Il ballo
L'iniziale senso di vuoto sotto ai piedi di Camille si diradò come nebbia. I suoi occhi si focalizzarono sul grande lampadario della sala. Qualcosa non andava, decisamente. Quella non era casa sua, affatto! Non c'erano lampadari di cristallo, né candelabri dorati e splendenti.
Per un attimo la ragazza rimase paralizzata sul posto, senza sapere cosa fare. Per questo si prese un minuto per scandagliare la sala stracolma. C'erano tantissimi nobili, che ostentavano i propri gioielli come se ne andasse della propria dignità.
Sfarzo. Era la parola perfetta per descrivere il tutto. Le candele illuminavano la sala di un bagliore rossastro, che si rifletteva sulle pietre preziose incastonate nei gioielli, producendo bellissimi giochi di luci ed ombre. La sala era lucente, sfavillante. I colori accesi, vibranti, l'aria pregna di sussurri e sorrisi lascivi, accennati, che nascondevano mondi falsi e corruzione.
Il Re Sole sedeva sul suo trono, sfavillante e luminoso come il suo nome. Scandagliava la sala intera in cerca di qualche diletto, come tutti facevano, in effetti.
La musica viaggiava dolcemente di centimetro in centimetro, lungo tutta la sala. Quasi fosse un'aura, volteggiava in immaginarie volute di fumo, delicate come neve. Era una festa meravigliosa, e a Camille sarebbe davvero piaciuto restare. Se non si fosse resa conto che, per un motivo a lei ignoto, era stata catapultata in un'epoca che non era sua.
La rivelazione fu come uno scossone per lei. Come se fosse stata strappata come un foglio di carta, quasi le avessero tolto la pelle, l'identità.
No, no, quello era un sogno. Doveva esserlo per forza, ma per quanto si ostinasse a trovarne, non c'erano dettagli che avvalorassero la sua teoria. Le sensazioni che provava erano fin troppo reali. Il corsetto le mozzava quasi il respiro, che usciva in sbuffi frammentari dalle sue labbra. Le scarpe dorate che indossava, per quanto belle, le procuravano un dolore atroce alle dita.
Provò a pizzicarsi un braccio, ma il dolore era più reale che mai. E sapeva che nei sogni non ci si riusciva a contare le dita, ma lei ne contò dieci. Qualsiasi cosa fosse successa, quello di Camille O'Connell non era un sogno. Era il più reale degli incubi.
Il suo cuore prese a correre più veloce delle ali di un colibrì. I battiti le riverberavano in tutto il corpo come potenti onde sonore, quasi l'organo potesse uscirle dal petto, ostinato a schiantarsi contro la gabbia toracica.
Le viscere le si contorsero in una danza più che dolorosa, ma Camille era brava a gestire quel tipo di situazione. Prima di tutto, doveva assolutamente uscire da lì, prendere un po' d'aria, almeno.
Desiderò tanto che qualcuno, un viso amico magari, le stesse accanto in quell'epoca sbagliata. Aveva bisogno che le dicessero che era un sogno, o che le dessero qualsiasi spiegazione logica possibile. Anche se, per ritrovarsi al ballo in maschera del Re Sole, di logico poteva esserci ben poco.
Camille adocchiò subito la grande balconata aperta. Si sentiva confusa e disorientata, un po' d'aria le avrebbe fatto bene di sicuro. A passi lenti e misurati, attenta alle sorde proteste dei piedi doloranti, raggiunse la balconata.
L'aria le sferzò il viso come una delicata carezza affettuosa. Niente a che vedere con l'impeto dei polpastrelli di un amante, solo un delicato sfiorare che la rinvigorì. Era piuttosto fresco, ma a Camille fece bene. Sentì il calore delle guance scemare, come quello che proviene dalle braci di un fuoco non più ravvivato. La frescura le asciugò il sudore che riluceva di perla sulla fronte e sugli zigomi alti, le attraversò i ghirigori dorati dello sfarzoso abito, rinfrescandole la pelle.
Decisamente più calma, osservò il cielo.
La luna rischiarava d'una luce delicata il cielo notturno, tempestato di stelle come una corona di diamanti. L'illuminazione era appena sufficiente a distinguere sagome e bagliori di sentimenti nelle iridi dei pochi presenti. La ragazza fece qualche altro passo, fino ad arrivare all'estremità della ringhiera in marmo, dove appoggiò delicatamente i palmi delle mani sudate.
Okay, ora devo cercare di capire cosa sta succedendo, pensò. Inspirò a lungo, e con un sonoro sbuffo espirò, fino a quando nei suoi polmoni non rimase un briciolo d'aria.
Decisa, calma e senza che le viscere le danzassero dolorosamente, tornò all'interno della sala stracolma.
Senza sapere da dove cominciare, pensò che se fosse uscita fuori dal palazzo, magari avrebbe potuto pensare a qualcosa. Trovare qualche indizio che le suggerisse il modo per andarsene, tornare a casa da quel paio d'amici che aveva, nella sua epoca.
Puntò diritta alle grandi porte del salone, e si incamminò velocemente verso di esse, incurante dei piedi che le chiedevano pietà. Maledette scarpe infernali.
A metà strada, però, ci fu un intoppo. Un giovane uomo mascherato fece il suo plateale ingresso. Aveva un portamento fiero ed intimidatorio, quasi lapidario come un'aquila che cerca la sua preda, ma al tempo stesso elegante come solo un cigno riusciva ad essere.
Camille lo riconobbe subito. Sarebbe stata capace di farlo anche a chilometri di distanza. Quelle iridi azzurro cielo erano tormentate, più del mare in tempesta, del cielo d'estate scuro di nuvole nere; più di qualsiasi cosa avesse mai visto. Erano macchiate di ombre che ti si appiccicavano sull'anima con affetto morboso. Chiare, ma piene di oscurità.
Il suo nome le scivolò sulle labbra prima ancora che se ne rendesse conto. Klaus Mikaelson.
Andò verso di lui, ignorando ogni segnale di dolore che il corpo le stava inviando. Il corsetto che le mozzava il fiato, le scarpe troppo strette, l'aria pesante ricolma di sospiri... Divenne tutto polvere, intorno a Camille. C'erano solo lei, l'uomo che pensava di amare e la paura che le lasciava il cuore come una rondine in volo.
Non ci fu bisogno di chiamarlo, lui l'aveva già sentita. Uno dei vantaggi dell'essere vampiro - o ibrido, nel suo caso - era proprio il super udito. Per non parlare della super forza, della velocità soprannaturale e la compulsione.
«Buonasera, Camille» disse l'uomo, con tono roco ma sicuro, un mezzo sorriso accennato sulle labbra. «Klaus» rispose lei, curvando le labbra. Avrebbe tanto voluto restare lì con lui, ma sapeva che qualcosa non andava. L'ultima cosa che ricordava era di essersi addormentata sul divano di casa sua.
«Dove siamo, che succede?» chiese, cercando di contenere il tono spezzato, appesantito dalla paura. Lui sorrise spavaldo, come faceva sempre, ed il cuore di lei perse almeno due battiti. Il suo sangue bolliva con lui nelle vicinanze. Il vampiro aveva una tale oscurità dentro, troppe ombre che di solito spaventavano le persone. Ma Camille no, lei non era affatto spaventata.
«Niente di cui tu debba preoccuparti. Non lascerò che ti succeda nulla» finì lapidario. No, c'era qualcosa sotto, non avrebbe di certo lasciato perdere. «Klaus» implorò, con un disperato bisogno di sapere che trapelava dal suo tono di voce. «Ti prego, dimmi.»
«Siamo in una Chambre de Chasse» cedette lui. Gli occhi di Camille quasi si incrociarono per cercare di capire cosa diavolo fosse, ma per fortuna non ebbe bisogno di chiederlo apertamente. Per qualche motivo la sua bocca era diventata secca come carta vetrata.
«È magia rappresentativa. Una specie di dimensione parallela in cui siamo bloccati» spiegò. Come bloccati? Pensò Camille, improvvisamente in apnea. La sola prospettiva era terrificante, ma cercò di non darlo a vedere. Naturalmente, Klaus doveva aver sentito il suo cuore battere come un tamburo, ma preferì restare in silenzio.
«C'è un modo per uscire, non è vero?» chiese. Ancora, un sorriso spavaldo incuneò le labbra di Klaus come una falce. «Naturalmente» rispose lui lascivo. Era sempre così maledettamente misterioso.
«E quale sarebbe?» chiese Camille. Avrebbe voluto mordersi la lingua per restare in silenzio, ma non vi riuscì. Klaus non smise di sorridere. «Come ti ho già spiegato, questa è magia rappresentativa. È legata alla visione che, chi ha creato questa dimensione, ha di te. C'è qualcosa che la rappresenta, bisogna solo individuare l'oggetto in questione e distruggerlo.»
«Quindi aiuterebbe sapere chi ha creato questa dimensione, no?» rispose Camille, provocando uno sbuffo a Klaus. «Naturalmente. Si tratta di Finn.»
La ragazza impallidì di colpo. «Tu intendi... Proprio quel Finn?»
La sola prospettiva era assolutamente terrificante, agghiacciante, paralizzante, asfissiante. Camille finì in un baleno tutte le parole adatte a descrivere il peso che sentiva sul diaframma, come un masso invisibile, impossibile da scostare. E il corsetto decisamente non aiutava.
Dovette ricordarsi di respirare quando Klaus annuì. Respiri piccoli e lenti, ricordò a sé stessa. Lei non era quella che si lasciava prendere dal panico, anche se dentro di lei agiva con un impeto tale che riusciva quasi a farla sbandare; come una potentissima onda, da cui non si ha via di scampo. Era quella che ascoltava le altre persone quando ne avevano bisogno. Prima cercava di capirle, e poi di aiutarle. Non c'era spazio per la paura, nel suo cuore così vivo.
Klaus sorrise di nuovo, per un motivo che Camille non conosceva. Era però certa che qualsiasi pensiero gli frullasse in testa, non fosse una buona idea. L'uomo dai capelli biondo cenere si inchinò leggermente e le prese la mano. «Mi concedereste questo ballo, mademoiselle?»
La giovane per poco non cascò. Come poteva solo pensare di ballare in un momento del genere? Erano bloccati in una Chambre de Chasse, una specie di dimensione parallela, e l'unica cosa che Camille voleva disperatamente, più di ballare con Klaus, era proprio uscire di lì.
Prima che potesse prendere qualsiasi decisione, il vampiro la tirò verso di sé, con una delicatezza che usava poche volte. Camille ormai ricordava di respirare a tratti. Le posò una mano sul fianco, un tocco bollente che formicolò come elettricità su ogni singolo centimetro di pelle. Poi, lentamente, portò il gomito alla giusta altezza, tenendo ben salda la mano di lei.
«Che stai facendo?» chiese la ragazza. Il desiderio di lasciarsi andare a quell'atmosfera inebriante era davvero fortissimo, ma sapeva che non poteva abbandonarcisi. Là fuori stava succedendo qualcosa, se quella persona li aveva catapultati in quella dimensione.
«Cerco il modo per uscire da qui» rispose lui con nonchalance. L'orgoglio di Camille fu distrutto in pezzettini minuscoli all'istante. Ovviamente dovevano andare via di lì, ma lei si aspettava una risposta diversa.
«E mi godo anche un ballo, con la mia signora» aggiunse.
Camille si sentì come se la sua anima avesse spiccato il volo, leggera come una rondine in primavera, colorata come i fiori, immensa. Non poté fare a meno di sorridere e seguire i passi dell'uomo che la guidava.
Osservò Klaus scandagliare la sala in cerca di qualsiasi dettaglio che potesse rivelarsi utile. Odiava ammetterlo, ma Finn era stato davvero furbo. Avrebbero potuto metterci ore prima di capire come uscire da quella maledetta Chambre de Chasse.
Una ragazza del ventunesimo secolo che veniva catapultata ad un ballo in maschera del Re Sole... Se l'avesse rivelato a qualcuno l'avrebbero guardata come una pazza. La sola idea era così surreale.
Gli occhi azzurri e splendenti di Camille catturarono improvvisamente un dettaglio. Era molto strano, ma riusciva a passare inosservato anche agli occhi delle persone più attente. Si chiese se non fosse quel dettaglio, ma prima che potesse fare qualsiasi cosa lui sussurrò il suo nome.
«Camille» la voce roca, un sussurro. Le sue labbra erano a pochi centimetri dal suo collo, la ragazza aveva i brividi. «Ho trovato qualcosa.»
Lei seguì la traiettoria dello sguardo dell'uomo. I suoi occhi erano puntati su nient'altro che una candela accesa, ma Klaus... Aveva un sorriso spavaldo, come se avesse capito qualcosa che a lei non era chiaro.
La ragazza fece mente locale, riportando a galla le parole dell'uomo. È magia rappresentativa. C'è un oggetto che incarna la visione che, chi ha creato la dimensione, ha di te.
Camille non era sicura di volerlo sapere. Quello che Finn vedeva di lei? Dopo tutto quello che le aveva fatto non voleva più sentirne parlare, ma dovevano pure uscire di lì...
Una candela accesa, pensò. E d'improvviso, un dettaglio che catturò tutta la sua attenzione. Un intaglio sulla cera, una mera decorazione che passava inosservata se presa fuori contesto. Aveva la forma di una mezzaluna... Improvvisamente a Camille fu tutto chiaro, come se qualcuno le avesse acceso una lampadina nella testa.
«Klaus forse-» sussurrò, ma non ebbe più il tempo di dire nulla. La terra svanì sotto ai suoi piedi come quando era piombata lì nel bel mezzo della festa. Qualcuno li aveva tirati fuori. Chi?
Camille era totalmente scombussolata. Il cuore ancora le batteva forte, aveva una strana sensazione alla bocca dello stomaco, e là dove prima c'erano le mani dell'ibrido, sentiva formicolare la pelle.
Una ragazza dai capelli castani era davanti a loro. Il suo sguardo suggeriva che avrebbe voluto essere da tutt'altra parte, ma non poteva. Un uomo era accanto a lei: Marcel Gerard, come un figlio, per l'ibrido Mikaelson.
Davina doveva averli liberati per volere di Marcel. Klaus sembrava scombussolato quanto Camille, ma si curò bene di nasconderlo. «Marcel?» chiese interrogativo, con tono di chi si aspetta di ricevere una terribile notizia.
Camille e Klaus avevano entrambi un brutto presentimento.
«Rebekah è in pericolo» furono le quattro, raggelanti parole dell'ex Re di New Orleans.
Camille poté immaginare i pensieri di Klaus vertere verso la sorella e la maniera in cui aiutarla. «Fammi strada» ordinò l'ibrido. Il tono perentorio, che non ammetteva repliche. Aveva avuto brutti trascorsi con sua sorella, ma lei era la sua famiglia.
Sempre e per sempre. Nessuno di loro aveva mai infranto quel giuramento, e non sarebbe stato Klaus a farlo, nemmeno quella volta.
Prima che i due vampiri corressero via alla velocità della luce, Camille prese Klaus per un polso. «Aspetta» la presa salda, ma lui non si ritrasse.
Con una spontaneità di cui non si credeva capace, gli diede un bacio a fior di labbra. Sentì la bocca formicolare, il cuore esplodere in frammenti di stelle, creare l'universo. «Grazie.»
Se il vampiro rimase interdetto, non lo diede a vedere. Strinse la mano di Camille, in una strana, muta promessa, e poi si volatilizzò insieme a Marcel, diritto nelle fauci del lupo.
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