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X - Se rimango me stesso


Roxanne stava piangendo.

Per la prima volta da anni non piangeva né per dolore né per rabbia, ma semplicemente per un'infinita tristezza. Le lacrime sgorgavano dai suoi occhi verdi senza che potesse controllarle.

Isaac aveva ritrovato e messo insieme foto di un'intera vita. La loro. Centinaia di immagini scorrevano sullo schermo del suo computer, pugnalandola al petto con una valanga di ricordi e nostalgia: loro due appena nati in braccio alle loro madri, a due anni mentre costruivano in riva al mare castelli di sabbia già mezzi crollati, a tre che si tenevano la mano il primo giorno di scuola, a sei, quando Roxanne aveva tirato un pugno ad Isaac perché le aveva rubato i pastelli. Un intero book fotografico in cui i due ragazzi si divertivano a baciare e imitare le statue e i quadri di un museo. Scatti in cui sorridevano sdentati e genuinamente felici alla telecamera, nei posti più disparati, dalla camera di Roxanne al grattacielo più alto di Detroit, foto piene di sentimenti e vita, che racchiudevano in sé tutta la bellezza che avevano condiviso.

Roxanne si ritrovò a sorridere tra le lacrime quando alcuni dei ricordi più gioiosi cominciarono a riaffiorargli alla mente: lei appesa a testa in giù ad un albero della Reggia e Isaac che le aleggiava intorno preoccupato che cadesse, Isaac che le faceva le trecce a undici anni, il loro primo giro in macchina, la loro prima festa, la prima sbronza. Immagini che li ritraevano con smorfie buffe o abbracciati o mentre si scambiavano cenni d'intesa. Ce n'erano persino certe con Bellamy e con alcune vecchie conoscenze, con i loro familiari e con membri della gang.

Una di quelle che le fecero più male fu quella al ballo di natale delle superiori: sorridevano spensierati in mezzo alla pista da ballo, scatenandosi sulle note di qualche canzone pop. Roxanne indossava uno dei vestiti più belli che avesse mai posseduto: un tubino nero con lo scollo a cuore e le bretelline d'argento. Isaac le aveva detto che le metteva in risalto le tette e lei aveva riso.

Nella foto si guardavano come se non avessero avuto bisogno di nient'altro. La cosa la sorprese: per lei era sempre difficile andare al ballo senza Bellamy. A quanto pareva, il ragazzo riusciva a guarire anche il più profondo dei dolori senza che lei se ne accorgesse.

Lasciò che la presentazione ricominciasse a scorrere fino alla conclusione. La foto finale era l'ultima che avevano scattato. Risaliva a qualche giorno prima del disastro, quando tutto era ancora discretamente sopportabile. L'avevano fatta con l'autoscatto della reflex di Isaac, poggiandola sulla statua della capostipite dei Moore. Athena sicuramente non si era divertita ad avere una macchina fotografica appesa al collo, ma ne era valsa la pena. Nell'immagine Roxanne e Isaac erano all'ombra del loro albero preferito in una giornata di sole. Lei aveva la testa poggiata sulle gambe di lui e gli stava leggendo Macbeth, uno dei loro libri preferiti. Isaac aveva gli occhi chiusi ed era placidamente seduto contro il tronco del salice piangente, una mano tra i capelli di lei, l'altra dietro la testa. Erano tranquilli e rilassati. Erano insieme. In quel momento nessuno dei due avrebbe mai potuto immaginare cosa sarebbe seguito.

La presentazione si interruppe bruscamente. Roxanne era sul punto di spegnere il computer e cercare dei fazzoletti, quando notò un file che non aveva aperto. Ci cliccò sopra e aspettò irrequieta che si caricasse. La barra di caricamento raggiunse il 100% e il video comparve sullo schermo. Era recente, di un anno prima al massimo. Isaac l'aveva girato in camera sua con il cellulare. Roxanne non aveva idea del perchè avesse messo nella collezione un video in cui era seduto immobile sul letto sfatto. Poi, dopo un lungo sospiro, il ragazzo cominciò a parlare.

<<Se stai guardando questo video significa o che ho finalmente trovato il coraggio di inviartelo o che il miracolo per cui ho pregato si è avverato e siamo di nuovo insieme.>> Si passò una mano sul viso e ridacchiò nervosamente <<Mi sento alquanto ridicolo a parlare al mio Iphone, ma sono certo che non riuscirei a trovare le parole se ti avessi qui, davanti a me. Sono successe un sacco di cose in questi trecentosessantacinque giorni che vorrei raccontarti. Avvenimenti tanto assurdi che io...>> sospirò <<Io non so neanche da dove iniziare. Non riesco a formulare frasi che rispecchino minimamente i miei sentimenti. Dire che mi faccio così schifo che ho spaccato gli specchi di casa sarebbe minimizzare. Sono arrivato al punto che quando sento il tuo nome, per strada o a scuola, mi si arrovellano le budella e vorrei solo scoppiare a piangere. Ho anche ricominciato a fumare... so che ti avevo promesso che avrei smesso per il nuoto ma, a questo punto, non credo tu possa odiarmi ancora di più. In effetti, l'unica cosa che mi consola davvero è che non potrai mai detestarmi più di quanto non faccia già io con me stesso.>> Isaac puntò gli occhi neri nella videocamera <<Io volevo solo proteggerti. Avevo paura, Roxanne. Lo dicevi sempre anche tu che non sono tagliato per questo mondo frenetico. Stava andando tutto a puttane, gli scontri tra i Clan non erano così violenti da anni, c'erano nuove morti ogni settimana e io non ho retto la pressione. Non sarei sopravvissuto alla tua morte. Non ero pronto a seppellirti. Per questo ho cercato di convincerti a stare a casa. Tu come sempre non mi hai ascoltato - non lo fai mai, del resto- e ho fatto il madornale errore di fidarmi di mio padre. Io volevo solo che Dominic ti chiudesse in casa per un po' e ti impedisse di mettere a repentaglio ogni cosa solo per vedere Bellamy, non... non potevo immaginare che il nemico dormisse sotto il mio stesso tetto. Mi rivolta l'idea di avere il suo sangue nelle vene. Forse è di famiglia riuscire ad avvelenare ogni relazione.

So che scusarmi non basta minimamente. Ne sono assolutamente cosciente. Però credimi se ti dico che darei qualsiasi cosa per poter cambiare il passato. Rinuncerei persino a conoscerti pur di allontanarti da questo dolore, e tu sai che il nostro rapporto è la cosa più preziosa per me. Ho cercato con tutto me stesso di proteggerti, di alleviare il peso che porti sulle spalle, di compartire la sofferenza, ma è stato tutto inutile. Alla fine, nonostante tutti i miei sforzi, la mia amicizia ti ha rovinato la vita comunque. Non me lo potrò mai perdonare.>> Un respiro tremante gli scappò dalle labbra <<Sono pronto a morire per la tua vendetta. Mi renderà felice lasciartela compiere. La vita senza di te non ha più senso da troppo tempo ormai.

Ti voglio bene, Roxi. Te ne vorrò per sempre.>>

Il video si interruppe e lo schermo divenne nero. Roxanne annaspò in cerca di aria, troppo sconvolta anche solo per respirare. Si trascinò alla finestra e la spalancò. L'aria fredda di fine ottobre riempì la stanza e le diede una scarica di energia. Si sporse dal davanzale e si deliziò del vento fresco sul viso e della vista del college dall'alto. Poggiò la fronte contro il vetro. Non riusciva a credere che Isaac si fosse esposto tanto: non erano da lui gesti così teatrali. Era totalmente senza parole: non sapeva come reagire a una dichiarazione del genere.

In quel video, Isaac le era sembrato completamente a pezzi: aveva profondi segni scuri sotto agli occhi, era emaciato e debilitato. Probabilmente non si era ancora ripreso dalla morte di suo padre, dall'esilio e dalla loro separazione. Ripensando al modo in cui aveva invocato la Morte il giorno precedente, Roxanne dubitò che fosse già riuscito ad andare avanti. Quel dolore gravava ancora sulle sue spalle.

Roxanne si passò i palmi delle mani sul viso riflettendo sul da farsi. Ovviamente la sua istruzione le consigliava di ignorare completamente l'accaduto e stare alla larga da Isaac Hale il doppio di quanto stesse tentando di fare con Bellamy Blake. Il suo cuore, d'altra parte, la invogliava a fare qualcosa d'istintivo per una volta e andare da lui. Sentiva di dovergli dire che aveva visto quel video, quasi come se si sentisse in colpa per aver messo le mani su una cosa tanto personale.

Fece qualche passo verso la porta di camera sua, ma si fermò con la mano sul pomello. Si era emozionata per quel video, certo, però non contava nulla. Non avrebbe potuto cancellare il passato, i tradimenti, le morti e tutto quel dolore che li attanagliava. Forse bastava a farle sbollire la rabbia momentanea, tuttavia non riusciva neanche a farle dimenticare la discussione con Isaac di poco prima. Quelle foto, quelle parole, erano belle, ma c'erano ancora tanti conti da saldare e segreti da svelare.

Roxanne sospettava che Isaac in quel video non fosse stato completamente sincero. C'era qualcos'altro sotto, se lo sentiva nelle viscere. Voleva nasconderle qualcosa. Qualcosa che, a detta sua, non le sarebbe piaciuto.

In ogni caso, per quanto la curiosità e la frustrazione la consumassero, si rendeva conto che non l'avrebbe di certo aiutata restare chiusa nella sua stanza a piangersi addosso. Uscì e, sorprendendo persino se stessa, andò da Clarke. Non si sforzò neanche di indossare la sua maschera di impassibilità: non aveva motivo di nascondere a quella semplicissima ragazza di campagna le sue emozioni. Lei non l'avrebbe giudicata.

Quando la ragazza notò le sue condizioni sollevò le sopracciglia e sgranò gli occhi azzurri sotto la luce gialla del salotto. <<Vieni qui.>> ordinò spalancando le braccia. Roxanne si trascinò fiaccamente verso di lei e si abbassò per affondare il viso nella sua spalla. Non si ricordava quand'era stata l'ultima volta in cui aveva ricevuto un abbraccio. Il calore e il profumo dolce di Clarke la rincuorarono.

<<Che ne dici di guardare quel film?>> domandò Roxanne con le labbra che soffiavano tra i capelli scuri della sua coinquilina.

<<Certo!>> esclamò Clarke entusiasta. Le fece una carezza sul viso. <<Prima, però, mangiamo>>.

Pranzarono tra chiacchiere informali, pettegolezzi e risate e, quando si accoccolarono sotto le coperte sul divano per guardare "Le pagine della nostra vita", Roxanne sentì di aver trovato finalmente una vera amica.

***

La dolcezza e la benevolenza che Clarke le aveva dimostrato in quel momento di fragilità spinsero Roxanne ad aprirsi con lei e a rendere la loro convivenza un po' meno sopportazione reciproca e un po' più una piacevole compagnia. Roxanne, alla fine, si scoprì persino ad apprezzare la presenza di quella ragazza tanto diversa da lei: tutte quelle differenze le mostravano prospettive del tutto nuove.

Invece di alzare gli occhi al cielo e ignorare i suoi discorsi, cominciò ad ascoltarla davvero e a valutare diversamente le sue parole: era normale che Clarke parlasse di cose molto lontane da argomenti basati su sangue, Clan, vendetta e appartenenza. Lei viveva in un mondo del tutto diverso, pieno di spensieratezza, feste e gossip, ma anche di problematiche che Roxanne non aveva mai davvero preso in considerazione. Non essendo quasi mai uscita dalla sua bolla di pericoli mortali non aveva mai dovuto affrontare ansie sociali o false maldicenze. Nessuno aveva mai osato sfidarla.

Clarke le raccontò tutto di sé, della sua piccola fattoria in campagna, dei suoi animali, di sua madre, della sua sorellina e, soprattutto, le descrisse minuziosamente quanto la rendesse felice cavalcare nelle lande desolate. Questo permise loro di trovare punti in comune: l'amore per la libertà, il vento, la natura selvaggia.

Roxanne apprezzò molto la sua fiducia, ma per il suo bene non poteva raccontarle nulla della sua vita. D'altro canto non se la sentiva neanche di mentire spudoratamente, quindi si limitava a rispondere vagamente o ad eludere alcune domande. In ogni caso lei non le fece pressioni e non cambiò minimamente atteggiamento.

Ogni giorno, a tavola, Clarke le faceva il resoconto delle novità a scuola tanto che, dopo una settimana, le sembrava di conoscere tutti. Non riusciva più a guardare una persona senza ricordare qualcosa sul suo conto. Alcune sere, poi, quando non si incontrava con Bellamy, restavano sveglie fino a tardi a parlare e a guardare film sul divano. Inoltre, Clarke le presentò molti studenti del suo anno, aprendola inaspettatamente alla vita sociale del college.

Roxanne, per quanto cercasse di mantenere un basso profilo, non riusciva a negarsi nuove conoscenze.

D'altra parte, le uniche due persone con cui aveva realmente un rapporto sembravano sparite dai radar. Sapeva che Bellamy era ancora in giro solo grazie alle cronache di Clarke, ma, per il resto, lui continuava a evitarla. Se la scorgeva da lontano nel corridoio, cambiava improvvisamente rotta. La cosa la faceva imbestialire.

Isaac, poi, era del tutto invisibile. Non lo vedeva da quel giorno a casa sua. Non che avesse voglia di incontrarlo ma, dopo una settimana, cominciò a sembrarle strano di non incrociarlo ai corsi o nell'androne. Sperava solo che Bellamy non l'avesse ucciso sul serio.

Ad ogni modo approfittò di quel tempo per lenire le sue ferite e assimilare - finalmente - il riassestamento del loro vecchio trio.

Adesso che sapeva che c'erano altri due gangster in giro diminuì anche la frequenza delle sue ronde: due volte al giorno le sembrava una quantità accettabile. Non che la fiducia che riponeva nei due ragazzi si fosse improvvisamente ristabilita, ma, ormai, non avrebbero potuto tradirla senza finire loro stessi nei guai. Se Bellamy avesse rivelato con un mese di ritardo la sua presenza sarebbe stato bandito. Era l'unica sicurezza effettiva che le permetteva di tirare un sospiro di sollievo. Quindi, certa che anche a Bellamy convenisse restare nascosto, lasciava a lui il noioso compito di sorvegliare i confini. Tanto lui l'avrebbe fatto comunque e di certo più efficientemente di lei.

Impiegò il tempo che risparmiava per dipingere, allenarsi e leggere libri nuovi o vecchi. Scoprì che la biblioteca della scuola era un vero gioiello d'architettura: piena di fregi, scale a chiocciola e infiniti tavoli in legno pregiato.

Era proprio lì che si stava dirigendo quella mattina di pioggia. Voleva fare una breve ricerca sulla sezione aurea prima di andare a seguire gli ultimi due corsi. Era curiosissima di sapere qualche informazione in più sulla scoperta di quella misteriosa successione di numeri.

Prima, però, fece una breve deviazione per la caffetteria: aveva impellente bisogno di un cappuccino.

Il bar del college era un posto carino, arredato per far sentire gli artisti a casa. I muri erano un collage di quadri di ogni genere o epoca (la maggior parte erano riproduzioni degli stessi studenti), libri e scarpe pendevano dal soffitto, miniature di dischi in vinile erano usati come piattini per servire il tè, enormi botti in legno massello servivano a mo' di tavolino, pennelli e tempere ricoprivano ogni centimetro quadrato del negozietto e fili neri tenevano sospese, in quell'aria che profumava d'incanto, polaroid alle quali era stata inserita una lampadina nell'obiettivo. Appena messo piede lì dentro, Roxane fu avvolta dall'odore intenso dei chicchi di caffe e brioches appena sfornate. Sentì subito l'acquolina in bocca.

Si mise in fila vicino al bancone e, sbirciando la vetrina da dietro un ragazzone di due metri, incappò in un dilemma impossibile: waffle o pancakes? Sì, aveva promesso a se stessa che avrebbe iniziato la dieta, però...

<<Anche tu qui?>> Una voce familiare la riscosse dai suoi pensieri di dolciumi e alimentazione scorretta. Si voltò e si ritrovò davanti agli occhi color caramello di Max.

Immediatamente si lisciò i pantaloni a coste lilla, si rassettò la camicia e si diede una sistemata ai capelli, per poi esclamare nel tono più ridicolo di sempre: <<Ma guarda un po' chi si rivede!>>

Stai scherzando spero... borbottò a se stessa Sembri la mamma se parli così, idiota!

Max, per fortuna, non diede molto peso a quell'uscita da quarantenne infelice. <<Ho visto che stai andando forte agli allenamenti! Il coach dice in giro che sei una delle giocatrici più brave che abbia mai allenato qui.>>

<<Mi prendi in giro?>> domandò facendo un passo avanti per lo scorrere della fila.

Max la fece un sorriso incoraggiante <<No, ti giuro. Quando l'ha detto mi ha incuriosito e sono venuto a vederti.>>

<<Che cosa?>> sbottò lei ripensando all'aspetto indecente che aveva ad ogni singolo allenamento.

<<Ehi, stai tranquilla. Sei bravissima.>> continuò lui.

Ovviamente Roxanne era cosciente delle sue capacità, disprezzava la falsa modestia ancor più dell'arroganza, però sentirselo dire dal playmaker più quotato della stagione (nonché bellimbusto da paura) era una grande soddisfazione. <<Grazie, Henderson. Detto da te è una lusinga, sul serio.>>

<<Figurati, è semplicemente la verità.>> disse lui con un'alzata di spalle. Le fece segno di andare avanti con un dito.

Quando Roxanne si voltò si rese conto che era il suo turno e che, per giunta, ancora non aveva deciso cosa mangiare. Il cassiere, stizzito, aspettava dietro il bancone con le braccia conserte. Roxanne si avvicinò alla vetrinetta mortificata.

<<Scusi...>> biascicò <<Gradirei un doppio cappuccino e un waffle al cioccolato, se è possibile.>> Cerco di rivolgergli un sorriso per addolcirlo un po', ma non ottenne risultati visibili: il volto dell'uomo rimase ugualmente inferocito. Roxanne sospirò e cominciò a frugare nella borsa alla ricerca del portafogli.

<<Aggiungi anche il solito per me e metti tutto sul mio conto, Bill.>> Ordinò Max spuntando accanto alla cassa.

<<Max, ti prego, non ce n'è biso...>>

Il viso di Bill si illuminò. <<Ehilà, Henderson! Facci sognare questa stagione, eh!>> Ammiccò al ragazzo per poi urlare diretto ai suoi colleghi: <<Fate anche un frappè alla fragola con panna e codette di zucchero.>>

La voglia di discutere per il conto con Max passò subito in secondo piano. <<Sul serio? Codette di zucchero?>> chiese senza riuscire a trattenere una risata <<Che cos'hai, cinque anni?>>

<<Mi offendi così! Ne ho tre! Sembro davvero così vecchio?>> domandò allarmato toccandosi la faccia. Scoppiarono entrambi a ridere, meritandosi qualche occhiata divertita dagli altri clienti. <<Senti, Roxanne, è da un po' che te lo volevo chiedere: ti andrebbe di...>> cominciò lui per essere poi interrotto da una ragazza dai folti capelli rossi.

<<Max!Max!>> gridò lei avvicinandosi da uno dei tavoli più lontani. Portava un orribile cappotto di pelliccia, dei leggins acetati e gli stivali di pelle in tre accecanti tinte diverse di fucsia. Il tutto accompagnato da un rossetto bordeaux, che stonava profondamente con l'outfit già di per sé discutibile.

Una volta raggiunto il ragazzo, si premurò amabilmente di sbattere pesantemente contro la spalla di Roxanne, la quale, presa alla sprovvista, barcollò più in là. Aveva una gran voglia di tirarle un pugno sul suo bel nasino all'insù: doveva proprio arrivare mentre Max la stava invitando ad uscire? Perché era quello che stava per fare, vero?

<<É tutto il giorno che ti cerco, tesoro! Volevo invitarti alla festa di domani e chiederti se...>>

Roxanne decise saggiamente di smettere di ascoltare le parole di quella sconosciuta molesta e di ritirare il cibo che, nel frattempo, era comparso sul bancone. Fece scivolare i soldi nel sacchetto di Max e prese il suo. Si mosse languidamente verso l'uscita.

<<Ci vediamo, Max>>

Max si voltò verso di lei con uno sguardo di costernazione stampato in faccia. La ragazza continuava a parlare a raffica nonostante lui non le stesse palesemente prestando attenzione. <<Roxanne, io...>>

Ma lei era già lontana e le parole gli morirono in gola.

***

La biblioteca era magica.

Era esattamente uno di quei posti in cui ti perdi per ore e, solo quando è troppo tardi, scopri quanto tempo hai realmente passato lì dentro. Era una cosa che aveva sempre amato. Fino a che non le si era ritorta contro.

In quel momento, mentre sfrecciava disperata tra i corridoi, maledì il suo amore per i libri e le belle storie: l'avevano fatta arrivare tardi per l'ennesima volta ai corsi.

Non ricordava che materia doveva seguire, però, per fortuna, aveva memorizzato la successione delle aule. Quando entrò nella stanza 38 e si trovò davanti un anfiteatro quasi del tutto vuoto, capì di essere finita a Letteratura Avanzata. Era il primo incontro del trimestre e per fortuna la professoressa pareva aver ritardato ancor più di lei. Tra schiamazzi, scambi di appunti e telefonate ad alto volume, il caos regnava sovrano nonostante ci fossero pochissime persone.

Senza guardarsi troppo in giro, Roxanne si sedette nella prima panca e si accasciò sullo stretto tavolino per riprendere fiato. Non avrebbe saputo dire con precisione quanto tempo fosse passato quando la professoressa fece la sua entrata in scena.

<<Buongiorno, ragazzi.>> L'insegnante era una donna abbastanza giovane per essere una tutrice universitaria, indossava un bellissimo tailleur blu notte e dei decolleté del medesimo colore. Portava i capelli scuri raccolti in una pettinatura semplice e i suoi frizzanti occhi azzurri perlustrarono velocemente la stanza. <<Benvenuti al corso di Letteratura Avanzata. Io sono la professoressa Gesner, ma potete chiamarmi Carol. Non amo i convenevoli.>> affermò provocando una timida risata tra i banchi <<Seguire gli schemi mi annoia e, proprio per questo, ho deciso di partire da un argomento che è a metà del nostro piano di studi di quest'anno. Vediamo un po' chi conosce questa frase: "Una triste pace porta con sé questa mattina: il sole, addolorato, non mostrerà il suo volto. Andiamo a parlare ancora di questi tristi eventi. Alcuni avranno il perdono, altri un castigo.">> recitò.

<<Romeo e Giulietta.>> rispose istintivamente Roxanne. Conosceva benissimo quel dramma shakespeariano, l'aveva riletto più volte quando era più piccola perchè le ricordava molto la sua storia d'amore con Bellamy. Nonostante spesso decidesse di interrompere la lettura a tre quarti dell'opera per non dover rimuginare sulla fine dei due ragazzi, aveva memorizzato gli ultimi versi. La cosa che la sorprese fu che qualcun altro diede in sincrono la medesima risposta. Era molto difficile incontrare qualcuno che, come lei, imparava interi passaggi dei libri. Si voltò per scrutare meglio le facce dei suoi compagni e lo vide: Bellamy Blake. Se ne stava acquattato all'ultimo banco vicino al muro, per questo non era riuscita a scorgerlo con la precedente occhiata veloce. I loro occhi si incrociarono per un momento, poi lui distolse lo sguardo. Roxanne sbuffò sonoramente.

<<Benissimo. Mi fa piacere che qualcuno di voi abbia letto questo testo.>>

<<Il dramma amoroso più famoso di sempre... e si stupisce che qualcuno l'abbia letto!>> sibilò Roxanne a voce tanto bassa da essere inudibile.

<<Potrebbe illustrare alla classe le sue impressioni sull'opera, signor...>> chiese la professoressa facendo aleggiare le dita verso Bellamy.

<<Blake. Bellamy Blake.>>

Roxanne si girò di nuovo a guardarlo: i riccioli scuri gli cadevano morbidamente sulla fronte aggrottata, gettando ombre delicate suoi occhi tempestosi. Indossava una t-shirt dei Guns'n'Roses nera sopra un dolcevita bianco e un paio di jeans vintage. La pietra del suo anello di famiglia luccicò sotto la luce diretta del sole sottolineando quanto fosse ridicola quella coincidenza: tutti e due erano lì a parlare della tragedia più celebre di tutti i tempi come se non fossero la reincarnazione vivente di Romeo e Giulietta.

<<Vada allora, signor Blake.>>

Bellamy si scacciò un boccolo dalla fronte e disse: <<Un libro bello con un finale alquanto sciocco che...>>

<<Sciocco?>> sbottò Roxanne senza riuscire a trattenersi <<Cosa ci trovi di tanto sciocco?>>

Bellamy dilatò le narici infastidito. Riluttante spostò lo sguardo su di lei. <<Tante morti per nulla.>>

<<Cosa c'è di più nobile di morire per amore?>> domandò Roxanne gesticolando. Bellamy aprì la bocca per replicare, ma lei lo precedette. <<Ah, giusto, dimenticavo. Cosa ne puoi mai capire tu? Non hai idea di cosa sia l'amore.>>

Una furia incontrollata incendiò gli occhi del ragazzo. Il suo ringhio si propagò a macchia d'olio nel silenzio asfissiante in cui era caduta la classe. Tutti li fissavano con il fiato sospeso. Persino la professoressa sembrava allibita. <<E tu, invece, che non riesci a vedere l'amore neanche quando ti sta sotto al naso da anni?>> inveì lui.

A quel punto, la signora Gesner sembrò riprendersi quel tanto che bastava per farfugliare: <<Ehm... bella discussione ragazzi, ma andiamo avanti.>>

La lezione procedette al meglio e tutti sembravano pendere dalla labbra della professoressa, ma Roxanne aveva la testa da un'altra parte e non riuscì a prestare minimamente attenzione a quelle informazioni che, per giunta, già conosceva. Sentiva nettamente lo sguardo di Bellamy su di sé e pareva potesse perforarle la schiena da un momento all'altro solo con la forza di volontà. In ogni caso non si voltò. Appena la professoressa li congedò, scatto subito in piedi e si diresse il più velocemente possibile al corso successivo.

Non riuscì però a smettere di rimuginare su ciò che Bellamy le aveva detto: non capiva a cosa si riferisse né tantomeno a chi. Per giunta, l'ultimo verso della tragedia continuava a rimbombare sinistramente nella sua testa: Ché mai vi fu una storia così piena di dolore come questa di Giulietta e del suo Romeo.

E se lei e Bellamy fossero sul punto di strappargli il primato secolare?


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