Capitolo 35: Sospesi tra vita e morte
Il dolore, anche se mitigato dagli antidolorifici, era una presenza costante. Il tempo sembrava dilatarsi nell'infermeria, e ogni suono - il clangore degli strumenti, le voci basse degli infermieri - diventava un'eco distante. L'unica cosa che rimaneva nitida era la figura di Troy.
Era rimasto vicino alla porta, ma ogni tanto si avvicinava per controllare, i suoi occhi scrutavano gli infermieri come se volesse assicurarsi che facessero tutto il possibile. Quando lo sguardo di Troy incrociava il mio, vedevo una promessa non detta: Non ti lascerò andare.
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Mentre mi ricucivano, il dolore mi annebbiava la mente, ma in un raro momento di lucidità riuscii a parlare. La voce era un sussurro debole, ma abbastanza forte da raggiungerlo.
"Troy..."
Si avvicinò subito, abbassandosi per farmi sentire. "Sono qui. Non parlare troppo."
"Sai che sei testardo, vero?" dissi, un sorriso stanco affiorando sulle mie labbra.
Lui scosse la testa, il suo sguardo quasi tenero. "E tu sei una pazza che si lancia in mezzo a una battaglia senza pensare alle conseguenze."
"Qualcuno doveva avvisarvi," mormorai, cercando di non cedere al sonno che minacciava di prendermi.
"E quel qualcuno poteva morire," replicò, la sua voce incrinata da una rabbia che sembrava rivolta più a se stesso che a me.
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Quando gli infermieri terminarono, mi coprirono con una coperta leggera e uno di loro si rivolse a Troy.
"Abbiamo fatto tutto il possibile. Ora dipende da lei."
Le loro parole, così neutre e professionali, sembravano pesare su di lui come macigni. Troy si sedette su una sedia accanto al letto, il volto segnato dalla stanchezza e dalla tensione.
"Non muoverti," disse con un tono che era più un comando che una preghiera.
"Non vado da nessuna parte," risposi, il mio sorriso debole.
Lui abbassò lo sguardo per un momento, e quando lo rialzò, c'era una determinazione feroce nei suoi occhi. "Ti giuro, Sarah, se sopravvivi a questa cosa, non ti lascerò mai più correre rischi da sola. Mai più."
Il mio cuore si strinse a quelle parole. Non era una dichiarazione d'amore, ma era forse la cosa più vicina che Troy fosse capace di fare.
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La notte passò lentamente. Sentivo ogni tanto Troy che si spostava sulla sedia accanto a me, incapace di trovare pace. Anche se stavo lottando per restare sveglia, non potevo fare a meno di osservare il modo in cui mi guardava. Era come se volesse imprimere ogni dettaglio del mio volto nella sua mente.
"Devi riposare," gli dissi, con un filo di voce.
Lui scosse la testa. "Non chiudo occhio finché non so che stai bene."
"Testardo," mormorai, e questa volta fu lui a sorridere debolmente.
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Quando il sole iniziò a sorgere, la luce filtrava attraverso le tende polverose dell'infermeria, portando con sé un senso di speranza. Sentivo il mio corpo ancora debole, ma il dolore sembrava meno intenso, e il battito del mio cuore, anche se lento, era costante.
Troy si accorse subito del cambiamento. Mi prese una mano, stringendola con delicatezza.
"Stai migliorando," disse, come se quelle parole fossero più per lui che per me.
"Te l'avevo detto che non sarei andata da nessuna parte," risposi, cercando di alleggerire l'atmosfera.
Lui non disse nulla, ma il modo in cui mi guardava parlava più di mille parole. C'era sollievo, preoccupazione, e qualcosa di più profondo, qualcosa che non osava ancora esprimere.
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Sapevo che il cammino verso la guarigione sarebbe stato lungo, ma con Troy accanto a me, mi sentivo più forte. Ogni volta che i nostri sguardi si incrociavano, sentivo un legame crescere sempre di più.
Mentre il Ranch iniziava a riprendersi dall'attacco, una cosa era certa: qualcosa tra me e Troy era cambiato per sempre. E non c'era ferita, né battaglia, che avrebbe potuto cancellarlo.
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