28. facci sognare
Minho uscì dal bagno, diretto verso il proprio camerino. Le sue mani tremavano a causa della sua cara amica ansia che, come ogni volta prima di una gara, era venuta a fargli visita. Quella sera, però, sentiva un peso particolare e nuovo sulle spalle. Non era la presenza del ragazzo-scoiattolo, né le aspettative dei suoi amici e di Jisung a rendergli difficile respirare; erano le sue stesse aspettative che appesantivano le sue caviglie con delle catene. Temeva ciò che sarebbe successo una volta sul palco. Sarebbe davvero stato in grado di non pensare alle parole che lo avevano costretto ad abbandonare quel mondo? Avrebbe deluso se stesso e tutte le persone che credevano in lui?
Va bene stare male. Lo aveva detto proprio lui al ragazzo-scoiattolo, eppure Minho non riusciva a crederci. Aveva paura. Temeva di abbandonare tutto nel sentire le parole sbagliate, nel vedere Dae-Ho; di uccidere se stesso e quella piccola fiamma chiamata vita che si era accesa dentro di lui nelle ultime settimane. Era ancora fragile, aveva bisogno di supporto e di mani che la proteggessero dall'ennesima tempesta. Non era sicuro di essere abbastanza forte per quel compito.
«Guarda un po' chi si rivede!»
Minho si bloccò in mezzo al corridoio. Era quasi arrivato al camerino, ne vedeva la porta. Proprio adesso doveva vederlo? Perché?, si domandò, gli occhi già ricolmi di lacrime. Si voltò e incrociò il sorriso malizioso di Dae-Ho. «Ciao hyung» lo salutò, abbassando leggermente il capo in segno di rispetto. Sentì l'ansia bloccargli il respiro in gola e la debole fiamma che ardeva dentro il suo petto tremolare.
«Non riesci a stare troppo tempo senza vincere?» gli domandò Dae-Ho incrociando le braccia al petto con uno sguardo beffardo.
Minho aggrottò le sopracciglia. «Che intendi dire?»
Dae-Ho rise. «Lo sai cosa intendo. Non avevi smesso?» gli chiese e, quando ricevette una conferma come risposta, continuò: «Vinci sempre a tavolino. Ti mancava tenere un trofeo tra le mani, immagino.»
Minho spalancò gli occhi. «Perché ce l'hai così tanto con me?» gli chiese, ferito, mentre le sue parole cominciavano a rimbombare nella sua testa. A loro, ben presto, si aggiunsero le altre che aveva sentito nei due anni precedenti. Pensava di averle regalate al mare, ma erano sempre state lì; semplicemente le aveva dimenticate per un periodo, ma mai superate. Strinse le mani a pugno. Non voleva scappare... ma se avesse avuto ragione?
«Perché mi fa incazzare vederti sempre vincere, anche quando non te lo meriti!» esclamò Dae-Ho. «E tutto questo solo perché hai come maestro Jimin!»
«Ma io non sono Jimin!» replicò Minho, gli occhi ricolmi di lacrime amare, nel vano tentativo di convincere se stesso.
Dae-Ho scoppiò a ridere. «Questo è come ti vedi tu, ma noialtri, i giudici, la platea... tutti ti vedono come l'allievo di Jimin, non come Lee Minho» disse, la voce tagliente come un coltello. «Senza di lui non saresti nessuno.»
Minho sentì le lacrime premere per cadere dai suoi occhi e abbassò il capo per evitare che Dae-Ho vedesse il dolore che gli aveva causato, perché aveva ancora una dignità. Cercava di convincersi che non fosse vero, ma i suoi pensieri faticosamente positivi continuavano ad essere coperti dalla voce di Dae-Ho, che rimbombava nella sua testa. No, non di nuovo, pensava. Non me lo merito... No.
«Io ho visto Lee Minho.» Una voce conosciuta riportò Minho alla realtà. Si voltò e si sorprese nel vedere Jisung in piedi al suo fianco, il cui sguardo glaciale era puntato verso Dae-Ho. «Chi sei tu, invece?»
«Cosa?» Dae-Ho sembrava sorpreso da quell'interruzione.
Jisung sbuffò. «Ho chiesto chi sei» ripeté. «Visto che continui a supporre cose sulla personalità di Minho, mi chiedevo chi fossi per fare una cosa del genere. Il suo migliore amico?»
Dae-Ho scoppiò a ridere. «Chi sei tu, invece» replicò. «Minho non è in grado di difendersi da solo?»
Minho si sentì patetico e strinse le mani a pungo: non era in grado di proteggere da solo la piccola fiamma che il ragazzo-scoiattolo aveva riacceso dentro di lui con tanta fatica, e che lui stesso aveva alimentato in quei giorni, allenandosi con una determinazione nuova. Percepiva gli occhi di Jisung su di sé e mai come in quel momento avrebbe voluto farsi piccolo piccolo e scomparire. Poi, sentì la sua mano stringere la sua, come se volesse ricordargli che non era più solo a dover affrontare quell'inferno.
«Sono un suo amico» rispose Jisung, intrecciando le dita con quelle di Minho. «E in quanto tale, sarò il suo scudo contro persone come te, che preferiscono distruggerlo prima di salire sul palco piuttosto che affrontarlo a viso aperto in modo leale.»
L'espressione saccente di Dae-Ho fu scacciata via da una smorfia ricolma di rabbia. «Chi cazzo ti credi essere per parlarmi così?» gli domandò.
Minho avrebbe voluto chiedergli di fermarsi, ma un groppo in gola gli impediva di parlare.
«Ti fa così tanto incazzare il suo talento?» domandò Jisung e Minho si voltò a guardarlo con la sorpresa negli occhi. «Se non sei in grado di accettare che una persona abbia più talento di te, per quale cazzo di motivo ti presenti alle gare?»
Minho sentì qualcosa di caldo allargarsi sul suo petto. Era come se due mani si fossero aggiunte alle sue per proteggere la fiamma che ardeva dentro di lui e si rese conto che non era più solo, che non avrebbe dovuto sopportare il peso del mondo sulle sue sole spalle, perché desso c'era Jisung accanto a lui, pronto a proteggerlo e sorreggerlo quando le sue sole gambe non sarebbero state abbastanza forti. Grazie a quella consapevolezza, trovò la forza per sorridere e alzò la testa, incrociando lo sguardo del suo avversario. «Ci vediamo sul palco» disse e, prima che Dae-Ho potesse aggiungere altro, si diresse verso il proprio camerino.
Una volta entrati, lasciò la mano di Jisung e si sedette sul divano. Nonostante fosse riuscito ad affrontare il suo incubo, si sentiva ancora così fragile. La sua mente era ricolma di pensieri che non era in grado di esprimere a parole; pensieri che riportavano a galla tutte le cattiverie che Dae-Ho gli aveva sputato in faccia in quegli ultimi anni, dopo la prima volta che avevano gareggiato l'uno contro l'altro.
Sentì gli occhi riempirsi di lacrime, quando percepì qualcosa posarsi sulla sua mano. Era un fazzoletto. Alzò la testa e vide Jisung guardarlo con un sorriso triste. «Puoi piangere adesso» lo rassicurò.
Minho si portò le mani sul viso e lasciò che le lacrime cadessero dai suoi occhi per poi posarsi sui fazzoletti che aveva appoggiato sulle guance per non rovinarsi il trucco. Sentì le braccia di Jisung circondarlo e si accoccolò sul suo petto, lasciando che il suo profumo di vaniglia lo tranquillizzasse. Dentro a quell'abbraccio si sentì al sicuro, come se fosse a casa sua, un luogo dove nessuno poteva entrare per fargli del male. Si lasciò cullare come un bambino dalle dolci carezze di Jisung e sentì il suo petto scaldarsi di fronte a quelle premure, perché per la prima volta aveva qualcuno con cui affrotnare l'inferno in cui lo catapultava Dae-Ho prima e dopo una gara.
Quando finì le lacrime, Minho chiuse gli occhi. «Lui è il motivo per cui ho smesso di ballare» confessò, la voce roca a causa del pianto. Si rese conto che Jisung era la prima persona a cui ne parlava. «Mi ha sempre ripetuto queste cose e io l'ho sempre ignorato, ma lentamente, in un modo o nell'altro, è riuscito a entrare dentro la mia testa e non ne è più uscito fino a qualche settimana fa. Pensavo di averlo superato, ma l'avevo solo temporaneamente dimenticato. Non so se riuscirò mai a tornare il me stesso sicuro di qualche anno fa.»
Jisung lo strinse più forte. «Ce la farai, Minie» disse. «Non sei più solo. Adesso hai me.»
«Non puoi cancellare i miei pensieri» sussurrò Minho.
Jisung sciolse l'abbraccio per prendergli il volto fra le dita, incatenando il proprio sguardo con il suo, e gli rivolse uno di quei sorrisi che erano in grado, in un modo o nell'altro, di alleggerire l'angoscia che gli stringeva il cuore in una morsa dolorosa. «Hai ragione, non posso farlo. Però posso essere la spalla a cui aggrapparti per rimanere in piedi» lo rassicurò, lasciandogli un bacio sulla fronte scoperta.
Minho sgranò gli occhi, arrossendo. «Lo sarai?»
«Tutte le volte che ne avrai bisogno.» Jisung appoggiò una mano sopra il proprio cuore. «Tu, per la prima volta nella mia vita, mi hai fatto sentire qualcosa solo muovendo il tuo corpo al ritmo della musica. Non sono sensazioni che si possono facilmente dimenticare e sono sicuro che fai lo stesso effetto a ogni persona che ti guarda ballare. È come se la danza facesse parte di te, come se fosse il tuo ossigeno.»
Minho arrossì. «Lo è. Senza la danza sarei nulla...» confessò.
«E allora cos'altro ti serve?» gli domandò Jisung. «Hyunjin e Chan mi hanno sempre parlato con occhi sognanti della tua danza, e hai uno dei ballerini più bravi della Corea del Sud come maestro ma, soprattutto, come fan, perché sono sicuro che Jimin è il primo che crede in te.»
«È vero.»
I due si voltarono verso l'ingresso del camerino: Jimin era in piedi, appoggiato allo stipite della porta, e sorrideva.
«Hyung...» sussurrò Minho. Si alzò e gli corse incontro, trovando rifugio in uno dei suoi abbracci rassicuranti. «Ho pensato di mollare di nuovo» confessò, vergognandosi di se stesso.
Jimin gli accarezzò la schiena con delicatezza. «Va bene così, Minho» lo tranquillizzò. «Sei ancora qui, questo è l'importante. Sono fiero di te.»
Minho alzò la testa per guardarlo, gli occhi luminosi nonostante il dolore che li annebbiava. «È che Dae-Ho...»
«Aish, non sopporto quel ragazzo» borbottò Jimin, lasciando cadere lo zaino per terra, e sospirò, guardando l'allievo con amore e tristezza. «Minho, il mondo della danza non è clemente.»
Minho abbassò lo sguardo. «Lo so» mormorò.
«Questo non significa che tu non possa cadere, ma ogni volta che ti rialzi devi essere capace di costruire un muro intorno a te per non tornare al punto di partenza» gli spiegò Jimin, serio. «Da solo, però, non puoi riuscirci.»
Minho guardò Jisung, ancora seduto sul divano, e un piccolo sorriso si formò sulle sue labbra. «Penso di averlo capito» disse.
Jimin sorrise e annuì. «Comunque, ho trovato i vestiti che volevi!» esclamò. Aprì lo zaino e tirò fuori una camicia bianca trasparente e dei pantaloni del medesimo colore oversize. «Su, vestiti!»
Minho cominciò a spogliarsi, senza preoccuparsi della presenza di Jisung, dato che era abituato a cambiarsi davanti a Jimin o altre persone. Jisung, tuttavia, non sembrava dello stesso avvicos, perché sobbalzò e si voltò verso il muro, facendo scoppiare a ridere i due ballerini di fronte alla sua reazione.
Anche la camicia, come i pantaloni, era oversize, soprattutto per quanto riguardava le maniche, che si concludevano ampie sul polso. L'outfit doveva dare una maggior impressione di leggerezza e fluidità ai movimenti di Minho, adattandosi perfettamente ad essi e seguendolo. Jimin strinse il fiocco sul colletto e fece qualche passo indietro. «Perfetto» disse, con un sorriso. «Che ne pensi tu invece?»
Jisung si voltò lentamente e arrossì, spalancando gli occhi nell'osservare il ragazzo vestito di bianco. «Penso che stia benissimo» confermò. «Sembri un angelo.»
Minho sentì il viso andare a fuoco, ma non fece in tempo a dire nulla che la porta del camerino si spalancò e i suoi amici entrarono urlando. Si voltò di scatto verso di loro e fece qualche passo indietro, per poi girare una volta su se stesso per mostrare loro il suo outfit.
«Wow! Sei bello quasi quanto me!» esclamò Hyunjin, portandosi le mani davanti alla bocca.
Seungmin gli diede una spallata. «Non ci vuole molto» replicò e ricevette come risposta un dito medio dal diretto interessato.
Chan abbracciò Minho. «Sono così contento per te!» esclamò, poi si allontanò da lui di qualche passo con un sorriso furbo. «Abbiamo una sorpresa per te, però.»
Minho aggrottò le sopracciglia. «Che cosa avete fatto?» chiese, quasi temendo di scoprirlo..
Felix e Jeongin si guardarono con un sorriso. «Uno, due, tre... In bocca al lupo hyung!» gridarono in coro, mentre Changbin apriva un cartellone con su scritto: Facci sognare!
Minho sgranò gli occhi e sentì il petto scaldarsi, lo sguardo che si alternava fra lo slogan e i ragazzi che gli stavano di fronte. Anche Jisung era di fronte a lui, adesso, riunito con i suoi amici, che lo guardavano sorridendo. Sentì gli occhi riempirsi di lacrime e si inchinò il più profondamente possibile. «Grazie ragazzi, non vi deluderò!» esclamò, riuscendo a stento a trattenersi dal piangere. Era così grato che non era sicuro che quelle semplice parole fossero in grado di esprimerlo. Con una leggera sorpresa, si rese conto che c'erano altre sei paia di mani che proteggevano la fiamma dentro di lui, lasciandole un piccolo spiraglio affinché l'ossigeno potesse alimentarla. Probabilmente era dovuto a questo il calore che sentiva allargarsi nel suo petto mentre guardava i volti dei suoi amici, uno per uno. Credevano in lui. Anche Changbin, Seungmin e Jeongin, che conosceva da relativamente poco, sembravano così fieri di lui.
«Aish, vorrei avere anch'io dei supporter così» disse Jimin, fingendo di asciugarsi lacrime inesistenti.
«Io non ti basto?» Taehyung entrò nella stanza.
«P-PROFESSOR KIM!» urlò Hyunjin, completamente rosso in viso, mentre cercava il braccio di Chan. «Penso di svenire» sussurrò per essere sentito solo dai suoi amici, i quali rotearono gli occhi.
«Oh, ciao Hyunjin, ciao ragazzi» disse Taehyung, salutando i suoi allievi. Si grattò la nuca, leggermente imbarazzato. «Fuori dall'Università potete chiamarmi anche Taehyung. Insomma, sono ancora abbastanza giovane.»
Jimin gli diede una spallata. «Illuditi pure di essere un giovincello» lo prese in giro con un sorriso. «Comunque ragazzi, mi dispiace interrompere questo bel momento, ma vi conviene andare a sedervi. Minho deve concentrarsi e riscaldare i muscoli, tra poco comincia la gara.»
I ragazzi annuirono e, dopo aver incoraggiato un'ultima volta Minho, uscirono dal camerino seguiti da Taehyung. Una volta rimasto solo con Jimin, il giovane ballerino si sedette per terra e cominciò a fare esercizi per scaldare i muscoli, sotto lo sguardo attento del suo allenatore. La sua testa era libera da ogni pensiero e sentiva solo le sue membra muoversi esattamente come desiderava, come se fosse riuscito a raggiungere la simbiosi perfetta fra anima e corpo.
Vide il telefono illuminarsi e vi appoggiò lo sguardo. Un sorriso spontaneo sorse sulle sue labbra quando lesse i mesaggi che gli aveva inviato il ragazzo-scoiattolo. Adesso non gli mancava più nulla: aveva tutto ciò che per mesi aveva cercato. nascosto nel buio del suo monolocale, piangendo e osservando disperato la propria anima composta di pezzi che non combaciavano più.
sono seduto e tra poco
dovrebbe toccare a te.
sono un po' in ansia,
quindi spero che tu stia
bene e che i tuoi amici ti
abbiano dato forza.
è finalmente arrivato il
tuo momento di brillare.
metticela tutta e fammi
sognare, io che, ora e
per sempre, crederò in te. <3
«È il tuo turno» disse Jimin, la voce ferma come il suo sguardo. «Brilla.»
Minho si alzò e prese un profondo respiro, lo sguardo rivolto alla porta del camerino che il suo allenatore stava aprendo. Ogni ansia e dubbio abbandonò i suoi occhi e, quando passò accanto a Dae-Ho, nemmeno lo vide. La sua intera attenzione era rivolta alle scale che lo avrebbero portato nel posto a cui apparteneva: il palco. Una volta lì sopra, la luce puntata sulla sua figura angelica, non vide il pubblico che tretteneva il respiro di fronte a lui e neanche il presentatore che si inchinava e lo lasciava solo. C'erano solo Minho, la musica e il suo corpo: nient'altro aveva importanza.
Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro