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IX - Tentare con noi nuovamente

Era una bella giornata. Il sole splendeva alto nel cielo azzurro e rischiarava il paesaggio che si stagliava davanti a Isaac. Aveva saltato le lezioni ed era fuggito lontano dai confini del college. Dopo gli avvenimenti del giorno prima si sentiva scombussolato e confuso: era successo tutto troppo velocemente e aveva bisogno di un po' di tempo per assimilare ogni novità. La realtà che si era venuta a creare nel giro di ventiquattro ore rischiava di crollargli addosso se non l'avesse affrontata il prima possibile. Per farlo al meglio aveva preso la sua macchina e aveva guidato fino a un posto immerso nella natura. C'erano solo lui, il fiume e gli alberi sempreverdi. Il suono del vento tra i rami, il modo placido in cui l'acqua scorreva e il calore leggero del sole sul collo lo tranquillizzavano. A pensarci bene, aveva sempre descritto Roxanne come un animale selvatico, ma, in fondo, anche lui non era incline al richiamo della natura incontaminata. Sentiva il bisogno di ricongiungersi alla parte più rurale di se stesso ogni qualvolta che aveva una decisione da prendere o un problema da risolvere. E al momento ne aveva davvero tanti.

Era tentato di scappare, esiliarsi di nuovo nell'appartamento di sua madre in periferia e fingere che quella parentesi di frivolezza non fosse mai esistita. Avrebbe evitato molto dolore e molti guai, non avrebbe rischiato la vita gettandosi a capofitto nel passato e nella guerra tra i Clan e non sarebbe più stato a contatto con Bellamy Blake. Eppure, d'altra parte, questo avrebbe significato allontanarsi di nuovo a Roxanne, di sua spontanea volontà stavolta. Non era sicuro di averne la forza. Anzi, era quasi convinto del contrario. Era stato talmente tanto estasiante rivederla che gli era scoppiato il cuore. Come avrebbe potuto voltarle le spalle e fingere indifferenza?

Per di più, per quanto si sforzasse di negarlo, la malavita gli scorreva nel sangue. Non era mai stato feroce e impenetrabile come Bellamy o uno stratega minuzioso e attento come Roxanne, loro erano macchine da guerra nate e forgiate per regnare. Lui non era un re, certo, ma era un duca in quell'impero di carcasse. Un duca spodestato, ma pur sempre un duca. Il suo retaggio si intrecciava a quello della altre famiglie e affondava le sue radici negli albori delle bande di Detroit. Non c'erano mai stati i Moore senza gli Hale al loro fianco. Lui e Roxanne erano gli eredi di quella tradizione e la cosa li univa ancor più di quanto facesse il legame matrimoniale spezzato tra la ragazza e il primogenito dei Blake. Le loro famiglie avevano fatto un giuramento di sangue. Loro due avevano fatto un giuramento di sangue. Si appartenevano e nulla avrebbe potuto davvero frapporsi nel campo magnetico generato dai loro poli.

Sospirò. Frugò nella tasca dei jeans alla ricerca del pacchetto di sigarette spiegazzato e ne tirò fuori una. L'accese e il sapore della menta gli si riversò in bocca. Aveva scoperto questa splendida variante delle sue sigarette preferite e adesso non poteva farne a meno. Gli piacevano da morire. Fece un lungo tiro e si beò del paesaggio che si apriva davanti a lui. Il Canada era bellissimo, suo padre glielo aveva sempre detto, ma lui e Roxanne sognavano l'Europa. Sembrava passata un'eternità da quando sedevano nel prato della Reggia a programmare i loro viaggi. A quell'epoca gli bastava che Roxanne poggiasse le testa sulle sue gambe e si fermasse a parlare con lui per ore per sentirsi realizzato a pieno. Vivendoli, quei momenti gli erano sembrati ardui e ingiusti, però adesso ci ripensava con nostalgia. Tutto era più facile. Ora doveva combattere contro due rapporti deteriorati, contro se stesso e i suoi sbagli e contro l'esilio che lo rilegava lontano dalla sua vecchia vita.

Si grattò sovrappensiero il capo con la mano libera. Non sapeva come comportarsi con Roxanne: se fosse rimasto l'avrebbe fatta soffrire? Doveva scusarsi o avrebbe solo peggiorato la situazione mettendola in una brutta posizione? Non riusciva a immaginare una possibile risposta. Tirò fuori dal maglione la collana che aveva mostrato alla ragazza il giorno prima. C'era infilato il suo anello di famiglia, simile a quello che portavano i figli dei boss. Era spesso e ornato di decorazioni in rilievo. La scritta per ardua ardens, "con ardore nelle difficoltà", luccicava sotto la luce diretta del sole. Prese l'anello accanto, quello che condivideva con Roxi, e se lo passò tra le dita. Era caldo al tocco.

Non siamo nati solo per noi stessi.

Ci aveva creduto così tanto. E ci credeva ancora. Quella frase simboleggiava il loro rapporto, fondato su un'appartenenza reciproca eterna. Forse era il momento di rimettere a posto le cose. Roxanne si meritava una spiegazione. Era giusto che decidesse lei stessa se allontanarlo o meno.

Rinvigorito e discretamente convinto della sua decisione gettò in un cestino lì vicino la cicca della sigaretta e salì in macchina. Una stupida e folle idea gli ronzava per la testa.

***

Isaac bussò. Aveva il cuore in gola. Non si aspettava veramente di trovare Roxanne in casa, aveva lezione a quell'ora, però sentì comunque dei rumori provenire dall'interno. Aveva la tachicardia e le mani sudate. Non riusciva a prevedere una possibile reazione da parte della ragazza: gli avrebbe sparato? Avrebbe accettato di parlargli o gli avrebbe semplicemente detto di non farsi vedere mai più?

La porta si aprì e lui trattenne il fiato.

<<Ciao!>> esclamò la ragazza sull'uscio.

Isaac espirò. Quella non era Roxanne. Era la sua coinquilina, presuppose. <<Ciao!>> salutò di rimando.

Lei lo osservò dal basso. Era minuta e incredibilmente graziosa. Aveva i capelli scuri e lucidi come il petrolio pettinati in una frangetta ordinatissima, gli occhi chiari come il cielo e le labbra rosse e sottili. Con quel vestitino azzurro e i calzini a fiori sembrava una bambola da collezione. <<Stai cercando Roxanne per caso?>> domandò speranzosa. La sua voce era acuta e sottile.

Isaac annuì. <<Si, è in casa?>> chiese prevedendo già che la risposta sarebbe stata negativa.

<<No, è ancora a lezione, però se vuoi puoi aspettare qui. Tornerà presto...credo.>> propose lei con un grande sorriso. Sembrava felice all'idea che la sua amica ricevesse visite. Forse anche lei aveva percepito che Roxanne tendeva a essere solitaria e schiva.

Isaac non avrebbe saputo come dirle no. <<Ehm... d'accordo>>.

Lei gli porse la mano smaltata di bianco. <<Io sono Clarke, e tu sei il ragazzo di Roxanne? Strano che non mi abbia parlato di te...>>.

Isaac arrossì, non poté farne a meno, e divenne improvvisamente consapevole di dover apparire alquanto ridicolo con un mazzo di fiori in una mano e una pennetta usb nell'altra. Si liberò goffamente una mano e strinse la sua. <<Io...noi...no, no non stiamo insieme. Io e Roxanne siamo semplicemente amici di vecchia data>>. Lo disse in modo tanto impacciato da non sembrare convincente neanche alle sue orecchie. Si rese conto troppo tardi di non averle neanche detto il suo nome. Stava combinando un vero disastro.

<<Ceeerto.>> cinguettò divertita Clarke spalancando la porta <<Entra pure, futuro fidanzato di Roxanne. Aggiungo un piatto anche per te>>.

***

Roxanne era paradossalmente tranquilla.

Le avevano consegnato il calendario degli esami e non vedeva l'ora di poter sfoggiare le sue abilità creative. Le prove scolastiche non la mandavano in ansia, anzi, la facevano sentire una semplice studentessa. Guardò il foglio: il suo primo test sarebbe stato su storia dell'arte. Finora si erano occupati principalmente della scultura e dell'architettura greco-romana, quindi non avrebbe neanche avuto bisogno di studiare: conosceva quelle nozioni sin dalle medie. Il suo tutore le aveva insegnato di nascosto tutto ciò che c'era da sapere sul mondo antico, la sua storia, la sua mitologia e la sua arte. L'aveva talmente affascinata quell'epoca tanto lontana e mistica da non renderle neanche noioso lo studio del latino. I suoi genitori avevano insistito tanto che studiasse quella lingua, sebbene sia ormai in disuso, giusto per farla sembrare un po' meno un'assassina e un po' più un sicario molto erudito.

Distratta dai suoi pensieri per poco non sobbalzò quando il suo nome rimbombò nel corridoio.

<<Roxanne!>>. Voltandosi la ragazza riuscì a scorgere Max che le correva incontro. I suoi folti ricci scuri gli rimbalzavano sulla fronte in un movimento ipnotico. Gli occhiali gli si spostarono di traverso e se li sfilò infastidito. Li agganciò al colletto della felpa blu notte sbuffando. Quando la raggiunse le rivolse uno dei suoi caldi sorrisi. Roxanne pensò che non si sarebbe mai abituata a tutto quello splendore. <<Ehi!>>.

<<Ciao, Henderson. Con quale forza di volontà mi rincorri a prima mattina?>> domandò la ragazza alzando le sopracciglia.

Max si strinse nelle spalle. <<Questo e altro per lei, signorina.>> ammiccò lui con fare scherzoso.

Roxanne alzò teatralmente gli occhi al cielo e si portò una mano al petto. <<Lei mi lusinga, signor Henderson. Dica pure, cosa intendeva chiedere?>>.

Max riuscì a trattenere una risata per un soffio: a quanto pareva la recitazione scenica non faceva per lei. <<Nulla, mademoiselle, desideravo solo salutarla.>> disse con un angolo della bocca carnosa sollevato.

Dio, questo qui ci sa proprio fare... pensò cercando di non guardarlo negli occhi. Avrebbe potuto percepire la sua inevitabile agitazione. Passare direttamente dal non avere contatti con i coetanei al parlare con un tipo del genere era davvero inebriante.

<<Buongiorno, allora.>> rispose lei con un sorriso nervoso.

Notò un gruppetto di ragazze seminascosto dietro la porta lì vicino che li fissava. Sembravano terribilmente invidiose. Questo le provocò una certa soddisfazione: non era mai stata notata da un ragazzo popolare prima d'allora. Del resto, non frequentando la vita mondana degli adolescenti, era alquanto difficile che potesse succedere.

<<Visto che mi sta onorando con la sua presenza, mia cara, ne approfitterei per chiederle come procede la questione "lettera segreta">>.

Roxanne sospirò afflitta. <<Oh, una vera tragedia, signor Henderson.>> disse toccandosi la fronte con un gesto disperato <<Il nostro astutissimo piano sembra...>>.

<<Avete aperto un club di teatro qui? Senza dirmi niente? Da te non me lo sarei mai aspettato, Max>>. Un ragazzo, che Roxanne non aveva mai visto prima, fece la sua entrata in scena interrompendola. E Roxanne odiava essere interrotta. Quello sconosciuto era passato immediatamente sulla sua lista nera.

Max lo fulminò con lo sguardo. A quanto pareva neanche a lui faceva piacere essere disturbato. Il ragazzo gli mise un braccio sulle spalle gongolando. <<Be', me la presenti o no?>> domandò con una faccia da ebete.

Max fece una smorfia visibile solo a lei che la fece sorridere. <<Brian, lei è Roxanne. Roxanne, lui è Brian, uno dei miei compagni di squadra>>.

Brian le tese la mano e Roxanne si sentì obbligata a stringerla. Era davvero un colosso: benché Max fosse molto alto, quel tizio lo superava di svariati centimetri. In più era largo come un armadio a due ante. Con i capelli rossi e rasati in un taglio militare e la stazza da paura avrebbe potuto essere facilmente scambiato per un vichingo.

<<È davvero un piacere conoscerti, non capita spesso di riuscire a incontrare una delle "amiche" di Max. Lui ama...>> continuò lui abbassando di un'ottava la voce <<Nascondere al mondo l'identità delle tipe che si scopa>>.

Max e Roxanne si scambiarono uno sguardo e inevitabilmente finirono per arrossire entrambi. La ragazza si sentiva terribilmente in imbarazzo, ma Brian sembrò non percepirlo minimamente. <<Dio, non sai quanto lui e il suo amichetto Blake siano gelosi. Vogliono tenere tutte le ragazze per loro>>.

Roxanne trattenne il fiato, certa di essere sul punto di esplodere. Max, d'altra parte, non sembrava così propenso a contenersi. <<Si può sapere che diavolo ti prende, Brian?>> sbottò spingendo il ragazzo lontano da lui. Brian intercettò un'altra figura nella sua traiettoria sbattendoci malamente contro.

Non ci credo... si disse Roxanne tra sé e sé scorgendo il soggetto dietro Brian.

Bellamy Blake rivolse uno sguardo truce alla nuca del ragazzo e se lo scrollò di dosso. <<Gira a largo, idiota.>> tuonò facendo quasi fuggire intimorito Brian. Adesso che ce l'aveva davanti non faceva più il gradasso come aveva fatto poco prima alle sue spalle. Si dileguò velocemente bisbigliando delle scuse.

Max apparve molto più sereno senza quel fastidio tra i piedi. <<Ehi, amico.>> disse facendo cenno a Bellamy di avvicinarsi <<Io e Roxanne parlavamo proprio di te!>>.

Bellamy non la degnò neanche di uno sguardo, si limitò ad alzare il dito medio a Max e a continuare per la sua strada. Roxanne ci rimase un po' male: dentro di se aveva sperato in delle scuse. Forse aveva delle aspettative troppo alte su Bellamy.

Max non sembrava sorpreso nè del gestaccio né del fatto che Bellamy l'avesse evitato. Sfoggiava, invece, un sorriso compiaciuto. Roxanne sospettò ci fosse sotto qualcosa, ma quello non era il momento giusto per indagare.

<<Scusa, Max, ma devo andare anche io>>.

<<Di già?>> chiese lui.

<<Si, devo iniziare a studiare per la sessione d'esami.>> mentì mostrandogli il foglio che aveva in mano <<Ci vediamo in giro>>. Gli rivolse un sorriso e si allontanò senza aspettare repliche.

***

Arrivata davanti alla porta del suo appartamento la calma sembrava averla completamente abbandonata: era furiosa con quell'odioso scustumato di Bellamy Blake. Non solo l'aveva ferita, ma la stava anche ignorando pur di non doverle porgere delle scuse. Era terribilmente arrabbiata, ma, ad ogni modo, prese un respiro profondo e aprì la serratura. Non si sarebbe mostrata a Clarke in quello stato nevrotico.

<<Ehi! Sono tornata.>> annunciò varcando la soglia. L'ambiente profumava di cioccolato e del deodorante al limone di Clarke.

La sua coinquilina sbucò dalla cucina con un'aria sospettosamente allegra, addirittura per i suoi standard. <<Ciao, tesoro!>> esclamò avvicinandosi a lei.

Roxanne aggrottò un sopracciglio. <<Che succede? Sputa il rospo>>.

Clarke le rivolse un sorriso sardonico. <<In camera tua c'è una sorpresa molto, molto affascinante. Divertiti.>> cinguettò entusiasta dandole una pacca sulla spalla.

Roxanne, sempre più confusa, percorse il corridoio e di affacciò nella sua stanza. Quando vide la "sorpresa molto, molto affascinante" per poco non tornò indietro per tirare un ceffone a Clarke. Isaac Hale era comodamente steso sul suo letto a leggere uno dei suoi libri. Il suo esaurimento nervoso sfiorò i limiti dell'impossibile.

Si voltò verso Clarke che, dall'altra parte del corridoio, le fece il segno dei pollici alzati. Roxanne sillabò "T-I O-D-I-O" in un modo tanto esplicito che sarebbe riuscito a leggere il labbiale anche un cieco. Clarke continuò a sorridere e, senza scomporsi minimamente, le mandò un bacio volante tornando in cucina. Roxanne imprecò sottovoce. La giornata non faceva altro che peggiorare. Non aveva nessuna voglia di affrontare Isaac, ma, a malincuore, fece comunque un passo dentro la sua camera e si chiuse la porta alle spalle. Isaac si mise in piedi in un nanosecondo. A Roxanne venne da ridere guardandolo: la camicia di flanella gli si era aggrovigliata nella cintura e pendeva da un lato, gli occhiali gli si erano appannati e tra i capelli scompigliati aveva un petalo. Represse la risata che le stava nascendo in gola e sfoggiò un aria assassina.

<<Che diavolo ci fai in camera mia?>> ringhiò.

Isaac si sistemò goffamente i vestiti e i capelli - il petalo rimase ancora impigliato in una folta ciocca bionda -, armeggiò con qualcosa poggiato a terra e si voltò di nuovo verso di lei. Stringeva un mazzo di fiori di campo e una pennetta usb. Roxanne pensò a quanto fosse assurda quella combinazione di oggetti. <<Scusa. Sono un vero idiota.>> ammise con un sorriso. <<Se ti fa sentire meglio, puoi picchiarmi ancora un po'>>. Enfatizzò la proposta indicando la sua faccia piena di contusioni. Cominciavano ad avere un colorito verdognolo ed erano davvero disgustose.

Roxanne scosse la testa e si spostò dalla porta. <<Vattene, Isaac>>.

<<No. Non me ne andrò di nuovo>>. Parlò con una tale sicurezza che Roxanne si ritrovò a fissarlo allibbita. Non le aveva mai parlato così.

<<Come osi presentarti qui...>> si accorse improvvisamente di star urlando e si frenò. Non poteva permettersi che Clarke origliasse quei discorsi. Un respiro tremante le sfuggì tra le labbra. <<Devo fumare>>.

Isaac infilò subito una mano in tasca e le porse il pacchetto titubante. Roxanne lo afferrò, prese una sigaretta e iniziò a fumare. La nicotina gli entrò in circolo e calmò rapidamente la sua ira. <<Parla.>> sentenziò.

Isaac, che si stava accendendo una sigaretta, per poco non la fece cadere. <<Io... >> inspirò profondamente <<Ho bisogno di avere la sicurezza che tu sappia che darei la vita per te>>. Roxanne alzò un sopracciglio, scettica. <<Non voglio il perdono, non lo merito, però vorrei essere certo che tu comprenda quanto mi dispiaccia.>> sussurrò <<E non per il battibecco dell'altro giorno - cioè, si mi dispiace anche per quello - ma per... be' lo sai per cosa>>.

<<So che ti dispiace, Isaac. Però ho pagato un alto prezzo per la tua ingenuità. Devi capire che non è facile per me anche solo guardarti in faccia.>> disse sinceramente la ragazza. Non era capace di mentirgli neanche dopo tutto quel tempo.

Isaac si sedette di nuovo sul letto e, incurvato e apparentemente affranto, si strofinò una mano sul viso. Quando parlò, guardandola negli occhi, la sua voce era rotta dall'emozione: <<Chi penserebbe mai che il tuo sangue è pronto a tradirti?>>.

Roxanne lesse tutta la sofferenza nei suoi occhi. Aveva sempre immaginato che Ludovic avesse mandato in frantumi il cuore di Isaac: lui era troppo buono per quel mondo di intrighi. Anche lei, a modo suo, era rimasta sconvolta da quel terribile inganno. <<Nessuno, su questo non posso darti torto. Continuo a non capire, però, perchè tu l'abbia fatto. Ti avevo ferito per caso? Avremmo potuto parlarne, Isaac!>>.

Isaac sbuffò e si prese la testa tra le mani. Era evidentemente in conflitto con sé stesso. <<Se te lo dicessi, non mi crederesti.>> bisbigliò.

<<Vieni a scusarti, ma continui a voler erigere muri. Non sei disposto neanche a concedermi la verità!>> sbottò Roxanne <<Vattene e non tornare finché non avrai fatto pace con te stesso>>.

Isaac dilatò le narici e strinse la mascella. Preferendo non litigare ancora, si alzò e oltrepassò Roxanne. Con la mano ancora sul pomello della porta disse: <<La verità non ti piacerà, Roxanne. Credi di sapere tutto, ma non è così>>.

La ragazza era pronta a controbattere, dilungandosi in un'aspra discussione, ma ormai Isaac era già uscito. Lo sentì chiaramente salutare Clarke in cucina, eppure non lo raggiunse. Si voltò piuttosto verso il suo letto: il fatto che fosse stato Isaac a sgualcire le sue lenzuola le fece uno strano effetto. Si sedette sul bordo del materasso e prese il bouquet ormai sfatto. Quelli erano tutti i suoi fiori preferiti. Li annusò e un po' della sua ardente rabbia evaporò.

<<Ma che è successo?>> chiese Clarke facendo capolino sulla porta. Stava iniziando a capire che a Roxanne non faceva piacere che invadesse il suo spazio personale, una condizione antecedente ulteriormente aggravata dalla presenza di armi nascoste negli armadi.

Clarke sembrava persino più triste della stessa Roxanne. Chissà cosa si era immaginata per poi rimanere tanto delusa. <<Lui sembrava aver appena scoperto che gli è morto il gatto>>.

<<Ha soltanto scoperto che il perdono non si compra con i fiori.>> rispose lei mostrandole il mazzo che aveva in mano.

Clarke si corrucciò. <<Sembra così carino e gentile, che avrà fatto mai per farti arrabbiare tanto?>>.

Roxanne sfiorò da sopra il tessuto della maglia le sue cicatrici. <<Non farlo entrare più in casa nostra se non te lo dico io.>> proferì.

Clarke spalancò gli occhi, evidentemente sorpresa da tutto quel fervore. <<Oh, ehm... va bene.>> balbettò costernata <<Vado a preparare il pranzo>>. E uscì dalla sua camera tirandosi dietro la porta.

Finalmente sola, Roxanne si accasciò sul letto: la sua testa minacciava di implodere da un momento all'altro. Sapeva che Isaac era sinceramente dispiaciuto, aveva il tormento stampato in faccia, ma questo non rendeva il perdono più semplice per lei. Graziare e dimenticare non erano mai stati i suoi cavalli di battaglia.

Le tornò in mente l'ultima volta che aveva visto Isaac, due anni prima alla Reggia. Era emaciato e cadaverico, sicuramente non aveva dormito e non aveva mangiato per giorni. Quasi come se avesse condiviso con lei la sua sofferenza. Guardandolo aveva visto solo l'ombra del ragazzo che era stato, quello che dipingeva per ore all'aria aperta con lei, che le pettinava i capelli e che restava con lei quando aveva gli incubi. Quello che si era fatto carico di una grossa parte delle sue sofferenze per anni. In fondo, lui le aveva dato molto più di quanto le avesse portato via senza volerlo.

Tastò il copriletto lilla alla ricerca della pennetta, improvvisamente curiosa di scoprire cosa ci avesse caricato il ragazzo. Si alzò, accese il computer portatile e aprì la cartella dei file. Sullo schermo le apparve una breve lista di documenti identificati per anno. Aggrottò le sopracciglia alquanto perplessa. Cliccò sulla prima cartella e una marea di foto le si dispiegarono davanti. Avviò la presentazione delle immagini e iniziò a singhiozzare.


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