Capitolo 26: L'eroina inconsapevole
Il suono dell'acqua calda mi avvolgeva come un abbraccio mentre mi immergevo nella doccia. Non avevo voglia di pensare a niente, solo a lasciar scivolare via il peso degli ultimi giorni. Il fuoco, il panico, il coraggio che avevo trovato in me stessa all'improvviso... Tutto quello che volevo era il silenzio e il calore dell'acqua. Ma anche mentre l'acqua scivolava sul mio corpo, la mia mente non riusciva a fermarsi.
Pensai a Carlos, al suo viso spaventato quando lo avevo trovato nella casa in fiamme, e a Troy che mi aveva tirato fuori da quella trappola di fuoco. La sua voce dura, le sue parole. "Sei impazzita?" Mi colpivano, ma in fondo, sapevo che aveva ragione. Non avevo pensato, non avevo calcolato il rischio. Eppure, in quel momento, non riuscivo a fare altro che agire.
Quando chiusi la doccia, mi guardai allo specchio. Il riflesso che mi osservava era straniero, come se non fossi la stessa persona di qualche settimana fa. La Sarah che avevo conosciuto prima di tutto questo era più cauta, meno impulsiva. Ma questo mondo, la sua durezza, mi aveva cambiata in modi che non riuscivo ancora a comprendere.
Mi asciugai, mi vestii rapidamente, cercando di mettere ordine nei miei pensieri. Quella mattina sarebbe stata un'altra come le altre: il Ranch continuava a vivere, a sopravvivere, e io dovevo continuare a far parte di tutto questo.
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Uscii da casa e il silenzio che mi accolse fu quasi surreale. Non c'erano bambini che correvano nel cortile, non c'erano gruppi di persone a chiacchierare. La solita frenesia del Ranch era assente, come se tutto fosse stato congelato. Solo le guardie, rigorosamente in piedi, svolgevano il loro lavoro. La quiete prima della tempesta, forse. O forse, era solo un altro giorno di ordinaria sopravvivenza.
Mi diressi verso la mensa, con il passo lento di chi cerca di nascondere la propria incertezza. Quando entrai, però, l'atmosfera che mi accolse mi fece fermare di colpo. Il silenzio che c'era fuori era scomparso, sostituito da un clamore di voci.
"Sarah!" qualcuno gridò.
La porta si aprì e, prima che potessi capire cosa stesse succedendo, un'ondata di persone mi circondò, applaudendo, sorridendo, festeggiando.
"Sei stata incredibile!" "Hai salvato quel bambino!" "Un'eroina!"
Rimasi pietrificata, il cuore che cominciava a battere forte nel petto. Non sapevo come reagire. Non ero abituata ad essere al centro dell'attenzione, soprattutto in un mondo come quello. Non avevo fatto niente di straordinario, avevo solo fatto ciò che sentivo di dover fare.
"Mamma mia, Sarah! Sei una vera eroina!" disse Sam, il figlio maggiore della famiglia Delgado, con gli occhi pieni di gratitudine.
Mi strinsero in un abbraccio, ma io ero ancora paralizzata. Non riuscivo a dire nulla. Mi sentivo in imbarazzo, come se fossi stata travolta da qualcosa di troppo grande per me.
Finalmente, quando il frastuono si placò un po', mi schiarii la voce e, con umiltà, cercai di far capire loro che non ero quella persona che pensavano.
"Ragazzi, vi ringrazio," dissi, cercando di mantenere la calma. "Ma non sono un'eroina. Non ho fatto niente che qualcun altro non avrebbe fatto al mio posto. In quel momento pensavo solo a non lasciare morire un altro bambino. Non volevo che un'altra persona soffrisse come noi abbiamo sofferto."
Il mio tono era sincero, e speravo che, almeno in parte, potessero capire. Non avevo fatto nulla di straordinario. Il mio gesto non era stato eroico, era stato istintivo. Avevo visto una vita che stava per essere persa e non potevo permetterlo. Non potevo rimanere a guardare.
Ci fu un attimo di silenzio. Poi qualcuno, più timido, cominciò a sorridere e a fare un passo verso di me. Non avevo capito subito, ma la realtà mi colpì con forza: non stavo affrontando solo una gratitudine superficiale. Stavo affrontando qualcosa che andava oltre. In questo mondo, le persone non avevano bisogno di eroi. Avevano bisogno di speranza. E, forse, per loro, io avevo dato loro quella speranza.
"Non importa se ti chiami eroina o no," disse Troy, entrando nella mensa e avvicinandosi a me, il suo tono più morbido del solito. "Hai fatto qualcosa che nessuno di noi avrebbe fatto. E questo basta."
Le sue parole mi fecero tremare leggermente, non tanto per il contenuto, ma per il modo in cui le disse. Come se stesse riconoscendo in me qualcosa che neanche io avevo compreso del tutto.
"Non ero pronta per tutto questo," dissi, cercando di abbassare lo sguardo, ma Troy mi fermò con una mano sulla spalla.
"Non lo saremo mai," rispose lui, con un sorriso sardonico, ma gli occhi che tradivano qualcosa di più profondo. "Ma ci siamo. E questo è ciò che conta."
Mi sentii di nuovo sopraffatta, ma non tanto dalla situazione quanto dalle emozioni che mi travolgevano. Non ero solo una persona che aveva fatto un'azione coraggiosa. Ero una parte di qualcosa di più grande. E forse, solo forse, avevo trovato il mio posto in tutto questo caos.
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