Capitolo 27: Un passo alla volta
La giornata proseguì tra sorrisi e strette di mano, ma la mia mente non riusciva a staccarsi dal pensiero che mi aveva assillato fin dall'incendio: come avevo fatto a prendere quella decisione, come avevo trovato il coraggio di correre in quella casa in fiamme senza pensarci due volte? Era una domanda che continuava a rimbalzare nella mia testa, ma non riuscivo a rispondere.
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Quella sera, mentre il Ranch tornava alla sua routine di sempre, mi ritrovai nel mio angolo di tranquillità. Il cielo stava diventando rosso, il tramonto tingeva tutto di una luce calda e pacata. Mi trovai seduta su una panchina fuori dalla mensa, il vento che solleticava i miei capelli, gli occhi fissi sull'orizzonte.
Forse avevo bisogno di un po' di tempo da sola, di raccogliere i pezzi di me stessa che sembravano sparsi ovunque. Le parole di Troy mi risuonavano in testa: "Hai fatto qualcosa che nessuno di noi avrebbe fatto. E questo basta."
Ma cosa significava davvero? Cosa aveva visto in me che io stessa non riuscivo a vedere? Mi sentivo ancora come una straniera in questo mondo, eppure, in qualche modo, mi stavo adattando. Ma era la solitudine a spingermi a pensare troppo. La solitudine che, contro ogni previsione, avevo cominciato a temere.
Mi alzai dalla panchina e decisi di fare una passeggiata. Avevo bisogno di distrarmi, di allontanarmi dal pensiero che non riuscivo a scacciare. Passeggiai senza una meta precisa, le mani che scivolavano lungo le recinzioni del Ranch, cercando qualcosa che potesse calmarmi. Ogni passo mi sembrava un piccolo gesto di normalità, come se stessi cercando di riportare equilibrio tra il caos che avevo vissuto e il mondo che cercavo di ricostruire.
Mi ritrovai vicino alla zona dove Troy stava parlando con alcune delle guardie, ma non sembrava notarmi. In quel momento, il mio istinto mi portò a fermarmi e osservarlo da lontano. La luce del tramonto gli dava un aspetto quasi irreale, come se fosse un personaggio di una storia, più che una persona vera.
Ogni volta che lo guardavo, c'era qualcosa di diverso. Una forza, una durezza che si nascondeva dietro quel sorriso sarcastico. Ma, allo stesso tempo, c'era anche una vulnerabilità che non avevo mai notato prima. Forse era solo la mia mente che creava storie, ma avevo la sensazione che ci fosse qualcosa che Troy non volesse mostrare.
Sentii il bisogno di avvicinarmi, ma non ero sicura di cosa avrei dovuto dire. In quel momento, Troy si voltò e incrociò il mio sguardo. La sua espressione cambiò, ma non in modo che riuscissi a comprendere. Un leggero sorriso comparve sulle sue labbra, ma fu come se stesse cercando di nascondere qualcosa.
"Cosa ci fai qui da sola?" chiese, la sua voce più calma di quanto mi aspettassi.
"Stavo pensando," risposi, mantenendo una certa distanza, "sui giorni che stanno per arrivare. E su come mi sto adattando a tutto questo."
Troy sembrò riflettere per un attimo. Poi, con un gesto lento, si allontanò dalla discussione con le guardie e si avvicinò a me.
"Pensare è una buona cosa," disse, la sua voce più morbida. "Ma non pensare troppo. A volte il pensiero ti porta a fare passi indietro."
Mi colpì la sua osservazione. "Hai mai pensato di tornare indietro?" gli chiesi. Non so cosa mi spingesse a porre quella domanda, ma la curiosità aveva il sopravvento.
Troy la guardò come se fosse una domanda scomoda. Poi, scrollò le spalle. "In realtà, non è una scelta che ho mai avuto. Quando il mondo è cambiato, non avevo più un posto dove tornare. Qui, almeno, possiamo cercare di ricostruire qualcosa."
Ci fu un momento di silenzio tra di noi. Non ero sicura se stava parlando della sua vita prima del caos, o se stava parlando di sé stesso, di come si sentisse in quel mondo nuovo. La sua voce sembrava nascondere un dolore che non voleva mostrare.
"E tu?" chiese, il suo sguardo indagatore. "Cosa ti manca del mondo che hai lasciato?"
La domanda mi sorprese. Pensai per un attimo a quella vita che avevo lasciato dietro. A casa, a quella normalità che ora sembrava così distante, come se appartenesse a un'altra persona. Eppure, sapevo che c'era qualcosa che mi mancava profondamente.
"La gente che amo," risposi senza pensarci troppo. "La mia famiglia, gli amici... il mondo che conoscevo. Qui mi sento... persa, a volte."
Troy mi fissò per un momento, poi annuì lentamente. "Capisco. Anche io mi sento così, a volte. Ma sappiamo entrambi che non possiamo tornare indietro. Dobbiamo andare avanti."
Le sue parole erano cariche di una verità che mi colpì, come un pugno nello stomaco. Il passato non esisteva più. Eravamo costretti a guardare avanti, a costruire qualcosa di nuovo. E, forse, in un certo senso, Troy aveva ragione.
"Già," risposi, sentendo il peso della realtà abbattermi su di me. "Andiamo avanti."
Ma c'era qualcosa di più, qualcosa che non riuscivo a definire. La mia connessione con Troy, quella strana sensazione che non riuscivo a ignorare. Qualcosa che mi legava a lui, ma che non potevo comprendere. Non ancora.
Ci guardammo per un momento, come se entrambi stessimo cercando di comprendere cosa significava quella connessione. Poi, senza dire altro, Troy si allontanò lentamente. La sua figura si allontanava nel crepuscolo, ma qualcosa nel mio cuore sapeva che, anche se le parole non erano state dette, il futuro era inevitabilmente legato a lui.
E con quel pensiero, mi ritrovai a guardare il cielo, chiedendomi cosa mi riservasse il domani.
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