50. te l'avevo promesso
domenica 21 febbraio
Quella mattina Jisung si era risvegliato fra le braccia di Minho e con un peso insolito che premeva sulle sue gambe. Aveva alzato la testa e avrebbe voluto piangere dalla dolcezza nel vedere Doongie appollaiata sulle sue cosce. Aveva svegliato Minho scuotendolo per le spalle, ignorando le sue lamentele, solo per fargli notare che i suoi gatti l'avevano ormai accettato come secondo padre e presenza quasi fissa nel monolocale. Insomma, era un mese ormai che dormivano insieme ogni weekend e Jisung si era finalmente abituato ad essere disturbato di continuo dagli animali pelosi del maggiore, che non sembravano avere pace la notte.
Dopo aver fatto colazione insieme e aver litigato per la centesima volta per decidere se fosse meglio il dolce o il salato di prima mattina, si erano sdraiati sul letto e, tra una coccola e l'altra, erano riusciti a finire il film che avevano iniziato quella notte, dopo aver salutato i loro amici. Jisung, però si era addormentato dopo i primi minuti, dopo aver insistito affinché guardassero qualcosa. Inutile specificare che Minho non avesse fatto altro che prenderlo in giro da quando si erano svegliati, ricevendo svariate minacce dal minore, del tipo: «Se continui giuro che me ne vado!». Aveva continuato, ma Jisung non se n'era andato; anzi, l'aveva infine zittito con un bacio. «Quando fai così vuoi solo attenzioni. Birichino» lo aveva preso in giro, dandogli un buffetto sulla fronte.
In quel mese Jisung aveva fatto numerosi progressi. Aveva pianto molto, era stato particolarmente male alcuni giorni, tanto da non riuscire ad alzarsi dal letto per ore, ma aveva finalmente affrontato il fatto che suo padre biologico si fosse rifatto una vita senza di lui. E aveva capito che, anche questa volta, non era colpa sua. Il peggio, per così dire, era passato. Aveva trascorso la maggior parte del suo tempo libero con i suoi amici, sorprendendo Changbin e sua madre. Aveva sempre evitato di uscire troppo, soprattutto a causa dei suoi problemi con l'ansia, ma aveva deciso di provarci. Insomma, con quei sette ragazzi si sentiva al sicuro e in qualche modo sapeva che, qualunque cosa fosse successa, loro l'avrebbero aiutato a stare meglio. Per loro era abbastanza, gliel'aveva detto Hyunjin e lui voleva credergli. Da quando si era liberato del suo guscio – da quando aveva risposto a leeknow qualche mese prima –, aveva compreso che fosse più facile credere alle parole buone che gli venivano rivolte piuttosto che rifiutarle categoricamente.
Un'altra cosa che l'aveva aiutato in quel periodo era la consapevolezza che ben presto lui, sua madre e il suo compagno sarebbero diventati ufficialmente una famiglia. Qualche giorno prima, infatti, Dohyun si era recato in camera sua, la testa bassa e le dita che giocavano nervosamente fra loro, per chiedergli il permesso di poter sposare sua madre. «So che può sembrarti strano che io te lo chieda, ma sposarla significherebbe diventare ufficialmente una famiglia. E poi, insomma, siete stati sempre voi due contro tutti, ci tengo ad avere il tuo permesso. Alla fine, sei e sarai sempre tu l'uomo della sua vita» gli aveva spiegato, le guance rosse. Jisung si era quasi messo a piangere dalla felicità e l'aveva abbracciato, acconsentendo senza troppi giri di parole alle intenzioni di Dohyun,l perché non poteva immaginare un futuro migliore per sua madre, un uomo migliore al suo fianco.
Aveva scoperto, però, che il fatto che sua madre e Dohyun si sposassero non faceva di lui suo padre per la legge. Aiutato da Jeongin, figlio di un magistrato, si era informato e si era messo a cercare tutti i documenti necessari per fare la richiesta di adozione. Li aveva stampati e li aveva nascosti dentro una cartella, aspettando il momento giusto per fargli quella sorpresa – in particolare, il momento in cui si sarebbe sentito pronto a fare quel passo importante, sia per lui che per Dohyun.
Stava osservando con un sorriso Seoul quando sentì le braccia di Minho circondargli la vita. Sobbalzò leggermente e girò il viso di novanta gradi, incontrando lo sguardo vispo del maggiore, il cui mento era appoggiato sulla sua spalla. «Mi hai fatto paura!» esclamò, una mano sul petto, proprio sopra il cuore.
Minho ridacchiò e gli lasciò un bacio veloce sulle labbra, allungandosi. «Spero che il principino possa perdonarmi» lo prese in giro.
Jisung roteò gli occhi tornando a guardare Seoul fuori dalla finestra, la testa appoggiata sulla spalla di Minho. «Ti ho detto mille volte di non chiamarmi così. Perché continui!?» gli chiese, esasperato. Non sapeva perché, ma ultimamente il maggiore gli aveva dato questo nomignolo e lo usava continuamente, anche quando erano fuori. Non che gli importasse molto dell'opinione dei suoi amici (insomma, conoscevano bene anche loro Minho e le sue mille stranezza), ma, insomma, quando veniva chiamato così in pubblico, per giunta a squarciagola, avrebbe preferito essere sotterrato.
Sentì Minho sbuffare. «Ma sei il mio principino per davvero!» replicò e iniziò a scuoterlo con le braccia. Poi, improvvisamente, si fermò e cambiò discorso – come faceva sempre, dopotutto. «A cosa stavi pensando?»
«Al fatto che sto bene» rispose Jisung con un sorriso, appoggiando le mani su quelle di Minho e la testa sulla sua spalla. «Cioè, bene per modo di dire. Devo affrontare ancora tante cose, capirne molte altre, curare delle ferite ancora aperte, accettare che alcune non guariranno mai del tutto. Ma non penso di essere mai stato così bene negli ultimi nove anni. In un certo senso, mi sento in pace col mondo. Non so se ha senso.»
Minho sorrise e lo strinse maggiormente a sé, lasciandogli un bacio sul collo. «Ha perfettamente senso, invece» lo tranquillizzò. «Non sai quanto sono felice.»
Jisung si voltò e circondò il suo collo con le braccia incastrando i loro sguardi, un sorriso sinceramente felice ma, soprattutto, grato che gli accarezzava le labbra. Guardò Minho, i suoi occhi grandi e taglienti, le sue iridi luminose, le sue labbra a cuore e i denti da coniglietto che spuntavano quando le teneva leggermente aperte, come in quel momento; poi il piccolo neo sulla punta del naso, la pelle liscia e morbida, dello stesso colore del miele.
Tornò a osservare le sue iridi luminose, che lo facevano sentire il ragazzo più bello del mondo e meritevole dell'amore enorme e completo che Minho aveva da offrire. «Se non ci fossi stato tu, non credo che avrei raggiunto questo punto» mormorò.
Minho arrossì e scosse il capo. «Non darmi meriti che non ho e non sminuire il tuo lavoro così. Devi essere grato a te stesso per aver fatto quest'ultimo sforzo» replicò, serio.
«Non mi sto sminuendo, sono solo sincero» lo rassicurò il minore senza smettere di sorridere. «Come io ti ho salvato, tu hai fatto lo stesso con me. Mi hai dato nuovi motivi per lottare e hai permesso che uscissi dalle mura protettive che avevo inconsciamente eretto intorno a me, permettendomi di riprendere a vivere. Se tu quella sera non mi avessi scritto, adesso non sarei arrivato a questa pace – tra molte virgolette – interiore. Quindi permettimi di ringraziarti.»
Minho spalancò gli occhi nel sentire quelle parole e le sue guance si colorarono di un rosso intenso. Jisung ridacchiò nel vedere quella reazione e dopo averlo preso in giro per la sua improvvisa timidezza, fece scontrare le loro labbra in un bacio dolce di cui entrambi avevano bisogno. «Andiamo?» chiese poi.
Minho annuì e si staccò malvolentieri dal loro abbraccio, afferrando la tote bag sopra al tavolino e precedendo Jisung fuori dalla porta. Dato che il meteo aveva promesso un pomeriggio soleggiato, avevano deciso di recarsi al fiume Han per passeggiare accanto ad esso mangiando i biscotti che quella mattina si erano divertiti a cucinare. Minho aveva insistito per portare dietro le cuffie e il suo blocchetto per le coreografie. Si sentiva particolarmente ispirato in quei giorni, a quanto diceva. E poi, quello era diventato il suo lavoro – aveva abbandonato Hyunjin da solo al ristorante subito dopo aver firmato il contratto con l'agenzia che si sarebbe occupata di lui, ricevendo insulti e maledizioni, insieme a qualche fetta di pane volante. Beh, al momento la sua carriera stava andando a gonfie vele. Non poteva certo lamentarsi. E, come se non bastasse, riusciva fra i mille impegni a mantenere una media alta all'università. Jisung era sempre più convinto di essersi innamorato di un alieno (il che, ripensando al motivo per cui avevano iniziato a parlare, non sarebbe stato del tutto sorprendente).
Minho sistemò la moto in un parcheggio gratuito che avevano trovato per pura fortuna e Jisung si strinse la sciarpa intorno al collo, perché nonostante il sole brillasse alto nel cielo, a Seoul tirava un vento decisamente freddo, soprattutto accanto al fiume Han. Quando il maggiore alzò il seggiolino per posare i loro caschi, Jisung afferrò la tote bag e assaggiò un biscotto. «Mh, è buonissimo!» esclamò.
Minho lo fulminò con lo sguardo. «Non avevamo detto di mangiarli insieme dopo!?» gli domandò, retorico, mentre metteva la sicura allo sterzo della moto. «E poi abbiamo appena finito di pranzare e hai mangiato per tre persone. Come fai ad avere ancora fame!?»
«Il mio cervello è mille volte più grande del tuo, quindi ha bisogno di più energia» si giustificò Jisung, cominciando a correre perché era sicuro che Minho lo avrebbe minacciato.
E infatti. «Io ti uccido!» esclamò Minho iniziando a seguirlo. «Anzi, ti affogo!» disse quando misero piede nel parco dei fiume Han.
Jisung si fermò e si piegò in due per riprendere fiato, una mano alzata in segno di resa. «Fermo, scherzavo» cercò di dire tra un respiro e l'altro.
Minho si fermò accanto a lui, anche lui col fiato corto, e annuì. «Menomale. Sentivo già il freddo ai polsi» replicò.
Jisung lo guardò con un'espressione spaventata sul viso. «Si vede che hai iniziato a studiare con Seungmin» disse soltanto.
«Per forza, è l'unico intelligente fra voi teste quadre» lo prese in giro Minho, afferrando il polso di Jisung a mezz'aria prima che posse colpirlo. «Lo sai che ti amo» mormorò, ridacchiando quando vide l'altro diventare paonazzo.
Dopo avergli lasciato un bacio sulla fronte cominciò a camminare nel parco, Jisung al suo fianco in silenzio, le loro dita che si sfioravano senza mai stringersi. Dato che in Corea del Sud gli omosessuali non erano ancora così accettati, avevano deciso di non dare troppo nell'occhio in pubblico e di lasciarsi andare alla dolcezza e alle effusioni varie in privato. Minho l'aveva proposto soprattutto perché voleva evitare che Jisung sentisse gli occhi di tutti su di sé e rischiasse di stare male per quelle attenzioni indesiderate.
Si sedettero su una panchina leggermente nascosta. C'erano poche persone intorno a loro. Le loro mani si cercarono, per poi stringersi, incastrandosi perfettamente. Jisung sorrise, appoggiando la testa sulla spalla di Minho, lo sguardo rivolto verso il cielo. Un senso di pace lo avvolse nell'osservare quell'azzurro così intenso da dargli quasi le vertigini.
Sentì gli occhi di Minho puntati sul suo viso e arrossì, senza staccare lo sguardo da un uccellino che volava sopra di loro. Lo indicò. «Guarda!»
Minho alzò la testa e sorrise. «Che bello» mormorò, passando un braccio intorno alle spalle del minore per stringerlo a sé. «Vedi quant'è azzurro il cielo?» gli chiese dopo qualche minuto di silenzio.
Jisung sentì gli occhi riempirsi di lacrime nel comprendere quella domanda e, soprattutto, nell'accorgersi che quella promessa era stata mantenuta. «Sì, Minie, lo vedo» sussurrò, stringendo maggiormente la sua mano. «Grazie.»
«Te l'avevo promesso.»
Jisung annuì e alzò la testa. Minho si voltò a guardarlo e il minore, noncurante di ciò che accadeva intorno a loro, lo baciò. Fu un bacio veloce: le loro labbra si toccarono per un istante, ma fu abbastanza per farli sentire su una nuvola, i loro cuori che battevano alla stessa velocità, iridi scure incastrate in altre più chiare. E Jisung, mentre guardava il viso di Minho, illuminato dai raggi deboli del sole tanto da sembrare un angelo mandato sulla Terra per salvarlo, si rese conto di quanto profondamente lo amasse. Ma la cosa che lo sorprese di più fu che finalmente si sentiva meritevole di amarlo, pronto ad accoglierlo completamente nel suo cuore.
«Ti amo» mormorò prima di avere la possibilità di ripensarci.
Minho spalancò gli occhi, che si riempirono velocemente di lacrime di gioia, mentre un sorriso sinceramente felice si formava sulle sue labbra. Abbracciò di scatto Jisung, stringendolo forte a sé. «Ti amo anch'io» sussurrò, prima di baciarlo sulle labbra, questa volta più a lungo, dimentico del luogo in cui si trovavano.
Jisung sorrise sulle sue labbra, una lacrima solitaria che gli rigava la guancia. Sarebbe stato bene, ne era sicuro. Lui e Minho sarebbero stati bene, finché sarebbero stati insieme. Era l'unica cosa di cui era certo, in un mondo che ancora tremava sotto i suoi piedi ma che, stranamente, si appacificava quando erano insieme.
FINE
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