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Capitolo 25 (pt.2): Una sola conclusione possibile

Janine "La Bianca"

«Si riprenderà.»

Janine guardò le mani di Fyero, il più giovane dei Sacerdoti della Natura del villaggio di Narek, massaggiare gli oli calmanti sulle tempie di Blaine. La ragazza era stesa su una branda vicino alla finestra più piccola della stanza, gli occhi chiusi e il respiro profondo, immobile come non l'aveva mai vista in tutti gli anni in cui l'aveva conosciuta.

Non rispose subito alle parole dell'uomo, presa com'era dalla preoccupazione che le scorreva lenta e glaciale nelle vene. Il pensiero di come avesse perso la ragazza la tormentava – per motivi stupidi ed egoisti, era stata troppo concentrata sull'idea di raggiungere i sacerdoti e abbandonare almeno momentaneamente la forma animale nell'unico luogo, in quel mondo, in cui le era permesso di tornare umana.

Sospirò, guardandosi i palmi delle mani.

Mani umane. Nelle Terre del Tempo non avrebbe dovuto essere possibile, ma Narek era un luogo sacro dove la maledizione scagliatale secoli prima non riusciva a raggiungerla, permettendole di recuperare la sua forma umana fintanto che fosse rimasta nei pressi del villaggio. Era lì che avrebbe tentato di scacciare una volta per tutte il malocchio di Blaine, se lei si fosse risvegliata, bagnandole gli occhi nel fiume benedetto che scorreva sotto Narek.

Il Toeba... il fiume dei miti.

La magia, si sapeva, risiedeva negli occhi di chi vi credeva. Era quella la chiave di tutto, il modo per liberare Blaine da ogni maleficio lanciatole dal principe Darui.

Adesso, però, Janine non era più convinta di ciò che bisognasse fare. Le foglie che le avevano riportato Blaine si erano addormentate sul comodino lì accanto, stanche dopo lo sforzo fatto per condurla fino a Narek. Vanilla, la foglia di fico, si era assopita invece sul cuscino della ragazza, a un soffio dai suoi capelli.

Janine attese che Fyero finisse e lo accompagnò fuori dalla casupola, lanciando un'ultima occhiata a Blaine. All'esterno si fermò sul ciglio del selciato che conduceva al resto del villaggio, a studiare la folta vegetazione che accoglieva le vecchie baracche dei sacerdoti, unite tra loro da ponticelli all'apparenza fragili e decadenti che sovrastavano il fiume Toeba e le sue tante ramificazioni. Erano in realtà robusti e antichi, costruiti con la Prima Magia in tempi lontani, quando ancora Janine aveva avuto l'ingenuità dei giovani negli occhi e la magia che scorreva tra le dita.

Non la disillusione di ora.

«Cosa pensi di fare? Con la ragazza.» Fyero le si affiancò, incrociando le braccia al petto e sorridendo amaramente. Non era invecchiato di un giorno dall'ultima volta che lo aveva visto, almeno un secolo prima: gli occhi castani che divoravano ancora ogni dettaglio, i capelli bianchi portati lunghi, ora sciolti sul viso con il portamento di chi aveva conosciuto la nobiltà. «Non puoi riportarla su Dya... questo lo sai, almeno.»

«Certo che posso» rispose lei con impeto, trattenendo a stento la rabbia che sentiva sfociare tra quelle parole. «Dopo che le leverai la maledizione tornerà con me al sicuro. A casa.»

Fyero non ribatté subito, osservando la natura circostante. Trascorse un tempo apparentemente interminabile prima che sussurrasse: «Appartiene a questo mondo, Janine. Questa potrebbe – anzi, dovrebbe essere la sua casa.»

Janine si lasciò sfuggire un ringhio; una reazione istintiva, memore della seconda forma che aveva mantenuto per troppo tempo nell'ultimo periodo. «Non lo permetterò.»

«Non sta a te decidere.»

«Né tantomeno a te.»

«E non sarò io a farlo, infatti» acconsentì Fyero con semplicità. «Sarà lei stessa, e lo sai bene. Se davvero non possiede solamente il sangue dei Sacerdoti, se davvero ha qualcosa in più... le acque del Toeba la reclameranno. Sarà lei a non voler tornare su Dya.»

Janine strinse i pugni, cercando di calmare il respiro. Quelle parole la colpirono con la violenza di una frusta e, se si fosse trovata nella sua forma animale, avrebbe volentieri sfogato la furia in una corsa o, meglio ancora, in una battuta di caccia. Tuttavia, adesso doveva mantenere un minimo di contegno, e l'unica cosa che riusciva a calmarla era ripetersi che no, nulla di quanto diceva Fyero sarebbe accaduto. Blaine sarebbe presto stata al sicuro nel regno di Dya, lontana dai pericoli delle Terre del Tempo, dalle minacce di Vladimir I Darui e una storia che continuava inutilmente a trascinarsi in avanti da secoli.

La Natura non l'avrebbe reclamata a sé – non avrebbe potuto fare anche quello a Janine. Non avrebbe imposto il suo marchio sulla ragazza che aveva protetto come una figlia per tutti quegli anni, tenendola su Dya per evitare d'incorrere proprio in quel rischio.

Eppure... la foglia, Vanilla, e il legame di sangue stretto con quello sciocco di Fidel. Tutto sembrava suggerire il contrario.

Tutto sembrava condurre a una sola conclusione possibile.

«Se dovesse essere lei, Janine... non dovrai opporti. Non potrai portarla via.»

Una brezza salata li investì; fuori posto, ma Janine si ritrovò ugualmente a chiudere gli occhi, inspirando a pieni polmoni. Sapeva che se davvero il peggio fosse accaduto, non avrebbe potuto far nulla per impedirlo. Se la Natura avesse designato Blaine come sua prossima erede, l'unica cosa che la donna avrebbe potuto fare sarebbe stata starle vicino in quel che sarebbe seguito.

Temibili pericoli, cambiamenti radicali per quel loro regno dimenticato.

Se Blaine Wes fosse stata davvero la nuova Epohymia, niente sarebbe più stato lo stesso.

Dei, vi prego... non portatemela via.

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