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3-ERIN

La notte non chiusi occhio al contrario di Jay che, dopo poco mezzanotte, era crollato come un bambino. La squadra era venuta solo alla sera quasi al termine delle visite concesse per assicurarsi che stessi bene e informare il mio collega che sarebbe dovuto rimanere con me per farmi da "babysitter", secondo il mio punto di vista.

Quando la mattina finalmente uscii, l'altro poliziotto ferito lottava ancora tra la vita e la morte o almeno così mi avevano detto perché, una volta arrivata al distretto, appresi il contrario. Jay andò dritto alle docce negli spogliatoi al primo piano; al contrario io andai diretta alla mia scrivania pronta a seguire le indagini e trovare il colpevole nonostante avessi una spalla fuori uso.

<Allora, questo è l'uomo ch-> iniziò a dire Ruzek, ma le parole gli morirono in gola e si guardò intorno in cerca di un qualche appiglio da parte dei presenti: Dawson e Atwater. Olinsky stava uscendo dalla sala relax, mentre Voight non era ancora arrivato.

<Erin, va' a casa a riposare> affermò Olinsky posando una mano sulla spalla mentre con la sinistra teneva una tazza di caffè. Disapprovai con la testa e feci segno di proseguire; non avevo bisogno della loro compassione.

<Okay, bene> riprese il primo ragazzo <Questo è l'uomo che è stato visto scappare dalla scena; abbiamo diramato una segnalazione a tutti i distretti e Mouse lo sta cercando nel database> Mouse, oltre ad essere il nostro perito informatico, era stato anche un compagno d'armi di Jay ed era stato grazie a lui se oggi faceva parte della nostra squadra. Questo piombò nella stanza con una foto in mano che andò ad attaccare sulla lavagna; era il nostro sospettato: Alex Withcomb, 25 anni, arrestato per possesso di armi e droga.

Pronta ad aggiungermi agli uomini sopra citati, fui fermata dalla voce di Voight che ordinava a Kim Burgess e Sean Roman di controllare che non mi muovessi da qui; per la seconda volta in meno di ventiquattro ore ero sotto l'osservazione di qualcuno. Nemmeno mamma e papà avevano preso così tante baby-sitter per me e mio fratello James. Improvvisamente mi venne voglia di sentire la sua voce, ma dopo aver guardato l'orologio capii che non era il momento perché era a lezione e nella scuola dove andava ogni mattina ritiravano i cellulari che si riprendevano solo alla fine delle lezioni mattutine.

Presi un caffè, ma non lo bevvi neppure perché rimasi a fissare la scrivania vuota di fianco alla mia e, consegnata la tazza a Roman, corsi in bagno a vomitare perché in qualche modo dovevo liberarmi dai pensieri anche se sapevo che questo non sarebbe bastato. <Erin come stai?> la voce di Burgess fuori dalla porta mi destò dai pensieri <Voight vuole che ti portiamo nel suo ufficio> mi informò.

Stavo per rispondere alla prima domanda, ma la seconda parte della frase mi rimbombò nelle orecchie. <Perché?>

<Stanno portando il sospettato...Dobbiamo muoverci> seguitò.

Quando uscimmo dal corridoio me lo ritrovai davanti; Kevin Atwater e Jay, che erano i più imponenti, lo tenevano fermo perché più volte aveva cercato di liberarsi, ma adesso era l'ultimo dei miei problemi.

<Ti sei divertito ad uccidere due poliziotti? Immagino di sì se continui a tenere quel sorrisetto divertito, ma perché non uccidi anche me? Qui, ora, davanti a tutti loro. Forza, lasciatelo> ordinai ai due ragazzi che mi guardarono perplessi <Ammazzami, sparami, finisci il lavoro che avevi iniziato. Non sarà un gran perdita, ti prego, uccidimi> la voce divenne un flebile sussurro.

<Devo ammettere che è stato proprio divertente, non credi?> "Divertente"? Non ci vidi più dalla rabbia e, con il braccio buono, gli tirai un pugno togliendo dal viso quel sorrisetto. A quel punto i due poliziotti di pattuglia mi presero e a fatica mi allontanarono da quell'essere spregevole.

Come poteva essere stato divertente? Aveva ucciso due persone e invece per lui era come se avesse vinto alla lotteria. Presi la giacca, le chiavi dell'auto e me ne andai a casa dove indossai la divisa di rappresentanza per il funerale della mia partner che si sarebbe svolto questo pomeriggio. Nel frattempo inviai un messaggio vocale a James dove gli chiedevo come stava e lo informavo che gli volevo bene; poi mi diressi verso la chiesa dove si sarebbe svolta la funzione. Durante tutta la sua durata non guardai in faccia nessuno e dopo aver fatto le condoglianze alla famiglia, me ne tornai a casa dove trascorsi l'ora successiva; improvvisamente sentii l'aria mancare, così aprii una finestra e sembrò andare meglio quando il cellulare vibrò lasciando comparire una notifica da parte del mio fratellino nel quale mi informava che mi avrebbe chiamato dopo perché ora aveva allenamento.

Rapidamente scrissi un biglietto che accompagnai a una busta che lasciai davanti alla porta di casa di Hank e me ne andai.

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