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Capitolo 17 (pt.2): Nyscad, Fen'Aver!

Lasciai cadere la freccia a terra, stringendomi la mano al petto e sentendo quel... quel liquido vischioso – sangue, Dio santo! – sporcarmi la felpa. La ferita sul palmo bruciava così tanto da mozzarmi il respiro, pulsando con forza, echeggiando il mio cuore impazzito. L'odore del ferro mi raggiungeva le narici, facendomi girare la testa; una singola frase continuava a risuonare nella mia testa.

Non sta succedendo davvero. Non sta succedendo davvero. Non sta succedendo davvero.

La freccia sul pavimento aveva iniziato a brillare flebilmente – la notai mentre Fidel indietreggiava piano, lasciando ricadere al fianco la propria mano ferita, rosata da piccoli rivoli di sangue nel punto in cui due dita avevano stretto la freccia. Il suo, di taglio, sembrava indolore rispetto al mio, e non pareva essere accompagnato dall'ustione che mi stava letteralmente mandando in fiamme il palmo; lui se ne stava lì, a fissarmi con denti serrati, mentre io non riuscivo quasi più a muovere la mano.

Cosa fare in caso di ustione? Cosa!?

Se solo la mia testa fosse stata capace di collaborare, in quel tipo di situazioni.

La luce che scaturiva dalla freccia si faceva sempre più forte, difficile da sostenere con lo sguardo. Sentii qualcuno gridare, per strada, e vidi distrattamente Fidel muoversi, iniziare a dirmi qualcosa, forse di farmi da parte...?

Non ne sarei mai stata certa. L'unica cosa che riuscii a fare fu inginocchiarmi accanto alla freccia, allungando la mano spinta dalla nebbia che mi offuscava la vista, sfiorandola per afferrarla, o per spezzarla in due.

C'era qualcosa, in tutto quello, che mi stava mandando in panne il cervello.

Che diavolo succede?

Toccai la freccia e la sentii fresca, un balsamo piacevole e rigenerante a contatto con la mano ustionata. Sospirai, sentendo l'impulso di chiudere gli occhi. Non lo feci solamente per il pizzicore costante che sentivo nel punto in cui i polpastrelli sfioravano quella maledetta superficie azzurrognola, le sue rifiniture...

Ebbi quasi un altro attacco di panico.

La freccia... la freccia stava cambiando forma.

Tentai di rimettermi in piedi in fretta, terrorizzata. Purtroppo non ci riuscii; ero come incollata al terreno, e più istanti rimanevo in quel punto, più sentivo nascere il desiderio di non andare da nessuna parte, di restare a contatto con quella specie di... di bolla di piacere. Sollevai lo sguardo su Fidel e lo trovai a pochi passi da me, intento ad agitare le mani.

O no?

No. Stava agitando solamente una mano, probabilmente per attirare la mia attenzione. L'altro palmo era a un soffio da me, aperto come a poggiare su una qualche superficie, vicino ma incapace di toccarmi davvero.

Anche se... beh, non c'erano pareti lì di fronte.

Tesi la mano libera verso di lui, sfiorando una barriera – una barriera vera, che rispose al mio tocco mandandomi un brivido giù per la schiena. Era invisibile, ma liscia al tatto. Nei punti in cui le mie dita l'accarezzavano potevo vedere piccoli cerchi perfetti che si allargavano ritmicamente sulla sua superficie, come fosse liquida, cristallina. Se avessi fatto pressione, forse sarei riuscita ad attraversarla, sarei riuscita ad arrivare a Fidel.

Ci provai e le nostre dita si sfiorarono. Avvertii un leggero solletico riscaldarmi la pelle.

Abbassai nuovamente lo sguardo sulla freccia, che adesso aveva assurdamente assunto una forma del tutto diversa. Le mie dita erano ora serrate intorno all'elsa di quella che aveva tutta l'aria di essere una spada – una spada vera, che riuscii a distinguere solamente grazie alla sensazione familiare sotto le dita, nonostante i bagliori che la lama continuava a emettere con forza. Quest'ultimi divennero sempre più accesi, finché non dovetti coprirmi gli occhi con la mano libera.

Feci per muovermi, per liberarmi e... ci riuscii.

Caddi indietro, ritrovandomi a boccheggiare a terra, le dita ancora strette attorno all'elsa della spada. Mi misi in piedi in fretta e furia, sentendo la barriera premere contro la nuca nell'attimo in cui finalmente l'attraversai. La vidi scoppiare in un lampo di luce, un rombo che risuonò con violenza, spezzando il silenzio di quel momento e permettendomi si tornare finalmente a sentire la voce di Fidel. Quello mi fu subito accanto, la mano a stringermi una spalla.

La porta della locanda tremava sotto i pugni di qualcuno, le grida dall'altra parte erano a malapena soffocate.

«Sono dentro! Qualcuno sfondi questa cazzo di porta!»

Fidel incrociò il mio sguardo con un mezzo sorriso, uno scintillio folle negli occhi.

«Adesso inizia il vero divertimento.»

Mi lasciò andare all'improvviso, avvicinandosi all'ingresso con passi felpati, tenendo le iridi bigie fisse su di me. Lo fece con estrema calma, apparendo però febbricitante, come impazzito.

Non sta succedendo davvero. Non sta succedendo davvero.

Mi sentivo ancora scossa da ciò che era appena accaduto, ma una nuova melodia accompagnava ogni mio passo. Sì, era quella la sensazione – un canto antico e familiare, che si sprigionava dall'arma che ancora scintillava tra le mie dita.

«Trai» iniziò a contare Fidel, sfiorando la superficie in legno della porta.

Tre.

Altri pugni dall'esterno, altre grida che non riuscii veramente a comprendere.

«DraiDue.

Non sta succedendo davvero. Non sta succedendo davver...

«AnnìUno.

Prima che potessi realizzare qualsiasi cosa, Fidel spalancò la porta e colpì il primo uomo intento a scaraventarsi oltre la soglia della locanda, prendendolo sulla tempia con il pomolo della spada. Quello crollò in meno di un secondo a terra, strappando grida irate a tutti gli uomini che si trovavano all'esterno e stavano già correndo in suo aiuto.

Verso di noi, contro di noi.

Merda.

Fidel avanzò, il sorriso sulle labbra e la spada già in posizione. Ogni passo che prendeva mi costringeva a muovermi dietro di lui, guidata da un istinto che non seppi razionalizzare. Le mie dita non sembravano voler mollare la presa sulla spada, anche se la sensazione di stare andando incontro alla morte non faceva che aumentare.

Era come se qualcosa mi stesse richiamando a sé, mi stesse sussurrando di avanzare dietro Fidel, mi stesse suggerendo dove posare lo sguardo. Osservavo i movimenti di quel vecchio pazzo e li imitavo, mentre la spada... Fusberta mi sussurrava all'orecchio, ad accompagnare ogni pensiero, brillando nella luce del pomeriggio così tanto da risultare accecante.

I banditi fuori della taverna si fecero indietro, facendoci spazio e lasciandoci scavalcare il corpo inerte del loro compagno. Formarono una cerchia intorno a noi, guardandoci con astio, pronti ad assalirci.

Fidel mi anticipò dandomi le spalle, e il sussurro della lama mi portò a spalleggiarlo, sentendo il calore della sua presenza contro la schiena.

Non capivo cosa stesse accadendo, e al contempo riuscivo a visualizzare dannatamente bene cosa sarebbe successo di lì a poco.

Sollevai la spada in posizione di guardia e attesi, senza riuscire a oppormi a quella parte di me che stava dettando le regole del gioco. Il più alto tra i banditi gettò la testa indietro, verso il cielo, lanciando in aria un ululato folle e discontinuo.

I suoi amici lo imitarono, sghignazzando tra loro.

«Ma che diavolo...» Lasciai la frase in sospeso, impegnata com'ero a scrutare stranita la situazione, i banditi che si davano gomitate, indicandomi con sorrisi sornioni sulle labbra. Intravidi un bambino sporgersi da un vicolo con sguardo terrorizzato, sparendo pochi istanti dopo.

Fidel sollevò entrambe le proprie armi: la spada in una mano, una daga nell'altra. Giocò di polso con entrambe le lame, piegandosi in avanti con quello scintillio febbricitante, il viso volto appena per adocchiarmi da oltre la spalla. «Pronta per fare vedere cos'hai imparato in queste ultime settimane?» Sorrise con ironia, dandomi completamente la schiena. «È da una vita che non duellavo con un po' di magia nelle vene.»

Non sapevo cosa volesse dire, ma la spada rispose per me, sussurrandomi la risposta.

Era stata lei. Il suo risveglio aveva permesso a Fidel di ritrovare un briciolo di magia.

Un brio primordiale mi invase e non riuscii a reprimere una risata leggermente isterica. «D'accordo... a te la prima mossa, allora.»

E Fidel non se lo lasciò ripetere due volte.

Partì all'attacco e il più alto dei banditi finì steso a terra nel giro di pochi secondi, scagliandosi contro Fidel e venendo sbalzato indietro dal piatto della sua spada. Fidel evitò la sua lama con facilità e lo colpì rapido con il gomito, dritto alla mascella.

Dopo quel primo assalto, scoppiò letteralmente il putiferio.

Fusberta cantò per me, e io la seguii senza riuscire a dubitare. Una parte di me l'avrebbe fatto, se avesse potuto, ma un uomo dalla barba lunga e i denti storti mi fu addosso quasi subito, e mi tenne testa per lunghi istanti prima che riuscissi a colpirlo in fronte con il pomolo della spada, stendendolo a terra e voltandomi rapida per incontrare la daga di un secondo avversario. Quella sbalzò via a contatto con Fusberta, finendo nella fontana al centro della piazza e dandomi l'occasione ideale per mollare un calcio tra le gambe del bandito, costringendolo in ginocchio, piegato in due.

Mi sentii quasi in colpa per quel colpo basso, ma durò poco: uno dei suoi compagni tentò di bloccarmi da dietro, ridendo e insultandomi, tenendomi stretta finché non riuscii a dargli una testata e a intercettare il suo pugnale con la mia spada, colpendolo con forza con il piatto della lama. Mi ci volle qualche istante di troppo, ma riuscii a liberarmene senza fare nulla di cui mi sarei pentita in seguito, ritrovandomi immediatamente ad avere a che fare con il bandito successivo.

Lo scontro andò avanti per un tempo che sembrò infinito. Non sentivo la stanchezza, non sentivo neppure il rimbombo dei miei stessi pensieri; vedevo solo i movimenti di Fidel, avvertivo il canto che si ostinava a indirizzare i miei gesti mentre entrambi duellavamo con un ritmo serrato e costante, che non permetteva di pensare ad altro.

Solo una sensazione sovrastava tutte le altre, strappadomi un'euforia paurosamente simile a quella di Fidel...

In tutta la mia vita non mi ero mai sentita così viva.

Gli uomini continuavano a susseguirsi, al punto che alcuni tentarono di infilarsi nella mischia, urlando entusiasti per chissà quale motivo. Vidi Paletta alzarsi zoppicante dal suo posto dall'altro lato della fontana, prendendo a malmenare i curiosi che osservava i duellanti, scacciandoli malamente da lì. Alcuni paesani si scagliarono senza apparente motivo contro i corpi più vicini, gridando e ridendo sguaiatamente, come fossero ubriachi già a quell'ora del mattino. Non troppo distante da me, Fidel continuava la sua danza e io lo seguivo passo dopo passo, allontanandomi poco a poco da quella massa informe e scalpitante.

Alla fine sentii la sua voce a un soffio dal mio orecchio, ma non riuscii a distinguerne le parole. Lui mi strinse un polso e fece per correre via, portandosi due dita alle labbra ed emettendo un fischio che mi stordì, venendo però presto attutito dalle grida dei banditi.

Continuammo a correre, allontanandoci sempre di più fino a imboccare un vicolo lungo e stretto, appiattendoci contro la parete di una casupola e sentendo le urla aumentare.

«Trovateli! Trovateli!» gridò all'improvviso qualcuno, e un gruppo di uomini riuscì a separarsi dal resto della matassa, ululando al cielo e oltrepassando il vicolo, correndo a cercarci.

Sentivo il cuore in tumulto, la paura che stava finalmente tornando a galla.

Sta succedendo davvero. Sta succedendo davvero.

«Vuoi spiegarmi cosa significa tutto questo?» bisbigliai con foga, ancora tanto presa dal momento da riuscire a malapena a ragionare. Iniziai poco a poco a ritrovare la sensibilità alle dita che stringevano Fusberta, tremando senza dignità.

Fidel si portò un dito alle labbra, intimandomi di fare silenzio. Mi afferrò per un braccio e mi condusse lungo il vicolo finché non sboccammo in una strada più larga della precedente, al cui centro faceva la sua bella figura un carro stracolmo di legna, trainato da diversi muli immobili. Le bestie osservavano impassibili un anziano sbracciare di fronte a loro, apparendo ben poco disposte a spostarsi dal bel mezzo della via.

Degli ululati dietro di noi ci avvertirono dell'arrivo imminente dei banditi; Fidel estrasse il suo secondo pugnale, premendoselo appena contro il palmo della mano ferita e bagnandolo di sangue. Si inginocchiò a terra subito dopo, conficcandolo nel terreno e sussurrando una lenta cantilena.

«Magia elementare di contenimento» spiegò, accennando con il mento verso i muli ancora immobili al loro posto. Il loro padrone aveva iniziato a gridare improperi e battere i piedi per terra, furioso. «Non durerà molto, ma dovrebbe tenerli occupati il tempo necessario.» Riuscii a intravedere i banditi correre verso di noi dal lato opposto della strada, ululando furiosi. Forse stavano cercando di avvertire i loro compagni, o più semplicemente volevano farsi notare da noi.

Idioti, oltre che folli.

Non feci domande, ma seguii Fidel oltre il carro, correndo a perdifiato. Non seppi quanto tempo ci impiegammo, ma giungemmo infine al limitare della foresta, oltre cui si potevano intravedere le cime dei Monti Bryoni, il sole che stava lentamente calando lasciando intendere l'ora ormai tarda.

Dio santo.

Portandosi due dita alle labbra, Fidel fischiò ancora una volta, prolungando stavolta il suono fino a sovrastare le grida in lontananza. Quando il sibilo morì, il rumore di zoccoli invase il silenzio e due forme possenti si fecero strada tra i rami degli alberi, nitrendo con forza.

Due cavalli.

Fidel gli si avvicinò, allungando una mano verso il muso del più grosso dei due e lasciandosi annusare, ordinandomi di imitarlo. Io lanciai un'occhiata alle mie spalle, tentando di intravedere i banditi, sentendo solamente i loro ululati e degli scoppiettii sinistri, seguiti da imprecazioni.

Avanzai verso il cavallo di Fidel, sostenendo gli occhi bigi del vecchio.

«Dobbiamo andare» mormorai, realizzando nel frattempo quale cavallo avessi di fronte – lo stallone che aveva l'abitudine di scrutarmi con odio, il cui manto dorato riluceva d'ambra alla luce del pomeriggio. In quel momento stava spostando gli occhietti intelligenti da me a Fidel, mentre questi lo faceva trottare in avanti affondando le dita nella sua criniera, mormorando parole rassicuranti e indistinte.

Era chiaro cosa ci stessero facendo lì, quelle due bestie. Perciò feci per avvicinarmi al puledro che riconobbi quasi subito come Balen, uno degli stalloni più giovani e resistenti che Fidel possedesse. Non era tra i più veloci, ma era uno dei pochi rimasti che provasse una qualche simpatia per me, il che gli conferiva un valore non indifferente nella scala di apprezzamento di Blaine Wes.

Fidel mi guardò con un sorriso storto e quello scintillio che stavolta riconobbi nello sguardo: magia, la stessa che lo stava rendendo tanto impulsivo. Lo vidi indicare lo stallone dorato, facendosi da parte e tenendo d'occhio la strada da cui eravamo arrivati. «Tu prendi Fen'Aver, Jane.»

Fen'Av...

Lo stallone del demonio mi adocchiò con sprezzo, agitando la coda con irritazione e sbuffando sonoramente. Capii solo allora che Fen'Aver doveva essere lui e, fingendo una calma che non sentivo di avere, mi voltai verso Fidel. «Penso sia meglio che io prenda Balen.»

Il demone nitrì, confermando la mia obiezione con un'occhiata carica di disapprovazione. Ci studiammo con odio finché il suono di uno scoppio non mi sorprese alle spalle, facendomi quasi saltare sul posto. Fu seguito da urla di giubilo unite ad altri ululati e stramazzi.

I banditi dovevano aver superato la magia di contenimento di Fidel, il che significava...

Stanno arrivando.

Fidel sembrava quasi divertito da tutto quel trambusto, ma non disse nulla a riguardo. Batté la mano sul dorso di Fen'Aver con un ordine tacito che mi investì in pieno.

«Ma...»

«Ora, Jane.»

Continuare a contraddirlo sarebbe stato inutile, dunque annuii. Esitai solo un istante, riponendo Fusberta nel lungo fodero che avevo ancora legato alla cintola; dopo mi issai goffamente sullo stallone, sentendolo nitrire irritato sotto di me quando strinsi la criniera morbida, temendo di rovinare giù.

Era così dannatamente alto...

Fidel lasciò cadere le sue lame a terra, afferrandomi una mano per attirare la mia attenzione e sfiorando il pomolo di Fusberta con l'altra. La bagnò appena con il suo sangue, ma tanto bastò perché una scarica di adrenalina mi attraversasse – la stessa avvertita durante lo scontro con i banditi.

Era come essere ubriachi e sobri al tempo stesso, come se una melodia lenta e ipnotica continuasse a sussurrarmi cosa fare, come agire.

Correre, combattere... senza fatica e senza paure.

Fidel chiuse gli occhi, avvicinando il capo a Fen'Aver e sussurrando nella sua lingua: «Tak da nhyemie Janine.»

Trova Janine.

Lo fissai mentre quelle parole acquistavano lentamente senso; lui ricambiò, sorridendo come il Fidel che avevo imparato a conoscere, senza badare alle urla sempre più vicine, all'impeto che si irradiava fino a noi.

«Sopravvivi fino a trovare Janine, ragazzina. E salutala da parte mia.»

Strinsi la chioma del cavallo. Cosa diavolo stava dicendo? Provai a smontare da Fen'Aver senza successo, incapace di avvertire più i muscoli, senza riuscire a muovermi liberamente.

Ma cosa...

Ero bloccata sullo stallone del demonio, e il mio corpo non rispondeva più.

Provai a parlare, ma a malapena riuscii a inspirare aria dal naso. Tentai di schiudere le labbra, ma erano come cucite l'una con l'altra, e la sensazione fu una delle peggiori che avessi mai provato, l'ansia che accompagnava montandomi dentro.

Il terrore mi strinse le viscere, ma la risposta a cosa stesse accadendo arrivò da sola, con la violenza di uno schiaffo. La nuova voce dentro di me lo mormorò, chiara e senza inflessione, proveniente da sangue di Fidel che colava lento nel fodero di Fusberta.

Magia.

Fidel sorrise e gridò: «Nyscad, Fen'Aver!»

Corri, Fen'Aver.

Colpì con forza il didietro dello stallone, che eruppe in una corsa forsennata, gli zoccoli che battevano violenti sulla nuda terra.

Poco prima di perderlo di vista, incontrai gli occhi bigi di Fidel nel momento in cui recuperò la spada da terra, scoppiando in una risata macchiata di follia. Lo vidi voltarsi verso il primo bandito che lo raggiunse, trafiggendolo nel petto senza alcuna esitazione.

Quando scomparve oltre gli alberi della foresta, l'ultima cosa che riempì l'aria fu la sua risata.



***

Note autrice: buondì lettori! Siamo arrivati alla fine della seconda parte della storia (eh, già!). Con questo capitolo si chiudono i due terzi del Canto delle Spade e ci prepariamo all'ultima parte, comprensiva di epilogo. I prossimi aggiornamenti saranno anche quelli più "revisionati" di tutta la storia e avranno parecchie aggiunte rispetto alla prima versione (quella cartacea ed ebook), quindi potrei metterci un po' di più a editarli/scriverli, ma spero possano venire come li immagino. Cercherò di concludere la revisione prima di riprendere a postare qua, così da non fare più pause fino alla fine :)

Grazie a chiunque sia arrivato fin qui e spero la storia vi stia divertendo quanto diverte a me revisionarla :D!

A presto,

Isa

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