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Capitolo 38: Le bugie del forestiero

I giorni successivi all'arrivo dello sconosciuto furono caratterizzati da tensione e sospetto. Madison aveva deciso di concedergli ospitalità temporanea, pur mantenendo alta la sorveglianza. L'uomo, che si era presentato come Reed, sembrava grato, ma qualcosa in lui non mi convinceva. Era troppo affabile, troppo accomodante, e il modo in cui evitava certe domande non mi sfuggiva.

Troy, invece, sembrava fidarsi poco. Lo teneva d'occhio con la stessa attenzione con cui osservava tutto il resto. Ma, nonostante i sospetti, nessuno aveva prove per giustificare un intervento.

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Una sera, incapace di dormire, decisi di uscire dall'infermeria per prendere una boccata d'aria. Il Ranch era immerso nel silenzio, rotto solo dal rumore del vento che attraversava le recinzioni.

Stavo tornando verso la mia stanza quando un'ombra si mosse nell'oscurità. Mi fermai, trattenendo il respiro, e osservai la figura avanzare furtivamente verso uno dei magazzini. Riconobbi subito Reed.

Il cuore mi martellava nel petto mentre lo seguivo a distanza, cercando di non fare rumore. Quando raggiunse il magazzino, lo vidi armeggiare con la serratura. Dopo pochi secondi, entrò all'interno.

Sapevo che avrei dovuto avvertire qualcuno, ma la curiosità e l'istinto presero il sopravvento. Con il fiato corto e l'arco stretto in mano, mi avvicinai all'edificio, cercando di spiare cosa stesse facendo.

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Reed stava rovistando freneticamente tra le casse, prendendo cibo, acqua e persino alcune armi leggere. Parlava tra sé e sé, borbottando qualcosa che non riuscii a capire subito. Mi sporsi un po' di più, e in quel momento una delle assi del pavimento scricchiolò sotto i miei piedi.

Lui si voltò di scatto, gli occhi spalancati dalla sorpresa.

"Che stai facendo?" gli chiesi, cercando di mantenere la voce ferma, anche se il cuore mi batteva all'impazzata.

Reed esitò per un momento, poi il suo volto si indurì. "Non sono affari tuoi. Vai via, ragazza."

"Non mi muovo finché non mi dici la verità," insistetti, puntando l'arco verso di lui. "Non c'è nessun gruppo organizzato, vero? Hai mentito solo per entrare qui."

Il suo sguardo si fece torvo. "Sei più sveglia di quanto pensassi. Sì, ho mentito. Ma credi che mi importi? Il mondo è andato a rotoli, ragazza. Ognuno pensa a sé stesso."

La sua confessione mi fece stringere i pugni. Tutto quel tempo speso a preoccuparci di una minaccia inesistente, mentre lui ci rubava da sotto il naso.

"Se credi di andartene con quelle cose, ti sbagli," dissi, tendendo l'arco.

Reed rise amaramente. "Pensi davvero di fermarmi? Sei debole, lo vedo dalla tua faccia. Non riusciresti nemmeno a tirare quella freccia."

Le sue parole erano una provocazione, ma non mi lasciai intimidire. "Forse," dissi, "ma non mi serve tirare la freccia. Basta fare abbastanza rumore."

Prima che potesse rispondere, urlai a squarciagola. "TROY! MADISON! È QUI!"

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Il caos esplose in pochi secondi. Reed cercò di scappare, ma il rumore dei miei richiami aveva già svegliato metà del Ranch. Troy fu il primo ad arrivare, il fucile in mano, seguito da Madison e altri uomini armati.

Reed tentò di arrampicarsi su una finestra, ma Troy fu più veloce. Con un movimento fulmineo, lo tirò giù e lo spinse contro una parete.

"Parla," ringhiò Troy, premendo la canna del fucile contro il suo petto. "Che stavi facendo qui?"

"Volevo solo un po' di cibo," sputò Reed. "Non volevo farvi del male."

Madison incrociò le braccia, il volto gelido. "Hai mentito per entrare qui. Ci hai fatto credere che fossimo in pericolo, e nel frattempo rubavi alle nostre spalle. Non c'è scusa per questo."

Reed cercò di protestare, ma Troy lo interruppe. "Dacci una buona ragione per non farti fuori adesso."

"Perché non ne vale la pena," risposi io, con voce ferma. Tutti si girarono a guardarmi, sorpresi dalla mia intromissione. "Non è una minaccia. È solo un codardo che cerca di sopravvivere."

Madison mi scrutò per un momento, poi annuì lentamente. "Portatelo fuori. Non voglio più vederlo qui."

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Dopo che Reed fu cacciato, il Ranch tornò alla calma. Ma l'episodio mi lasciò un senso di inquietudine. Avevo agito d'istinto, e per la prima volta avevo preso una decisione che aveva influenzato tutti.

Quella sera, Troy mi trovò seduta vicino al fuoco, persa nei miei pensieri. Si sedette accanto a me, il suo sguardo serio ma non accusatorio.

"Sei stata brava," disse, rompendo il silenzio.

"Non mi sento brava," risposi, guardando le fiamme. "Mi sento... confusa."

Lui annuì, come se capisse perfettamente. "Benvenuta nel mondo reale, Sarah. Dove ogni scelta è complicata e nessuno ti dice se hai fatto la cosa giusta."

Le sue parole, anche se dure, avevano un senso. Forse non ero ancora pronta per questo mondo, ma stavo imparando. E con Troy al mio fianco, sentivo che avrei potuto affrontare qualunque cosa.

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La notte era calma, il fuoco crepitava piano, gettando ombre tremolanti intorno a noi. Troy sedeva accanto a me, le braccia appoggiate alle ginocchia e lo sguardo perso tra le fiamme. Il silenzio tra noi era denso, ma non scomodo. Eppure, qualcosa dentro di me ribolliva, un turbinio di emozioni che non potevo più ignorare.

Guardai le sue mani, forti e callose, che stringevano distrattamente un pezzo di legno. Il suo profilo era serio, pensieroso, ma c'era una tranquillità in lui che non avevo mai notato prima. E fu in quel momento che decisi che non potevo più rimandare.

"Troy," dissi, la voce più debole di quanto avessi voluto.

Lui sollevò lo sguardo, inclinando leggermente la testa. "Che c'è?"

Inspiro profondamente, cercando di radunare il coraggio. "C'è una cosa... di cui non abbiamo mai parlato. E penso sia arrivato il momento."

Le sue sopracciglia si sollevarono appena, un lampo di curiosità nei suoi occhi chiari. "Suona serio," disse, con un mezzo sorriso, ma il tono era cauto.

Mi girai verso di lui, le mani che giocherellavano nervosamente con l'orlo della mia maglietta. "È del bacio. Quello... dopo l'incidente."

Per un attimo, sembrò non capire, o forse cercava di guadagnare tempo. Poi il suo sguardo cambiò, divenne più intenso. "Lo ricordo," disse, la sua voce bassa, quasi un sussurro.

"Perché l'hai fatto?" chiesi, andando dritta al punto, anche se il cuore mi batteva all'impazzata. "Eri... eri preoccupato per me, o... c'era qualcos'altro?"

Troy si passò una mano sulla nuca, un gesto che avevo imparato a riconoscere come segno di nervosismo. "Non è facile da spiegare," ammise, fissando il fuoco. "Pensavo che stavi per morire, Sarah. E in quel momento... non riuscivo a sopportarlo."

Il suo sguardo tornò su di me, e per la prima volta vidi una vulnerabilità in lui che mi lasciò senza parole. "Non è stato solo perché ero preoccupato. È stato perché... non volevo perdere qualcosa che non avevo ancora capito quanto fosse importante."

Le sue parole mi colpirono come un pugno nello stomaco. Era onesto, spietatamente onesto, e io non sapevo cosa rispondere.

"Troy," mormorai, il mio sguardo che cercava il suo. "Io... non so esattamente cosa provo per te. Ma so che non riesco a smettere di pensarci. Di pensarti."

Un silenzio carico di emozioni cadde tra noi. Poi, lentamente, Troy si sporse verso di me, il suo sguardo fisso sul mio, come se stesse cercando un segno, un permesso.

"Non devi dirmi niente, Sarah," disse, la sua voce così vicina che potevo sentire il calore delle sue parole. "Ma non voglio che tu pensi che il bacio sia stato un errore. Perché non lo è stato."

Le sue parole mi lasciarono senza fiato. E in quel momento, senza pensarci troppo, colmai lo spazio tra noi e lo baciai.

Non fu un bacio perfetto, né calcolato. Fu un gesto istintivo, un'esplosione di tutte le emozioni che avevo represso fino a quel momento. Troy non esitò, ricambiando con un'intensità che mi fece sentire come se il mondo intero fosse svanito, lasciando solo noi due.

Quando ci separò, rimase a pochi centimetri dal mio volto, il suo respiro caldo contro la mia pelle.

"Sei un bel casino, Sarah," disse, con un sorriso storto.

"Lo so," risposi, ridendo piano, le lacrime che mi pizzicavano gli occhi.

E in quel momento capii che, qualunque cosa fosse, quello che stava nascendo tra noi era reale. Non avevo tutte le risposte, ma ero pronta a scoprirle, un passo alla volta, al suo fianco.

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