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36. perché riflettono i tuoi

Jisung si lanciò sopra la neve che ricopriva il giardino con una risata, che si spense non appena si rese conto di quanto fosse dura. Si mise a sedere strofinando una mano sulla spalla destra e con un'espressione sofferente sul volto, scatenando le risate di Minho. «Quanto sarai idiota?» lo prese in giro, mentre lo raggiungeva per aiutarlo a uscire dal buco che aveva creato da solo. «Pensavi che fosse acqua? Non lo so, volevi nuotarci dentro?» continuò senza riuscire a trattenersi.

Jisung afferrò una manciata di neve e gliela lanciò in faccia. «Smettila!»

Minho si passò una mano sul viso per togliere la neve che era rimasta sulle sue guance. «Che guerra sia» disse, serio, cominciando a formare una palla di neve con le mani, gli occhi fissi sul volto terrorizzato di Jisung.

Quest'ultimo cominciò a correre nel giardino, per quanto fosse possibile data la neve alta, cercando di scappare da Minho. La palla di quest'ultimo lo colpì nella schiena, seguita da un'altra poco dopo. Jisung si fermò di scatto, pronto per la sua vendetta, e si girò, ritrovandosi Minho addosso. Entrambi caddero sulla neve con una smorfia di dolore, l'uno accanto all'altro. Si guardarono e poi scoppiarono a ridere.

«Beccati questo» disse Minho, infilando la neve nella bocca aperta da una risata di Jisung.

Quest'ultimo tossì un paio di volte. «Sei proprio uno stronzo» replicò, mettendosi a sedere.

«No, semplicemente non amo perdere.»

Jisung scosse il capo con un'espressione sconsolata nel viso e si alzò, strusciando le mani nei pantaloni per togliersi la neve di dosso. «Uffa, ho il culo bagnato.»

Anche Minho si mise in piedi e lo imitò, per poi guardarlo con un sorrisetto saccente. «Se non ti fossi fermato non saremmo caduti» disse e si incamminò verso il cancello.

Jisung alzò un sopracciglio e lo seguì. «Beh, da come correvi sembrava proprio che volessi buttarmi per terra.»

Minho aprì il cancello con una risata. «Hai ragione. Ma di certo non volevo succedesse la stessa cosa anche a me.»

Jisung scosse il capo con un sorriso sul volto e si guardò intorno. La neve era alta qualche centrimento, dato che i suoi piedi affondavano fino a metà scarpe, e aveva ricoperto i tetti, i giardini e i terrazzi delle case. Era già stata tolta dalla strada, di modo tale che le macchine potessero muoversi tranquillamente. Sebbene facesse estremamente freddo, sentì il petto riscaldarsi di fronte a quella vista.

Si voltò sempre sorridendo e arrossì quando si accorse che Minho lo stava guardando. «Ho qualcosa sul viso?» gli chiese.

Minho sbatté le palpebre un paio di volte e scosse il capo. «No, è solo che i tuoi occhi sembrano due stelle in questo momento» spiegò, distogliendo lo sguardo dal volto del minore per spostarlo sul panorama che li circondava.

Jisung osservò il suo profilo e sorrise nel vedere il suo naso rosso a causa del freddo. Allungò le mani per sistemargli la papalina che indossava, dato che si era spostato a causa della loro caduta di poco prima. Poi gli strinse per bene la sciarpa, in modo tale che non si prendesse il mal di gola, senza far caso allo sguardo sorpreso che gli rivolgeva Minho.

Le sue braccia ricaddere lungo il busto e i loro occhi si incastrarono. Rimasero a guardarsi per qualche secondo, immobili, immersi nel silenzio di una Seoul ancora addormentata. Era come se nel mondo esistessero solo loro, i cui respiri condensati si incontravano a metà strada e si mischiavano. Jisung si prese del tempo per osservare attentamente il volto di Minho, nonostante ormai lo conoscesse a memoria. La pelle liscia, dello stesso colore del miele, ora un po' pallida a causa del freddo pungente di quella mattina. La bocca a forma di cuore, il cui labbro inferiore era più carnoso rispetto a quello superiore – il contrario di quelle di Jisung, come se le loro bocche fossero fatte apposta per incastrarsi perfettamente. E infine i suoi occhi scuri, ma che, in qualche modo, brillavano sempre così tanto, come se avessero mille cose da dire; cose che Minho non era in grado di esprimere ad alta voce. «Anche i tuoi occhi sono luminosi» sussurrò, sorridendo.

Minho arrossì. «Magari è perché riflettono i tuoi» replicò, cominciando a incamminarsi in direzione del parco.

Jisung lo seguì, imbarazzato, mentre i palazzi e le ville del quartiere scorrevano sotto i suoi occhi senza che li vedesse veramente. L'unica cosa che percepiva era la presenza del ragazzo che amava al suo fianco, presenza che aveva desiderato silenziosamente da quando si erano aperti la prima volta l'uno con l'altro, uno schermo a dividerli.

Una volta arrivati al parco si diressero, quasi inconsciamente, verso la loro panchina. Si fermarono di fronte ad essa, sorridendo dolcemente. I loro occhi si incrociarono di nuovo e non ci fu bisogno di parole inutili per capirsi, perché provavano la stessa cosa e lo leggevano l'uno nelle iridi dell'altro: sono felice di essere finalmente al tuo fianco.

Gli occhi di Jisung si posarono sull'altalena poco lontana da lì. «Oh! Minie, mi spingi?» chiese mentre correva in quella direzione.

Spostò la neve da uno dei seggiolini e vi si sedette sopra. Guardò Minho che gli si avvicinava scuotendo il capo. «Sei proprio un bambino» gli fece notare, mentre si posizionava dietro di lui e appoggiava le mani sulle sue spalle. Jisung sentì un brivido percorrere la sua schiena. «Così ti bagni i pantaloni, poi.»

Jisung scrollò le spalle, le mani strette intorno alle catene. «Tanto lo sono già per colpa di qualcuno» rispose e sorrise quando si ritrovò con i piedi in aria, il vento freddo che gli scompigliava i capelli e il corpo sbilanciato in avanti. «E comunque, ammettilo che sono il tuo bambino preferito!» esclamò, ancora offeso per il commento di poco prima, mentre Minho lo afferrava nuovamente per le spalle e lo spingeva un po' più in alto.

«Ti piacerebbe. Prima ci sono i miei gatti.»

Jisung roteò gli occhi. «In una delle tue vite precedenti sei stato un gatto, sennò non si spiega» commentò, ed eccolo che di nuovo si librava sopra la neve.

«Può darsi.»

Quante volte, quando era piccolo, suo padre lo spingeva in quel modo? Davanti a lui c'era sua madre, che rideva e correva ad abbracciarlo quando si annoiava e voleva cambiare gioco. Un velo di tristezza oscurò i suoi occhi luminosi nel ricordare l'innocenza della sua infanzia. Si chiese se suo padre avesse tenuto a lui almeno in quei momenti; se gli avesse voluto davvero bene; se già non stesse pensando di scappare. In fondo, era sua madre che si era sempre presa cura di lui, facendo le corse pur di partecipare agli eventi più importanti della sua infanzia. Suo padre era andato forse a due saggi di musica. Però la domenica guardavano i film insieme, lui, bambino, seduto sulle sue gambe, la testa appoggiata alle sue spalle; si addormentava in quella posizione, per poi svegliarsi mentre suo padre lo portava in camera.

Magari, anche in quei giorni, non era stato il padre modello, però c'era. Quando Jisung piangeva lo consolava, rideva con lui, lo portava a pescare. Cos'era successo? Perché da un giorno all'altro aveva iniziato a passare sempre più notti fuori, facendo piangere sua madre? Perché se n'era andato? Cosa stava facendo in quel momento? Aveva altri figli?

Quel pensiero congelò Jisung. Poteva essersi rifatto una vita, non era un'ipotesi che poteva eliminare. Magari se n'era andato perché aveva trovato una donna migliore di sua madre (dubitava potesse esistere) e aveva ricominciato tutto daccapo, come se Jisung non fosse mai esistito – o non fosse mai stato niente di importante. Chi lo sa, magari era davvero così facile abbandonarlo e dimenticarsi di lui. In fondo, non aveva niente di speciale. Poteva essere una di quelle persone che ti passano accanto, durante il corso della tua vita, che riempiono un po' le tue giornate, ti fanno ridere, ma che poi quando sei nel letto, da solo, immerso nel silenzio della notte, non pensi mai, perché non hanno fatto nulla di straordinario. Perché sono persone ordinarie.

Strinse le mani intorno alle catene dell'altalena e sentì Minho spingerlo un'altra volta. Chiuse gli occhi, il volto rivolto verso il cielo grigio sopra di lui. Avrebbe voluto avere un paio di ali per volare via, guardare il mondo dall'alto senza sentirsi in dovere di fare qualcosa o di essere qualcuno, senza avere paura di deludere nessuno perché come avrebbe potuto imparare il linguaggio degli uccelli, i suoi unici compagni di viaggio? Sarebbe stato tutto più semplice prendere e andarsene senza dover dare spiegazioni a nessuno. Sorrise amaramente nel realizzare che era esattamente quello che aveva fatto suo padre. Pur volendo distaccarsi completamente dalla sua figura, qualcosa da lui doveva pure aver preso. Magari suo padre era uno spirito libero, una di quelle persone che non volevano legarsi a nessuno, e Jisung poteva capirlo.

Eppure, allo stesso tempo, non lo comprendeva. L'idea di legarsi così tanto a qualcuno o a un luogo terrorizzava lo stesso Jisung, ma era consapevole che senza quei legami lui non sarebbe mai stato nessuno. Una persona vuota. L'amore per il padre l'aveva fatto soffrire, ma aveva riso con sua madre, aveva abbracciato Changbin sentendosi a casa, aveva aiutato Felix a sentirsi meno solo ed era stato bene nel vederlo finalmente tranquillo in un posto che non conosceva, solo perché c'era lui al suo fianco. Non avrebbe mai voluto scappare da tutti loro.

Sentì le mani di Minho posarsi sulle sue per frenare l'altalena e Jisung tornò alla realtà, voltandosi a guardarlo. E poi c'era lui. Beh, con lui era un po' diverso. Era tutto molto più terrificante, perché percepiva come fossero legati l'uno all'altro. Forse era il modo in cui si erano conosciuti e poi presi cura l'uno dell'altro, come si fa con le piante, annaffiandole ogni giorno, con costanza e premura continue. Minho era sbocciato ed era diventato il fiore più bello di tutti: lo sguardo che gli stava rivolgendo in quel momento era molto diverso da quello che aveva visto nei suoi occhi la prima volta che si erano conosciuti. La cosa che più lo stupiva, però, era che era stato anche grazie a lui se adesso Minho era felice e si sentiva vivo. Jisung, che ancora faticava a raggiungere lo spiraglio di luce che indicava la fine del tunnel buio in cui vagava, aveva aiutato (salvato?) qualcun altro. E poi, sempre lui, che faticava così tanto a gestire le sue emozioni, si era innamorato di quei due occhi che brillavano continuamente e di quella voce soave che aveva sempre una cosa buona da dire.

«Ji, tutto bene?» gli domandò Minho guardandolo preoccupato, il viso estremamente vicino a quello del ragazzo seduto sull'altalena, il quale poteva sentire i suoi respiri caldi sfiorargli le guance.

Jisung annuì. «Stavo solo... pensando» confessò e si alzò dall'altalena, tremando leggermente perché stava iniziando a sentire freddo a causa dei pantaloni bagnati.

Sentì i passi di Minho attutiti dalla neve raggiungerlo e poi la sua mano infilarsi nella tasca della sua giacca per stringere la sua. «Pensieri brutti?»

Jisung scrollò le spalle e strinse la mano di Minho. Alzò la testa, cercando qualcosa nei suoi occhi scuri. «Com'è la tua famiglia? Non ne parli mai» si decise a chiedere.

Minho sorrise e guardò il cielo sopra di loro. I deboli raggi del sole che filtravano attraverso le nuvole grigie gli accarezzavano la guance e Jisung lo guardava, la testa leggermente alzata per poter continuare a vedere le sue iridi scure. Finalmente, il maggiore tornò a incastrare i loro sguardi. «È una famiglia normale. I miei genitori sono un po' matti, due festaioli. Diciamo che non sembrano aver accettato la vecchiaia» spiegò ridendo, poi il suo sguardo si fece un po' triste e iniziò a disegnare dei cerchi sulla neve con la punta degli scarponcini. «Non li vedo da agosto. Vivono a Busan, da tutt'altra parte. Infatti non vedo l'ora arrivi Natale per tornare da loro» confessò, arrossendo leggermente.

Jisung sorrise e gli prese l'altra mano, facendola affondare nella tasca della propria giacca. «Ti ho preso» disse, guardando Minho con uno sguardo divertito. «Non vai da nessuna parte senza di me.»

Minho alzò un sopracciglio e appoggiò le loro fronti, coperte dai rispettivi cappelli. Chiuse gli occhi. «Allora vieni con me» propose e alzò le palpebre per guardare l'espressione sorpresa del minore. «Potrei aver già parlato ai miei di te... e loro potrebbero avere molta voglia di conoscerti. Soprattutto mia madre» disse ridacchiando.

Jisung arrossì. «Mh... a Natale vorrei stare con mamma e Dohyun... Sai, il primo Natale in cui io e il suo compagno abbiamo un rapporto intimo» sussurrò.

Minho annuì piano e si raddrizzò, continuando però a sorridere e a tenere le mani nelle tasche del cappotto di Jisung. «Non ti preoccupare» disse. «Sarà per un'altra volta.»

Jisung si morse il labbro inferiore. «Magari... dopo Natale, il 26...» propose in un sussurro e si sorprese nel vedere l'espressione di Minho ravvivarsi.

«Davvero!?» esclamò. «Torneremmo il 30 sera.»

Jisung ridacchiò nel sentirlo così entusiasmato. «Se non è un problema, va benissimo. Chissà, magari allontanarmi da questa città può farmi bene.»

Gli occhi di Minho, se possibile, si fecero ancora più luminosi. Le sue mani abbandonarono la giacca di Jisung solo per poterlo abbracciare e iniziare a saltare, costringendo l'altro a fare lo stesso per non cadere.

«Sono così felice!»

«Lo vedo. Però che ne dici di andare a casa? Ho il culo congelato e temo che sia quasi ora di pranzo!»

[...]

Jisung era in piedi accanto alla stufa, lo sguardo fisso sulla televisione. Avevano già iniziato a dare i soliti film natalizi, tutti con lo stesso lieto fine. Non che gli dispiacessero, semplicemente aveva imparato che le cose nella vita non erano mai così semplici. Ma alla fine il Natale non serviva anche per questo? Illudersi nella speranza di felicità e di un lieto fine almeno un mese all'anno, per poi tornare alla noiosa vita di tutti i giorni.

Dohyun gli si avvicinò per riscaldarsi le mani. «Si vede che è arrivato l'inverno, eh?» disse, lo sguardo verso il giardino bianco fuori dalla finestra.

Jisung sorrise. «Finalmente, direi.»

«Pensa, i miei nonni avevano una casa in montagna. Ogni anno ci stavo per tutte le vacanze natalizie e io e mio fratello ci divertivamo a scendere con lo slittino fino al paese.»

Jisung si voltò verso Dohyun. «Davvero!?» esclamò. «Non sai quanto ti invidio. Non sono mai stato in montagna in vita mia, e a Seoul non è che ci siano tutte queste discese per usare lo slittino.»

«Il prossimo anno potremmo organizzarci per andarci» propose Dohyun, un po' incerto. «Adesso ci abitano i miei genitori. Se un giorno li vorrai conoscere, potrebbe essere una buona occasione.»

Gli occhi di Jisung si illuminarono, mentre guardava Dohyun sotto una luce sempre diversa. Più i giorni passavano e trascorreva del tempo con lui, chiacchierando dopo cena seduti sul divano o in bagno mentre si facevano la barba insieme, più si sentiva legato all'uomo che sua madre aveva scelto come compagno. Gli ci era voluto del tempo, certo, per accettare la sua presenza nella sua vita, eppure non poteva essere più felice di aver aspettato e di averlo finalmente accolto. «Mi piacerebbe molto, sai?» disse infine.

Un sorriso sollevato illuminò il volto di Dohyun. «Ne sono contento.»

In quel momento Minho entrò in salotto seguito dalla madre di Jisung. «Andiamo?»

Jisung annuì e salutò con un bacio nella guancia Dohyun e sua madre, per poi imbacuccarsi bene e uscire di casa per raggiungere i suoi amici. Avevano deciso di incontrarsi nel primo pomeriggio a casa di Seungmin, che aveva un bel giardino, per fare quella famosa gara di pupazzi di neve di cui parlavano da giorni.

«Dohyun mi ha invitato a casa dei suoi genitori» disse Jisung interrompendo il piacevole silenzio che si era creato fra loro.

Minho si voltò a guardarlo, sorpreso. «Quando?»

«Il prossimo inverno sicuramente. Poi non so se li conoscerò prima» spiegò e si strinse nel giubbotto quando una ventata lo colpì sul viso. «Sai, le cose tra lui e mamma sono serie ormai.»

Minho annuì piano. Svoltarono in una strada secondaria, costeggiata da tante piccole villette. «E tu come vivi questa situazione?» gli chiese Minho.

Jisung sorrise. «Sono contento per la mamma. Dohyun è un brav'uomo e la tratta bene, così come si prende cura di me» rispose. «Penso che per la prima volta dopo tanto tempo sto iniziando a sentirmi parte di qualcosa che assomiglia a una famiglia» continuò e si morse il labbro inferiore. «Forse è strano da dire. Insomma, è solo da pochi giorni che io e Dohyun abbiamo iniziato a legare...»

Minho si fermò costringendo Jisung a fare lo stesso e appoggiò le mani sulle sue spalle, lo sguardo serio e sicuro. «Non è affatto strano. Conosci Dohyun da molto tempo, hai avuto modo di osservarlo come sei solito fare e hai già tirato le tue conclusioni quando gli hai permesso di parlarti come un vero padre» disse, poi la sua espressione seria si sciolse in un sorriso. «Non farti troppe domande e segui solo il tuo cuore, mh? In questo modo non sbaglierai, fidati di me.»

Gli lasciò un bacio sulla fronte coperta dalla papalina e continuò a camminare verso la villetta di Seungmin. Dopo un primo attimo di sorpresa Jisung lo seguì, rimanendo però qualche passo indietro, lo sguardo fisso sul corpo del ragazzo di fronte a lui. Seguire il proprio cuore non era sempre così semplice, avrebbe voluto dirgli. Se lo avesse fatto davvero, in questo momento forse starebbe scappando per tornare a casa perché, mentre Minho avvicinava le sue labbra alla sua fronte, Jisung aveva sentito l'impulso di alzare la testa per baciarlo.

Si strinse nel cappotto, continuando a osservare la camminata sciolta di Minho e la sua schiena ampia. Si chiese se anche lui provasse le stesse cose. C'erano dei momenti in cui si guardavano in silenzio, i loro volti così vicini che Jisung riusciva a sentire il suo respiro sulla pelle, e credeva che finalmente si sarebbero baciati. Poi non succedeva mai. Però era già qualcosa, no?

Ciononostante, pensava mentre si davano le spallate a vicenda aspettando che Seungmin andasse ad aprirgli la porta del cancello, era così facile stare al fianco di Minho e apprezzarlo come amico piuttosto che come il soggetto dei propri desideri. Amarlo era spontaneo come bere un bicchiere d'acqua o respirare; niente di troppo difficile. Per la prima volta nella sua vita, non si ritrovava piegato in due da un sentimento che non riusciva a controllare. Forse Minho era semplicemente la persona giusta da amare in quel momento per uno come lui. Come faccio a non credere nel destino se esisti?, avrebbe voluto chiedergli mentre sentiva la sua risata raggiungere le sue orecchie dato che era quasi caduto per terra.

«Ecco i soliti ritardatari!» urlò Hyunjin dalla porta.

Seungmin aprì il cancello. «Benvenuti nella mia umile dimora» disse con un sorriso, mentre si faceva da parte per far passare Minho e Jisung.

«"Umile"» commentò il maggiore mimando delle virgolette. La casa di Seungmin era tutto fuorché umile. C'era persino una piscina sul retro, protetta da un telo ricoperto di neve.

«Sono tutti già qui?» chiese Jisung mentre batteva i piedi davanti all'ingresso per togliere la neve dagli scarponcini.

«Se tu imparassi a guardare l'orario sapresti che siete in ritardo di venti minuti» scherzò Changbin con un sorriso e si alzò dal divano. Si stiracchiò e lanciò un'occhiata a Felix e Chan, i quali, seduti l'uno accanto all'altro, parlavano sottovoce guardando il telefono. «Piccioncini, volete giocare oppure preferiti farci sentire più single di quello che siamo tutto il pomeriggio?» Non ricevendo alcuna risposta schioccò le dita davanti ai loro volti. «Stavo parlando con voi.»

Entrambi alzarono la testa di scatto, sorpresi. «Cosa?» chiese Felix, confuso.

Changbin, sconsolato, scosse il capo e sospirò. «Lasciate perdere. Venite fuori? Sono arrivati Jisung e Minho.»

Chan sembrò sorpreso e si alzò, sorridendo imbarazzato quando Minho lo salutò con un movimento della mano. «Oh, ciao ragazzi. Scusate, non vi avevamo sentiti» disse.

Jeongin lanciò loro i cappotti. «Ormai siamo abituati a essere esclusi dal vostro piccolo mondo» commentò, poi, dopo essersi infilato il cappellino, prese Hyunjin per le mani. «Hyung, andiamo!» esclamò trascinandolo fuori.

«Fammi almeno mettere la sciarpa! Se mi ammalo, domani non posso vedere Taehyung!»

Minho scoppiò a ridere nel sentire quelle parole e seguì i due in giardino. «Ancora non ti è passata la cotta per lui, nonostante sia felicemente fidanzato con Jimin?» la sua domanda arrivò alle orecchie di Jisung, che ridacchiò.

«Si potrà essere così stupidi?» sentì Seungmin chiedergli.

Jisung alzò un sopracciglio, guardandolo con un sorriso divertito. «Come se tu fossi Einstein, eh?» lo prese in giro.

«Beh, potrei essere Jeffrey Dahmer. Anche lui era un genio, no?»

Jisung sbatté le palpebre un paio di volte, leggermente sorpreso da quella risposta. Diede qualche pacca sul suo petto con un sorrisetto nervoso. «Preferisco Kim Seungmin, sai?» disse, scatenando le risate dell'amico, e camminarono verso gli altri ragazzi, che si erano fermati sotto un albero di pesco ormai spoglio e ricoperto di neve. Jisung circondò le spalle di Felix con un braccio, appoggiando la testa sulla sua. Il suo migliore amico lo guardò con un sorriso, poi entrambi tornarono a prestare attenzione a Seungmin.

«Allora, ho pensato che avremmo potuto dividerci in coppie» stava dicendo.

«Chi decide qual è il pupazzo di neve più bello?» chiese Jeongin.

«Vabbè, lo facciamo per divertirci-»

«No» disse Minho, interrompendo Chan. «Io voglio vincere.»

Chan sospirò. «Perché sei più determinato per una stupida gara di pupazzi di neve che per le tue esibizioni?» gli chiese, cominciando a massaggiarsi le tempie.

Minho ghignò. «Perché ho il modo di farti il culo.»

«Io però voglio anche un premio!» esclamò Hyunjin. «Altrimenti non ha senso fare la gara, no?»

«Non ti basta il sapere di aver vinto?» gli chiese Changbin. «Che ne so, magari vinci contro Minho. Sarebbe figo questo, no?»

Hyunjin si staccò dall'albero e gli corse incontro, abbracciandolo di slancio. «Io ti adoro!» esclamò, poi si voltò verso gli altri. «Prima coppia formata! Io sto con Changbin!»

Chan alzò un sopracciglio. «Ma Changbin è d'accordo?» domandò.

«Abbiamo lo stesso nemico» rispose Changbin, indicando Minho.

Quest'ultimo spalancò gli occhi. «Perché ce l'avete improvvisamente con me?»

«Hai troppa voglia di vincere» spiegò Hyunjin, ridendo. «Hai bisogno di degni avversari per farlo» continuò indicando se stesso e il suo compagno.

Minho scosse il capo. «Vedremo se sarete abbastanza degni.»

Dopo aver deciso le altre coppie (Minho e Jisung, Seungmin e Jeongin, Felix e Chan) la gara ebbe inizio. Tra risate, battute e canzoni cantate a squarciagola – Jisung aveva aperto Spotify perché non riusciva a fare quasi nulla senza la sua amata musica – passarono l'intero pomeriggio. Jisung e Seungmin improvvisarono un valzer sotto le note di You were beautiful, scatenando le risate dei presenti; poi cominciarono a lanciarsi palle di neve, improvvisando una battaglia per la gioia di chi l'aveva proposta e nascondendosi dietro i pupazzi di neve, che non conclusero mai.

Quando il sole cominciò a tramontare, verso le quattro e mezzo del pomeriggio, si arresero e rimasero, tutti e otto, a guardare Seoul oscurarsi lentamente. Fu Jeongin a proporre di rientrare perché stava morendo di freddo. Felix e Chan rimasero fuori a per pulire le scarpe sporche di neve, mentre Seungmin cercava delle coperte in camera da letto e Changbin ravvivava il fuoco, Jeongin seduto di fronte a lui per scaldarsi.

Una volta che furono di nuovo tutti insieme, seduti sul divano o per terra accanto al fuoco, si accese una discussione sul film da guardare. Alla fine, per la tristezza di tutti tranne che di Chan, fu Felix a scegliere un film romantico e natalizio, il suo genere preferito. Passarono il resto del pomeriggio a commentare ogni scena cringe e imbarazzante e a ridere nel vedere Felix commuoversi per le più piccole cose.

Con un sorriso Jisung appoggiò la testa sulla spalla di Minho. «Sei felice?» gli chiese il maggiore.

Jisung annuì. «Tu?»

«Anch'io.»

.

a.a.
capitolo particolarmente lungo perché avevo proprio voglia di raccontare un pomeriggio dei ragazzi tutti insieme!! c'è un personaggio che vi piace particolarmente?

comunque, lunedì ho un esame e non riesco ad aggiornare, dato che devo modificare una parte del prossimo capitolo (e ho procrastinato finora). in casi, aggiornerò martedì!

sempre vostra,
GiuGiu

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