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lunedì 5 ottobre
Minho odiava il suo lavoro. Non solo doveva prendere le ordinazioni e servire i vari tavoli facendo avanti e indietro per ore, ma era anche costretto a pulire i bagni al posto di Hyunjin, un suo collega che non voleva sporcarsi le mani. Minho lanciò un'occhiata disperata all'orologio mentre spruzzava il disinfettante sulla ceramica bianca del secondo e ultimo lavandino: era già l'una, quindi doveva sbrigarsi se poi il giorno dopo voleva svegliarsi presto per non dover arrivare in ritardo all'università.
Prese uno spavento quando la porta del bagno dei maschi si aprì con forza, andando persino a sbattere contro il muro. Si voltò e vide il volto allegro di Hyunjin fare capolino all'interno della stanza con un sorriso che lo illuminava. «Che c'è? Vuoi darmi una mano?» chiese ironico, conscio dell'inutilità delle sue parole, perché quando mai Hyunjin avrebbe fatto il "lavoro sporco"?
Hyunjin infatti rise di gusto e scosse il capo. I capelli neri gli finirono davanti agli occhi e fu costretto a sistemarli con la mano. «Volevo solo avvertirti che vado a casa, domattina ho l'esame di giapponese e devo essere ben riposato e perfetto».
Minho roteò gli occhi e sciacquò lo straccio che aveva usato per lavare il lavandino. «Giusto, mi ero dimenticato la tua pseudo-cotta per il professor Kim».
Hyunjin avvampò e distolse lo sguardo dall'espressione divertita dell'altro. «Smettila! Non è colpa mia se è un dio greco sceso in terra! Ma hai visto che profilo ha? È veramente stupendo...» commentò con aria sognante.
«Lo so, me lo ripeti ogni singolo giorno.» Dopo qualche secondo aggiunse: «Cosa ci fai ancora qui? Non dovevi andare a casa?»
«Dio mio, quanto sei antipatico! Spero proprio che qualche ragazzino abbia scritto delle cose sul muro col pennarello indelebile, così perderai tempo a pulirlo e domattina arriverai in ritardo!» esclamò Hyunjin puntandogli il dito contro, poi uscì velocemente dal bagno e si chiuse la porta alle spalle con un tonfo, giusto per enfatizzare la sua rabbia.
Minho scrollò le spalle e tornò a concentrarsi sul proprio lavoro. Onestamente gli interessavano poco gli atteggiamenti drammatici del suo collega di lavoro – che purtroppo incontrava anche nei corridoi dell'Università e si ritrovava persino in casa. O almeno, così diceva. Se non gli fosse veramente importato, non avrebbe pulito i bagni ogni sera al posto uso, e non gli avrebbe appena scritto un messaggio che diceva: "Mi raccomando, fatti una maschera. Così domani la tua pelle splenderà e magari riuscirai a far colpo sul mitico Kim Taehyung" perché un po' si era pentito di avergli risposto male.
Dopo aver inviato il messaggio, si infilò il telefono in tasca e si preparò mentalmente a continuare le pulizie, mentre si pentiva – per così dire – di ogni singola scelta che aveva compiuto nella sua vita. Se un anno prima non avesse preso l'ultimo pacchetto di patatine al formaggio rimasto nel piccolo bar dell'università, non si sarebbe ritrovato uno Hyunjin che lo inseguiva lungo tutti i corridoi dell'edificio perché aveva fame e quelle erano le sue patatine preferite. «Non mi importa se le hai prese tu per primo, io le avevo adocchiate da un pezzo! Ti prego, puoi almeno condividerne un po'?» continuava a chiedergli e se non fosse arrivato Chan Minho avrebbe cominciato a offenderlo. Alla fine era stato costretto da Chan a condividere la sua merenda con quel ragazzino tanto bello quanto irritante. Poi, non sapeva nemmeno lui come, aveva iniziato a vederlo ovunque (come se fosse un fantasma che volesse tormentarlo) ed era finito per diventare il suo migliore amico, una delle poche persone per cui avrebbe dato la vita.
«Che passione!» esclamò e si mise in piedi con una smorfia, guardando poi soddisfatto il water che aveva appena finito di pulire.
Spostò lo sguardo sulle pareti della piccola cabina in cui si trovava, coperte da mattonelle color cobalto, per controllare se ci fosse qualcos'altro da pulire. Stava per urlare di gioia perché poteva finalmente tornare a casa, quando notò una scritta sulla porta in legno bianco. Tutta la sua felicità crollò in un batter d'occhio, comprese le sue speranze di andare a dormire presto per una volta.
«Non ci voglio credere...» mormorò, esasperato. «Ma chi è il coglione che si mette a scrivere nei bagni di un ristorante!? Sai, a scuola... ma in un fottuto ristorante!?»
Sbatté la testa contro il muro. «Che palle», e continuò a lamentarsi da solo per un minuto buono osservando quella scritta piccola e quasi invisibile, ma che però doveva mandare via in tutti i modi. Mentre la guardava, gli tornarono in mente le parole di Hyunjin e assottigliò lo sguardo. Se è stato lui giuro che è la volta buona che lo faccio fuori, e nemmeno Chan-hyung potrà fermarmi!
Si avvicinò quindi alla porta e sbatté un paio di volte le palpebre quando lesse ciò che c'era scritto. Sentì una stretta allo stomaco e temette di rigettare l'insalata che aveva mangiato per cena dopo che tutti i clienti del ristorante se n'erano andati. Scosse la testa, prese il cellulare e fece una foto a quelle parole, determinato a mostrarle a Hyunjin il giorno dopo per ricevere delle scuse più che meritate. Poi stette dieci minuti a strofinare l'inchiostro del pennarello indelebile.
Sempre con la testa fra le nuvole, passò lo straccio sul pavimento e mise in ordine tutte le cose che aveva usato per pulire nell'apposito armadietto. Si diresse in cucina e quando vide Jackson, uno dei cuochi, mangiare del kimchi storse il naso. «Hyung, ma sei serio? Il kimchi all'una e mezzo?»
Jackson gli lanciò un'occhiataccia, poi sospirò e scosse il capo: sembrava deluso. «Quante cose devo insegnarti, piccolo insolente!? Non c'è mai un'ora per il cibo, ricordatelo sempre. È la regola numero uno per essere felici» spiegò e accompagnò quelle parole con un'altra boccata enorme di kimchi. «È per questo motivo che sei sempre serio!»
Minho decise di lasciar perdere le sue stranezze, perché voleva sprofondare fra le coperte il prima possibile sperando, per una volta, di addormentarsi subito. «Ti lascio con le tue regole per essere felice e vado a dormire. Buonanotte hyung» lo salutò ed uscì dalla cucina senza ascoltare qualsiasi altra cosa stesse uscendo dalla bocca di Jackson: non voleva rischiare di essere contagiato dalla sua stupidità.
Si diresse nei camerini e si tolse l'uniforme, riponendola nel proprio armadietto insieme al piccolo tablet per prendere le ordinazioni. Indossò dei vestiti comodi – una tuta e una felpa nere – e camminò velocemente verso l'uscita del ristorante: i tavoli erano vuoti e puliti e alcuni suoi colleghi più anziani che stavano sistemando le ultime cose lo salutarono con un sorriso, al quale lui rispose con uno sbadiglio e sventolando la mano.
Si incamminò dunque verso casa e, appena il vento autunnale lo colpì in pieno viso, provò a riscaldarsi sfregandosi le mani sulle braccia, pentendosi di non aver preso un giubbotto. Era ormai ottobre e, sebbene le giornate fossero tiepide, la sera faceva sempre freddo. Si strinse ancora di più nella felpa e aumentò il passo, mentre la sua mente viaggiava in luoghi inesplorati. Aveva ancora impresse nella memoria le parole scritte sulla porta del bagno e non sapeva nemmeno il motivo per il quale continuasse a pensarci così tanto.
Si fermò davanti al portone del condominio nel quale abitava e tirò fuori le chiavi, entrando. Velocemente salì le scale e, per la seconda volta da quando si era trasferito, si rifiutò di prendere l'ascensore, sperando che quella breve corsetta potesse riscaldarlo un po'. Appena mise piede all'interno del proprio monolocale, il calore rilasciato dai riscaldamenti lo circondò e lui sospirò sollevato. Si tolse le scarpe all'entrata e subito i suoi due gatti, Soonie e Doongie, zampettarono verso di lui, felici di rivederlo dopo molte ore.
Si inginocchiò e iniziò ad accarezzare le loro testoline con un sorriso sincero sulle labbra. «Vi sono mancato, eh?» I due animali in risposta miagolarono.
Minho ridacchiò e si alzò, battendo un paio di volte le mani. «Su, è ora di andare a dormire!» esclamò e si diresse verso il bagno. Si lavò il viso e si mise la crema, quindi tornò nella stanza principale. I due gatti erano seduti accanto al letto addossato alla parete e lo fissavano insistenti. «Fatemi indovinare: avete fame».
Minho quindi si avvicinò alle loro cucce e riempì le loro ciotole di croccantini, poi si spogliò lanciando i vestiti sopra una sedia, spense la luce e si infilò sotto le coperte. Cominciò a fissare il soffitto, immerso nei rumori della città che viveva al di fuori del suo monolocale e dallo zampettio dei suoi due gatti, che dopo aver mangiato non sembravano trovare pace. Sorrise e batté la mano sul materasso un paio di volte, invitandoli a salire. Dopo che si furono accoccolati contro il suo petto, cominciò ad accarezzarli.
Provò a chiudere gli occhi per addormentarsi, ma vide nuovamente la porta del bagno e la scritta sopra di essa. Sentì il cuore sprofondare nel petto e gli occhi farsi lucidi. Si chiese come fosse possibile che una semplice frase, scritta poi da uno sconosciuto maleducato, potesse aver espresso perfettamente il modo in cui si sentiva in quei giorni. Non era solo, non fisicamente almeno, aveva due amici straordinari come Chan e Hyunjin accanto a sé. Eppure, quando la notte si sdraiava nel letto, nel buio del suo monolocale e lasciava liberi i pensieri che tutto il giorno aveva ignorato, si sentiva abbandonato a se stesso. Nessuno avrebbe potuto aiutarlo, perché nessuno avrebbe potuto capirlo. Eppure...
Allungò un braccio e afferrò il cellulare che aveva appoggiato sul comodino. Lo sbloccò e aprì la galleria, aprendo la foto che aveva scattato poco prima.
No matter how hard I try to smile I feel so lonely
Like aliens trying to blend in with Earthlings
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Aggrottò le sopracciglia non appena lesse il nome sotto la frase. Improvvisamente tutto il sonno che si era impossessato del suo corpo scomparve, lasciando spazio alla curiosità. Si mise a sedere e cominciò a pensare a cosa potesse significare quella firma. E se...
Aprì immediatamente Instagram ed entrò nel profilo fake che Hyunjin lo aveva costretto a fare per aiutarlo a stalkerare le sue numerose crush – profilo che alla fine non aveva mai usato – e cliccò sulla barra di ricerca. Digitò quel nome con il trattino basso ed esultò quando trovò un profilo pubblico palesemente falso. Lo aprì immediatamente e cliccò sull'unica foto che aveva postato questo "quokka" qualche giorno prima. Sgranò gli occhi: quello era il parco accanto a casa sua! Nella descrizione del post c'era la stessa frase che era stata lasciata nel bagno e capì che sì, aveva trovato l'autore delle parole che lo stavano tormentando.
Minho si morse il labbro inferiore, indeciso sul da farsi. Avrebbe voluto scrivergli, ma temeva di importunarlo. Beh, lui era stato il primo ad averlo importunato lasciando una scritta con il pennarello nella porta del bagno del ristorante in cui lavorava, «Al diavolo!» esclamò e aprì i direct. Non aveva niente da perdere, in fondo, e poi, doveva ammetterlo, avrebbe voluto conoscere la persona che gli era sembrata così triste e sperduta da assomigliargli. Anche Minho si sentiva uno straniero che vagava per le strade di una città amata ma sconosciuta, senza sapere cosa fare, dove andare, perché continuare a camminare - non poteva semplicemente fermarsi?
– 1:42 –
quokka_
attivo 1 ora fa
ehy
Minho lasciò cadere il cellulare sul letto e iniziò a rotolarsi fra le coperte. «Che cazzo ho fatto?» si domandò e si fermò giusto per scompigliarsi ancora di più i capelli, poi riprese a muoversi, bloccandosi giusto il tempo di scusarsi con i suoi gatti. «Okay che in questo momento ho bisogno di novità, ma questa mi sembra un po' troppo esagerata. Dio santo, sono un coglione!»
La suoneria del cellulare lo fece congelare sul posto. Rimase immobile per qualche secondo, con il cuore che batteva troppo lentamente o troppo velocemente nella cassa toracica, non lo sapeva bene nemmeno lui. L'ansia gli attorcigliava lo stomaco, perché non aveva mai, mai e poi mai – ripeto, mai – parlato con qualcuno che non conoscesse, a parte che non fosse costretto da Chan o Hyunjin. Con titubanza afferrò il telefono e, appena lesse il messaggio che gli era stato inviato, avrebbe voluto lanciarlo da qualche parte – il cellulare insieme a quel "quokka".
– 1:47 –
quokka_
attivo ora
e tu chi cazzo sei!?
a.a.
in casi ve lo steste chiedendo, così ho immaginato il monolocale di Minho <3
spero che questo capitolo, nonché prologo della storia, vi sia piaciuto!
con affetto,
GiuGiu
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