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XIX - Acque Immemoriali (2)

Bellamy aveva appena posato la chitarra elettrica per controllare degli accordi che non riusciva mai a ricordare quando un grido squarciò il silenzio. Capí immediatamente a chi apparteneva quella voce, l'avrebbe riconosciuta in ogni tempo e in ogni dove. Il sangue gli si gelò nelle vene: se Roxanne era arrivata ad urlare, qualcosa di terribile era in procinto di accadere. Gettò lo strumento da parte e scattò in piedi. Sapeva che le aveva promesso di restare segregato in camera e sapeva anche che lì fuori c'era un nemico in agguato, tuttavia non poteva restare seduto ad aspettare se Roxanne si trovava in una situazione insidiosa. Aprì la porta e si catapultó verso la camera di Max, dimentico di ogni promessa se non quella di proteggerla ad ogni costo. Da fuori non provenivano rumori di zuffa, ma la cosa non lo tranquillizzó affatto. Senza nemmeno provare a bussare, diede una spallata alla porta abbastanza forte da spalancarla. I cardini di metallo scricchiolarono sinistramente e la maniglia interna sbatté violentemente contro l'intonaco bianco delle pareti.

Nulla avrebbe potuto prepararlo alla scena che gli si prospettó davanti una volta dentro: neanche nei suoi incubi peggiori aveva immaginato un tale scempio. Sul letto al centro del locale c'era accasciata Roxanne, mezza nuda e in una posizione tanto innaturale da risultare inquietante. Sopra di lei, famelico come un lupo, Max armeggiava con i suoi vestiti. Il rumore della porta lo fece voltare, ma la sua espressione, più che tradire colpevolezza, sembrava solo infastidita dall'interruzione.

Roxanne ci mise un po' per metterlo a fuoco, poi, una volta riconosciuta la sua sagoma, i suoi occhi verdi, ora scuri come i campi di notte, cominciarono ad implorare aiuto. Il suo volto cinereo lo pregava mutuamente di salvarla, tuttavia il suo corpo sembrava paralizzato dalla paura e dal disgusto. Non riusciva più a ribellarsi, stremata dai tentativi precedenti di cui portava i segni rossi sulla pelle. Un rivolo di sangue le colava dalle labbra dischiuse in una smorfia di dolore.

Bellamy serrò le mani a pugno per farle smettere di tremare di rabbia. La vista gli si annebbió tanta era la voglia di prendere la vita di Max. Voleva sentirlo espirare il suo ultimo respiro sofferto, strangolarlo sino a farsi dolere le nocche. Il battito del cuore gli accelerò in una maniera poco salutare mentre mandava giù il quadro completo della situazione: il suo migliore amico stava abusando di Roxanne, della sua Roxanne.

La furia che gli montava dentro si trasformò ben presto in azione e scaraventó Max giù dal materasso con una sola spinta. L'amico gridò qualche scusa pietosa, ma Blake non era più disposto ad ascoltare. Rovinarono sul pavimento uno sopra l'altro, producendo uno schianto che smosse il parquet. Soprammobili d'alta fattura piovevano da ogni dove. Max tentó di spostarsi, ma Bellamy si rialzó repentinamente e lo bloccó mettendosi a cavalcioni su di lui. Gli tiró un pugno tanto forte da fargli rovesciare gli occhi scuri. Le ossa del suo volto scricchiolavano sotto la potenza dei colpi di Blake. Uno dopo l'altro questi andarono a segno, centrando l'obiettivo in punti sempre più dolorosi. Dopo qualche minuto Max smise di lamentarsi e perse conoscenza. A Bellamy non interessava, in ogni caso non sarebbe stato capace di trovare parole adeguate per esprimere la repulsione che sentiva nei suoi riguardi. Quando ormai picchiare Max era diventato un movimento inerziale, Roxanne si mosse risvegliandolo dal trance. Bellamy la raggiunse in un nanosecondo, lasciando Max svenuto sul pavimento a gocciolare sangue da diversi tagli.

<<Roxanne...>> sussurrò avvicinandosi cautamente per paura di spaventarla con movimenti troppo bruschi. Le si affiancó e poté notare che si era rivestita alla bell'e meglio, tirandosi su la gonna e le mutande e aggiustandosi il maglione per coprirsi il reggiseno nero. Quando i loro occhi si incrociarono la sua espressione lo spaventó: non l'aveva mai vista tanto terrorizzata. Nonostante l'aria del locale fosse bollente, tremava come una foglia da capo a piedi e stringeva ossessivamente le mani a pugno. Il trucco le era colato lungo le guance e il segno delle lacrime miste al mascara le tagliava il viso in linee irregolari. <<Roxanne, è tutto apposto adesso...>> Si sporse per toccarle il braccio, ma lei si ritrasse. <<Ehi, va tutto bene. Sono io, Bellamy.>> mormoró nel tono più tranquillizzante che riuscì a sfoderare. A quelle parole la ragazza sembrò finalmente riconoscerlo e, quando lui riprovó a toccarla, lei, invece di allontanarsi di nuovo, si fiondò tra le sua braccia. Bellamy ne rimase sorpreso, ma fu subito pronto a ricambiare la stretta. La cinse con entrambe le braccia e il piccolo corpo di lei sembró quasi scomparire nel suo. Erano anni che non si concedevano un momento del genere. Il battito cardiaco di Bellamy accelleró quando lei poggió il capo contro la sua spalla e si accoccoló sul suo petto, tuttavia non smise di cullarla piano e di sussurrarle all'orecchio che tutto sarebbe andato per il verso giusto. Lei parve riprendersi un po', così Blake la sollevò e le disse: <<Andiamo via da qui.>>

Lasciarono la stanza senza rivolgere un'ulteriore occhiata al corpo immobile di Max, chiusero la porta dietro di loro e si rifugiarono nel familiare ambiente della camera di Blake. Lui la adagiò sul suo copriletto grigio e fece un giro di chiave. Vedendo che la ragazza non accennava minimamente a smettere di tremare le arrotolò intorno alle spalle una coperta di pile e le preparò un tè nero allungato con un goccio di wisky. Glielo mise tra le mani e lei se lo portò subito alle labbra, scottandosi la lingua. A lui scappò una risatina. <<Non perderai mai quest'abitudine, non è vero?>>

Lei scosse la testa e si strinse nelle spalle. <<No, suppongo di no.>> Il suono rauco della sua voce lo fece sospirare.

<<Senti, Roxanne...>> cominciò sedendosi accanto a lei <<So che non è un buon momento - e che probabilmente non lo sarà mai- ma ti va di parlare di cos'è successo lì dentro?>>

Lei lo guardò per un attimo negli occhi, poi annuì mestamente. <<D'accordo, però aiutami a tirarmi più sù, ho bisogno di appoggiarmi.>> gli intimò e solo una volta sistemati contro la testiera del letto, spalla contro spalla, ricominciò a parlare. <<Mia madre è qui a Windsor.>>

<<Dio mio...>> commentò Bellamy guardandosi nervosamente intorno. Adesso capiva tutta quella preoccupazione da parte di Roxanne. Christabelle era una delle persone più spietate che conoscesse e si sentiva in dovere di ammettere con sé stesso di averla sempre trovata spaventosa.

<<Già. Ero venuta per parlarti, ma i suoi uomini mi stavano seguendo e quindi ho pensato che farmi vedere con Max fosse la miglior scusa per distrarli. Siamo saliti in camera sua, avevo in programma di restare un po' con lui e poi di raggiungerti di nascosto qui, ma quando abbiamo cominciato a vedere il film lui ha iniziato a...>> si interruppe arrossendo <<...toccarmi.>> Bellamy strinse involontariamente le labbra, in balia del disgusto e della gelosia. <<All'inizio l'ho lasciato fare - insomma, Max è davvero bello ed è difficile dirgli di no - però la situazione mi è sfuggita di mano e quando mi sono resa conto di cosa stava succedendo...>> abbassò il viso costernata, come se la sua mancata difesa fosse qualcosa di cui vergognarsi.

Bellamy le scostò automaticamente una ciocca di capelli biondi dal viso. Voleva tener fede al giuramento che aveva fatto a se stesso di tenerla lontana, lo voleva davvero, ma in un momento del genere neanche tutta la volontà del mondo sarebbe bastata ad impedirgli di confortarla. Sentiva il bisogno di starle accanto, come se il suo tocco potesse scacciare via le terribili immagini della tragedia appena scampata, come se quello bisognoso di cure fosse lui. <<Roxanne, è normale avere paura in una situazione del genere, non è colpa tua.>>

<<No, non lo è. Io non avevo solo paura, ero pietrificata dal terrore, non sono riuscita a reagire neanche quando mi ha picchiata.>> Si portò le dita al labbro spaccato. Il sangue aveva smesso di colare e adesso si riusciva a vedere perfettamente un piccolo lembo di carne scoperta. <<Tutti quegli anni di addestramento buttati. Se non ci fossi stato tu...>>

Lui la bloccò circondandole le mani strette alla tazza con le sue. Il calore della tisana le aveva scaldato la pelle e arrivava fino a lui. <<Ma c'ero.>>

<<Be', non è stato sempre così.>> mormorò Roxanne fissando prima lui e poi il liquido scuro che turbinava nel contenitore di argilla.

Bellamy aggrottò le sopracciglia. <<A cosa ti riferisci?>>

La ragazza fece una smorfia confusa, poi un lampo di comprensione le illuminò il viso esausto. <<Tu non sai nulla, non è vero?>>

<<Non capisco di cosa tu stia parlando...>>

<<Sì, certo, ora si spiega tutto.>> borbottò dondolando il capo <<Tuo padre deve aver preferito non dirtelo. Voleva tenerti al sicuro.>>

<<Roxanne, puoi spiegarmi cosa stai insinuando? Cos'è che mio padre avrebbe dovuto nascondermi?>> domandò staccando bruscamente le mani dalle sue. Tutto quel mistero cominciava ad irritarlo e apriva la strada a temibili supposizioni.

Roxanne attese un secondo, immobile e cerea come un lume, poi si passò una mano sul viso, fece un sorriso amaro come il Bitrex e sussurrò: <<Hanno già cercato di violentarmi, Bellamy, ma quella volta tu non c'eri a salvarmi.>>

Bellamy sbattè una volta le palpebre e il mondo sembrò fermarsi tutt'a un tratto. Le braccia con cui si stava puntellando sul materasso gli cedettero e finì con la testa contro il muro. Le budella gli si torsero in una danza vertiginosa. Fu costretto a chiudere gli occhi per resistere al vomito mentre chiedeva: <<T-ti hanno stuprata?>> Nessuna domanda gli era mai parsa così difficile da pronunciare, nessuna risposta affermativa così difficile da accettare. <<Quando?>> La voce gli tremò, rispecchiando alla perfezione le condizioni in cui versava il suo cuore.

<<Lo sai quando, Bellamy.>>

Un'agghiacciante consapevolezza si fece spazio dentro di lui. Aprì gli occhi grigi: voleva vedere l'espressione di lei, leggere il dolore sul suo viso, marcare ogni linea nella sua memoria. <<Quel giorno, nei boschi?>> Quante volte si era interrogato su cosa fosse davvero successo due anni prima? Su quanto di veritiero ci fosse nella versione di suo padre? Sul perchè, nella sua anima, avesse covato il sospetto che nessuno si era sentito in grado di raccontargli la verità? Troppe volte per poter essere contate e ricordate. Eppure, ora che era sul punto di ricevere il peggior dono mai fabbricato, non era più così sicuro di riuscire ad affrontare la conoscenza.

Roxanne prese un lungo respiro e bisbigliò: <<Sì.>>

Blake scattò in piedi, ritirandosi da quella crepa che si stava aprendo sotto le sue scarpe. Si prese la testa tra le mani. Ogni frammento di rumore rimbombava tra le pareti del suo cervello. Sentì vagamente Roxanne fare il suo nome. Si voltò a guardarla e la trovò così diversa dall'ultima volta in cui l'aveva vista davvero. Adesso conosceva il suo segreto più oscuro, aveva messo le mani sulla parte più intima della sua anima: era ciò che per tanto tempo aveva bramato. Non avrebbe mai creduto, però, che in prezzo sarebbe stato l'integrità del suo essere, del suo tanto venerato onore. <<Sono stato io a farti questo?>> biascicò mezzo delirante.

La ragazza dischiuse le labbra colpita. Non aveva idea di quanto poco si fosse in realtà saputo del dramma che l'aveva vista protagonista. <<Bellamy, vieni qui, per favore.>> gli ordinò battendo con una mano sul letto. Non riusciva a capire se il fatto che lui fosse sconvolto le desse piacere o se, in fondo in fondo, un po' le dispiacesse. Di sicuro non lo invidiava: scoprire di aver vissuto così tanto tempo in una bugia, in una sfera di cristallo fatta di ignoranza e autoconvincimento, e vederla andare in frantumi davanti ai propri occhi non doveva essere semplice da mandar giù. <<Vieni qui.>> gli ripeté. Al che Bellamy si avvicinò cautamente al bordo del materasso e vi ci si sedette dandole le spalle. Non riusciva a sostenere il suo sguardo, si sentiva troppo infimo, troppo smarrito per potersi concedere tale lusso. <<Ero convinta che tu lo sapessi.>>

<<Io credevo...>> farneticò <<Mi hanno raccontato che eri scappata di casa e che i tuoi genitori non riuscivano più a rintracciarti.>> Girò di scatto il volto verso di lei e i capelli scuri gli finirono tra le ciglia lunghe e folte. <<Roxanne, devi credermi, se solo l'avessi saputo...>>

Roxanne gli fece segno di fare silenzio. <<Anche se fossi stato a conoscenza della verità, non sarebbe cambiato niente.>> Lui fece per obiettare, ma lei lo zittì. <<No, Bellamy, ti conosco. Non saresti mai tornato, non dopo avermi abbandonata in quel bosco.>>

Lui sbuffò: odiava non poterle mentire. <<Non ero consapevole di averti abbandonata.>> brontolò rigirandosi il lenzuolo tra le dita.

<<Oh, ma fammi il piacere! Hai lasciato da sola una ragazzina di sedici anni in un bosco con cinque uomini alle calcagna, come cazzo poteva finire bene?>> sbottò Roxanne. <<Mi hanno presa, mi hanno rinchiusa e mi hanno stuprata. Tutto perché tu non c'eri!>> La rabbia le colorava le guance sotto le lentiggini e le faceva illuminare gli occhi verdi come lampi di fuoco greco. Gli strinse la collottola della felpa con la mano libera, pronta a gridargli contro fino ad erodersi la gola, però lo guardò un secondo di troppo e, così come era arrivata, tutta l'ira funesta scivolò via. Le iridi grigie di Bellamy erano quasi trasparenti dal dolore, le sue occhiaie improvvisamente più violacee, la ruga di preoccupazione sulla fronte più marcata. Lo lasciò andare. Poggiò la tazza mezza vuota sul comodino lì accanto e il capo contro la parete grigio topo. Il labbro le tremò mentre farfugliava: <<Tu non c'eri...>>

Bellamy, che stava ormai precipitando in un tunnel nero e senza fine, assecondò il suo istinto, esageratamente stanco per poterlo tenere a bada. Si accucciò vicino a lei, stranamente convinto che non l'avrebbe respinto nonostante la rabbia che le ribolliva dentro. Con il naso sfiorava la stoffa del suo maglione di lana, riusciva a sentire l'odore dell'ammorbidente di Clarke alla lavanda, le pulsazioni leggere della vena del polso. Rimase immobile per un tempo indefinito, pensando che se lei quel giorno fosse morta, lui sarebbe stato il diretto assassino della parte migliore di sé.

<<Volevano che ti tradissi.>> raccontò Roxanne con un filo di voce <<Sapevano della nostra storia e volevano che ti attirassi fuori città con l'inganno. Mi hanno torturata, mi hanno picchiata e mi hanno umiliata, ma niente avrebbe mai potuto spingermi a rinnegarti. È stato quando hanno capito che avrei resistito ad ogni tipo di dolore fisico che hanno cominciato provare nuove vie.>> chiuse gli occhi e il suo corpo fu scosso da un singhiozzo represso. <<Grant Ward ha dato il permesso ai cinque uomini che erano riusciti a catturarmi di fare ciò che volevano con me. Mi tenevano legata in una stanza e quando avevano voglia passavano a trovarmi. Ricordo ancora ogni singolo dettaglio: le loro facce, le loro risate, le loro mani sudice, la forza con cui mi prendevano.>> Sembrò accartocciarsi su se stessa sotto il peso di quei ricordi orribili. Bellamy si portò una mano al viso per evitare di allungarla istintivamente verso di lei. <<È stato Isaac a trovarmi. Dicono che non abbia dormito per una settimana, che fosse ossessionato dal bisogno di riparare al suo errore. È riuscito a rintracciare il percorso di alcune auto del Clan dei Ward che l'hanno condotto direttamente all'accampamento in cui mi tenevano. Lui e mio padre hanno ucciso molti uomini quel giorno. Mi hanno trovata mezza svenuta in una pozza del mio sangue: avevo tagli e lesioni gravi praticamente ovunque. Non ero molto cosciente di ciò che accadeva, però sono certa che mio padre stesse piangendo. In realtà, un po' tutti piangevano: avevano tutti intuito di essere arrivati troppo tardi.>> mormorò tirando su col naso. Quando lo guardò da sotto le ciglia imperlate di lacrime, Blake era consapevole di aver scritto in faccia quanto fosse stravolto. Non aveva le forze per mantenere la maschera di impassibilità. Ingoiò la bile che gli aveva invaso la bocca, la quale lasciò una scia infuocata dietro di sé. Avrebbe voluto dire qualcosa per confortarla, ma non c'erano parole nella sua testa, solo rimorso. Il suo cuore nero palpitava a suon di dolore e autocommiserazione.

<<Mi dispiace così tanto...>> rantolò. Se solo si fosse ricordato ancora come piangere, in quel momento sarebbe stato sconquassato dai singhiozzi.

Roxanne lo guardò attraverso la cortina di lacrime. <<Lo so.>> mimò con le labbra. Qualcosa dentro di Bellamy si sciolse. Si trascinò verso di lei e nascose il naso all'insù tra le pieghe del suo maglione mentre poggiava la fronte contro il suo costato. L'alzarsi e abbassarsi del suo torace lo cullava. Lei, dopo un attimo di stordimento, gli passò una mano sui capelli ricci e, prima che potesse rendersi conto del tipo di richiesta che era sul punto di avanzare, disse: <<Posso dormire qui stanotte?>>

Per quanto quel momento fosse straziante, per quanto si sentisse in balia delle proprie emozioni e spodestato dalla cima dei suoi pensieri, un piccolo sorriso si fece spazio sul viso di Blake. <<Certo che puoi.>> acconsentì dimentico dell'etica e delle Leggi. La guerra, gli scagnozzi di Christabelle, il Male, il loro sangue, tutto ciò che era stato posto sulla loro strada per dividerli sarebbe stato chiuso fuori dalla porta di quella piccola stanza per un'intera notte.

Roxanne sospirò, nettamente più tranquilla, e chinò la testa all'indietro. <<Vuoi dei vestiti puliti? Ci dovrebbero essere dei pantaloncini di Clarke nell'armadio.>> le propose tirandosi sui gomiti.

<<Sì, grazie. Ho bisogno di togliermi questa roba di dosso.>>

Il ragazzo le procurò una felpa pesante e degli shorts di una taglia più piccola e le lasciò qualche minuto di solitudine per farsi una doccia.

Quel breve lasso di tempo bastò affinché fosse schiacciato dai pensieri: la sua colpevolezza, la Morte dietro l'angolo, il suo migliore amico svenuto, l'imminente fuga. Da quale problema avrebbe dovuto iniziare? Sembravano tutti insormontabili.

Adesso riusciva a comprendere tutto quell'insaziabile tormento e tutto quell'infinito rimpianto che aveva letto negli occhi di Isaac mentre gli scagliava contro il coltello. Magari lì per lì gli era apparso estraneo quel desiderio di Morte che gli aveva scorto dentro, l'aveva trovato misero e raccapricciante, però ora capiva eccome: Isaac sapeva tutto da anni, sin dalla settimana di ansie in cui Roxanne era stata data per dispersa, lui l'aveva riportata a casa solo per essere obbligato a lasciarla e aveva sopportato l'esilio sentendo di esserselo meritato.

Forse aveva sottovalutato la forza di quel ragazzo, non era da tutti sopravvivere a tali avversità. Lui, ad esempio, non vedeva alcuna via d'uscita. Si prospettava già a crogiolarsi nel rimorso per il resto della sua orrenda esistenza.

Avrebbe desiderato qualche giorno per digerire la notizia, qualche giorno per progettare un piano di flagellazione ed espiazione per accedere al perdono di Roxanne e al suo, ma non ne aveva neanche uno. All'indomani sarebbe dovuto fuggire col favore delle tenebre e sparire dalla circolazione per un po'. Ciò lo costringeva a lasciare quasi tutti i suoi problemi in sospeso, compreso quello rappresentato dal suo amico molestatore che avrebbe continuato a vagare indisturbato per le aule del piccolo college di Windsor. Avrebbe voluto mettere in guardia tutto il corpo studentesco, parlando con ogni singola persona se necessario, tuttavia non vi era alcuna possibilità di successo se voleva aver salva la vita.

Il fiato gli si spezzò e fu costretto a stringersi la testa tra la mani.

<<Ehi! Mi daresti un paio di calzini?>> gridò Roxanne dal bagno distogliendolo dai suoi drammi.

<<Arrivano.>> Si mise in piedi, grato per quella distrazione, e le portò ciò che aveva chiesto. Lei aprì la porta e si sporse per afferrare le calze. La sua felpa grigia le stava enorme, però le dava un'aria svampita e innocente se abbinata a quegli striminziti pantaloncini blu. Cercò il più possibile di non fissare lo sguardo sulle sue gambe lunghe e nude. Ciò nonostante non poté non pensare a quanto aveva sperato di guardarla andare in giro per casa sua, in un giorno lontano, con i piedi scalzi e solo la sua felpa troppo grande addosso, come in quel preciso istante. Ma avrebbe di gran lunga preferito non avere la possibilità di vederla o di udirla anche solo respirare, piuttosto che sentirla accanto ed essere costretto a desiderarla con ogni pezzo di sé senza poterla avere.

<<Grazie.>> gli sorrise accucciandosi sul letto e cominciando a infilarsi i calzettoni <<Senti... avrei un'altra richiesta.>>

<<Dimmi.>>

Roxanne si sistemò una ciocca di capelli dorati dietro l'orecchio sinistro. Gli sembrò incredibilmente tenera. <<Ho bisogno di distrarmi un po'.>>

Bellamy fece una risatina e annuì. Quello era il codice che avevano stabilito da ragazzini per dire all'altro che volevano fumare. Fu strano sentirlo dopo tanto tempo, quanto lo era che entrambi lo ricordassero ancora. Aprì uno dei cassettoni e scavó alla rinfusa tra i vestiti ben stirati per tirare fuori un astuccio nero. <<La tengo per le occasioni speciali, ma non credo che ne avrò mai bisogno quanto te in questo momento.>> disse porgendole una scatolina di metallo contenente un pezzo della migliore marjuana commerciata da suo padre.

Roxanne la aprì e spalancò gli occhi sorpresa. <<Te la sei portata dietro da Detroit e la stai offrendo a me?>>

<<Domani devo andarmene, qualcosa in meno da portare dietro.>> si giustificò stringendosi nelle possenti spalle.

<<Oh...>> mormorò Roxanne abbassando lo sguardo <<Allora te ne vai?>>

<<Be', non credo avere molta scelta.>> commentò Bellamy grattandosi la nuca <<Tua madre è qui e mi sta dando la caccia.>> Al solo nominare tale scenario gli si accapponò la pelle.

<<Dio, se sapesse che in questo momento sono chiusa a chiave in camera con te mi ucciderebbe!>> ridacchiò tirando fuori la pallina d'erba e cominciando a tritarla. Le sue mani capaci sfarfallavano qui e lì lasciandosi dietro la scia rossa del suo smalto.

Bellamy si lanciò di nuovo sul letto. Si rigirò i grossi pollici squadrati. <<Non ti senti mai in colpa?>> domandò mestamente <<Tutti nel Clan si fidano di me e io li sto tradendo uno per uno scegliendo di salvarti.>>

Roxanne gli rivolse una lunga occhiata indagatrice: Blake non era solito tirare in ballo questioni delicate come l'appartenenza alle bande. Sapevano entrambi di avere opinioni diverse a riguardo e perciò la maggior parte delle volte, per non scannarsi, evitavano semplicemente di parlarne. In ogni caso, le sembrava inopportuno mentire in tali circostanze: ormai aveva rivelato la sua più preziosa verità, non aveva più nulla da celare. <<Prima sì, ma adesso non più. Ho perso già abbastanza a causa dei Clan e delle loro Leggi, adesso tengo fede prima di tutto a me stessa. È a me che devo la mia lealtà.>>

Lui inclinò leggermente la testa per guardarla. <<Come sei diventata saggia.>>

La ragazza gli fece una smorfia, del tutto convinta che lui la stesse prendendo in giro. <<Oh, sta' zitto!>>

<<No, sono serio. Io non riesco ad essere così risoluto. Non sarei mai riuscito ad oppormi a mio padre come hai fatto tu.>> disse guardando l'intonaco bianco e screpolato del soffitto.

<<È perchè tu ci credi ancora. Nonostante tutto, vedi ancora il meglio delle nostre famiglie.>> spiegò Roxanne. Bellamy si voltò a guardarla giusto in tempo per vederla leccare la colla della cartina. Si morse il labbro per reprimere un brivido e distolse prontamente lo sguardo prima di iniziare a surriscaldarsi. <<Loro non ti hanno ancora tradito.>>

Blake non era affatto d'accordo con l'ultima affermazione, l'avevano tradito eccome: gli avevano portato via sua madre, il suo amore e la sua innocenza. Ormai non era altro che un guscio privo di umanità. <<L'hanno fatto.>> sussurrò. Era pronto a lanciarsi in uno sproloquio o in uno dei suoi infiniti silenzi rivelatori, però poi si rese conto che la conversazione stava prendendo una piega alquanto infelice e che, considerando quanto successo prima, Roxanne non sarebbe stata in grado di affrontarlo, quindi cercò di deviare sul sarcasmo. <<Forse è solo che non sono ancora pronto a rinunciare ai miei privilegi. Sai com'è, a me piace essere adorato! I ragazzini nuovi per poco non si prostrano ai miei piedi!>> esclamò sfoderando un aria di finta serietà. Roxanne lo fissò per un secondo ammutolita, poi scoppiò in una fragorosa risata.

Risero per buona parte della serata a dirla tutta: l'erba alleviò i dissapori e gli fece ricordare perché si erano amati. Roxanne gli raccontò di come aveva convinto i suoi genitori a lasciarla partire per il college e Bellamy di quanto erano stati entusiasmanti gli ultimi due anni lì. Le parlò di suo fratello, di come aveva conosciuto Clarke, di come era riuscito a sopravvivere ad una sparatoria, e finalmente, dopo tanto tempo, si sentì davvero capito. Roxanne annuiva e sorrideva in modo buffo, ma non aveva paura di contraddirlo quando credeva che avesse sbagliato. Non aveva paura della sua vera identità.

Alla fine furono costretti a mettersi a dormire, stremati dalla stanchezza e dalle chiacchiere, così Bellamy si procurò un cuscino e una coperta e si mise a dormire sul tappeto. Roxanne si mostrò dispiaciuta, però non lo invitò a condividere il letto con lei e lui fu d'accordo. Non era il caso di esagerare.

<<Come farai a giustificarti con Clarke? Sa che non conosci nessuno qui.>> domandò una volta steso per terra.

<<Non preoccuparti, non ho intenzione di dirle che ho dormito in camera del suo fidanzato.>> brontolò rannicchiandosi sotto il piumone <<Le dirò che sono stata da Isaac. È convinta che io lo ami.>>

<<Ah... ed è così?>> domandò con un sussurro. Ingoiò il groppo che aveva in gola, ma ormai dalla sua voce era trapelato quanto fosse spaventato dalla risposta.

Se si metteva su un fianco riusciva a scorgere una mezza luna del viso di Roxanne leggermente illuminata dalla luce dei lampioni esterni. Ci lesse tormento. Capì immediatamente che Isaac si era dichiarato.

Alla fine, dopo tutti quegli anni, aveva trovato il coraggio di confidarle i suoi veri sentimenti.

<<Bellamy... non credo ti riguardi più.>> disse infine lei.

Bellamy produsse un breve suono gutturale. <<Non puoi parlare così, Roxanne. Io...>> non smetterò mai di amarti, non potrei sopportare di vederti con qualcuno che non sia io, avrebbe voluto confessare, ma come avrebbe mai potuto farle un torto del genere? Non dopo ciò che gli aveva raccontato quella notte. Sospirò avvilito e il suo fiato aleggiò leggero nell'aria satura di tensione che si era repentinamente venuta a creare.

Non parlarono più, rimasero svegli al buio a contare i respiri dell'altro e a soppesare le parole taciute.

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