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Capitolo 8: Fuoco e ombre

Il mattino seguente, l'aria al Ranch era più tesa del solito. Era come se qualcosa fosse nell'aria, una tensione palpabile che nessuno sembrava voler nominare. Mi svegliai presto, con un peso sul petto che non riuscivo a scrollarmi di dosso. Ogni volta che ripensavo alle parole di Jake, non potevo fare a meno di chiedermi: era davvero così inevitabile?

Ma prima che potessi analizzare troppo i miei pensieri, Alicia venne a cercarmi.

"Jeremiah vuole parlarti," disse, il suo tono misurato ma con una punta di preoccupazione.

Il mio stomaco si contrasse. Jeremiah Otto non era esattamente una persona con cui desideravo parlare, soprattutto non da sola. Ma sapevo che non avevo scelta.

"Lo sai di cosa si tratta?" chiesi, cercando di mantenere la calma.

Alicia scrollò le spalle. "Non lo ha detto, ma... di solito, quando chiama qualcuno, non è mai per qualcosa di buono."

Fantasticavo su mille scenari mentre mi dirigevo verso l'ufficio di Jeremiah. Quando entrai, lui era seduto alla sua scrivania, con un bicchiere di whisky in mano e uno sguardo pensieroso.

"Accomodati," disse, indicando una sedia di fronte a lui.

Mi sedetti, cercando di sembrare rilassata. "Di cosa volevi parlarmi?"

Jeremiah mi fissò per qualche istante, il suo sguardo penetrante come se stesse cercando di leggermi dentro. Poi, con un gesto lento e deliberato, posò il bicchiere sulla scrivania.

"Tu e Troy," iniziò, la sua voce calma ma carica di sottintesi. "Cosa c'è tra voi?"

Il mio cuore saltò un battito. Cercai di mantenere una faccia neutra. "Non capisco cosa intendi."

Lui sorrise, ma non era un sorriso rassicurante. "Oh, credo che tu capisca benissimo. Vedi, ho osservato mio figlio per molto tempo. Conosco i suoi punti di forza, i suoi difetti... e le sue debolezze. E ho notato che ultimamente sembra... distratto."

"Non so cosa vuoi che dica," risposi, cercando di mascherare il mio nervosismo.

Jeremiah si sporse in avanti, intrecciando le mani sul tavolo. "Quello che voglio, Sarah, è molto semplice: assicurarmi che tu non stia facendo qualcosa che possa mettere in pericolo il Ranch. O mio figlio."

Le sue parole mi colpirono come uno schiaffo. "Non sto mettendo in pericolo nessuno," dissi, la voce più ferma di quanto mi sentissi.

Lui annuì lentamente, come se stesse valutando le mie parole. "Bene. Perché se dovessi scoprire che non è così, mi vedrò costretto a prendere delle misure. E ti assicuro che non ti piaceranno."

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Uscita dal suo ufficio, mi sentivo come se avessi corso una maratona. Il sudore mi bagnava la schiena e il mio cuore batteva ancora furiosamente. Jeremiah era stato chiaro: se avesse scoperto qualcosa, non avrebbe avuto scrupoli a intervenire.

Non potevo permettermi di sottovalutarlo.

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Trovai Troy poco dopo, intento a fare manutenzione a un fucile fuori dalla rimessa. Quando mi vide, il suo volto si illuminò con quel sorriso che riusciva sempre a farmi dimenticare il resto del mondo, almeno per un momento.

"Sarah" disse, appoggiando l'arma per venirmi incontro. "Che succede?"

"Tuo padre," iniziai, cercando di tenere la voce ferma. "Sa qualcosa. O sospetta qualcosa. Mi ha appena minacciata."

Il sorriso di Troy svanì all'istante. "Cosa ha detto?"

"Che devo stare lontana da te. Che se pensa che io sia un pericolo, agirà."

La rabbia lampeggiò nei suoi occhi. "Quel bastardo..."

"Troy," lo interruppi, afferrandolo per il braccio. "Non possiamo permetterci di fargli capire che ha ragione. Dobbiamo stare attenti."

"Attenti?" ripeté, scuotendo la testa. "Sarah, mio padre non si fermerà finché non avrà il controllo su tutto. Anche su di noi. Non posso vivere così."

"Non abbiamo scelta," ribattei. "Se ci scopre, non sarà solo lui il problema. Anche Jake, anche il resto del Ranch... Non possiamo permetterci di diventare un bersaglio."

Lui mi fissò per un momento, come se stesse cercando di decidere se opporsi o cedere. Poi, con un sospiro frustrato, scosse la testa.

"Odio tutto questo," mormorò.

"Anch'io," ammisi. "Ma dobbiamo essere intelligenti, Troy. Se vogliamo sopravvivere, dobbiamo giocare la nostra partita."

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Non fu facile, ma iniziammo a essere più discreti. I nostri incontri diventavano meno frequenti, e ogni volta che eravamo insieme in pubblico, cercavamo di mantenere le distanze. Ma la tensione tra noi era sempre lì, come un filo invisibile che ci legava nonostante tutto.

E poi arrivò la tempesta.

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Era notte fonda quando sentii bussare alla porta della mia stanza. Aprii e trovai Alicia, il viso pallido e gli occhi spalancati.

"Devi venire subito," disse, la voce tremante.

"Cosa sta succedendo?" chiesi, il cuore accelerato.

"Jeremiah e Troy... stanno litigando. E questa volta è serio."

Non persi tempo. Mi infilai le scarpe e corsi fuori, seguendo Alicia verso la sala comune. Quando arrivammo, trovammo una piccola folla radunata intorno a Jeremiah e Troy, che erano faccia a faccia.

"Non puoi controllarmi!" stava urlando Troy, il suo viso rosso di rabbia.

"Posso e lo farò," replicò Jeremiah, con un tono calmo ma pieno di minaccia. "Finché sarai sotto questo tetto, seguirai le mie regole."

"Non sono un tuo soldato!"

"Troy, smettila," intervenne Jake, mettendosi tra loro.

"Chiudi quella cazzo di bocca, Jake!" gridò Troy, spingendolo via. "Non hai idea di come sia vivere con lui."

La situazione stava degenerando velocemente. Mi feci avanti, il cuore in gola. "Troy, basta!"

Quando mi vide, Troy si fermò, il suo respiro pesante mentre mi guardava. Per un attimo, sembrò calmarsi.

Ma Jeremiah colse quel momento di distrazione per affondare il colpo. "Sei debole, Troy. E lei ti rende ancora più debole."

Quelle parole scatenarono qualcosa in lui. Prima che chiunque potesse intervenire, Troy afferrò il padre per il colletto della camicia, il viso contorto dalla rabbia.

"Troy, no!" gridai, correndo verso di lui.

Riuscii a mettermi tra loro, spingendolo indietro. "Non è questo il modo!"

Lui mi guardò, il petto che si alzava e abbassava velocemente. Poi, con un gesto brusco, si allontanò, uscendo dalla sala senza dire una parola.

Jeremiah mi fissò con uno sguardo glaciale. "Vedi cosa intendo?" disse, rivolto a Jake. "Lei è il problema."

Non risposi. Non ne avevo bisogno. Avevo già capito che le cose stavano per peggiorare. E che io e Troy stavamo camminando su un filo sottilissimo, sopra un abisso senza fondo.

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