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Capitolo 9 (pt.2): Il Sincero

Blaine

Caddi in un letto di foglie...

... o precipitai, per meglio dire, gridando prima di toccare il suolo e aprire gli occhi.

La vista appannata dal sonno si schiarì lentamente, rivelando spesse assi di legno scuro che si sovrapponevano tra loro, andando a formare uno di quei tetti da baita di montagna sostenuto da altre assi ancora più spesse, che si intercettavano in diagonale e si perdevano contro pareti di legno.

Ma che diavolo...

Dov'ero finita? Non ne ero certa, ma non sembravo essere più al Nido della Stella.

Una domanda mi solleticò l'anticamera del cervello: perché non ero più al pub? Qualcuno mi aveva portata via di peso?

Immagini vaghe di quel che era successo si susseguivano nella mia mente. Ricordavo il bancone, il barista e un liquore gustosissimo; la felpa che avevo preso in prestito e il forte odore di fragole e cioccolato, che ancora mi invadeva le narici. Persino in quel momento era così vivido da sembrare lì con me, lo sentivo come se mi stesse avvolgendo...

Inspirai. Che buon odore.

Il resto erano sprazzi di colore e la sensazione di aver giocato a birra pong tra lo stupore generale di vecchi compagni di scuola. Non ero certa di quest'ultima immagine, però. La mia mira non era mai stata così buona da poter giocare - figuriamoci poter stupire qualcuno.

Adesso ero stesa su quello che sembrava essere un piccolo letto, ma non potei accertarmene perché al minimo movimento sentii la testa girare e ricaddi con un tonfo sul morbido materasso. Di cos'era fatto? Il mio non era mai stato così morbido... sarei potuta rimanere ore e ore a poltrire lì sopra.

Chiusi gli occhi. C'era qualcos'altro che stavo dimenticando, ma cosa? Le luci nella camera in cui mi trovavo erano soffuse e arrivavano tutte da una finestra in fondo alla stanza che riuscivo a intravedere con la coda dell'occhio, senza fare movimenti bruschi. Si avvicinava l'alba, almeno così sembrava; il cielo si stava schiarendo e nonostante i colori fossero ancora scuri, riuscivo a intravedere delle figure in lontananza. Montagne?

Montagn...

Ahah. Impossibile.

Un movimento a destra attirò la mia attenzione e voltai la testa così in fretta da sentire il sapore della bile sul palato. Sbattei le palpebre una, due volte prima di riuscire finalmente a mettere a fuoco la figura che era entrata in camera.

«Sei sveglia» constatò l'uomo di fronte a me, una mano a chiudere il pomo della porta e l'altra sollevata a tenere una ciotola scura tra le dita. Mi guardava con un'espressione a metà tra lo scetticismo e la curiosità, sollevando appena un lato della bocca.

I suoi capelli ricadevano intorno al viso in lunghe ciocche nere striate di grigio, lasciando in vista la fronte spaziosa. Aveva occhi grandi e luminosi, di un colore che sul momento non riuscì a riconoscere. Erano grigi, forse, ma le ombre che danzavano sul suo volto in un gioco di luci ipnotico non mi aiutarono a stabilirlo. Portava una camicia di lino chiara, con i primi bottoni aperti a mostrare il petto, accompagnata da larghi pantaloni scuri sotto il quale potevo intravedere i piedi nudi.

L'uomo si avvicinò, afferrando nel mentre una sedia e sollevandola senza tanti complimenti fino a farla ricadere di fronte a me. Vi si sedette sopra sospirando e posò la ciotola sul comodino accanto al letto, sporgendosi in avanti con i gomiti sulle ginocchia.

«Come ti senti?» domandò, guardandomi con attenzione. L'espressione del viso pareva essere alquanto annoiata, seppur incuriosita.

Deglutii senza rispondere e lui fece schioccare la lingua, recuperando da terra un panno e strizzandolo sul pavimento, stendendomelo sulla fronte.

Il fresco fu così ben accetto che chiusi gli occhi per il piacere.

«Ragazzina, potresti anche rispondere alla mia domanda» proseguì lui, imperterrito. «Sarebbe buona educazione, anzi, dopo che ti ho aiutata.»

Provai a far luce nella nebbia che continuava a offuscare i miei ricordi, decidendo di esordire con un quesito completamente diverso: «Dov'è Nina?»

Silenzio. Lungo e teso... perché non rispondeva?

Aprii gli occhi.

L'uomo mi stava guardando con espressione indecifrabile. Così da vicino ne fui sicura: le sue iridi erano grigie, la forma degli occhi contornata da soffici rughe che da lontano non avevo notato, che si intrecciavano rivelando un viso che doveva essere stato abituato a dispensare sorrisi. In quel momento, però, mi guardava assorto, la fronte leggermente aggrottata e lo sguardo che mi percorreva, interessato.

Mi chiesi quanti anni potesse avere. Non più di una quarantina, forse...

Come la mia Nina, che era chissà dove.

Tanto per confermare le mie teorie, l'uomo accennò a un sorriso. «Immagino sia stata questa Nina a spedirti qui?»

Ahah. Cosa?

«Scusa?» Battei le palpebre lentamente, prendendo un respiro profondo. Nina mi avrebbe...

Sarebbe stata Nina a spedirmi lì? Ma che razza di pensiero era quello?

E dov'era , di preciso?

Lo fissai, sentendo gocce d'acqua fresca scivolarmi lungo il naso dal panno sulla fronte. In quel momento dovevo sembrare l'esatto opposto di una visione celestiale: mi sentivo flaccida quanto lo straccio sulla mia testa e, a giudicare dall'odorino, dovevo anche puzzare in egual misura.

Ero diventata un panno umano, flaccido e nauseabondo.

L'uomo si sporse un po' più avanti, facendo poco caso al mio profumo e insistendo piuttosto con le domande. «Vuoi almeno dirmi il tuo nome?»

Nah. L'unica cosa che volevo era sapere dove mi trovassi, ma più provavo a esprimere quel concetto, più la mia mente si svuotava e tornavo a pensare all'odore di fragole e cioccolata, e al liquore di prima.

Prima... quanto tempo era passato?

Così tante domande, così poca capacità di articolarle. Se volevo ottenere qualche risposta, però, era il caso che iniziassi a parlare sul serio.

Riflettei su come agire e, d'impulso, optai per la cautela.

«Jane» mormorai. «Mi chiamo Jane.» Fissai gli occhi sul soffitto della stanza e attesi. Avrei risposto alle sue domande, ma che non si aspettasse sincerità; se avevo imparato qualcosa da tutti quei film visti in tv era che in certe situazioni fosse meglio mentire.

Stranamente, il sorriso dell'uomo si allargò. «Puzzi di menzogna» affermò con tranquillità, e io lo guardai di traverso - così di scatto che sentii la nausea tornare prepotentemente a galla. «Stai ferma. Non fa nulla, tranquilla. Non mi aspettavo sincerità da una dyaren

Una... «Dyaren?»

Lui mi indicò da capo a piedi con un gesto noncurante della mano, mettendosi comodo sulla sedia. «Ti sei materializzata dal nulla con una felpa del Ladro e dei jeans. Si chiamano così, vero? Quegli strani pantaloni che piacciono così tanto alla tua gente, stretti e scomodi. Per non parlare delle scarpe» grugnì, scuotendo la testa. «Quelle ciabattine colorate avrei potuto scambiarle per dei topi. Dei rossospini, magari.»

Aprii la bocca per difendere a spada tratta le mie Chuck Norris, ma tutto ciò che ne uscì fuori fu un gorgoglio strangolato.

L'uomo continuò, ignorandomi: «Da queste parti non funziona così, però. Ho bisogno di sapere chi ti ha mandata, Jane, e ho bisogno della verità. Visto che ormai sei qui mi sembra il minimo provare a instaurare un rapporto il più sincero possibile, per capire cosa posso fare per te.»

Non faceva una piega... ma no. «Io...» Non avrei parlato. Nemmeno sotto tortura.

«Adesso puzzi di reticenza, ragazzina. Allora lascia che inizi io» rise lui, indicandosi con un dito. «Il mio nome è Fidel Arcante. Per alcuni sono Il Sincero, la maggior parte mi conosce però come Il Roccioso

Indicò lo spazio intorno a noi. «Questa è la mia umile dimora. Ci troviamo in una valle al centro del Regno di Lyede, a poche ore dai Monti Bryoni. Nel caso te lo fossi chiesto, hai dormito tre giorni e tre notti.»

Aprii e chiusi la bocca più volte. Era così che si sentivano i pesci fuor d'acqua? Probabile.

Non era affatto una bella sensazione.

«Ma Nina...» iniziai.

Lui, Fidel, mi bloccò di nuovo con un sorriso. «Non conosco alcuna Nina, mi dispiace.»

Serrai la mascella. «Ho capito. Devo ritrovarla, però. Io devo ritrovare Nina

«E sei sicura questa Nina si trovi qui?»

Colpo basso.

No. Non ero sicura neppure di dove fossimo. Lyede, Lyede... avevo già sentito quel nome. Era stato il barista a pronunciarlo prima che il vuoto di memoria mi rimbambisse. Ma io non potevo stare lì, dovevo tornare a casa, chiamare Maggie e dirle che stavo bene, chiamare mio padre, ritrovare Nina.

Tre giorni... e in tre giorni senza mie notizie, quanto si dovevano essere preoccupati? Troppo, e l'idea mi strinse lo stomaco in una morsa ferrea. Per qualcosa del genere, non dubitavo persino mio padre si fosse attivato per cercarmi.

«Quanto dista questo posto da Dublino?»

Fidel mi guardò, apparentemente divertito dalla mia insistenza. «Non esiste alcuna Dublino nelle Terre del Tempo, Jane.»

Se fossi stata in piedi probabilmente avrei avuto bisogno di sedermi. Non riuscivo a comprendere cosa mi stesse cercando di dire quell'uomo, né tanto meno il perché stesse pronunciando quelle parole con così tanta leggerezza. Era la terza volta in troppo poco tempo che una delle persone intorno a me parlava di Terre del Tempo, ma ora? Adesso volevano farmi credere che fossi spuntata come un fungo in un nuovo mondo, così, senza una spiegazione ben chiara?

Distolsi lo sguardo da Fidel, rimanendo impassibile. La razionalità mi suggeriva di mantenere la calma - sangue freddo e respiri profondi. Se mi fossi lasciata scappare anche solo uno dei pensieri che mi vorticavano in testa, probabilmente avrei perso il poco senno che mi rimaneva.

Sarei diventata pazza... più pazza di ora, senza dubbio.

«Vuoi il mio parere?» chiese lui con gentilezza, guardandosi le mani. Non la volevo la sua stupida opinione, ma non ero in vena di parole quindi rimasi in ascolto, lasciandolo continuare.

«Sei arrivata qui seguendo un... come lo chiamereste voi? Protocollo di emergenza, che conoscono solo alcune persone in questo Regno e quelli adiacenti» rifletté, aggrottando le sopracciglia scure. «Conosco ognuna di quelle persone e nessuna di loro si chiama Nina.»

Belle notizie. Sempre e solo belle notizie.

Seguendo il suo ragionamento, mi trovavo lì non per colpa di Nina, ma di qualcun altro? Qualcuno che potenzialmente non conoscevo neppure?

«Ognuna di queste persone, però, avrebbe un motivo per cambiare nome» continuò lui, e io lo adocchiai con espressione impassibile. «Posso immaginarne un paio che andrebbero a rifugiarsi a Dya, nel vostro mondo, per un motivo o per un altro. L'unica cosa che non capisco è perché qualcuno di loro dovrebbe spedire te qui.»

Soppressi una risata isterica.

No. Nina era vissuta con noi da quando potevo ricordare, che ero solo una bambina. Non avrebbe mentito sul proprio nome, non ci sarebbe riuscita in vent'anni di convivenza.

Anche se... lo aveva fatto su qualcos'altro. Aveva mentito sul mal di testa, lo aveva chiamato malocchio. Cosa ne sapeva lei, cameriera poco avvezza alle grandi metropoli?

Chi era in realtà?

Chiusi quei pensieri in una scatola, gettandone la chiave e sbarrando ogni porta che potesse condurmi sino a loro. Non potevo pensarci a lungo, non potevo permettermi di avere un crollo nervoso in mezzo a una baita sperduta in un mondo completamente sconosciuto, di fronte a un uomo con cui a malapena avevo parlato per più di dieci minuti. Chi mi diceva che quel Fidel stesse dicendo la verità? E se fosse stato un maniaco, un pazzo, un rapitore....

Calma. Calma! Dovevo prendere in mano la situazione, con calma e maturità, in modo da trovare una svolta.

Per questo domandai: «E adesso?»

Gran bel modo di prendere in mano la situazione, Wes. Gran bel modo.

Fidel mi studiò con un mezzo sorriso, soffermandosi sui miei occhi. Mi guardò con attenzione, forse capendo le mie difficoltà... o forse non capendoci molto, ma trovando un briciolo di pietà verso l'ansia crescente nel mio sguardo.

«Dovrai essere sincera con me, Jane. Solo allora potrò iniziare ad aiutarti.»

La cosa non mi convinceva affatto. Per niente!

«Per quale motivo dovresti volermi aiutare?»

Lui rispose senza esitazione, gli occhi che scintillavano appena, divertiti. Fuori si potevano cogliere i colori aranciati dell'alba, e la stanza venne invasa poco a poco di luce. «Molto tempo fa strinsi una promessa. Ho giurato di rispondere a qualsiasi richiesta d'aiuto che i miei compagni mi avrebbero inviato.»

Mormorai: «Che tipo di richiesta?»

E Fidel si alzò facendo stridere i piedi della sedia sul pavimento di legno, guardandomi dall'alto e accentuando quella che doveva essere una stazza non poco imponente.

Fece spallucce, presentandomi un nuovo sorriso. «Io sono stato Sincero, ma adesso tocca a te. Quando avrai voglia di parlare e continuare la conversazione, mi troverai fuori.»

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