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14. fa male smettere di sognare

lunedì 26 ottobre

Era un pomeriggio nuvoloso e sembrava che stesse per mettersi a piovere da un momento all'altro. Ciononostante Minho, dopo aver finito le lezioni, non era tornato a casa: aveva deciso di fare una passeggiata per distrarsi, staccando da tutto. Non gli importava se avesse potuto iniziare a piovere all'improvviso, quando lui era in giro per Seoul e non aveva nemmeno un ombrello dietro; aveva bisogno di calmarsi, di distogliere la mente dal sogno che aveva fatto fatto quella notte, le cui immagini lo stavano perseguitando. Aveva visto se stesso ballare sul palco e si era sentito così leggero, così completo. Si era svegliato alle cinque piangendo e non era più riuscito ad addormentarsi.

Si sentiva patetico, perché sebbene il suo corpo gli stesse urlando di riprendere a ballare, sebbene la sua anima ne avesse bisogno, non ci riusciva. L'unica cosa che lo aveva sempre reso felice, non importava in che condizioni era, adesso era lontana da lui, così tanto che si stava chiedendo se avesse fatto bene a mettere tutto se stesso nella danza negli anni precedenti. Ballare fa davvero per me?, continuava a domandarsi senza trovare trovare una risposta.

Se chiudeva gli occhi e riportava la mente ai giorni passati nella sala di danza della sua scuola, se si immedesimava nel se stesso del passato, se ripensava a Jimin, tutto sembrava riacquistare un senso, e pensava che sì, ballare facesse proprio per lui: gli sembrava quasi di essere nato per muoversi nel palco. Poi però, quando alzava le palpebre la realtà grigia e sfocata lo schiaffeggiava e lo faceva tornare con i piedi per terra, e pensava che no, quelle erano solo le futili speranze di un'anima stanca di sopportare, ma che almeno aveva capito cosa non era destinata a fare.

She's in the rain cominciò a suonare nelle cuffie e Minho sorrise, canticchiando sottovoce. «Manca solo la pioggia e poi l'atmosfera sarebbe fantastica» mormorò soprappensiero.

Una folata di vento fece rabbrividire Minho, il quale si fermò e si passò le mani sulle braccia, sfregandole velocemente per provare a riscaldarsi: aveva un maglione pesante e il giubbotto, ma sentiva comunque freddo. Decise di tornare a casa per non ammalarsi.

Quando alzò la testa, però, il respiro gli si bloccò sul petto e sentì le gambe cedere. Davanti a lui, in tutta la sua imponenza, si ergeva la sua vecchia scuola di danza. L'esterno bianco, il piccolo cortile davanti all'enorme ingresso in vetro, le finestre che percorrevano i cinque piani della struttura, da cui era possibile vedere gli allievi danzare, l'albero di ciliegio sotto il quale, dopo le lezioni, rimaneva ad ascoltare la stessa canzone per ore pensando a una coreografia; tutto era come l'aveva lasciato un mese e mezzo prima e faceva troppo male. Minho sentiva il petto sanguinare, come se qualcuno lo avesse colpito con un coltello squarciandogli la pelle, mettendo a nudo tutte le sue debolezze, tutte le sue incertezze.

Davanti agli occhi di Minho, dai quali scendevano gocce salate, passava ogni singolo ricordo che quel posto portava con sé. Come un film le scene si sovrapponevano l'una sull'altra; i sogni che pensava aver dimenticato gli riempivano il cuore di dolore; la consapevolezza di aver fallito lo faceva cadere, pezzo dopo pezzo, come i vetri della finestra rotta di una casa abbandonata. Avrebbe voluto andarsene, correre via dal fiume che lo stava investendo troppo violentemente, ma non riusciva a muoversi. Avrebbe voluto credere di essere finito lì per un motivo, ma non c'era una spiegazione a quel bruttissimo scherzo del destino. Il mondo, ancora una volta, aveva deciso di prendersi gioco di lui e delle sue debolezze: sembrava quasi che si divertisse a portarlo al limite, a vederlo faticare per mantenere una respirazione normale, per non farsi sopraffare dalle emozioni.

Minho smise completamente di respirare quando incontrò un paio di occhi grandi, più luminosi di quanto se li ricordava. «Minho...» mormorò il ragazzo a pochi metri da lui.

Solamente quando Jimin cominciò ad avanzare, Minho riprese possesso del proprio corpo. Si voltò, pronto a scappare di nuovo, ma Jimin questa volta fu più veloce e lo afferrò per un polso. «Minho!» lo chiamò un'altra volta, con la voce che tremava.

Il giovane si voltò, il viso ancora rigato da innumerevoli lacrime, e sentì il cuore spezzarsi. Jimin, con i suoi capelli rosa, la pelle nivea, le labbra piene e gli occhi lucidi, era di nuovo di fronte a lui e lo stava guardando con la speranza nello sguardo.

«Credevo che non ti avrei più rivisto... Cosa ci fai qui?» gli chiese. Minho non si ricordava che la sua voce fosse così leggera e soffice, così rilassante. Gli era davvero mancato così tanto?

Minho deglutì e abbassò la sguardo. «Sono finito qui per caso» mormorò e strattonò il braccio per staccarsi dalla presa di Jimin, ma quest'ultimo non sembrava volerlo lasciare andare. «Hyung, devo tornare a casa».

Jimin scosse il capo. «No. Da quando abbiamo litigato, almeno una volta alla settimana vengo qui per sapere se sei tornato... Minho, per favore, dimmi cosa ti sta succedendo» lo pregò.

Minho si passò la mano libera sul viso per asciugarsi le lacrime. «Perché me, hyung? Perché vieni qui per me?» Perché non mi odi tanto quanto mi odio io?

«Perché, dici?» Jimin si morse il labbro inferiore e alzò lo sguardo verso il cielo nero e nuvoloso, poi sorrise. «Mi ricordo quando venisti dietro le quinte dopo un mio saggio, non ascoltando nemmeno una persona dello staff che ti diceva di fermarti. Ho ancora impressi nella mente i tuoi occhi quel giorno, Minho: erano gli occhi di una persona che amava la danza. E sono convinto che lei faccia parte di te e anche tu lo sai, ma l'hai voluta lasciare andare comunque» spiegò, accarezzandogli il dorso della mano con le dita. «Quel giorno mi arrabbiai perché volevo presentarti al mio manager per farti realizzare il tuo sogno... Perché te ne sei andato e non sei più tornato?»

Le lacrime ripresero a scorrere sul viso di Minho e lui si rifugiò sul petto di Jimin, lasciandosi andare in un pianto disperato tra le braccia della persona che lo aveva praticamente cresciuto, colui che considerava quasi un fratello. Era stato a un passo dal realizzare il suo sogno, ma si era fermato e ancora non era pronto a ripartire; aveva perso la motivazione per fare qualsiasi cosa. Eppure Jimin era così tranquillo. Lo strinse forte a sé e gli accarezzò la schiena con amore, sorreggendolo. E rimasero in un silenzio interrotto solo dai singhiozzi del minore a lungo, Taehyung che li guardava da lontano.

«Ho paura di non poter più tornare a ballare» confessò Minho dopo qualche minuto, quando il suo corpo smise di tremare e riuscì finalmente a parlare. «La sala da ballo mi sembrava troppo stretta, e tutt'ora mi sento di troppo al solo pensiero di danzare, come se la danza non facesse più parte di me. Vorrei tornare a muovermi a ritmo di musica, a sognare, ma ora come ora non ci riesco e fa male... Fa malissimo perdere interesse in qualcosa che ti faceva sentire vivo. Fa male smettere di sognare».

Jimin staccò Minho dal proprio corpo e gli asciugò il viso con le mani come un buon fratello maggiore, poi gli mostrò un piccolo sorriso. «Tornerai a ballare, ne sono sicuro, e quel giorno scrivimi. Andremo in un bel posto e danzeremo insieme, con la melodia del mondo a farci da sottofondo. Quel giorno riprenderai a sognare e io, come è destino, ti aiuterò a raggiungere la cima».

[...]

Minho si lasciò cadere sul letto e prese un profondo respiro, passandosi le mani fra i capelli umidi. Si sentiva tremendamente stanco e non per la corsa sotto la pioggia che aveva dovuto fare verso il condominio. Avrebbe voluto addormentarsi e non svegliarsi, perché le parole del suo maestro di danza continuavano a ronzargli in testa. Aveva un urgente bisogno di distrarsi, oppure di sfogarsi, ma non voleva disturbare nessuno, non voleva far preoccupare i suoi amici e nemmeno il ragazzo-scoiattolo. Se scompaio dalla faccia della terra per un giorno non se ne accorgerà nessuno, vero?, si chiese.

La suoneria del cellulare lo fece sobbalzare. Osservò il telefono per un po', poi lo prese e per poco non gli venne un colpo quando vide che Quokka gli aveva inviato un bel po' messaggi da quando era finita la scuola. «Ma è impazzito?»

quokka_
attivo ora

– 16:35 –

okay, lino! ti ricordi la frase
con la quale ci siamo conosciuti?
ecco, sto continuando a scrivere
la canzone.

però ho anche voglia di una
cheesecake. dici che riuscirò
a farla buona questa volta?

alla fine ho chiesto a mia
mamma di passare in
pasticceria prima di tornare
a casa e, stranamente, mi ha
detto di sì. è un po' come te
quando si tratta di cibo.

lino? ci sei? è strano che
non mi scrivi subito dopo scuola.

– 17:23 –

è successo qualcosa e non vuoi
dirmelo?

se è così va bene, non preoccuparti.
capisco se hai bisogno del tuo
tempo, ma almeno avvertimi.

non vorrei che ti abbiano
investito... devo ancora vederti
ballare, ricordi?

okay, la preoccupazione mi fa
diventare smielato quanto te,
che schifo.

– 18:12 –

se mi rispondi subito ti faccio
leggere un altro pezzo della
canzone.

si chiama "alien".

tanto non risponderai, quindi
posso stare tranquillo.

ne sei così sicuro?

io ti odio. non mi rispondi
per tutto il giorno e lo fai
proprio adesso che non volevo
mi rispondessi!?

che puntualità di merda.

sono tornato a casa da poco e
mi hai inviato questi messaggi
proprio quando mi sono buttato
sul letto :)

ripeto: ti odio.

ora però mi devi far leggere qualcosa!

va bene, ma prima posso sapere
perché non mi hai risposto per due
ore?

che c'è, quokka, ti stai forse
affezionando a me?

come non detto: ti odio.

nah, non mi odi, lo sai anche tu :)

comunque non preoccuparti, ho
fatto una passeggiata e sono tornato
tardi. non è successo niente di che

mh, d'accordo.

"Provo a far sentire la mia voce
ma nessuno mi ascolta
Quindi è vero, non esisto
Ogni giorno il carico di
preoccupazioni sulla mia
schiena aumenta sempre di più
Anche se a nessuno importa,
sono stanco della promessa di
non cadere che mi sono fatto"

queste sono le ultime parole
che ho scritto.

wow, sono bellissime, come sempre
dopotutto!!

davvero?

davvero

oggi ho visto jimin

Minho non sapeva per quale motivo avesse scritto e inviato quell'ultimo messaggio, ma, come al solito, quelle parole lo avevano colpito. Avevano smosso qualcosa dentro di lui e aveva sentito il bisogno di confidarsi, perché sapeva che il ragazzo-scoiattolo era l'unico che potesse capirlo. Oppure perché aveva bisogno di essere capito e consolato da lui soltanto, l'unico che poteva rimettere a posto i frammenti della sua anima.



a.a.
non so se mi viene da piangere più per questo capitolo che per l'esame di storia medievale che dovrò dare lunedì💀 nel dubbio piango

come state?

sempre vostra,
GiuGiu

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