Rosso come l'orrore
Un cartello rosso con la scritta "Danger", era appeso sulla porta di ingresso.
I cartelli di metallo non si usavano più da tempo, rimpiazzati ormai da quelli elettronici; tuttavia, i coordinatori pensavano che quella vecchia insegna fosse più efficace per tenere fuori le persone, nonostante lì non potesse entrare nessun civile.
I laboratori erano circondati da altissime mura costruite di materiale ecologico. Sui bordi erano state piazzate delle telecamere e diversi allarmi intelligenti capaci di captare una presenza estranea nel raggio di centinaia di metri.
Ogni dirigente e dipendente era munito di microchip sottocutaneo che emetteva un segnale riconosciuto immediatamente dai sistemi di sicurezza.
Questi ultimi aprivano la porta automatica principale che separava l'esterno da un grande giardino coperto di aiuole fiorite.
Al loro interno c'erano rose blu, margherite rosse e ogni sorta di fiore creato in laboratorio.
A circa metà del giardino sorgeva un edificio grigio a due piani con poche finestre.
Anche questo era chiuso da una porta elettronica sulla quale era stata inchiodata la scritta "Danger", accompagnata da vari simboli di morte.
Oltre la porta, un lungo corridoio bianco, illuminato da luci elettroniche che si accendevano al passaggio delle persone, conduceva a un'enorme stanza dalle pareti scure.
La stanza era occupata per metà da lunghe file di cilindri di vetro e metallo, all'interno dei quali c'erano dei contenitori opachi di forma ovoidale. Erano costellati di schermi touch screen che avevano pulsanti rossi e verdi.
Un rumore flebile proveniva dai congegni elettronici, collegati a una molteplicità di comandi e di funzioni per nutrire i bambini che dormivano nei contenitori.
Un grande schermo a cristalli sulla parete di fondo mostrava la scritta: "Uteri artificiali", in caratteri blu.
Fedora si aggirava tra i macchinari, muovendosi con eleganza nella sua divisa bianca da infermiera.
Aveva i capelli neri e ricci che scendevano fino alle spalle, sormontati da una cuffietta rosa assicurata alla testa da un nastrino.
Il suo volto era tondo, cosparso di lentiggini e lei scrutava attentamente la stanza con due occhi verdi leggermente a mandorla.
Sfiorò un touch screen, poi aprì uno sportello laterale all'estremità di uno dei tanti cilindri di vetro e versò un liquido da una bottiglia bianca che aveva in mano.
Subito il macchinario fece uno strano rumore, poi il bambino al suo interno si mosse leggermente.
Fedora richiuse lo sportello e attraversò la stanza per andare a riporre la bottiglia in un enorme frigorifero di metallo posizionato sulla parete opposta; poi si avvicinò a un alimentatore giallo fluorescente che splendeva accanto al frigo e vi posò un dito. In quel momento, l'energia elettrica iniziò a scorrere nel suo corpo artificiale, ricaricando le sue batterie.
In passato il governo aveva assunto infermieri umani per sorvegliare gli uteri artificiali, ma poi questi avevano iniziato ad accantonare pretese come turni più brevi, pasti caldi e ore di riposo.
Adesso durante la notte il laboratorio era presidiato dagli androidi. Gli androidi non erano perfetti, ma lavoravano instancabilmente e non avevano esigenze particolari.
Alcune telecamere piazzate sul soffitto avevano il compito di registrare l'operato di Fedora e di rilevare eventuali anomalie che facevano scattare un allarme per avvertire i supervisori umani che abitavano nel piano superiore dell'edificio: medici, infermieri, programmatori, tutti loro erano qualificati per prendersi cura della gestazione artificiale.
Su un lato, in una decina di uteri meccanici, erano conservati quelli che i programmi governativi chiamavano bambini speciali. Ne avevano concepiti diversi: alcuni erano giganti, creati per raggiungere l'altezza di due metri e mezzo e consentire agli scienziati di studiare le patologie di individui particolarmente alti. Altri erano privi di occhi o di bocca e venivano nutriti con delle sonde. Altri erano ibridi e possedevano organi maschili e femminili. Altri ancora erano di sesso femminile, ma i loro uteri e le vesciche crescevano all'esterno dei corpi e venivano legati alla vita con sacchetti di uno strano materiale biodegradabile.
Questi orribili esperimenti erano presentati alla gente come un mezzo per suscitare tolleranza nei confronti della diversità e favorire l'inclusione.
In realtà servivano solo a privilegiare un gruppo di scienziati privi di scrupoli che rincorrevano la carriera e credevano nell'innovazione a ogni costo.
Inoltre, la terra era così inquinata che molte donne erano rimaste sterili e altre avevano problemi a riprodursi. Alle abitanti del mondo moderno non era consentito avere figli con metodi naturali, perché potevano essere in sovrannumero rispetto a quanto il governo aveva pianificato nel programma per la sostenibilità; perciò le poche ragazze ancora fertili venivano sterilizzate con i raggi laser dopo che erano stati prelevati gli ovuli da utilizzare per la fecondazione in vitro, al pari degli altri ovuli creati in laboratorio.
Ciascun bambino era assegnato a una famiglia dietro un ingente pagamento da corrispondere allo Stato, mentre quelli speciali crescevano in apposite strutture dalle quali uscivano solo per frequentare la scuola. Tuttavia l'approccio con i coetanei non era sempre facile per questi ultimi: alla vista dei bambini normali, alcuni di loro davano in escandescenze e iniziavano a urlare e a graffiarsi il volto in preda alle convulsioni.
Questi fenomeni diventavano sempre più frequenti man mano che il bambino cresceva, quindi i medici erano costretti a somministrare loro tranquillanti o addirittura a tenerli rinchiusi nelle cliniche, spesso assistiti nottetempo da androidi come Fedora.
Molti di loro sparivano e non se ne aveva più traccia né a scuola né all'interno delle cliniche. Alcuni pensavano che fossero morti, altri che venissero utilizzati per esperimenti, ma nessuno dei civili ebbe mai una certezza sul reale destino dei bambini.
La notte era tranquilla.
Fedora aveva appena terminato di ricaricare le batterie ed era tornata al suo lavoro quando da uno dei cilindri provenne uno strano ronzio.
L'androide si avvicinò e cominciò a premere alcune icone sul touch screen, quando all'improvviso il macchinario si surriscaldò e alcune venature iniziarono ad aprirsi sul vetro protettivo. Le telecamere sul soffitto attivarono l'allarme collegato con i piani superiori, che emise un rumore sordo e vibrante.
Il rumore si ripeté una seconda e poi una terza volta, mentre l'involucro che proteggeva uno dei nascituri si riempì di sangue che si rovesciò nel cilindro di vetro. Poi il vetro si frantumò e il sangue si sparse sul pavimento in una pozza rossa.
Adesso anche Fedora aveva iniziato a lanciare l'allarme. I suoi occhi erano diventati rossi come due fiamme ed emanavano bagliori incandescenti e dal suo corpo proveniva uno spaventoso suono elettronico che riempiva l'aria.
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