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2 Cambiamenti

Arrivammo al parcheggio fra chiacchiere e risate anche se la mia attenzione, per qualche ragione incomprensibile, era più rivolta al cane che alla mia amica. Era così strano, diverso dagli altri cani: si vedeva che voleva bene a Jocelyn, forse anche troppo per essere un cane. Col senno di poi, avrei dovuto capire che era speciale: la postura, le orecchie vigili, gli occhi curiosi, tutto lasciava capire che la sua intelligenza superava anche quella di un essere umano, ma all'epoca mi sembrò solo un cane meravigliosamente straordinario. Una parte di me sussurrava di stargli lontano, urlava a gran voce di scappare prima che fosse tardi, ma l'altra parte urlava che mi avrebbe cambiato la vita; che tutto avrebbe preso una piega inimmaginabile. Ed in quel momento, non volevo altro: volevo cambiamenti positivi.

Mentre ero immersa nei miei pensieri, mi punsi con la spina della rosa che Jocelyn mi aveva regalato. Essa mi scivolò dalle mani cadendo al suolo con un tonfo sordo mentre una goccia di sangue scivolava dal mio dito.

Mi abbassai mentre White mi guardava, mi studiava. Sentì Jocelyn passare avanti: la sentivo canticchiare e saltellare sul pavimento anche mentre raccoglievo quel fiore. Era una ragazza straordinaria: un po' folle ma comunque bella e ottimista. Osservai la rosa e mi chiesi perché, una ragazza come lei, una ragazza sicuramente popolare e piena di ragazzi, si fosse avvicinata ad una come me. Mentre ero immersa nei miei pensieri, successe qualcosa di surreale, come se fosse stato il fato a farlo accadere. Se solo una cosa fosse andata diversamente il risultato sarebbe stato diverso: se io non fossi rimasta ferma ad osservare la rosa, se White non mi avesse fissato, se Jocelyn mi avesse aspettato anziché continuare a canticchiare senza guardare davanti a sé, probabilmente la macchina ci sarebbe passata accanto e sarebbe andata a sbattere contro il muro. Noi avremmo chiamato l'ambulanza, ci saremmo spaventate a morte, ma saremmo state salve... Purtroppo non andò così. Mentre ero chinata, sentì il rumore di un'auto che sbandava. Alzai la testa mentre le mie orecchie avvertivano il rumore di un impatto e infine vidi una sagoma dai capelli biondi che volava. Vidi Jocelyn sbattere contro il muro e cadere a terra con un tonfo innaturale: la sua pelle pallida come la cera, il corpo immobile come quelle di una statua, i capelli sul viso.
Tutto successe nell'arco di dieci secondi ed io non capì più nulla: lasciai la rosa, cominciai a correre, mentre sentivo delle pungenti lacrime che mi rigavano il viso. Anche White stava correndo. Anche lui guaiva. Il dolore mi lacerava la pelle come mille aghi, ancora incapace di credere a ciò che avevo visto. Speravo solo che non fosse troppo tardi, speravo solo che si sarebbe potuta salvare. Il mio cuore batteva all'impazzita mentre tentavo di scrutare il suo viso anche a quella distanza: nulla da fare, era coperto da quella massa di capelli. Sentì il fiato mancare, rallentai la corsa mentre i miei polmoni imploravano per avere aria. Il cuore batteva mentre mi sentivo soffocare ed il mio corpo andava a fuoco. Sentivo di star per morire, non riuscivo più a pensare, vedevo solo la luce bianca e la sensazione di silenzio.

White non aspettò che riprendessi a correre, velocizzò la corsa e spiccò un saltò per superarmi. Ci sfiorammo. Bastò un leggero tocco sul suo morbido pelo; bastò un piccolo, semplice contatto... E non vidi più nulla. Sembrava di essere stata infilata in una lavatrice: tutto era buio, esattamente come ciò che c'era nel mio cuore. Avevo perso l'unica amica che ero riuscita a trovare. Non l'avevo semplicemente persa, lei era morta ed era tutta colpa mia. Se solo non mi avesse incontrata, se solo io non mi fossi fatta avanti, lei non sarebbe mai andata in quel parcheggio. Lei sarebbe semplicemente andata a casa con il suo cagnolino... Viva. Non ero altro che una croce su quelli che mi conoscevano. Quando riuscì a vedere, mi ritrovai in una stanza in penombra. L'atmosfera era triste e nera.
Avevo lo stomaco sottosopra anche se, la strana sensazione al cuore provata vedendo Jocelyn a terra, era svanita.
"Un attacco di panico" pensai accarezzandomi il petto.
Mi sentivo malissimo e avevo una gran voglia di vomitare. Mi guardai intorno: quello non era il parcheggio. Non lo era sicuramente. C'era un uomo però, aveva un'aria triste e rassegnata e stava seduto su una scrivania. Cercai ancora nella stanza e per fortuna lo vidi: White. Era col muso fra le zampe, poggiato in un angolo con l'orecchio dritto chinato all'indietro per la tristezza.

Mi alzai e mi avvicinai alla scrivania di quell'uomo, lì c'era una targhetta con iscritto "C.H Rosw".
Risi anche se non era affatto divertente. A terra c'era una pallina e la mossi col piede, mentre non smettevo di ridere; la mia solita risata amara che celava la tristezza. Avevo capito tutto. Era tutto uno scherzo: Jocelyn, il cane. Che stupida che ero stata: pensare che una come me potesse trovare un'amica... Ero stata proprio un'ingenua. Sarebbe stato pure un bel piano: farmi credere di avere un'amica, farmela perdere così da farmi stare ancora più male quando si sarebbe rialzata ridendo, ma quello era troppo. Volevano farmi credere che davanti a me c'era il famoso scrittore de le cronache di Zenl che per giunta, era morto più di cinquant'anni anni prima. Assurdo perfino per quei viscidi dei miei ex compagni. Oppure era stata la professoressa? Sbuffai, poi lo guardai meglio: eppure sembrava lui.  Un uomo leggermente in carne, di mezza età. Gli occhiali rotondi  gli davano un'aria da aristocratico, la mancanza di voglia di vivere lo facevano sembrare un settantenne. Anche la sua stanza, sembrava la sua: l'avevo vista in alcune foto. Aprì la porta di legno intagliato e guardai: ero in una casa vera. Infatti c'era un enorme corridoio che portava chissà dove. Perfino lo scherzo più elaborato del mondo non poteva farmi arrivare lì in pochi secondi. Deglutì spaventata, poi mi girai a osservare la scrivania vedendo scritto l'ultimo capitolo del famoso libro.
Lessi le ultime righe dove Zenl veniva distrutto e i protagonisti morivano.

-Perché una bellissima storia devi farla finire così!- dissi senza riflettere. Ma perché non stavo mai zitta? La voglia di rendermi ridicola era davvero tanta: non bastava essere caduta nello scherzo, dovevo pure parlare con un attore.

-Lo dici come se non sapessi la mia storia, d'altronde sei solo una voce nella mia testa-.
Inizialmente ne fui sorpresa poi pensai che,  se questo uomo aveva sofferto così tanto come dava a vedere, di sicuro gli era successo più di una volta di parlare da solo, inoltre sarebbe stata lunga da spiegare il come e il perché fossi arrivata lì. Meglio reggergli il gioco, e se all'improvviso Tiffani sarebbe sbucata con una telecamera in mano, beh... L'avrebbe pagata cara.

-Si conosco la storia ma voglio sentirla da te- risposi con voce pacata.

Sbuffò sempre chino sul libro: -Un ladro è entrato a casa mia e ha ucciso tutta la mia famiglia- mormorò con un sguardo glaciale. Poi si alzò rassegnato e si avvicinò a me:- Le persone sono corrose dalla cattiveria, è meglio che questo mondo venga distrutto piuttosto che essere popolato da gente così-.
Poi si girò verso il caminetto lasciandomi a pensare: capì che in quella storia era rispecchiata la sua vita.
Adesso che conoscevo ciò che stava passando, ovviamente sempre se fosse vera, ero ancora più decisa a fargli cambiare idea. Amavo quel libro, e l'amore che provavo per la lettura, era più forte della voglia di non rendermi ridicola.

-La Terra è popolata da gente crudele ma anche da gente pura.
Come puoi non pensare a tutti quei ragazzi che fra il gioco, lo studio, l'amore trovano sempre un po' di tempo per leggere il tuo libro?- chiesi arrabbiata. L'uomo non si mosse: continuò a guardare il vuoto.

-Come puoi non pensare a quei bambini che non possono correre con le proprie gambe ma che, attraverso le tue parole, corrono grazie alle pagine del tuo libro percorrendo i prati della fantasia?
Come puoi non pensare a quei ragazzi a cui non resta tanto tempo da vivere, ma che trascorrono le loro giornate felici... Grazie a te?- dissi.

- Come puoi levare loro la speranza? Strappargliela dalle mani mostrando loro il vero mondo in cui vivono?- domandai affranta. Poi tornai in me e guardai in faccia la realtà: lui non poteva essere lui, insomma, era morto decenni prima senza parlare del fatto che abitasse in America. Mi guardai in giro sbarrando gli occhi: avevo parlato in Inglese senza rendermene conto, avevo detto tutto come se fosse la mia lingua. Come poteva, uno scherzo, farmi parlare inglese? E se quello non fosse uno scherzo? E se White... Mi ripresi.
"Ma che razza di assurdità vado a pensare!". Risi debolmente.
"Sto proprio impazzendo... Pensare anche solo per un attimo, di aver viaggiato nel tempo è assurdo!"
Guardai White che era ancora sdraiato...
"E se lui potesse?".
L'uomo mi guardò con gli occhi di uno rassegnato.

-Per essere solo una voce nella mia testa sai trovare argomenti molto convincenti... Penserò alle tue parole, ma non ti prometto nulla-                                                        
Mi ero quasi dimenticata di quell'uomo. Ero terrorizzata.
Se avevo davvero viaggiato nel tempo, come avrei fatto a tornare?
E poi c'era sempre la stessa domanda: e se fosse tutto un trucco dei miei compagni per far si che mi umilii ancora di più?
Guardai l'uomo un'ultima volta, annuì con il capo in segno di rispetto, poi andai da White. Mi abbassai molto lentamente. Quello era il momento critico: il momento di capire se era stato tutto uno scherzo o no. Non riuscivo a immaginare quale delle due opzioni fosse peggio. Chiusi con forza gli occhi, e lo feci: lo toccai.
Mi girava la testa e avevo delle fitte allo stomaco ma niente rispetto alla prima volta. Non era uno scherzo, anche se non sapevo cosa ciò avrebbe comportato.
Mi aspettavo di toccare la strada del parcheggio, ma c'era qualcosa di strano: stavo toccando una strada a me estranea.
Sentì uno strano clacson e mi spostai giusto in tempo per non essere investita.
Mi sfregai forte le braccia per cercare di guadagnare calore mentre una nube di fumo bianco mi uscì dalla bocca per via del freddo. Guardai la macchina che passava: era grossa, sembrava antica, con delle ruote davvero enormi.
Dall'altro capo della strada vidi White che mi osservava, poi si girò e andò via.

- Aspetta!- urlai.
Mi feci forza e mi buttai sotto la fitta pioggia ignorando il freddo che mi attraversava le ossa.
Lo rincorsi fra le strade di quella città sconosciuta e non ci volle molto per capire che, del bellissimo cane bianco, non c'era più traccia.
Rallentai la corsa. I capelli fradici mi sfregavano sul viso mentre i vestiti non facevano altro che infreddolirmi ancora di più.

- White!- urlai stringendomi fra le braccia nel disperato tentativo di guadagnare calore.

- White!-

- White- mormorai guardandomi intorno.
Era buio e non sapevo dove fossi: né in quale epoca, né in quale paese.
Deglutì poi ripresi a camminare senza una ragione ben precisa, magari un posto asciutto.
Mi trascinai sulla strada per quelle che mi parvero ore: non c'era un'anima viva né una luce. Qualche macchina ogni tanto mi suonava e passava senza neanche chiedermi se avessi bisogno d'aiuto.
Regnava il silenzio e soprattutto la paura.
Volevo tanto tornare a casa: dai miei genitori, da mio fratello, da Jocelyn.
Avevo bisogno di un suono, un qualsiasi suono che dimostrasse che esistevano altre persone.
Uno qualsiasi...
Poi la sentì: un'assordante ma orecchiabile musica Jazz.
Mi avvicinai al locale illuminato da tante luci mentre la musica inondava le mie orecchie.
La porta del locale era di vetro semitrasparente ma, nonostante questo, non riuscivo a vedere nessuna sagoma dietro.
Sospirai e poggiai una mano sulla porta sperando che tutto questo fosse un incubo, poi spinsi verso l'interno.
La musica jazz fu più forte e io mi pentì di non aver seguito le lezioni di musica: quale diavolo era il periodo del jazz?
Mi ritrovai di fronte ad un signore in giacca elegante: portava un paio di baffi grigi in sintonia con i capelli quasi bianchi. Puliva i bicchieri e stava dietro un bancone dove giaceva una cassa di ferro.
L'uomo di mezza età mi guardò un po' curioso: fissò i miei abiti, il mio trucco sbavato.
Tremai capendo di dover trovare una spiegazione plausibile per i miei vestiti inadatti.

- Io- mormorai.

- Non c'è bisogno di spiegazioni. Siamo a New Orleans, le anormalità sono all'ordine del giorno per me- mi disse sorridendo. Non sembrava pericoloso, anzi sembrava a suo agio, come se non fosse la prima volta.
Mi avvicinai un po' e mi strinsi ancora un po' le braccia.

- Non vorrei sembrare scortese, ma ha per caso qualcosa per scaldarmi?-
L'uomo smise di sorridere come se si fosse accorto solo in quel momento del mio stato.

- Scusate voi la mia scortesia- disse con un sorriso uscendo dal bancone. Aprì una porta che dava su delle scale di legno: quel locale era molto più grande di quanto non mostrasse.

- Prego- mi disse sorridente indicando la porta.
Deglutì guardando le scale buie e il sorriso, adesso inquietante, dello sconosciuto.
Risi nervosa mentre cercavo di fare, molto lentamente, un passo indietro.
Sentì delle risate che venivano dall'altra sala dritte verso di noi e capì che sarebbe stata la mia unica occasioni di sfuggire a quel maniaco. Mi girai di colpo pronta ad urlare, aspirai l'aria pronta a buttarla fuori con tutta la forza che avevo nei polmoni, ma qualcosa mi impedì di fare uscire qualsiasi suono: mi aveva tappato la bocca con forza. Mi divincolai senza successo mentre l'estraneo mi trascinava verso le scale.
Mi prese in braccio e chiuse la porta dietro di sé. Adesso il buio regnava su ogni cosa. Non riuscivo a vedere nulla e non sentivo niente se non i passi dell'uomo sulle scale. Nella mia mente, si aprivano milioni di scenari terrificanti su ciò che mi avrebbe fatto se avesse raggiunto la stanza. Immaginai il mio corpo a terra ricoperto da un fiume di sangue rosso scuro. Gli occhi aperti ma spenti e il corpo ricoperto da lividi che arrivavano fin sopra le cosce... Urlai nuovamente e ripresi a divincolarmi colpendo l'uomo di sorpresa. Mollò la presa e io caddi a terra. L'ultima cosa che ricordo è il rumore sordo della mia testa sul gradino, poi più nulla.

Capitolo revisionato.

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