V - Questo dolente Buio
Roxanne, Roxanne, Roxanne.
Erano ore che Bellamy giaceva scompostamente sul letto, fissando il soffitto bianco, mentre quel nome gli frullava nella testa come uno sciame di api fastidiose e il cielo fuori dalla finestra cominciava a schiarirsi per far posto all'alba. Era tanto turbato da aver lasciato che Clarke tornasse da sola al dormitorio dopo aver fatto l'amore. Non era riuscito a trovare la forza di chiederle di restare, perché in cuor suo sapeva che sarebbe stata una presa in giro: Roxanne era il suo unico pensiero da giorni.
Non avrebbe mai immaginato di vederla fuori dai confini di Detroit e, di certo, non si sarebbe aspettato che tutti e due sarebbero sopravvissuti all'incontro. E invece era apparsa dal nulla, come la luce abbagliante di un faro in mezzo alla tempesta: era ancora più bella di come la ricordasse, era maturata, aveva i capelli più chiari e le lentiggini più fitte, il corpo di una donna e l'odore di sempre. Sospettava che non fosse un caso che indossasse il suo profumo preferito; Roxanne, quando era arrabbiata, tendeva sempre ad essere alquanto provocatoria. Era un difetto che aveva amato di lei, uno dei tanti che gli si erano rovesciati addosso quando l'aveva vista nell'appartamento della sua fidanzata. Un tiro davvero cattivo da parte del destino. Era così sbalordito da non riuscire a dormire da giorni: era in stallo, cercava disperatamente di metabolizzare la sua presenza lì. Fino alla settimana prima, il college era stato un luogo sicuro, un'oasi al di fuori del Clan, delle Leggi, di suo padre e di tutto il dolore che lo attanagliava. Un posto lontano dai suoi doveri, dalla responsabilità, dal suo sangue e, soprattutto, da Roxanne. Lei era il più grande rimpianto della sua vita e stava lottando con tutte le sue forze da anni per non sprofondare nella più completa disperazione quando pensava a lei: si odiava per quello che era accaduto. Durante i ventotto mesi precedenti, non aveva fatto altro che detestarsi, sussultare al solo sentir pronunciare il nome della ragazza, nascosto le foto che le aveva scattato in fondo all'armadio, evitato di guardare la cicatrice che, da bambini, lei le aveva inflitto sul labbro mentre si stavano allenando. Era un segno innegabile e indelebile che lo aveva aiutato ad ancorarsi all'idea che, per tanto tempo, lei lo aveva amato; non era stato tutto una crudele invenzione della sua mente. Eppure, questo non faceva altro che rendere il suo tradimento più bruciante, la sue mani sporche del sangue della donna che aveva amato con tutto se stesso.
Roxanne non sapeva tutta la verità, non conosceva il vero motivo per cui era avvenuta quella tragedia, per cui era stata privata della sua dignità, e Bellamy si struggeva per questo, ma sapeva che non sempre la conoscenza lenisce le ferite. Spesso si ritrovava a chiedersi quanto tempo avesse impiegato Roxanne per iniziare vagamente a guarire... a mandare giù la perdita del fratello, del migliore amico e del fidanzato nell'arco di un paio di anni. Qualunque altra persona ne sarebbe uscita distrutta, invece lei sembrava splendente e magnifica come sempre, un lampo a ciel sereno. Sapeva che il loro incontro l'aveva sconcertata, gliel'aveva letto negli occhi quando avevano incrociato, per la prima volta dopo due anni, i suoi. Per lei doveva essere così difficile guardarlo in faccia... Bellamy non si sarebbe stupito se gli avesse sparato. Avrebbe accettato la morte come un palliativo al tormento della vita.
È ciò che meriti, si disse. Se non fosse stato così egoista, avrebbe lasciato Windsor, liberato Roxanne dal fardello di vederlo tutti i giorni in giro per il campus. Voleva proteggerla da quel dolore, almeno. Ma era debole. Tornare a Detroit significava precipitare nell'abisso d'orrore che era diventata la sua casa dopo la scomparsa di sua madre: suo padre si era gettato a capofitto nella sua assurda guerra contro i Ward, coinvolgendo anche i Moore nel bagno di sangue. Ignorava l'esistenza dei figli, troppo impegnato a reclamare vendetta, e Bellamy sospettava che suo fratello Theo stesse prendendo la sua stessa strada oscura senza un genitore sano a fargli da mentore. Aveva sperato che le sue sorelle maggiori prendessero le redini della famiglia, riportando un po' di ordine, ma erano sfuggite anche loro ai tentacoli dei loro oneri: Lilian si era persino sposata, cosa a cui non era mai stata propensa, pur di scappare lontano dal padre. Tutte le responsabilità della casa erano ricadute su di lui: doveva badare a suo fratello, alla gestione della villa di famiglia, ai traffici di droga, alle iniziazioni. Suo padre non aveva più la lucidità per farlo, dunque se ne occupava lui, all'oscuro di tutti. Bellamy era preoccupato, troppe incombenze gli frullavano nella testa e non aveva nessuno con cui parlarne. Era sempre stata Roxanne la sua confidente, il suo scrigno di segreti e lo specchio da cui scorgeva la verità, e, dopo essere stati separati, lui non aveva voluto né potuto sostituirla. Clarke era dolce e carina, certo, ma in realtà non sapeva nulla di veritiero sul suo conto: era tutta una storiella, intessuta di falsi drammi e traumi infantili. Una piacevolissima distrazione dalla realtà. Max, d'altro canto, era un amico leale e gli sarebbe davvero piaciuto poter parlare apertamente con lui, però le Leggi lo vietavano categoricamente. Sarebbe stato radiato fuori per una cosa del genere.
Si rigiró l'anello di famiglia al dito: era doppio, con una grossa gemma blu incastonata al centro da cui si diradavano le parole del loro motto. "Donec ad metam". Tutti gli eredi del Clan ne portavano uno. Era una tradizione centenaria, a sentir dire il suo tutore. A quanto pareva, i mafiosi di Detroit erano sempre stati convinti di essere molto più simili a nobili che alla feccia che in realtà erano stati in principio, e, questa consuetudine, era una delle tante prove della loro ossessione.
Anche Roxanne, per quanto si ostinasse a rifiutare il suo destino, non lo levava mai: l'aveva indossato subito dopo la morte di suo fratello maggiore, sobbarcandosi così dei suoi compiti. "Et ventis adversis", "anche con venti avversi", recitava il suo, e Bellamy lo trovava molto coerente al carattere dei Moore: Roxanne era la persona più resiliente, impavida e intelligente che avesse mai avuto l'onore di conoscere. L'aveva vista combattere contro ogni genere di pericolo ed incombenza, ogni dolore dell'anima e del corpo, e ne era sempre uscita a testa alta. Nonostante la conoscesse dalla tenera età, non smetteva mai di sorprenderlo. A volte quasi tremava all'idea di non poter provare la stessa profonda ammirazione per qualcun'altra: in qualche modo sapeva che era stata una di quelle benedizioni che ti capitano una sola volta nella vita.
Scosse forte la testa e cercò di scacciare il ricordo delle sue dita tra i capelli di lei, la sua espressione buffa quando cercava di trattenere una risata, il modo reverenziale in cui lo guardava prima. Doveva proteggerla, e farsi odiare era il metodo più efficace. Del resto, c'era riuscito davvero bene senza neanche doversi impegnare più di tanto.
***
Roxanne era in un prato verde senza fine, al lontano orizzonte si intravedeva il calar del sole e lei era sdraiata sotto quello che sembrava l'unico albero esistente. Il cielo era percorso da striature rosse e arancioni e il sole era quasi del tutto nascosto dietro le colline coltivate, mentre la luna faceva la sua ascesa nel centro della volta celeste. Tutto irradiava pace e calore e il suo cuore si rilassò beatamente nella gabbia toracica. La fitta chioma della quercia secolare sopra di lei procurava una piacevole ombra mentre gli ultimi raggi ancora scaldavano l'ambiente circostante. Roxanne cercò a tentoni il suo blocco da schizzi per imprimere quel momento sulla carta, ma non lo trovò, così si abbandonò contro il tronco possente dietro di sé e chiuse gli occhi. Sembrava un'altra vita; avrebbe potuto abituarsi al non dover essere sempre in allerta, al non convivere con la paura.
Poi, come spuntata dal nulla, comparve una sagoma che scendeva il pendio ad un centinaio di metri dalla ragazza: l'andatura un po' ciondolante a causa di un infortunio dal quale non era mai del tutto guarito, i capelli dorati che risplendevano di luce propria. Ci volle giusto un secondo per permetterle di capire chi fosse e si alzò per corrergli incontro. Isaac Hale, il suo migliore amico d'infanzia, la accolse a braccia aperte e Roxanne ci si tuffò dentro senza troppo indugio: la sua stretta era salda, ma non invasiva, come se avesse avuto paura che potesse spezzarsi. Senza sciogliere l'abbraccio lo guardò in volto: la pelle marmorea del suo volto angelico era illuminata dall'ultima luce del giorno e il pallore di questa metteva in risalto i suoi occhi neri e profondi come il nulla. Le sorrise scoprendo le sue due file di denti perfetti e le lasciò un delicato bacio sulla fronte: le sue labbra erano morbide, ma fredde come la Morte.
Camminarono per quelle che sembrarono ore immersi in una di quelle conversazioni che riusciva ad avere solo con Isaac, ma, nonostante fosse un sogno paradisiaco, Roxanne continuava a sentire uno strano fastidio sbattere contro la porta del cervello, come se ci fosse qualcosa di tremendamente sbagliato in tutto quello. Giunsero ad un lago che sembrava un'oasi nel pieno del deserto: non c'era nient'altro di vivo in quella pianura selvaggia. Anche se era molto lontano da ciò che aveva ammirato tra le colline, era uno spettacolo altrettanto mozzafiato: la luna mandava riflessi argentati sulle calme acque dello stagno, le quali erano talmente limpide che potè vederne il fondo abitato da pesci di ogni colore e forma. Si inginocchiò tra i ciottoli grigi che fungevano da riva e fissò incantata il mondo marino tirare avanti una vita completamente diversa da quella umana.
D'un tratto qualcosa attirò la sua attenzione: il suo riflesso nel lago era contorto e sbiadito, ma, da quel che poteva vedere, era ricoperta di sangue, i capelli incrostati appiccicati sulla fronte e il collo. Il lago si tinse improvvisamente di rosso e i corpi senza vita dei pesci furono trasportati dalla lenta corrente sulla spiaggia. Gridò a piena voce e, inorridita, si voltò verso Isaac, il quale, con un ghigno malefico, la spinse dentro l'acqua.
Cadde all'indietro per un tempo infinito, finchè lo scenario cambiò ed intorno a sè si animò la burrasca. Terrorizzata, provò a nuotare, ma non riusciva a capire dove fosse il sopra e dove fosse il sotto e, più tentava di risalire in superficie, più veniva sbattuta verso il fondo. Cercò di prendere un respiro, ormai a corto d'aria, ma l'acqua le entrò in gola facendole bruciare i polmoni: forse era davvero la fine. La consapevolezza della Morte la invase come una valanga, cercò di dimenarsi e di scappare, ma si impossessò di lei e così, distrutta, si lasciò andare a quella forza superiore. La sua mente si annebbiò velocemente, i pensieri scivolavano via come l'olio e il tempo si contorceva come ne "La persistenza della memoria" di Dalí.
La vita aveva quasi del tutto lasciato il corpo di Roxanne quando due mani forti la presero per le spalle e la tirarono su con forza. Pochi secondi dopo era in superficie e, dopo aver tossito più e più volte, l'aria arrivò al cuore come una sfera infuocata. La sua testa era un tumulto di suoni e visioni che non riusciva a comprendere. Quando finalmente riuscì a mettere di nuovo a fuoco il mondo che la circondava, notò due occhi grigi che la guardavano in bilico tra la rabbia e l'apprensione. Bellamy l'aveva salvata e la stava trascinando verso la riva. Poteva sentire le sue spalle rigide sotto il suo tocco, i suoi addominali perfettamente tesi. Si strinse forte a lui quando si sollevò e il vento freddo la colpì provocandole un brivido fortissimo. La grande mano calda di Blake scivolò sulla schiena della ragazza e, contrariamente a quanto si aspettasse, la adagiò delicatamente sulla sabbia, che le si appiccicò immediatamente sui vestiti zuppi. Si posizionò appollaiato su di lei, come se volesse ripararla dal freddo, sollevandosi sul suo corpo solo coi gomiti. I loro punti più sensibili si sfiorarono facendole trattenere il respiro.
Intanto, intorno ai due il mare lottava assiduamente contro la tempesta: onde alte come autobus si infrangevano instancabilmente contro la costa dagli scogli neri, cospargendosi di schiuma bianca. Grosse gocce di pioggia battevano sulla schiena di Bellamy e sui capelli dorati di Roxanne sparsi sulla spiaggia e fulmini dall'aria furiosa squarciavano il cielo fino a colpire la superficie tortuosa dell'acqua. Tutto sembrava aver perso colore e poter essere perfettamente catalogato tra il bianco e il nero. Un tuono ruppe dolorosamente il silenzio e le riancheggiò nelle orecchie.
<<Siamo legati, Roxanne>>.
Roxanne per poco non gridò. Si ritrovò seduta nel bel mezzo del letto in preda al panico. Era sudata e le lenzuola le si erano appiccicate addosso, aggrovigliandosi alle caviglie nude. Prese un respiro profondo e si guardò intorno cercando di calmarsi: il sogno le era sembrato così reale da credere di essere sul punto di morire. Si strinse le ginocchia al petto e cominciò a dondolare avanti e indietro per calmare il battito cardiaco. Si sentita svuotata sin dentro le ossa, prosciugata da ogni energia: aveva sognato Isaac e Bellamy, gli unici due uomini che avesse mai amato in vita sua, quelli che l'avevano tradita. "Non è un buon segno." si disse ricordando solo in quel momento che, proprio prima di arrivare a Windsor, aveva fatto un incubo simile su Bellamy e, poi, se l'era ritrovato in camera all'improvviso, come se fosse stato una specie di avvertimento. La sua mente corse subito ai ripari, catalogando la cosa come una semplice coincidenza. Eppure non riuscì a non domandarsi se Isaac... "No, non può essere." intimò categoricamente a sé stessa. Lui era in esilio, lontano da lei e dai territori dei Clan, e poi, l'ultima volta in cui ne avevano parlato, Isaac le aveva detto di voler studiare legge: era letteralmente fuori questione che quel ridicolo sogno potesse avere un collegamento con la presenza del ragazzo al campus. Blake la stava facendo diventare paranoica. Per un attimo ebbe voglia di afferrare la pistola da sotto il materasso e fare un'altra ispezione del college ma, subito dopo, si rese conto di quanto fosse un'idea ridicola: era in pigiama, scossa e impreparata ad un attacco. Inoltre, seppur a lei fosse sfuggito, Bellamy non sarebbe di certo stato così cieco da non stanarlo.
Si ristese su i cuscini, ma il sonno non tornò più.
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