9-ERIN
<Allora come stai?> domandai alla piccola Jessica quando tornai a casa di Rocky e del marito.
<Ho mal di pancia, mal di schiena e mal di testa. Meglio di così non potrei stare> concluse sbuffando e, dopo aver abbracciato il cuscino, si distese sul letto <Quanto è grave la situazione a scuola?>
<Non preoccuparti, ce ne stiamo occupando. Intanto però prendi questa pasticca, ti aiuterà con il dolore> le porsi una compressa di Buscofen e appoggiai la scatola sopra il suo comodino.
<Grazie, ma perché proprio ora? Non sono ancora troppo piccola? Alla mamma era venuto così presto?> fece una pausa come se al solo nominare il semplice sostantivo "mamma", si fosse rotto qualcosa. Così fu. Scoppiò a piangere disperata. <Mi manca la mamma; da quando se n'è andata papà non fa altro che sedersi sul divano a fissare un punto indefinito e piangere credendo di non farsi sentire. I nonni, Rose e Carl, quando vengono sorridono forzatamente, pensando che non me ne accorga; a scuola persone che non conoscevo, ora mi cercano per farmi sapere che mi sono vicine e che se ho bisogno, posso contare sul loro aiuto. Ma io non lo voglio. Non lo voglio!> gridò <Io voglio indietro solo la mia mamma. La mia mamma! Voglio la mia mamma> un sussulto le spezzò la voce <Perché sono così simile a lei?! Perché non sono più simile a papà? Se lo fossi i nonni mi guarderebbero contenti, invece quando gli racconto qualcosa o provo a scherzare, non mi guardano. A volte nonna se ne va e non torna fino all'ora di cena. Io non ce l'ha faccio più! Voglio la mia mamma, Erin. Voglio la mia mamma!> Aveva ragione: Jessica era identica alla madre. Stesso sguardo, stessi colori, stessa statura mentre la corporatura magra era del padre. <Mamma! Mamma! Dove sei? Se mi senti, torna qui, solo per un abbraccio. Per favore, ho bisogno di te.> Quelle urla disperate, mi provocarono un nodo allo stomaco e avevo un groppo in golo che mi impediva di parlare, per cui mi limitai a stringerla forte forte aspettando che si calmasse. Sapevo bene il dolore che provava solo che io, a differenza sua, non lo avevo mai espresso; o meglio lo esprimevo eccome, ma non nel pianto. <Scusa, ti ho bagnato tutta la maglia. Te ne vado a prendere una dall'armadio di mamma>
<No, tranquilla. Ho il cambio in centrale.> affermai alzandomi e dirigendomi verso la porta: dovevo proprio andare se non volevo che le regole di Voight si prolungassero di un altro mese
<Ah e grazie per essermi venuta a prendere; se non ci fossi stata tu, probabilmente non sarei più qui> aveva ragione.
<Il mio telefono è sempre acceso> conclusi scomparendo al piano di sotto.
In auto, per sfogare la mia frustrazione tirai diversi pugni al volante fino a che non sentii le mani fare male; arrivata al distretto, corsi negli spogliatoi per cambiare velocemente la maglietta nella speranza che nessuno si accorgesse di quanto fosse bagnata, ma, proprio mentre stavo per uscirne, Jay chiuse la porta a chiave.
Nessuno dei due fiatò perché il suo sguardo chiedeva spiegazioni da solo. <Jessica è diventata una signorina per questo ero alla sua scuola quando ti ho chiamato, poi sono tornata da lei e ha avuto una crisi di pianto. Non riusciva a calmarsi perciò sono rimasta con lei fino ad ora>
<Le manca?> annuii solamente perché avevo di nuovo un groppo in gola che non mi faceva parlare <Manca a tutti, ma ricordati che non è colpa tua, Erin>
<Basta, non voglio più sentire che non è colpa mia> gridai esasperata <Se le avessi ordinato di mettersi al riparo dietro l'auto dei nostri colleghi, lei sarebbe ancora qui a consolare e potrebbe aiutarla in questo nuovo periodo; ma non c'è perché io non gliel'ho ordinato. Io! Quindi il prossimo che mi dice che non è colpa mia, giuro che lo riempio di botte.> inspirai in cerca di aria perché ero talmente furiosa che avevo smesso anche di respirare <Ora lasciami passare> ringhiai. Non obbiettò e schiavò.
Uscii da esso furibonda tanto che travolsi letteralmente Caroline, che attratta dalle urla si era avvicinata, e presi l'auto. Guidai fino al mio appartamento dove mi accasciai, appoggiata con la schiena al frigorifero, con una fotografia di me e Rocky stretta al petto e piansi.
Non so quanto tempo fosse passato prima che due braccia mi abbracciassero e estraessero il mio cellulare dalla tasca per telefonare a non so chi; percepivo il respiro irregolare di Caroline sfiorarmi la guancia, ma presto fu sostituita da un'altra figura maschile. Inizialmente pensavo fosse Voight, ma quando mi si mise seduto di fianco, lo riconobbi: Jay Halstead e, ricordarmi come lo avevo trattato poco prima, fece aumentare il mio senso di colpa. Piansi ancora più forte e ritrovai il mio volto spiaccicato al centro del petto del ragazzo, mentre le sue braccia mi stringevano e, per tentare di calmarmi, si dondolava avanti e indietro lentamente. Non so quanto tempo restammo così né cosa successe dopo perché mi addormentai.
Quando mi svegliai, la luce filtrava opaca dalle tende; sentivo gli occhi bruciare e la gola secca; dalla zona giorno dell'appartamento provenivano dei rumori e delle chiacchere sommesse che mi costrinsero ad alzarmi. Caroline e Jay erano seduti alla penisola uno di fronte all'altro intenti a chiacchierare finché il secondo non le fece un cenno, poiché era girata di spalle; la ragazza corse ad abbracciarmi e mi obbligò a sedermi con loro perché, secondo lei, ero dimagrita molto. Cosa plausibile, pensai senza dire niente.
Protestai di non avere fame fino a quando il mio partner non si alzò per prendere il bacon croccante con le gocce di cioccolato a parte.
<Stareste bene insieme. Però dubito che Riley te lo permetta> affermai sorridendo prima di addentare un boccone di bacon. Riley era la ragazza di Caroline da cinque anni; si erano conosciute al college, ma solo dopo anni si erano dichiarate. <Di cosa stavate parlando?>
<Mi raccontava un po' come siete conosciute. Perché non me ne hai mai parlato?> domandò lui leggermente deluso; io prima di rispondere fulminai con lo sguardo Caroline <Non arrabbiarti con lei; ieri pomeriggio eravamo tutti un po'scossi e si è lasciata sfuggire una parola che mi ha chiarito le idee>
<Perché avevo e ho ancora paura che se la gente sapesse della mia "parentela" con Hank, penserebbe che sono solo una raccomandata e non importerebbe niente che mi sono formata da sola> mi strinsi nelle spalle e abbassai lo sguardo.
<Ehi, sono il tuo partner, non ti giudicherei mai> mi venne vicino e mi fece alzare gli occhi.
<Sì, sareste proprio una bella coppia> si intromise mia sorella <E credo anche che se non vi muovete ad andare al distretto, papà venga qui a cercarvi>
<Sa che sono qui? E che c'è anche Jay?> domandai improvvisamente preoccupata
<Sa che sei qui, ma crede che siamo so-> balzò in piedi agitata e mi mostrò lo schermo del telefono: Hank stava salendo le scale. "Mannaggia a me quando gli ho permesso di avere una copia delle chiavi" pensai.
<Merda> imprecai <Jay vai in camera; Caro sistema la cucina; io mi occupo di controllare se c'è qualcosa di compromettente in giro> ordinai. Sentimmo la serratura scattare e cercammo entrambe di essere più disinvolte possibile per non farlo insospettire, ma un cellulare squillò sopra la penisola.
Merda e ora che mi invento? Hank però non sembrò farci caso per cui fu più facile per Caroline spegnerlo e farlo scomparire, perché era più interessato a me. Dopo averlo rassicurato diverse volte che stessi bene, lo invitai ad accompagnare mia sorella a casa così che Jay potesse uscire liberamente e dirigersi al distretto senza destare sospetti.
Nel momento in cui le due persone interessate chiusero la porta alle loro spalle, tirai un sospiro di sollievo prima di sentirlo ridere e contagiarmi. <Ti vuole un mondo di bene, per questo al lavoro ci sono tutte quelle regole> affermò probabilmente rivolto più a se stesso che a me e io annuii non sapendo cosa dire. Era vero, prima che entrassi nell'unità non c'era nessun tipo di regola riguardo le relazioni tra partner, poi ero arrivata io e improvvisamente erano comparse; lo avevo capito e questo era uno dei motivi per cui non volevo che si sapesse della mia parentela (non di sangue) con il sergente.
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