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VII - E tu, profondissimo Inferno

Non è un sogno. É reale, Roxanne. Isaac è qui.

Si ripeté per la decima volta Roxanne. Si dondolò sulle ginocchia lentamente per assorbire meglio la notizia. Sul serio, non riusciva a capacitarsene: dopo lunghe notti in cui si era svegliata stringendo il cuscino da sogni che lo riguardavano, Isaac era davanti a lei, nella realtà, evocato chissà come dalla sua immaginazione. Era tanto assurdo, da sembrare quasi uno scherzo. Davvero poco divertente, avrebbe aggiunto. Si sentiva spolpata. Appena scemata, la rabbia l'aveva lasciata dolorante: aveva il cuore in gola, i crampi allo stomaco e un'emicrania da spavento. Inginocchiata di fronte a lui sul pavimento appena lustrato continuava a fissarlo di sottecchi, notando particolari allarmanti: era più alto, più affascinante, aveva le spalle più ampie, i capelli più corti, nuove cicatrici sulle mani, un profumo leggermente diverso. Sembrava così terribilmente adulto, eppure riusciva a intravedere, sotto tutto quello strato di muscoli e vestiti scoloriti, il ragazzo cauto e pacato che era stato. Quando spostò lo sguardo dalla sua mano -ancora avvinghiata alla sua felpa- al suo viso, lei distolse lo sguardo. Non voleva specchiarsi nei suoi occhi. Ci avrebbe trovato il suo medesimo dolore. Rilassò la presa e le dita scivolarono via. Si alzò, si spazzolò i pantaloni unti e si voltò per andarsene.

<<Aspetta>>. Isaac si mise in piedi e le si avvicinò a passi incerti. Non voleva invadere i suoi spazi, Roxanne se ne rendeva conto dalla lentezza con cui si era mosso, però la sua vicinanza e la sorda rabbia che le ronzava dentro le fecero accapponare la pelle. Lo guardò dal basso verso l'alto, come una bambina: aveva il viso completamente tumefatto e chiazze di sangue gli macchiavano mani, felpa e buona parte del volto. Non la toccò, ma l'intensità del suo sguardo nero le scombussolò l'anima. <<Mi dispiace.>> sussurrò e lei seppe che era sincero. Sapeva discernere le sue verità dalle sue menzogne.

<<Lo so.>> mormorò di rimando <<Vorrei tanto che potesse bastare>>.

Isaac spalancò gli occhi neri. <<Io potrei... se...>> farfugliò.

<<No. Non c'è nulla che tu possa fare, Isaac>>. Il ragazzo abbassò lo sguardo avvilito. <<Vorrei solo capire come cazzo tu sia finito in questo college di merda!>> sbottò stizzita.

Isaac si morse il labbro superiore e rilassò leggermente le spalle, poggiando il peso del corpo su una gamba sola. <<Avevo bisogno di staccare la spina. Detroit è diventata asfissiante per me>>. Sospirò. <<E Windsor, per quanto sia vicino casa, è comunque fuori dalla giurisdizione dei Clan. Ma questo lo sai già, vero Roxanne?>> disse con una franchezza disarmante.

La ragazza, sentendosi improvvisamente prevedibile come un libro aperto, arrossì. Odiava l'idea che lui la conoscesse così a fondo. <<Non sei l'unico a sentirsi soffocare.>> gracchiò.

<<Siamo semplicemente scappati nello stesso posto>>. Isaac sorrise timidamente e, anche se era sporco e incrostato di sangue, Roxanne lo trovò tremendamente dolce. Quasi le dispiacque di aver pestato. Quasi.

Alzò gli occhi al cielo. <<Davvero patetico>>.

Isaac ridacchiò e una bolla di sangue gli si formò all'angolo della bocca. Si tirò su un angolo della felpa per pulirsi scoprendo una grossa porzione di pelle liscia e muscoli tonici. Roxanne lottò con tutta sé stessa per non abbassare lo sguardo. Quando lui tornò a posare gli occhi su di lei, sperò di non essere rossa come un peperone da capo a piedi. <<Come hai fatto a fuggire questa volta?>>.

<<Ti sorprenderà, ma sono qui con il permesso di mio padre.>> sghignazzò del tutto fiera di se stessa. Per un attimo si sentì catapultata indietro nel tempo a quando lei e Isaac si raccontavano le bravate compiute nascosti sotto strati di coperte di seta nella Reggia. Sembrava passata un'eternità dalla loro infanzia.

<<No, non mi sorprende. Riesci sempre in quello che vuoi.>>. Sollevò un angolo della bocca. <<E poi, ho sentito dell'iniziazione>>.

Roxanne si passò una mano sul viso, repentinamente esausta. L'aria, se possibile, le sembrava ancora più asfissiante. <<Si, be', faceva parte del piano.>> disse puntando gli occhi nei suoi <<E, comunque, avevamo promesso che l'avremmo fatta insieme. Io, a differenza di qualcun altro, tengo fede alla parola data>>.

Isaac incassò il colpo, ma cercò di non darlo a vedere. <<Ricordo il giorno in cui lo decidemmo. Era il tuo quindicesimo compleanno. Ti stavo aiutando a farti i boccoli e ti ho bruciato un orecchio>>. In sincrono, sorrisero nel ripensarci. <<Portavi una gonna a quadri lilla e il maglione di tuo fratello. Ti stava enorme>>.

Lei non lo ricordava. In compenso, però, avrebbe potuto descrivere quanto si fosse sentita riconoscente verso di lui per averle tenuto compagnia tutto il giorno. Quello era stato il suo primo compleanno senza Bellamy. Doveva ancora abituarsi all'idea di non averlo con lei.

<<È stato il giorno in cui ho fatto coniare gli anelli.>> disse Isaac sfilando da sotto la felpa la catenina che aveva al collo. Vi era appeso un sottile anello d'argento. Era troppo lontana per poter leggere le parole al suo interno, ma avrebbe potuto recitarle ad occhi chiusi. Non nobis solum nati sumus.

<<Non siamo nati solo per noi stessi.>> mormorò strabiliata: non si aspettava che dopo tutti quegli anni lui la portasse ancora ogni giorno. Specialmente dopo l'esilio. Aveva creduto che lui non volesse ricordare più nulla della sua vita precedente. Neanche di lei.

<<Avresti dovuto immaginare che non avrei mai potuto metterla via.>> disse in un sussurro afferrando i suoi pensieri. I loro sguardi si incrociano e Roxanne non scorse altro che sofferenza. Sembrava sul punto di divorarlo completamente. <<Credevo davvero che fossimo nati per stare insieme>>.

Quelle parole le fecero così male che gli occhi le si riempirono di lacrime. Il cuore le batteva all'impazzata e lo stomaco le fece un volo nel vuoto di tre piani. Adesso sentiva anche lei tutta quella incurabile tristezza, proprio lì, nel petto, nel suo cuore infranto. Quello era davvero il suo Isaac, stracolmo di emozioni genuine e parole giuste per descriverle. Era ancora arrabbiata, certo, ma lui le era mancato talmente tanto... aveva temuto che non sarebbe mai più tornata a respirare senza di lui, che non si sarebbe mai più sentita completa, ma per sempre una metà di un intero. E adesso lui era davanti ai suoi occhi, a supplicare di morire; come avrebbe mai potuto accontentarlo? Si sarebbe condannata ad una mezza vita quando, in realtà, sotto tutto quel risentimento si nascondeva solo il puro e profondo desiderio di accorciare le distanze e tornare completa. Era troppo per lei. Non avrebbe resistito ancora a lungo. Doveva andar via di lì. E in fretta.

Stringendo le mani a pugno tanto forte da far sanguinare ancora di più le nocche spaccate, si fece forza e si voltò. I cinque passi che la separavano dalla porta furono ardui, le parve di camminare sui carboni ardenti, ma una volta fuori, lontana dal rumore dei respiri sofferti di Isaac, fu sempre più facile continuare ad andare avanti, allontanandosi sempre di più da quella scioccante rivelazione. 

E quello non era ancora nulla, un briciolo del dolore e del pericolo a cui sarebbe stata esposta: Isaac e Bellamy dovevano ancora scontrarsi, titani di avversione reciproca e arcana rivalità dovevano tornare ad animare le sorti del loro triangolo di amore e odio. Roxanne lo sapeva, il peggio doveva ancora venire, e sarebbe stata lei stessa a dar inizio alla battaglia. Come diceva sempre suo padre, si vis pacem para bellum, se vuoi la pace, prepara la guerra, e se c'era una cosa che aveva imparato dalla vita da gangster era proprio lottare. E vincere.

Arrivata a casa e constatato che Clarke non ci fosse, si sfilò i vestiti e li gettò a terra. Erano tanto sporchi che avrebbe dovuto lavare di nuovo anche il pavimento del bagno. Passando davanti allo specchio si guardò: era nuda tranne per una collana. La collana gemella di Isaac. Anche quando l'aveva detestato con ogni cellula del suo corpo, non aveva trovato il coraggio di toglierla, ed era rimasta lì, sul cuore. Dopo tanti anni le aveva persino lasciato il segno dell'abbronzatura. La strinse nella mano destra facendo combaciare l'anello con la leggera cicatrice che sia era procurata sul palmo, dato che alcune notti, nel sonno, l'aveva stretta tanto forte da tagliarsi. Si rigirò il piccolo anello tra le dita, che ormai non le andava più, e la sottile scritta all'interno luccicò sotto il faretto della toilette.

<<Lo credevo anch'io.>> sussurrò allo specchio, rispondendo ad Isaac. Sentiva il bisogno di dire ad alta voce che anche lei aveva sempre pensato che fossero nati l'uno per l'altra, forse ancor più di quanto lo fossero lei e Bellamy: certo, lui sarebbe stato per sempre l'amore della sua vita, ma solo Isaac era capace di completarla e tirare fuori la sua parte migliore. 

"Ed eccoci di nuovo insieme, tutti e tre, come ai bei vecchi tempi" pensò con un sorriso amaro.

 <<Fanculo.>> bofonchiò flebilmente a nessuno in particolare. Aprì la doccia e lasciò che l'acqua coprisse il suono dei suoi singhiozzi senza lacrime.

***

Di certo, la cosa in cui Roxanne riuscisse meglio nel campo della malavita era proprio rintracciare le persone: era sempre stata brava a seguire le tracce, mettere insieme gli indizi e scrutare a fondo gli animi. Talento che non le era mai parso così utile se non, forse, alle battute di caccia con suo padre.

Trovare l'alloggio di Isaac fu talmente semplice che quasi si vergognò di non aver carpito prima la sua presenza in quel college: era una vera e propria frana a nascondere il proprio passaggio. Trovato il numero dell'alloggio, fu fin troppo facile lasciar scivolare un biglietto sotto la sua porta. Non aveva nessuna voglia di bussare e consegnargliela di persona.

Tutta un'altra storia fu attirare l'attenzione di Blake senza insospettire nessuno: essere la coinquilina della sua fidanzata non la aiutava per niente. Non poteva chiedere a Clarke perché, in tutta sincerità, non voleva sforzarsi a trovare una scusa che la convincesse a lasciarla sola con il suo ragazzo che, a quanto ne sapesse lei, Roxanne aveva appena conosciuto. Dunque decise di provare con un altro approccio: si recò alla confraternita Omicron con un bel paio di jeans chiari e una maglioncino verde acqua e chiese di Max. Lui la raggiunse tanto in fretta che non ebbe neanche il tempo di accomodarsi. Quella sala, senza gli addobbi e l'odore terribile delle feste, sembrava un cottage di montagna: soffitti a spiovente, travi a vista, legno massello e camino gigantesco. Max sembrava intonarsi perfettamente all'arredamento e all'atmosfera: indossava dei pantaloni cachi e un leggero maglioncino nero da cui fuoriuscivano leggermente il colletto e le maniche di una camicia a scacchi.

<<Ehi>>. Max la salutò occupando il suo campo visivo. Si accomodò accanto a lei sul divano bordeaux mentre si sfilava un paio di occhiali da vista dalla montatura sottile.

Lei gli rivolse un sorriso. <<Ciao, Max Henderson>>.

<<Fai sembrare il mio nome una poesia.>> disse con un sorriso ricco di fascino. Roxanne per poco non si sciolse: lui era tanto affascinante da renderla nervosa. Inoltre, il fatto che tutte le persone presenti in quella stanza li stessero fissando, non la aiutava di certo. Fingendosi imbarazzata, abbassò lo sguardo riponendosi una ciocca di capelli dietro l'orecchio. <<A cosa devo l'onore di questa piacevolissima visita?>>.

<<Avrei bisogno di un favore per rendere una storia d'amore ancora più perfetta>>. Per poco non vomitò nel pronunciare quelle parole: il fidanzamento tra Clarke e Bellamy non era altro che una bella e sofisticata bugia, impacchettata e infiocchettata per bene. Max, d'altro canto, sembrò cogliere a volo.

<<Fammi indovinare: parli di Clarke? Lei e Bellamy sono davvero la coppia più sdolcinata del campo.>> ridacchiò accompagnando il tutto con la simulazione di un conato. Roxanne ebbe voglia di dargli un bacio in bocca per la felicità.

Finse di tirare un sospiro di sollievo. <<Ah menomale, almeno non sono l'unica a pensarlo!>>.

<<No, non preoccuparti.>> sghignazzò <<In ogni caso, si fa tutto per un amico, no? Dimmi pure, di che si tratta?>>

Roxanne frugò nella tasca del giubbino e ne estrasse una busta bianca spiegazzata. Sopra c'era scritto "Bellamy" in un corsivo pendente verso destra. <<Ho trovato questa lettera nell'appartamento e non ho potuto resistere: l'ho letta!>> sussurrò porgendogli la busta. Quando lui l'afferrò per staccare la colla lei gli tirò un leggero schiaffo sulle mani e la riprese. <<Ehi! Non sei autorizzato a leggerla!>>.

<<Ma neanche tu lo eri!>> esclamò mettendo il broncio. Quando fece labbruccio, Roxanne non poté trattenere un sorriso.

Alzò gli occhi al cielo. <<Non è importante in questo momento. Dicevo... ho visto la lettera e ho pensato di darla a Bellamy prima che Clarke se ne penta: so che legalmente è una violazione della privacy>> ammise alzando le mani <<però credo sia talmente bella che, se decidesse di non consegnarla, sarebbe davvero uno spreco. Non possiamo permetterlo>>.

Max alzò le sopracciglia. <<Tu sei pazza quasi quanto la tua amica.>> rise portandosi una mano tra i capelli. Si grattò il ciuffo riccio pensoso. <<Quindi, tirando le somme, vuoi che la dia a Bellamy? Tutto qui?>>.

<<Esattamente.>> annuì Roxanne <<E che tenga la bocca chiusa su chi ti abbia dato la busta. Mi raccomando, ne va della mia vita: Clarke sarebbe capace di sgozzarmi nel sonno>>. Mimò il gesto e si poggiò al cuscino fingendosi morta.

Max rise di gusto. <<D'accordo, d'accordo, sarò muto come un pesce>>. Roxanne gli passò la lettera.

<<Mi raccomando, mi fido di te.>> si raccomandò lei alzandosi in piedi.

Max la imitò. <<Non ti deluderò.>> sussurrò chinandosi su di lei. Il suo fiato caldo sulla pelle la fece rabbrividire. Le lasciò un leggero bacio sulla guancia. Quando si rimise dritto le fece l'occhiolino. <<Adesso staranno tutti morendo d'invidia.>> bisbigliò alludendo alla conversazione che avevano avuto alla festa. Le guance di Roxanne si tinsero di rosso e, prima che potesse sentirsi ancora più in soggezione di quanto già non fosse, si voltò per andarsene. <<Roxanne.>> la chiamò <<Non ho dimenticato il nostro conto in sospeso!>>.

La ragazza si voltò per sorridergli scuotendo il capo. <<Alla prossima, Henderson>>.

***

Già la sola presenza di Roxanne nella sua confraternita bastava a rendere Bellamy Blake incredibilmente nervoso, se poi gli si sommava il fatto che fosse venuta per vedere Max, il suo migliore amico, il suo malumore rischiava di friggergli il cervello.

Aveva visto Roxanne arrivare dalla finestra - si metteva a suonare la chitarra lì sotto tutti i pomeriggi - e, quindi, era uscito per raggiungere l'androne. Quando poi aveva visto Max scendere i gradini due alla volta e andarle incontro si era fermato, fremente di rabbia. Nonostante si fosse sforzato, non era riuscito ad impedirsi di spiarli e, nascosto dietro la balaustra, aveva visto Max baciarla prima che lei andasse via. Gli si era fermato il cuore, obbligandolo al suolo per un attimo. Un attimo che era bastato a far in modo che Max lo raggiungesse.

Quando lo vide, rannicchiato nelle ombre, inarcò un sopracciglio. <<Mi stavi per caso spiando?>>. Bellamy si mise in piedi di scatto tirandogli un'occhiata di sbieco. Anche da eretto era leggermente più basso dell'amico. <<Si, ci stavi palesemente spiando.>> concluse Max senza lasciar spazio a mezzi termini.

<<Era Roxanne, vero? La coinquilina di Clarke?>> chiese come se non conoscesse già la risposta.

Max alzò un angolo della bocca. <<Sì, era lei. É venuta a trovarmi>>.

<<Ti piace?>> si costrinse a domandare. Era tremendamente spaventato dalla risposta.

<<Da impazzire.>> rispose di getto. << Muoio dalla voglia di farmela, però mi sembra tanto tipa da smancerie e relazioni serie.>> aggiunse borbottando. Sembrava tremendamente eccitato e la cosa disgustò Bellamy profondamente. Serrò forte i pugni per trattenersi dallo spaccare il naso al suo amico: non poteva accettare di sentir parlare così di Roxanne, neanche se si trattava di Max.

<<Dio, contieniti!>>.

Max lo guardò stranito. <<Senti un po' da che pulpito arriva la predica! Hai fatto commenti sconci su tutte le ragazze del campo negli ultimi due anni e adesso ti sconvolgi così in fretta? La relazione con Clarke deve averti dato proprio alla testa, amico>>.

Bellamy lo fissò per qualche secondo, valutando bene le parole da utilizzare. <<É la coinquilina della mia fidanzata, lei le vuole bene e non voglio che un idiota come te le spezzi il cuore.>> disse mitigando la fermezza della sua voce in un tono forzatamente scherzoso.

Max scosse la testa tirandogli un pugno fraterno sul braccio. <<Ti stai rammollendo, Bell>>. I suoi occhi si illuminano improvvisamente. <<A proposito di Clarke, ho una cosa per te>>. Gli porse una busta spiegazzata. <<Pensa a questa la prossima volta che farai pensieri perversi su Roxanne.>> ammiccò Max.

Bellamy per poco non si strozzò con la sua stessa saliva. <<Scherzi?>> sibilò.

Max fece spallucce. La luce fioca del corridoio gli illuminò per un attimo una parte del volto olivastro. <<Ho visto come la guardi.>> rivelò. Bellamy non se la sentì di contraddirlo: avrebbe solo peggiorato la situazione. <<Non prendertela troppo quando la inviterò ad uscire>>.

<<Stalle lontano.>> disse caricando quelle due parole di tutta la fermezza di cui era capace. Max, in un primo momento, lo guardò preoccupato, quasi come se avesse intuito che Bellamy non ci avrebbe pensato due volte a spezzargli un osso se lo avesse contraddetto, ma, poi, un sorriso sardonico gli si allargò sul viso.

<<Le vuoi proprio tutte per te, eh?>> domandò dandogli le spalle. I ricci scuri gli ondeggiarono intorno alla nuca.

Blake si sentiva terribilmente frustrato: voleva bene a Max, ma c'erano svariati motivi che lo spingevano a tenerlo alla larga da Roxanne. Primo tra tutti: nonostante non godesse di una cattiva fama nel college, Max era davvero un esperto Don Giovanni. Sapeva alla perfezione come comportarsi con le ragazze, riusciva ad ammaliare senza grandi sforzi e Roxanne non si meritava certo di essere buttata via dopo aver soddisfatto i desideri del suo amico. In secondo luogo, non aveva nessuna intenzione di coinvolgere anche Max nella frenetica e mortale vita da malavitosi, Clarke già lo preoccupava abbastanza. Roxanne, essendo cresciuta nella Reggia, al sicuro nella sua prigione di vetro, non aveva mai avuto modo di esercitarsi e non era brava quanto lui a nascondere la sua vera identità. Avrebbe potuto provocare un vero e proprio bagno di sangue e lui non era disposto a mettere a rischio Max. E, inoltre, c'era anche la vaga possibilità che lui non fosse pronto a vedere il suo vecchio amore con un altro. Specialmente se per "un altro" si intendeva il suo migliore amico. <<Per una volta, fidati di me, Max.>> lo supplicò Bellamy.

<<Neanche la conosci!>> sbottò Max allontanandosi nel corridoio e troncando la conversazione. Non si voltò. Raggiunse la sua camera e sbattè la porta dietro di sé.

Bellamy si strofinò il viso stanco. <<Quanto vorrei potesse essere vero.>> bisbigliò lasciando che la frase aleggiasse nell'aria. Non conoscerla avrebbe cancellato il dolore. Abbassò gli occhi grigi sulla lettera. Sapeva perfettamente che era da parte di Roxanne, non della sua fidanzata. Clarke scriveva in modo molto più tondeggiante, mentre Roxanne aveva una scrittura aspra, spigolosa, tendente verso destra. Sembrava la calligrafia di una donna d'altri tempi; tempi in cui ancora si consegnavano lettere scritte a mano. Aveva messo su tutta quella messinscena solo per dargli quel foglio. E questo poteva significare solo una cosa: guai. Si diede un'occhiata sospettosa intorno e, notando un paio di ragazzi nel corridoio dietro di lui, si diresse in camera sua e fece un giro di chiave. Staccò con delicatezza la colla per non distruggere la busta. All'interno ci trovò un foglio di carta ripiegato che riportava queste parole scritte in fretta e furia:

Bellamy, ho una questione terribilmente urgente da sottoporre alla tua attenzione. Credimi, siamo in una situazione ancor più delicata di quanto possa sembrare. Vediamoci stasera a mezzanotte nel parcheggio delle auto. Non portare armi. Abbi fiducia, ne va della tua incolumità.

Roxanne

P.S. Scusa per la messinscena davvero pietosa, ma non ho trovato altro modo discreto e veloce per contattarti.

Nonostante il testo l'avesse scosso, il postscriptum di Roxanne lo fece sorridere; poteva quasi immaginare la sua faccia corrucciata mentre lo scriveva. Guardò l'orologio nero che teneva al polso: erano appena le sette di pomeriggio. Sapeva già che il tempo sarebbe passato molto lentamente a causa dell'ansia e l'impazienza di prendere parte all'incontro. Ripiegò la carta e la infilò di nuovo nell'involucro, ignaro che, dall'altro capo dell'istituto, Isaac Hale si stava preparando per il medesimo appuntamento.

***

Ovviamente, la regola imposta ai ragazzi di non portare armi, non valeva per Roxanne: avendo organizzato lei l'incontro e, rivestendo il ruolo di mediatrice tra i due, si sentiva autorizzata a non rispettare quei termini. Prese, quindi, una Beretta Px4 Storm (nera, leggera e facile da maneggiare) dall'armadio e la nascose nella cintura. Si assicurò di coprirla ben bene sia con la felpa che con il giubbotto prima di uscire dalla sua camera. Non c'era motivo di far sapere che aveva rotto le condizioni se non fosse successo nulla di pericoloso.

<<Ehi Clarke, io esco, ci vediamo tra un paio d'ore.>> esordì Roxanne rivolgendo un cenno alla ragazza appallottolata in una coperta di pile rosa shocking.

<<Anche tu! Che palle! Anche Bellamy non c'è e speravo che potessimo guardare un film insieme...>> cinguettò facendo sbucare la testolina scura da sotto il tessuto.

<<Mi dispiace, mi avrebbe fatto davvero piacere>>. Ed era sincera: Clarke cominciava ad andarle molto a genio. Era una boccata di genuinità e novità in quel contesto turbolento.

<<Rimandiamo a domani?>> propose speranzosa.

Roxanne annuì con un sorriso. <<Assolutamente si>>.

<<Perfetto! Preparerò la pizza, i popcorn, i...>> cominciò Clarke, ma Roxanne si sentì in dovere di interromperla.

<<Direi che possano tranquillamente bastare. Adesso vado, a dopo>>.

Aspettò che Clarke ricambiasse il saluto e chiuse la porta. Si incamminò senza fretta al punto d'incontro dato che era in largo anticipo. Mossa dal nervosismo, aveva iniziato a prepararsi troppo presto e, alla fine, non aveva più resistito a casa ed aveva deciso di uscire. L'aria era fredda, pungente sul viso, però era pulita, senza lo smog caratteristico di Detroit. Se alzava la testa, dietro la coltre di nuvole scure, riusciva a distinguere tantissime stelle. Era una delle cose che più apprezzava di Windsor.

Il parcheggio distava poco dal palazzone centrale dei dormitori, era un luogo alquanto desolato e buio ed era proprio per questo che era stato scelto da Roxanne: riunire il trio davanti ad altre persone avrebbe sicuramente fatto saltare la loro copertura e gli avrebbe portato un sacco di guai. Il posto era inondato di nebbia, ma nonostante ciò Roxanne riuscì ad individuare una figura immobile, appoggiata contro una costosa auto sportiva nera. Non aveva bisogno di vederlo in viso per riconoscere in lui Isaac Hale. Avrebbe dovuto aspettarsi di trovarlo già lì: era un maniaco della puntualità e, nelle occasioni importanti, si presentava sempre molto prima dell'orario prestabilito. Avvicinandosi in silenzio, poté prendersi un po' di tempo per osservarlo a fondo senza essere notata; il deterioramento del loro precedente rapporto le permetteva finalmente di vederlo al di là del filtro del bene fraterno e quella nuova prospettiva la incuriosiva molto. Ogni volta che lo guardava, adesso, le pareva di riscoprire un ragazzo del tutto diverso e lo trovò bello come lo sono i cherubini nei quadri rinascimentali: alteri, marmorei e ben al di sopra delle futilità umane. Doveva ammettere che, pensare ad Isaac come ad un ragazzo che avrebbe potuto attrarla, le fece uno strano effetto. Indossava una camicia bianca sotto un maglione nero dall'intreccio molto semplice; entrambi sporgevano su dei jeans chiari e un paio di Nike Air dall'aria consunta. I capelli biondi, a causa dell'elevato tasso di umidità, gli si arricciavano sulle tempie e sugli occhiali da lettura. Era immerso in un libro sottile e rovinato, uno di quelli che aveva sicuramente riletto decine di volte, e questo gli conferiva un'espressione rilassata, facendo risaltare i suoi lineamenti delicati e armoniosi. Si era ripulito dalle macchie di sangue e Roxanne poté rendersi veramente conto di quanto avesse picchiato forte: era pieno di lividi violacei, segni rossi di dove l'aveva colpito con le nocche e graffi che cominciavano a coagularsi. Per un attimo si sentì una vera stronza, ma poi ricordò cosa Isaac le avesse fatto passare e il senso di colpa sparì repentinamente. Quando lo raggiunse, lui alzò il volto e, dopo averla messa a fuoco, le sorrise.

<<Non ti ho sentita arrivare.>> ammise chiudendo il libro ormai definitivamente incurvato. Roxanne si sporse per riuscire a scorgere la copertina illustrata, ma Isaac la precedette. <<Le Metamorfosi.>> disse con l'aria di chi sa di essere colpevole.

<<Sul serio? Ancora?>> esclamò incredula Roxanne. La tensione che le opprimeva il petto diminuì notevolmente adesso che era in sua compagnia.

Isaac si strinse nelle spalle. <<Tu hai il Padrino, io ho le Metamorfosi. Sai perfettamente che è impossibile resistere>>. Roxanne aprì la bocca, ma poi la richiuse non trovando modi per rispondere a tono. Riconosceva di essere una patita compulsiva per quella trilogia di film. Alzò le mani in segno di resa. <<Allora? Cos'è che dovevi dirmi con tanta urgenza?>> domandò mestamente alzando un sopracciglio.

<<Io...>>. Tornata ansiosa come non mai, Roxanne si voltò a scrutare la nebbia. <<C'è... c'è una cosa che potrei aver omesso nella lettera...>> biascicò senza guardarlo in faccia.

Isaac dovette afferrare al volo il suo stato d'animo perché disse: <<Di che si tratta, Roxanne? Cominci a rendere nervoso anche me>>.

E proprio mentre pronunciava quelle parole, la foschia si diradò e Bellamy si materializzò a pochi metri da loro. Era vestito di tutto punto e con i capelli scompigliati ad arte; sarebbe parso un ragazzo comunissimo pronto a passare a prendere la fidanzata per un appuntamento se non avesse sfoggiato un espressione tanto adirata. Trasmetteva puro pericolo ed incuteva timore solo con lo sguardo, era palese che non fosse un semplice mondano. Anche se Bellamy non l'aveva degnata neanche di un briciolo d'attenzione, Roxanne ebbe quasi voglia di fare un passo indietro per allontanarsi da lui. Ogni fibra muscolare del corpo del ragazzo era tesa verso Isaac. Lo fissava come se morisse dalla voglia di macchiare il suolo del parcheggio con il suo sangue ancora caldo. Roxanne aveva più di un semplice presentimento che fosse esattamente ciò che era in procinto di fare.

<<Bellamy Blake.>> sputò Isaac. Ogni lettera impregnata di veleno e disgusto. Sembrava confuso e basito quasi quanto lo era stata lei di trovarlo lì, eppure il risentimento che provava per lui era del tutto intatto.

Bellamy si mosse minaccioso verso di lui, passo dopo passo pareva farsi sempre più imponente e micidiale.

<<Bellamy, ti prego...>> provò a spiegare Roxanne facendo qualche passo nella direzione di Isaac. Continuava a sperare di non dover tirare fuori la pistola, ma non avrebbe esitato a frapporsi tra i due: se lei era riuscita a non reclamare vendetta, allora anche loro avrebbero dovuto trattenersi.

Bellamy parlò senza neanche guardarla. <<Levati di mezzo, Roxanne.>> proferì con un tono tanto intransigente che la ragazza si sentì quasi costretta ad ubbidire.

<<Che diamine vuoi fare, Bel...>>. Il suo nome gli morì in gola. Nonostante lo fece con una velocità disarmante, distinse perfettamente il luccichio dell'arma quando Bellamy la estrasse dalla tasca.

Prima ancora che uno dei due potesse realizzare cosa stesse succedendo o muovere anche un solo muscolo, tuonò: <<Ci vediamo all'Inferno, Isaac Hale>>.

Bellamy scagliò il coltello.

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