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Capitolo 8 (pt.2): Tanto tempo fa

«Devo dirti un segreto» bisbigliai verso Pooh, mentre quest'ultimo ci faceva strada in quello che aveva tutta l'aria di essere un magazzino. Un grande magazzino... e anche piuttosto buffo, a dirla tutta.

Era un grande e buffo magazzino, pieno di stranezze piuttosto strane per un semplice pub. Ma a quel punto non mi sarei di certo stupita se quello, beh, fosse stato tutt'altro che un posto normale.

Magari era magico come la fogliolina che mi rideva accanto. Magico. Mag...ico...!

Singhiozzai dal ridere.

Sarebbe comunque stato tutto meno strano o mag-ico di quanto non fosse diventata la mia vita da poco a questa parte.

«Dimmi pure.» La voce di Pen mi arrivò ovattata, come coperta da uno spesso lenzuolo. Ci feci poco caso, però, impegnata com'ero ad ammirare i tesori che quel grande magazzino ospitava. Sembrava quasi di stare in un negozio di abbigliamento assai peculiare: da strana biancheria a felpe invernali, compresi strani mantelli vecchi e logori. La scelta era imbarazzante. Credetti persino di intravedere delle...

Delle spade?

«Quelle sono spade?»

Pan... Pin seguì il mio sguardo e scosse la testa, ridendo. «Sono frecce, non vedi?»

Le fissai intensamente e sì, sì. Effettivamente aveva ragione. Feci per avvicinarmi alle frecce, dando un'occhiata alle felpe lì accanto, sfiorando il tessuto morbido di una color azzurro pastello.

«Vanilla vuole il cielo!» esclamò la foglia, lanciandosi con la solita foga verso la felpa che stavo esaminando. Gliela lasciai cadere addosso, ammirando divertita il modo in cui quell'assurdo esserino riuscì a tenerla sollevata. Da solo.

Razza di demone...

Proseguii in avanti, afferrando una felpa scura, dello stesso colore delle cortecce dei pini. Me la portai al naso e inspirai.

Oh, che buon profumo.

Dovevo averlo detto ad alta voce perché Pin avvicinò il naso alla felpa. La sua vicinanza mi infastidì, ma preferii non annusare il barista per provare a mantenere una parvenza di lucidità ed educazione.

Trattenni piuttosto una smorfia.

Senza pensarci due volte, mi levai la maglietta e la gettai sulla testa di Pin, che esclamò qualcosa a cui feci poco caso mentre immergevo di nuovo il viso in quella felpa – aveva davvero, davvero un buon profumo. Odorava del liquore di prima, di cioccolato e fragole, e qualcos'altro di solo suo a cui non riuscii a dare un nome.

Pin si levò la mia maglia di dosso, l'espressione curiosa e un po' irritata, e io mi infilai in fretta e furia la mia nuovissima felpa.

«Profuma» giustificai il mio furto, continuando l'avanzata verso le frecce. Cosa mi era preso? Non lo sapevo, ma mi divertiva quella situazione. Quando fossimo tornati al bancone avrei provveduto a pagare la felpa, nonostante Pen non mi avesse ancora richiamata a riguardo.

Non credevo mi sarei mai potuta separare da quel profumo.

Osservai le frecce con curiosità, ammirandone i colori sgargianti. Dovetti piegare la testa indietro per studiarle attentamente, appese com'erano sulla parete, e anche a quel punto la vista sfocata non mi venne in aiuto.

Ne vidi di rosse, di tigrate, a pois. Di lunghezze diverse, o almeno così pareva; confusa com'ero dal mio stato catatonico le frecce mi attiravano un po' tutte. Avevo sempre desiderato provare il tiro con l'arco da bambina, ma non avevo mai avuto la spinta giusta per tentare realmente. Non aiutava come Nina si fosse convinta sarei potuta essere un pericolo per gli altri, oltre che per me stessa.

Pff. Donna di poca fede.

Mi soffermai con lo sguardo su una delle frecce dai colori più neutri: completamente bianca e striata da una singola linea azzurra, dal colorito metallico e brillante che sembrava risplendere anche senza la presenza di luci intense.

Vanilla mi si posò sulla spalla, un peso quasi inesistente e allo stesso tempo confortante accanto al mio orecchio. «Freccia del cielo...» sussurrò.

«Una freccia del cielo» confermai con fermezza. Doveva esserlo per forza, brillante com'era. Ma... cos'era una freccia del cielo? Non ne ero del tutto sicura, ma aveva proprio quel colore, lo stesso che avevano anche i... pesci, nella mia immaginazione.

Annuii tra me, sempre più convinta. Era così bella, quella freccia!

Così bella.

«Puoi prenderla» disse Pin alle mie spalle, con voce particolarmente piatta. Piegai appena la testa verso di lui, senza distogliere lo sguardo dalla freccia. «Prendila, non lo saprà nessuno» mi esortò a un passo dal mio orecchio.

Non lo saprà nessuno...

Prima che potessi accorgermene mi protesi verso il muro in punta di piedi, le dita che sfiorarono la superficie liscia della freccia. La sollevai dal gancio che la sosteneva in verticale e passai il pollice sulla punta, attenta a non farmi male.

Era così liscia, così bella.

Preda di quel curioso istinto me la portai al naso e inspirai nuovamente, sentendo odore di cioccolato e fragola. Qualcosa mi diceva non fosse esattamente normale sniffare di qua e di là, ma come fermarmi?

Che buon odore.

«Quest'odore è ovunque» notai, lasciando che Vanilla si sporgesse anche lei verso la freccia e ne sentisse il profumo.

La foglia poteva odorare, a quanto pareva. Da dove le arrivava l'aroma? Aveva un naso? Probabile, ammisi a me stessa, ormai un tutt'uno con quello strano stupore che continuavo ad avvertire. Sicuramente lo avrà nascosto sotto qualche nervo.

Come avevo fatto a non pensarci prima? Il liquore che avevo bevuto aveva reso tutto così chiaro e semplice!

Sentii qualcosa serrarsi con delicatezza intorno al mio avambraccio e mi voltai, scoprendo Pin a pochi centimetri da me. Il suo sguardo divertito aveva lasciato il posto a un'espressione che la parte senziente del mio cervello mi aiutò a definire come... cosa, bramosa? Di certo era fissa sulla freccia che tenevo in mano. Le sue labbra sottili si serrarono e tremarono appena; gli occhi piccoli si posarono su di me e il suo corpo fu attraversato da un brivido.

Un po' inquietante.

D'altro canto, io ci vedevo sempre meno. Avevo la vista sempre più appannata ed ebbi la netta sensazione che Vanilla stesse vivendo uno stordimento molto simile. Avvertii il suo corpicino avvicinarsi alla mia tempia, quasi coprendomi l'occhio destro, ma scossi la testa per schiarirmi le idee e lei si afflosciò, scivolando nel cappuccio della mia felpa.

«Tanti anni fa» sussurrò Pin, lasciando cadere il braccio ustionato a stringermi la mano in cui tenevo la freccia. «Un ragazzo mi raccontò una storia... una ballata, la chiamò lui. Una ballata che risale a tanti secoli fa, che con il tempo è diventata quasi leggenda. Una storia come tante altre, credono alcuni, narrata ai bambini delle terre di Lyede per rassicurarli prima di andare a dormire.»

Qualcosa nel suo tono di voce mi mise sull'attenti, ma non mi mossi. Rimasi immobile, lo sguardo fisso sulla sua espressione mentre seguivo il movimento dei suoi occhietti con il poco di lucidità che mi rimaneva.

Pon li fece scorrere lentamente dalla mia mano alla foglia, con un sorriso che gli stirò le labbra secche.

Se le inumidì prima di continuare. «Mi disse che un giorno Calibur e Gioiosa si sarebbero rincontrate, questa volta per schierarsi insieme contro il drago bianco» sussurrò fissando la freccia. «Affermò che l'antico ruggito sarebbe rinato e i cancelli si sarebbero riaperti... che la magia sarebbe potuta tornare nelle terre di Lyede.»

La mano di Pen... Pin, si strinse forte intorno al mio polso, ma ignorai il dolore persa com'ero nel suo delirio.

Vanilla, che evidentemente non aveva di meglio da fare, aveva iniziato a cantare.

Cantano del sole, cantano!

«Pensavo fosse una storia, sai. Ne ero sicuro. Ma mi disse anche che le foglie si sarebbero risvegliate.»

Vanilla squittì, cantando più forte.

Figlie d'ogni dove, cantano!

Le parole mi sfuggirono di bocca. «Dov'è lui, ora?»

Un sorriso amaro, una stretta più forte attorno al polso.

«È morto tanto tempo fa» sospirò Pin, scuotendo leggermente la testa. «Annegato in un fiume, dicevano. Era così piccolo... eppure era un assassino, sai. Ha ucciso la sua intera famiglia.»

Lo fissai. Le sue parole mi causarono un brivido per nulla piacevole lungo la schiena, mentre gli angoli del suo viso si fecero sempre più sfocati, i suoi occhi sempre meno chiari.

Avvertii le dita del barista stringersi intorno alla freccia, insieme con le mie, pochi secondi prima che parlasse.

«L'ultima cosa che mi disse fu: serve il sangue di entrambi, Rostro. Di entrambi

Sentii Vanilla lanciare un gridolino stridulo che, così vicino alle mie orecchie, mi costrinse in ginocchio. Qualcuno gridò il mio nome – Nina? Mi voltai giusto in tempo per vederla correre verso di me, la mano protesa in avanti, gli occhi felini puntati verso qualcosa alle mie spalle.

Ricordai solo quello e la sensazione di cadere.

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