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Capitolo 13 (pt.2): Natura danzante

Blaine

I giorni trascorsero in una routine sempre più fitta.

All'alba, Fidel mi accompagnava nella radura per esercitarmi con la spada. Mi lasciava fare esercizi a vuoto per un'ora e poi si univa a me con armi sempre diverse.

Presto iniziarono i combattimenti liberi, presto incominciai a capire quanta strada avessi ancora da percorrere per eguagliare anche solo metà dell'abilità di Fidel: più volte mi ritrovai alla mercé della sua lama, e più volte scoprii come avrebbe facilmente potuto passarmi a fil di spada. Non pensavo lo avrebbe fatto davvero, no; mi fidavo abbastanza da credere non mi avrebbe fatta fuori durante uno dei nostri allenamenti, in cui tentai piuttosto ad apprendere qualcosa dai suoi movimenti e ripeterli - il più delle volte senza successo.

La sequenza era sempre la stessa, in un circolo infinito che alimentava la mia frustrazione: lama alla gola, "ricominciamo"; lama al cuore, "ricominciamo"; pomolo contro la fronte, "ricominciamo".

E non finiva lì.

Il pomeriggio andavamo spesso a cavallo e lo seguivo durante le sessioni di caccia, mentre sottovoce mi descriveva le abitudini degli animali del bosco e mi raccontava strane storie sulla gente di Lyede. Mi parlava di come quel regno fosse stato privato della magia molti secoli prima, di come fosse ormai diventato dipendente dalle esportazioni di Chev, di come mantenesse rapporti diplomatici con tutti i regni limitrofi, tranne quelli che ancora cercavano di abusare delle sue debolezze.

Un giorno, sopraffatta dalla curiosità, gli chiesi come avesse fatto questa realtà, questa dimensione a sfuggire ai miei simili. Come aveva fatto Dya a non arrivare fin lì, con tutta la tecnologia e il sapere che avevamo? Com'era possibile nessuno se ne fosse ancora accorto?

Fidel aveva riso come suo solito, spiegando: «I dyaren sono sempre pronti a credere alle cose più assurde. Credono di sapere, credono di capire... e la magia, anche la più semplice, gli sfugge tra le dita. Immagina un mondo intero, a scoprire d'improvviso tutto questo.» Mi aveva guardata, tornando serio. «Anzi, tu l'hai presa meglio di quel che pensassi. Ho visto gente perdere il senno dopo essere giunta qui.»

Ah... se solo avesse saputo.

Ciò nonostante, lo seguii nei suoi insegnamenti, iniziando a esercitare ogni giorno un'arma diversa. Ripartii dalle basi della scherma tradizionale fino a riuscire a esercitare tecniche leggermente differenti, spesso senza molto successo, ma il più delle volte con tanta buona volontà. Alla fine, iniziammo a limitare il combattimento libero alle spade: io la bastarda e lui una qualsiasi. Quando esercitavo altre armi, invece, Fidel preferiva provare a insegnarmi la tecnica necessaria a utilizzarle solo in caso di estremo bisogno.

«Se non hai un'arma e il tuo opponente è troppo forte, non esitare a fuggire, Jane» diceva con tranquillità, la voce velata di fermezza. «Non scherzo se ti dico che ti ucciderebbero alla prima occasione. È difficile trovare pietà in un mondo che ha perso tutto.»

Dopodiché mi veniva nuovamente incontro con foga, costringendomi a reagire, parare, attaccare. Era una lotta costante, fisica ed emotiva.

Era una sfida contro me stessa.

A volte, poi, Fidel scompariva verso il villaggio, lasciandomi sola con Yozzi e tornando quando il sole era già calato. Non diceva nulla a quel proposito, ma aveva iniziato a parlare del giorno in cui mi avrebbe portata con sé, di quando sarei stata abbastanza pronta. In parte credevo lo affermasse per tranquillizzarmi nei momenti in cui l'ansia tornava a serrarmi i muscoli, impedendomi di rispondere alle sue domande. Altre volte, invece, temevo lo facesse solo per zittirmi.

Trascorsero tre settimane, e alla fine perdetti volutamente il conto dei giorni.

Non lo feci per cattiveria, né tantomeno per rassegnazione... probabilmente il mio fu semplice egoismo. Mi costrinsi a farlo per evitare di lasciare che la mia testa trasformasse inevitabilmente quel tempo in tutte le cose che avevo perso, che mi erano mancate terribilmente, facendomi impazzire.

Ero stata oltre tre settimane lontana da Dublino e da tutti i miei cari. Quanto mancava per la fine dell'estate, nel mio mondo? Cosa dovevano star pensando Maggie, Nina, mio padre? E tutti gli altri, si erano accorti della mia assenza?

Avevo domandato a Fidel se il tempo trascorresse normalmente in questo regno, se fosse lo stesso che su Dya, a casa. Lui aveva afferrato immediatamente il non detto nella mia domanda, rispondendomi con un'occhiata malinconica che mi aveva serrato la gola, convincendomi a cambiare immediatamente discorso.

Il tempo passava indistintamente, qui come a Dublino.

Ogni minuto, ogni ora, ogni giorno era prezioso.

Dunque, molto più semplicemente, avevo smesso di contare. Era stato meglio così, specialmente per me; mi aveva aiutata a rinchiudere ancora più saldamente quei pensieri molesti in uno spazietto della mente, permettendomi di concentrarmi sul presente. Il mio obiettivo non era cambiato, volevo ancora andarmene di lì.

Certo, stava divenendo sempre più semplice accettare tutte le stranezze: a partire dal bantù che dormiva ai piedi del mio letto, per arrivare alla semplice assenza della tecnologia per come la conoscevo. Era tutto così strano quando ciò che vedevi come scontato ti veniva tolto da sotto il naso... ma se i primi giorni il cambiamento era stato così drastico da far male, adesso stavo poco a poco trovando il modo per andare avanti. Non correvo più ogni notte nella foresta, anche se a volte ne sentivo il bisogno bruciante, e le piccole cose mi strappavano un sorriso: Yozzi festoso mentre batteva la coda contro il terreno, il sudore sulla pelle durante gli allenamenti e la natura.

Quella stessa natura che ogni mattina si risvegliava con un sospiro e, ogni tanto, intravedevo danzare quando scendevo da sola al fiume per lavarmi.

Anche ora, stava danzando davanti ai miei occhi.

Ero accovacciata davanti a quella distesa liquida, a piedi nudi per setacciare sassolini abbastanza piatti da rimbalzare sull'acqua. La mattinata era stata relativamente tranquilla: Fidel si era diretto diverse ore prima al villaggio e io ero discesa lungo il percorso che dalla baita portava fin lì, con l'intenzione di rinfrescarmi un po'. Il sole era alto nel cielo e l'aria era pulita; il profumo dell'acqua stagnante mi metteva di buon umore. Non era un odore che sentivo spesso, ma stava iniziando ad andarmi a genio.

Raccolsi annoiata una decina di pietre prima di iniziare a farle rimbalzare sull'acqua, esultando mentalmente quando riuscivano a saltellare più di una volta. Non ero granché quando si trattava di prendere la mira, ma sapevo accontentarmi anche di quei miseri tentativi.

Mi sciacquai le mani più volte e continuai la mia ricerca infantile. Riuscii a passare un po' di tempo così: allegra per delle mezze vittorie, l'orlo dei pantaloni sollevato fino alle cosce e in ginocchio sulla riva. A un certo punto mi trastullai persino con l'idea di seguire il corso del fiume per un po', tanto per vedere dove finisse, ma ricordai gli avvertimenti di Fidel sul non andare in giro da sola e desistetti; non mi andava di cacciarmi nei guai proprio ora che avevo trovato una parvenza di pace in quel buco di mondo, per quanto fosse ripetitivo e noioso. Più di ogni altra cosa, però, non mi andava di ritrovarmi in qualche altra spiacevole situazione.

Ma la sfortuna mi guardava in faccia di rado.

Dopo poco, trasalii per colpa di una risatina alle mie spalle, seguita dal lancio di una sottospecie di proiettile che venne scagliato con forza sulla superficie dell'acqua, rimbalzando quattro, cinque volte oltre il mio ultimo schizzo. Rimasi per un istante a bocca aperta quando vidi la fonte di quelle esclamazioni, sentendo gridolini di gioia che mi fecero rizzare i peli sulla nuca.

Era stata una foglia.

Una foglia identica a quelle che avrebbe potuto far disegnare un maestro d'asilo, prendendo come riferimento gli alberi in autunno. Grande quanto il palmo della mia mano, aveva la forma di una goccia che si chiudeva attorno a uno stelo non molto lungo, ma verde e rigoglioso come il suo stesso corpicino svolazzante.

Avrei anche potuto evitare di rimanere a bocca aperta per un solo essere demoniaco, se non fosse stato per le diverse compagne sparse intorno alla loro amica, di forme differenti ma tutte intente a setacciare la riva del fiume alla ricerca di sassolini da lanciare, mormorandosi incitazioni reciproche.

Quando erano arrivate? Come avevo fatto a non notarle?

Una di loro lanciò un gridolino entusiasta, sollevando una pietruzza perfettamente piatta e tenendola tra le estremità verdognole. Mi chiesi come diamine stesse facendo a reggerla senza uno stupido pollice opponibile, e dove l'avesse trovata: quella parte della riva l'avevo controllata fino allo sfinimento per oltre dieci minuti e non avevo scovato niente di minimamente utile!

La foglia svolazzò in tondo, attirando l'attenzione di tutte le compagne che interruppero la propria ricerca per voltarsi verso di lei, piegando la punta del corpo di lato... forse per vederla meglio? Per esprimere curiosità? Sta di fatto che la nuova lanciatrice ridacchiò allegramente, felice di essere al centro dell'attenzione e prendendo a girare su se stessa come una trottola, lasciando andare di colpo il sassolino e rimanendo in silenzio nell'attesa che questo colpisse la superficie del fiume.

Saltò una, due, sei volte, e la foglia riprese a girare su se stessa tra le grida ammirate delle compagne, che iniziarono a battere lo stelo per terra come a incitare alla rissa.

Feci per indietreggiare quando mi resi conto che stessero gareggiando. Chissà se le foglie potevano essere rissose? Di certo sapevano essere forzute, quando volevano.

Ai festeggiamenti si unirono con mio grande orrore urletti di giubilo dall'erba, mentre alcuni fiori iniziarono a mulinare per aria le proprie foglioline. Sarebbe potuta sembrare un'atmosfera festosa se non fosse parso piuttosto un film horror mal girato; era tutto così assurdo, persino per quel mondo essenzialmente folle, che sentii la colazione risalire dallo stomaco.

Per culminare il tutto, qualcosa da dietro mi spinse con forza nel fiume, costringendomi sott'acqua prima che potessi prendere un respiro. Risalii in fretta in superficie grazie alla poca corrente di quel giorno e mi ressi a uno spuntone di roccia poco distante mentre Yozzi, la lingua a penzoloni, nuotava verso di me schizzando acqua ovunque. Le zampe arrancavano con forza e tutti e tre gli occhi erano fissi su di me; il pelo violaceo era diventato blu notte per tutta l'acqua che lo inzuppava.

La natura mi scoppiò a ridere tutta intorno. Le foglie gridarono felici prima di lanciarsi verso il fiume in un unico schieramento, affondando poco lontane da me come piccoli proiettili verdi febbricitanti per l'eccitazione. Riaffiorarono sulla superficie liquida in fila indiana, raggiungendomi in pochi secondi e prendendo a saltellarmi intorno, grondando acqua e intonando in coro: «Cantano del sole, cantano!»

Tutto questo stava iniziando ad assomigliare fin troppo a un film della Disney. Sorridi, Blaine, ignorale! Foglie parlanti e allegre, un cane a tre occhi che ansimava a tre passi da me...

«Figlie d'ogni dove, cantano!»

«Basta!» mi spolmonai, allontanandole con una mano. «Finitela, tornate da dove siete venute!»

Loro trattennero in coro il fiato, stringendosi l'una all'altra. Sembrava non si fossero aspettate una reazione del genere e, impressionate, rimasero a debita distanza per qualche secondo.

Il tempo necessario per issarmi fuori dall'acqua e sedermi a gambe incrociate sui sassi lì vicino. La sensazione di avere tutti i vestiti completamente bagnati era orribile - unita alla brezza che si stava alzando, poi, non faceva che peggiorare la situazione. E tutto per colpa di quelle bestiole!

Iniziai a strizzarmi i capelli, guardandole truci.

Le vidi avvicinarsi in gruppo a me, muovendosi furtive e mormorando tra loro. Yozzi stava tornando a nuoto verso la riva, risalendola e scrollandosi di dosso l'acqua in eccesso. Trotterellò poi verso di me, soffermandosi solo per starnutire nel momento in cui alcune foglie gli passarono dispettose sotto il naso.

«Ciao lucciolona» esordì educatamente uno tra quegli esseri, facendosi avanti. Era una foglia verde scuro, lunga e snella, formata da tanti aghi - forse di pino? «Giochi con noi?»

Mi limitai a fissarla. Non avevo voglia di giocare con nessuno, tanto meno con una foglia magica. «No.»

Lei rimase in silenzio prima di alzarsi in volo davanti ai miei occhi, così vicina che dovetti allontanarmi per metterla a fuoco. «Vanilla ha detto che avresti giocato con noi!»

Mi immobilizzai, i capelli ancora stretti tra le dita.

Vanilla? Intendeva la mia Vanilla?

Tentai di riconoscere qualcuna delle foglie in volo dietro la mia interlocutrice, ma nessuna di loro somigliava al mio esserino demoniaco. Eppure... si trovava anche lei in quel mondo? Era arrivata con me, magari?

Fidel ne sapeva qualcosa?

«Allora?» La foglia di pino non sembrava avere fretta di ottenere risposta, ma la vedevo vibrare a ogni nuova domanda. Lei, come la natura tutta intorno, pareva star trattenendo il fiato, priva di espressione ma abbastanza incalzante da rendere chiaro il desiderio di conversare.

Ruppi il silenzio nel momento in cui le chiesi, ignorando la sua insistenza: «Vanilla è qui con te?»

La fogliolina fece una giravolta, venendo immediatamente imitata da tutte le sue compagne.

Erano inquietantemente in sincrono.

«Vanilla arriva presto. È andata a cercare la Bianca!»

Uhm. «La Bianca?»

«La Bianca, sì, che è molto arrabbiata, lucciolona» affermò la foglia in tono contemplativo. Provai a immaginarla in versione umana: forse si sarebbe accarezzata in mento con gli occhi persi nel vuoto.

Immaginarla a quel modo fu allo stesso tempo strano, ma d'aiuto.

«Ha detto che quando ti trova ti mette in uno sgabuzzino e ti chiude a chiave» rise la foglia, e alcuni piccoli fiori ai miei piedi risero con lei, sogghignando tra loro e dondolandosi con piccole spinte. «Enna le ha detto di no, che poi come fai a giocare senza luce? Ma la Bianca ha ruggito tanto, quindi siamo scappate e venute da te. Giochiamo finché non ti chiude nello sgabuzzino!»

Lei e le sue amiche iniziarono a gridare entusiaste mentre io provavo a riflettere su quello che la foglia mi aveva appena riferito. Non conoscevo questa Bianca, ma l'unica persona che avrebbe mai potuto minacciarmi di chiudermi da qualche parte era la stessa che temevo fosse la colpevole del mio arrivo in questo postaccio - Nina.

Che si trattasse di lei? E se sì, perché diamine mi aveva spedita qui se ora voleva rinchiudermi in 'uno sgabuzzino'?

«E la Bianca sta arrivando?» domandai alla foglia, sentendomi leggermente stordita. Lei smise di gridare il tempo necessario per pensarci su. «Enna non lo sa. Forse sì? La Bianca sta cercando la lucciolona ma non sa dove sia.»

Dannazione.

«Come fa a non saperlo? Mi ha mandata lei, qui.»

«La maledizione non le permette di vederti, lucciolona.»

La situazione si stava facendo sempre più complicata. C'era un'altra maledizione di mezzo? Mi premetti i palmi delle mani sul viso, stringendo le palpebre ed esclamando frustrata: «Non potete portarla qui voi!?»

Ancora una volta, la natura rimase immobile in quel silenzio mistico e anticipatorio che stavo iniziando a mal sopportare. La foglia - Enna? - non disse nulla per un po'. Nessuno disse nulla per parecchi minuti prima che la fogliolina si avvicinasse al mio orecchio, sussurrando: «Enna e le altre non possono aiutare la Bianca, lucciolona. Sono imparziali e non aiutano nessuno.»

«Ma sono sveglie!» gridò una di loro, e tutte presero a esultare con lei, danzando in circolo. «Sono tanto sveglie e vogliono giocare.»

Enna proseguì indefessa, senza farsi coinvolgere subito dalla festività delle compagne. «Ma tu puoi andare dalla Bianca quando vuoi, lucciolona. Noi ti portiamo!»

«Ti portiamo noi!» esclamarono in coro le altre, battendo frenetiche le estremità, a mo' di applauso.

Stavano parlando seriamente?

Alcuni fiori iniziarono a mormorare tra loro, concitati. Mi ricordarono parecchio delle compagne di liceo con il vizio dello sparlare in pausa pranzo, chine l'una verso l'altra in modo da coprirsi... mah, coprirsi cosa? Non avevano mica la bocca.

I fiori del gossip erano decisamente più strani di un qualsiasi branco di scolarette.

Yozzi tentò di leccare le amiche di Enna, forse per salutarle a modo suo, e loro si dispersero strillando terrorizzate. Almeno - alcune urlarono palesemente spaventate, mentre altre risero a crepapelle riavvicinandosi al bantù, giusto il tempo di vederlo ritentare, attirandolo verso l'alto e prendendolo in giro.

Enna fu l'unica a rimanere di fronte a me, in attesa di una risposta. Vibrava per l'emozione e mi sentii quasi in colpa all'idea di dirle no... ma non avevo neppure la più blanda intenzione di affidare la mia vita a delle foglioline con la ridarella, non per andare incontro a una persona che potenzialmente avrei potuto non conoscere, in un mondo completamente estraneo.

Sì, avevo passato ormai più di un mese a sgobbare sotto le indicazioni di Fidel, sarei magari stata capace di sopravvivere per più di qualche giorno all'avventura, ma da lì a incamminarmi tra i boschi nella solitudine più totale, accompagnata da foglie febbricitanti?

No, grazie. Anche alla disperazione c'era un limite.

«Non preoccupatevi, non ce ne sarà bisogno.»

Le foglie continuarono a giocare con Yozzi, mentre Enna sospirò, domandando: «Sai già come raggiungere la Bianca?»

Non ne ero sicura, ma forse... se Fidel fosse stato davvero Sincero come diceva, avrebbe potuto rispondere alle mie domande, avrebbe saputo dirmi di più su questa fantomatica 'Bianca' e aiutarmi a trovarla.

Sorrisi osservando il fiume e le foglie danzanti, mentre un barlume di speranza riprendeva a brillare flebile, ma costante.

«Forse.»

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