che non l'avrebbero persa di vista sino a che non si fosse fermata. Fece rapidamente il punto della situazione. Doveva necessariamente parlare con Bellamy, dunque, considerando che ormai l'avevano vista avviarsi verso la confraternita, era inutile girare in tondo per tutta la notte. Era meglio farlo in fretta e togliersi il peso del rischio. Bussò alla porta. Pochi secondi dopo un ragazzo mingherlino dai capelli rossi e ricci fece la sua comparsa sull'uscio.

<<Ciao! Come posso aiutarti?>>

Roxanne gli sorrise fingendosi rilassata. <<Posso entrare?>>

<<Certo!>> esclamò il ragazzo facendosi da parte. Roxanne era certa che si trattasse di una matricola come lei e ne ebbe la conferma quando uno dei ragazzi più grandi, passando dietro di lui, gli diede di punto in bianco uno schiaffo sul collo. Lui non reagì minimamente all'affronto, chinò il capo e si sistemò gli occhiali sul naso. Roxanne alzò gli occhi al cielo e chiuse la porta dietro di sé. Nel voltarsi, Blake apparve in cima alle scale. C'erano tanti ragazzi e quindi, per fortuna, era difficile distinguerlo da molto lontano, soprattutto se si era costretti a vedere la scena attraverso le finestre del piano terra. Roxanne sospettò immediatamente che l'avesse vista arrivare dalla sua poltrona sotto la finestra e che fosse corso a prenderla per accorciare il tempo che lo separava dalle novità. Roxanne lo fissò negli occhi per un attimo, spalancandoli e scuotendo impercettibilmente il capo. Lui comprese il segnale a volo e si dileguò in fretta e furia. Sembrava ancora più turbato. Lei distolse velocemente lo sguardo per non attirare l'attenzione su di lui.

<<Allora? Ti devo chiamare qualcuno?>> le ripetè gentilmente il ragazzo sventolando una mano davanti al suo viso.

Roxanne annuì energicamente nella speranza di concentrarsi sul presente e non sulla marea di pensieri che le turbinavano in testa. <<Sì, sono qui per vedere Max Henderson.>>


§§§§

Eccomi con la fine del capitolo 18. Finalmente, aggiungerei. Mancano gli ultimi due capitoli alla fine del primo atto del romanzo, quindi sono moooolto in ansia.
Spero che il capitolo vi piaccia, ho cambiato un paio di parole nella per te precedente, ma niente di che.
Vi voglio bene e a presto <3

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