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Capitolo 16 (pt.2): Qualcosa più, qualcosa meno

Blaine

Le notti successive allo scontro con la hyemna dormii poco, trascorrendole in un dormiveglia annebbiato da incubi e occhi verde smeraldo, colmi di frustrazione.

Le giornate continuarono a fuggire via nella solita routine, con solamente alcune eccezioni: Fidel mi regalò due daghe dall'impugnatura in osso scolpito con la forma di due tigri, identiche tra loro, gemelle affilate e a loro modo preziose. Gli occhi di entrambe erano tanto infossati da apparire neri come la pece; erano bellissime da guardare, e il filo sottile che possedevano permetteva alla lama di tagliare i materiali più impensabili – le provai con cipolle, con piccoli rami e addirittura con alcune funi.

Erano taglienti, su quello non c'era dubbio.

Imparai a rigirarmele tra le dita come faceva Fidel durante le nostre lezioni mattutine. Avevo imparato in quel mese che il sudore giornaliero era cento volte più utile delle sessioni di scherma al centro di Dublino, settimanali ma decisamente meno intense di quelle nel bosco. La costanza e la routine di Fidel mi stavano portando a migliorare di giorno in giorno, di diritto in rovescio, di parata in parata. Ormai potevo anche tenere testa a Fidel stesso per svariati minuti, molto più di quanto riuscissi a fare all'inizio, perdendomi nel ritmo dei nostri affondi.

Certo, lui era capace di cambiare, di variare stile di combattimento all'occasione, non permettendomi di farmi uno schema preciso dei suoi movimenti e costringendomi a cercare sempre nuovi modi per metterlo in difficoltà.

La sensazione che quel vecchiaccio si stesse dando un freno c'era sempre, ma gli ero grata mi concedesse di stargli al passo. Un giorno, mi dicevo, sarei anche riuscita a sfidarlo alla pari.

«I duelli sono immaginazione, Jane» diceva quando riusciva a disarmarmi, lasciandomi con il sedere per terra e le gambe doloranti. «I migliori spadaccini sono anche i più grandi sognatori. L'elasticità mentale è necessaria nella nostra disciplina, per noi e per l'avversario che non dobbiamo mai sottovalutare.»

Sempre lezioni, sempre spiegazioni. Perlomeno, però, poco a poco diventava più semplice stargli al passo.

Non mancavano neppure le gite pomeridiane al fiume, nella speranza vana di ritrovare le foglie scomparse, Enna e le sue compagne. Mi allontanavo dalla baita sfidando il terrore di incrociare nuove hyemna, senza ottenere però grandi risultati: le foglie sembravano scomparse nel nulla, e neppure con Yozzi alle calcagna riuscivo ad attirarle, ritrovandomi piuttosto a coprirmi le orecchie quando il bantù iniziava ad abbaiare come un forsennato alla vista dei resti della creatura di legno.

Che, beh... erano esattamente lì, dove li avevamo lasciati.

Alla fine anche Lohan si era rifatto vivo, qualche giorno dopo, per darci il permesso di raggiungere il Maestro Delayé il mattino seguente. Fidel non parve particolarmente entusiasta alla notizia – tagliò corto con un secco cenno del capo e proseguì indefesso con i suoi soliti impegni, andando a caccia nel bosco e ignorando bellamente sia Lohan che me.

Quel giorno in particolare trascorsi il resto della giornata con quello strano ragazzo dalla risata sempre sulle labbra. Mi resi conto di quanto fossi stata ingrata con lui, di non essergli stata abbastanza riconoscente per avermi salvato la vita. Sfruttai il pomeriggio per fargli capire che, in fondo, non ero completamente pazza. Cercai di rispondere a molte delle sue domande nel dettaglio, nonostante il terzo grado mi mettesse a disagio. Voleva sapere di tutto, era una persona dalla curiosità sempre accesa e, notai, sempre disposta a scoprire nuove cose... la determinazione nella sua voce, però, mi faceva sentire debole di spirito.

Lui aveva convinzioni, mentre tutto ciò che avevo io era il desiderio di svignarmela da quel mondo al più presto.

Lohan era un ragazzo euforico e divertente. Provavo una gran simpatia per lui, nonostante avesse dei modi di fare fin troppo allegroni. Mi parlò dei suoi viaggi, di come amasse girovagare per il regno, scoprendo sempre nuovi luoghi e incontrando nuove persone, ammirando nuovi paesaggi e usi e costumi diversi. Raccontò tutto quello a occhi chiusi, steso sull'erba accanto al recinto delle pecore, con le braccia dietro la testa e i capelli chiari che gli ricadevano in morbide onde sulla fronte. Io rimasi tutto il tempo lì accanto, la testa sulla lunga pelliccia di Yozzi e i pensiero rivolti a casa. Lo ascoltavo parlare con voce calma e ritmica mentre il sole scendeva piano e si estingueva dietro gli alberi della foresta.

La consapevolezza che da lì a pochi giorni avrei potuto rivedere Nina mi rendeva sensibile al pensiero di come sarebbero cambiate le cose, una volta tornata alla normalità. Come avrei scusato un'assenza tanto lunga? Cosa avrebbero detto le persone che conoscevo, mio padre, Maggie e tutti gli altri?

Cosa avrebbe detto Nina, di tutta quell'orribile esperienza?

Osservai Lohan iniziare a canticchiare sottovoce, sfilacciando l'erba con le dita e studiandomi con gli occhi socchiusi. Anche così potevo vederne le sfumature bluastre nascoste dietro le ciglia chiare, accompagnate da un sorrisetto tranquillo. «Come sei arrivata qui, Jane?»

Mi aveva fatto tante domande fino a quel momento – tutte su Dya, la mia 'Terra', su Dublino e le abitudini del 'mio popolo'... le uniche a cui avevo evitato di rispondere erano state quelle troppo personali, proprio come l'ultima che aveva appena posto.

Lo guardai di sottecchi, imbronciandomi. Potevo essere sincera con lui?

Alla fine ammisi, atona: «Non saprei. Per sbaglio, credo.»

Lui sbuffò una risatina, annuendo tra sé e sé come se si fosse aspettato quella risposta. Stette in silenzio per qualche istante, per invogliarmi a continuare... alla mia tacita negazione, però, riprese lui stesso la parola. «Io sono qui da qualche mese» fece con nonchalance, grattandosi la nuca. «Sono arrivato con il Maestro Delayé e... tutti gli altri. Siamo venuti per incontrare Fidel. Il Maestro diceva ci avrebbe aiutato.»

«E lo ha fatto?» domandai, curiosa.

Un sono sbadiglio di Yozzi mi sollevò il capo e quasi caddi con la faccia a terra.

Stupido bantù.

Lohan si alzò a sedere, saltellando verso il recinto e appoggiandovi la schiena. Stese le gambe davanti a sé, incrociando le braccia al petto. «Direi di sì, è davvero un tipo dalle risorse... beh, infinite.» Scosse il capo con un sorriso storto. «Ne ha vissute tante e ci ha offerto consigli preziosi. E poi sei arrivata tu, e ora Janine...»

Eh. Feci una smorfia, ripensando a quanto avrei preferito non essermi mai ritrovata in quel pasticcio. «Come fate a essere così sicuri che Janine vi sarà d'aiuto?»

Lui mi fissò divertito, storcendo appena le labbra. Io risposi con un'espressione molto simile, corrugando la fronte.

«Janine La Bianca è una delle poche persone in questo mondo ad aver vissuto sulla propria pelle il sogno del Maestro Delayé, Jane» mi confessò, sembrando stupito che non lo sapessi. «Pensavo Fidel te ne avesse parlato. È una delle maghe più potenti che esistano al giorno d'oggi, anche se la sua magia è debole a Lyede. È stata maledetta anni fa, insieme con queste terre...»

Soffocai una risata. Sembrava quasi stesse sottintendendo che Nina fosse più vecchia di quanto avessi mai potuto pensare. «La magia non se n'era andata secoli fa?» chiesi, guardandolo stralunata.

Lohan parve finalmente prendere il discorso più seriamente, guardandomi fisso negli occhi. Mi studiò come se mi mancasse davvero qualche rotella, annuendo piano e scandendo ogni parola: «Diversi secoli fa. E Janine se n'è andata con lei.»

Rimasi un attimo in silenzio, scoppiando a ridere subito dopo, di gusto. Continuai a ridere per diversi minuti, con il suo sguardo curioso e titubante a scrutarmi, il fiato che quasi mi sfuggì dai polmoni.

Quando riuscii a parlare, fu con voce gracchiante e stranita: «E la mia cameriera sarebbe così tanto vecchia? Quanti anni avrebbe, scusa? Qualche secolo?»

Pausa.

Lui ci pensò su, sollevando lo sguardo al cielo per alcuni secondi.

Poi mi guardò, e parlò con estrema serietà. «Circa quattro, credo. Qualcosa più, qualcosa meno.»

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