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Canto III

Amici miei cari e fieri,
stamani siete meno di ieri!
Vi ho mica annoiati? No, spero.
Oh, non è accaduto, vero?
Oh, ormai è andata,
Cambiare le cose passate non è
compito dell'uomo! E non è
bello neppure pensarci! È andata!

Farò di meglio, ve lo assicuro
e, col cuore addolorato, ve lo giuro!
Tornando al discorso del cavaliere
e la sua puerile amica,
lui lottò con sé stesso e vere
imprese compì per convincersi, lo si dica!
Sconfisse con coraggio la lussuriosa
tentazione e la brutta brama oziosa,

per restar fedele all'antica amata
e non rompere la parola data
a lei morente, all'alba di una mattina
di primavera. "Non avrai altra vita
con altra amata?" E aveva promesso.
Silenzioso se ne andò, solo con sé stesso.
La sua scelta non fu certo capita
dall'indolente e insolente bambina.

"Rinneghi ricchi lussi e leccornie!
Stolto! Stupido! Sdentato e diseredato,
ti auguro di restare! Le luccicanti gioie mie
mi mangerò e masticherò di gusto. Squattrinato
ti auguro di restare! Va' e vacilla fino a finire
nel fondo di un fiume!" Le languide ire
dell'affettuoso e amorevole mostro
si spargevano nella selva mentre il nostro

solingo se n'andava in silenzio.
Poi, io sto seduto e saggio sentenzio,
però le parole della demoniaca bimba mi
avrebbero attirato nel dolce tranello, mi
sarei ritrovato maritato ed incastrato,
in un mondo scomodo incastonato.
L'audacia indecente del cavaliere
è degna e meritevole di lodi sincere.

Nel morir di pochi minuti momenti,
il solingo e il suo sincero e baldo
cavallo erano spariti nello splendore
della selva buia. Rapidi e non lenti
scavalcarono confini colli color smeraldo.
E poi apparve un maltempo di malumore.
Ululavano le unghie e le burrasche
e le dita del vento tra i ciuffi delle frasche

e muggivano mansueti i pioppi e
la brezza brucava i prati e
carezzava le chiome ondulate
degli olmi. Nelle bagnate
giornate e fradicie e umidicce
piovvero amare acque e atroci
tempeste, terribili e tremende e feroci,
scrosci e schiocchi sull'erbe mollicce,

tonfi e tondi botti tra i nodi del legno
e il rimbombante rimbalzare dei rochi
ruggiti dei tuoni tra i tronchi. In segno
di tregua, dopo tre dì di guerra, fiochi
fasci di fulgore e luce languivano a terra
e il cielo gemeva in silenzio. I due
erano usciti in una pianura, con le sue
lande e i piatti mondi. La fretta m'afferra,

e m'ammattisce e m'invoglia e m'invita
ad accelerare con questa storia sbiadita.
A narrare e spiegare son lento
e pesante e mi scuso ma non me ne pento!
A dire per rima ci s'arrischia a
passar per rimbambito.
A poetare e parlare a molti e a
molti ancora per un fallito

mi pare di passare,
per le mosse goffe e le buffe
movenze. Per cui mi potrete perdonare
se l'arcaica istoria delle zuffe
e le lotte del solingo la canto con
calma e concitata flemma.
E se lo vorrete e verrete, con
voi domani dirò di un domino e di uno stemma!

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