28-JAY
Essere battuti venticinque a dieci due volte di fila era una vera sconfitta, soprattutto se da ragazze che non ci avevano mai giocato, secondo la loro testimonianza.
Poiché avevamo saputo all'ultimo minuto che saremmo stati a cena dalla mia nonnina Rosa, una donna anziana ma ancora piena di vitalità che amava cucinare e incontrarsi con le sue amiche per spettegolare su qualsiasi argomento e giocare a burraco o scala 40, saremmo andati via prima dal mare e non ci saremmo lavati e vestiti in meno di dieci minuti.
Arrivammo alla villa un quarto d'ora dopo; c'era il tramonto ma non lo guardai neppure tanto ero concentrato su Erin e sulla casa che per anni mi aveva ospitato ogni estate. Mi dileguai immediatamente dirigendomi in cucina dove trovai nonna intenta a sistemare il basilico sopra l'antipasto; pianse e io la strinsi a me per rassicurarla che fossi veramente lì con lei. L'aiutai a finire il piatto prima di tornare dalle mie donne che erano ancora fuori dal cancello; parlavano di tennis e capii che Jessie stava attraversando un flashback. Non erano frequenti, ma potevano diventare difficili da gestire.
Al termine della seconda portata, mentre Erin si era alzata per telefonare al sergente, suonarono al cancello e quattro signore anziane fecero capolino nel giardino. Erano Fiorella, Anna Maria, Elena e Silvana, le quattro amiche di nonna che mi avevano visto crescere.
<Ma guarda che bel giovanotto che sei diventato!> mormorò pizzicandomi una guancia la prima di esse <Come stai? La fidanzata?> e l'istinto materno prendeva il sopravvento, succedeva ogni anno quando tornavo in Italia.
<Tutto bene, tu? Le altre?> risposi prima di veder tornare al tavolo la mia ragazza con una faccia pensierosa <Loro sono i miei colleghi Erin Lindsay, Hailey Upton, Kim Burgess, Adam Ruzek e Kevin Atwater; questa è Jessie, la mia figlioccia Al contrario, vi presento Fiorella, Anna Maria, Elena e Silvana, delle amiche della nonna> si scambiarono i saluti prima di richiamare all'ordine Erin con un rapido cenno del capo.
Entrammo in casa e la condussi nella camera, al primo piano, dove ero solito dormire con mio fratello; inchiavai e le chiesi di raccontarmi ciò che la tormentava.
<Carl Halstead, ti dice niente?> domandò. Ebbi quasi un mancamento, il cuore perse qualche battito e mi sedetti pesantemente sul bordo del letto.
<Sì, è mio zio. Perché?> avevo paura di ciò che avrei scoperto; lui era morto tempo fa.
<Ti ha cercato al distretto...> fece una pausa e attese una mia reazione che non arrivò <Hank lo fa dormire in una cella, è un senzatetto>
Mi bloccai, l'unica parola che riecheggiava nella testa era senzatetto.
Zio Carl non poteva esserlo; lui era un uomo che molti bambini volevano come padre, era forte, sorridente, imponente e affettuoso nonostante i vari disturbi riscontrati di ritorno da una missione. Ora, invece, era un senzatetto. Un senzatetto!
<Ehi Jay, calmati> i polpastrelli di Erin mi sfiorarono gli zigomi dove, inconsciamente, avevano cominciato a scorrere delle lacrime <Non posso immaginare quanto sia difficile per te questa situazione, ma sappi che io ti sarò sempre accanto. Qualsiasi sia il nostro futuro> singhiozzai fortemente e la strinsi a me facendo combaciare in modo perfetto il suo addome al mio volto, poiché lei era ancora in piedi.
<Ti amo mammina> sussurrai qualche minuto dopo, una volta riemerso dalla sua pancia.
La sua espressione mutò e si fece dura <Evita quel soprannome fino a quando non avremo informato Voight> rispose spostando lo sguardo altrove.
Avendo intuito quanto fosse arrabbiata, decisi di posare dei bacini sul ventre; istintivamente mi tirò una ciocca di capelli e così aumentai il numero salendo lentamente fino ad arrivare alla clavicola scoperta. Passai alla bocca dove, dopo una rapida resistenza, mi lasciò entrare. Le nostre lingue si rincorrevano, si cercavano creando una magnifica danza. <Non ci provare...> sussurrò sulle labbra.
<Ah si? Secondo me dopo questo non potrai resistermi...> risposi abbassandomi di nuovo all'altezza del ventre <Ehi piccoletti, siete fortunati, lo sapete? Adesso scusatemi, ma ora mi devo far perdonare>
Le succhiai la pelle e scesi più giù sbottonando gli shorts; successivamente tornai sul punto in cui si stava formando una chiazza rossa pronto a fare l'amore, quando la voce di Giorgia fuori dalla porta ci bloccò. <Ragazzi il dolce è stato servito, stiamo solo aspettando voi per mangiarlo> ci informò, però dopo quello che avevo scoperto non avevo più fame.
<Va bene, arriviamo> risposi e mimai un “continuiamo dopo” alla mia ragazza che sorrise e capii che mi ero fatto perdonare, anche se non come avevo immaginato. Solo dopo esserci ricomposti, andammo dagli altri che si scambiarono uno sguardo complice come a farci sapere che avevano capito tutto anche se non lo avevano fatto, poiché nessuno sapeva la storia di mio zio. Ma li lasciai comunque immaginare perché non dissi nulla e mi limitai ad assaggiare il tiramisù della nonna; era delizioso e notai con piacere che gustava molto anche i miei colleghi e la piccoletta tanto che, proprio quest'ultima, ne chiese una doppia porzione.
Successivamente rientrai in casa recandomi in cucina dove dalla credenza estrassi una bottiglia di whisky; ne versai il contenuto in un bicchiere e, una volta seduto su una sedia del tavolo, ne bevvi un sorso finché la voce di Erin non mi ridestò dai pensieri.
<Vuoi rientrare prima?> scossi la testa in segno di disapprovazione mentre fissavo il liquido nel bicchiere.
<Voglio... Voglio solo terminare questo bicchiere, andare in albergo, dormire e concludere la vacanza nel migliore dei modi> conclusi sfinito come se avessi appena tagliato il traguardo di una maratona più lunga e dura del previsto.
Annuì prima di abbracciarmi. <Ti amo, ma credo che sia il momento di andare in bagno>. La lasciai immediatamente per accompagnarla al bagno, dove le sorressi i capelli e le massaggiai la schiena per permetterle di vomitare e al tempo stesso rassicurarla sul fatto che io ci sarei stato sempre e avremmo affrontato tutta la gravidanza insieme.
Buona pasquetta a tutti 🐣🐣
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