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5-ERIN

Quando mi alzai dal letto era già l'ora di pranzo; non ricordavo come ci fossi arrivata e nemmeno di chi fosse la casa, ma non appena sentii la voce di zia Clara capii tutto. Mi alzai dal letto con un mal di testa pazzesco e arrivata in sala da pranzo la trovai seduta al tavolo con un uomo e un ragazzo coetaneo o poco più piccolo di James; scoprii che da cinque anni era pulita, da tre sposata con Robert e quello era Lucas il figlio nato dal primo matrimonio di lui. Ma il mal di testa mi aveva fatto fermare alla prima informazione.

<Siediti e mangia qualcosa> mi fece segno di accomodarmi di fianco a lei <Ti ho messo da parte qualcosa prima che questi due finiscano tutto> sorrisero tutti, tranne io che alla sola nomina del cibo, mi venne da vomitare.

<No, grazie. Avete un'aspirina?> la donna si alzò, mi consegnò la scatola e la mandai giù tutta in un sorso prima di tornarmene in camera dove rimasi a fissare il soffitto per tutto il pomeriggio, lasciando prendere il sopravvento i pensieri che si facevano sempre più rumorosi. Alla sera decisi di uscire e avvisare solo Lucas cosicché, qualora ce ne fosse stato bisogno, avrebbe avvisato zia. Solo quando mi mischiai alla folla in pista della discoteca, riuscii finalmente a smettere di pensare grazie alla musica che trapanava i timpani.

Quando uscii era già mattina, l'alba, ma la luce mi accecava comunque. Rimasi ferma qualche istante per far abituare il mio corpo all'ambiente esterno e solo quando alzai lo sguardo, lo vidi. Inizialmente pensai fosse un miraggio, un qualche brutto scherzo della mente, ma quando lui si avvicinò e mi toccò un braccio capii che era veramente qui. Cosa ci faceva qui? Chi glielo aveva detto? Nessuno, al lavoro, sapeva l'esistenza di zia Clara come nessuno conosceva la storia familiare con Voight e allora come faceva ad essere qui davanti a me? Il telefono lo avevo spento dopo essere uscita di casa a Chicago e non lo avevo più acceso, quindi non era rintracciabile. Per cui gli unici che sapevano qualcosa erano appunto il sergente, che non avrebbe mai parlato, e James... James. Il mio adorato fratellino...

<Come facevi a sapere dove mi trovavo?> domandai cercando di mostrarmi indifferente alla sua presenza, anche se ringraziavo Dio per aver mandato qualcuno a cercarmi, per il semplice fatto che ciò voleva dire che la squadra non mi incolpava per la morte di Rocky cosa che invece stava logorando me.

<Ho le mie fonti. Tu, piuttosto, hai chiuso per sempre con l'Intelligence?> rispose sulle rime Jay. Stavo per annuire convinta, quando una ragazza che probabilmente usciva dalla discoteca, ci svenne davanti. Entrambi ci affrettammo a soccorrerla: era messa male, molto male, e l'amica che era con lei non era da meno. Urlava, diceva cose senza senso, parlava di troll, mostri, supereroi di metallo, maghi; qualcuno chiamò il 911, ma io e lui ci scambiammo un'occhiata complice: avevamo già capito di che droga si trattasse e ne avemmo la conferma quando la seconda ragazza ci mostrò una bustina. Il logo del drago infuocato.

<Credi davvero di aver chiuso per sempre con la polizia?> concluse Jay prima di salire in macchina pronto a tornare a Chicago. Non si aspettava una risposta immediata, ma di certo aveva centrato il punto perché quella domanda mi riecheggiò in testa per i successivi quattro giorni.

La decisone finale la presi la domenica; ero a pranzo con zia, la sua nuova famiglia e alcune amiche del vicinato compresa la sua aiutante, quando sbiancai dopo aver risposto al telefono.

<Erin, tutto bene?> chiese preoccupato Lucas, il mio nuovo cugino.

<No. Devo salvarlo. Devo andare> farfugliai <Scusatemi> Corsi in macchina senza recuperare quei pochi vestiti che avevo portato; li avrei recuperati in un secondo momento, ora la priorità era trovarlo.

"Jay è stato rapito" fu la frase che mi riecheggiò per le successive quattro ore. Inchiodai davanti al distretto probabilmente lasciando anche il segno delle ruote, mi precipitai dentro e la Platt non ebbe il tempo di proferire parola perché le ordinai di aprire la grata divisoria del distretto con il piano dell'Intelligence. Erano tutti lì tranne lui e questo mi fece stringere ancora di più lo stomaco. Oltre alle solite persone, vi trovai Burgess che si stava finendo di preparare per lo scambio per il quale Jay sarebbe tornato da noi.

<Vado io> affermai facendo voltare tutti

<Chi l'ha avvisata? Portatela fuori!> tuonò Hank: era furioso.

Disapprovai con la testa <So cosa fare in queste situazioni...> lo seguii nel suo ufficio lasciando in stand-by tutti. Non volevo sminuire le capacità di Kim, ma Jay era stato il mio partner con il quale avevo un rapporto stupendo e non potevo perdere pure lui nel giro di una settimana.

<Hai consegnato il distintivo e la pistola> iniziò

<Sì, ma so anche che non hai ancora fatto rapporto ai piani alti.> controbattei <Voglio solo salvare il mio partner> Passarono diversi istanti prima che interrompesse il silenzio.

<Va bene> acconsentii infine <Ma se vorrai rientrare, dovrai seguire delle regole ben precise> lo ringraziai e mi preparai sotto lo sguardo attento di tutta la squadra; Olinsky mi diede un coltellino in ceramica che incastrai nella cintura e presi la scatola con i falsi fascicoli che i rapitori avevano chiesto. A quello che avrebbe potuto pensare Burgess, ci avrei pensato dopo; ora la mia priorità era riportare a casa il detective Halstead.

Mi portarono in una villa ad Hyde Park dove il loro capo mi fece accomodare nello studio mentre i due sottoposti che mi avevano scortato controllavano il pacco; un terzo uomo portò Jay nella stanza lanciandolo sul divano. Fece una smorfia per il dolore.

<Erin> sussurrò sorpreso quando lo andai a soccorrere.

<Shh, non parlare> lo rassicurai mettendolo seduto per bene <Ti porto via> annuì debolmente. Aveva un occhio nero, il labbro spaccato e Dio solo sa in che condizione era l'addome dal momento che la camicia era, in alcune zone, macchiata di sangue.

Lo feci alzare, ma i primi due scagnozzi avevano scoperto che i documenti erano falsi.

Ci presero pronti a torturarci nuovamente, ma non avevano tenuto conto che io potessi nascondere qualcosa all'interno della cinta. Nonostante la spalla ferita avesse ancora i punti, mi voltai rapidamente conficcando il coltellino nell'addome di uno dei due uomini, sempre più a fondo finché non mi cadde sopra. Nella colluttazione avevano spaccato un tavolino di cristallo; Jay nel frattempo era riuscito a mettere furi uso, almeno per qualche istante, l'altro uomo, per cui rimaneva solo il capo; gli puntai contro la pistola di uno dei due scagnozzi, ma questo non lo fermò a provare di prendere quella che teneva sulla scrivania. Fui più svelta io e sparai due colpi: spalla-gamba. Solo a quel punto tornai ad occuparmi di Jay che nel frattempo si era rimesso in piedi e, quando aprimmo la porta dello studio, trovammo la squadra con i fucili puntati nella nostra direzione.

Improvvisamente fui assalita da un senso di nausea per il quale dovetti correre fuori il più velocemente possibile e presto fui raggiunta da Hank che si complimentò facendomi notare che la spalla stava sanguinando, perciò mi accompagnò al Med dove era stato portato anche Jay.

<Ti sanguina la spalla> fu la prima cosa che Jay disse non appena mi vide in piedi sulla soglia della stanza; avevo deciso di andare da lui ancora prima di farmi curare, ma non avevo il coraggio di entrare dal momento che c'era il dottor Choi che lo stava visitando.

<Lo so>

<Sei di nuovo dei nostri?>

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