22-JAY
<Ti passo a prendere alle otto> inchiodò un'altra volta più sconvolta di prima; risi <Hai intenzione di rimanere impalata ancora a lungo? Si dà il caso che abbiamo ancora un'ora...>
<Me ne torno a casa... Devo fare ancora la doccia, non mi posso presentare così puzzolente e sudata> la guardai perplessa e risi ancora di più <Scusa non avrai intenzione di presentarti ai tuoi in questo stato?> aveva ricominciato a correre.
<Perché no, mi hanno visto in stati peggiori> la sfidai con lo sguardo
<Va bene> ero riuscito a tenerle testa una volta tanto e non potevo esserne più contento <Ma non contare sul dopocena> ecco, mi aveva sottomesso un'altra volta; come diavolo ci riusciva?
Alzai le mani in segno di resa e ognuno si diresse verso la sua auto per poi recarsi nei propri appartamenti; da una parte era vero che le mie cugine non se ne sarebbero andate fino a che non avessi assicurato la presenza di Erin, ma dall'altra ero consapevole che, avendo assistito alla scenata di Jessie, i miei genitori sarebbero tornati alla carica appoggiati sicuramente anche dagli zii. Rapidamente feci una doccia e indossai le prime cose che mi capitarono sottomano: un jeans e una felpa; poi uscii verso l'appartamento di Erin. Quest'ultima aveva indosso un pantalone a palazzo nero abbinato ad una camicia a maniche lunghe azzurrina e un cappottino dello stesso colore dei pantaloni; affianco c'era Akira che sbadigliò sedendosi a terra. Avevo già pronta la frase da dirle, ma la cagnolina salì in auto autonomamente.
<Sei bellissima> le sussurrai all'orecchio quando salì al posto del passeggero; mi baciò a stampo sulla guancia per poi lasciarmi partire. Era agitata, ma non capivo se perché fra poco avrebbe conosciuto parte della mia famiglia o se perché c'era qualcosa di cui non ero a conoscenza.
<Sarei una buona madre?> domandò di punto in bianco mentre attendevamo il verde ad un semaforo. Annuii <Da domani probabilmente dovrò prendermi cura di Jessie, però ho paura di non esserlo. Insomma...>
<Se i nonni hanno ritenuto opportuno lasciartela, evidentemente ti hanno reputato all'altezza. E poi hai visto come sei riuscita a calmarla oggi? Avete un rapporto speciale, fidati> le baciai la mano prima di ripartire. Nessuno dei due fiatò più fino a destinazione quando non potevo dire con certezza se era lei la più agitata o io; suonai il campanello e attendemmo che qualcuno venisse ad aprire. Avvenuto ciò grazie a Cami, le presi il cappottino e lo appesi sull'appendiabiti in corridoio; al mio ritorno si stavano tutti accomodando a tavola: io mi sedetti tra Will e Erin che discorrevano tranquillamente.
<Allora> iniziò in modo enfatizzato Totta alternando lo sguardo fra le due sorelle <Da quanto tempo vi conoscete?> Potevamo dare ufficialmente inizio alle domande più strane che si fossero mai sentite.
<Sei anni. Siamo entrati nell'unità quasi in contemporanea> Era arrivata prima lei di un mese; io ero stato ammesso grazie a Dawson e forse per questo avevo cercato di reprimere il più possibile i sentimenti verso di lei.
<Da tanto tempo, vedo> si intromise Giorgia <Com'è al lavoro?>
<Bravo; è un bravo "cagnolino" come amiamo chiamarlo> sorridemmo entrambi e per un solo istante credetti di sentire la voce di Rocky la prima volta che mi diede il soprannome.
<Wow, questa mi è nuova!> Will mi diede una pacca sulla spalla ridendo. <"Cagnolino?">
<Sì, glielo ha dato Rocky appena arrivata all'unità quando...> <Quando ha visto come mi tiene testa Lindsay> conclusi stringendole la mano sotto al tavolo. Solo io potei notare lo sguardo finto che assunse come maschera per non far indagare oltre la mia famiglia che, ad eccezione di Will, non era a conoscenza dell'accaduto; inoltre se prima mangiava con felicità, ora notavo come si sforzava per far vedere che fosse tutto apposto.
<Abbiamo saputo che oggi c'è stata una discussione piuttosto accesa in ufficio, tutto okay?> annuimmo all'unisono, però ero consapevole che zia Clara sarebbe tornata alla carica a breve e, qualora ce ne fosse stato bisogno, sarebbe stata aiutata dai miei genitori. <Mmh, non è che c'entra la vostra collega, come si chiamava...?> si fermò a pensare un attimo al nome che la mia partner sussurrò mentre stringeva la forchetta. Chi gliene aveva parlato? Mi voltai verso mio fratello che scosse la testa per dimostrare la sua innocenza; spostai lo sguardo sulle tre ragazze di fronte a me e capii che era stata una di loro; non mi interessava chi ne avesse parlato a zia, ma chi glielo aveva detto? Che sia stato Ruzek, Dawson o addirittura la Platt? Dovevo scoprirlo.
<Chi ve lo ha detto?> seguitai e l'unica a rispondere fu Camilla <Ruzek> dallo sguardo capii che era mortificata, non voleva rovinare in questo modo la serata ma doveva saperlo: zia era pur sempre sua madre.
<Perché cos'è successo?> domandò ignaro papà; mamma sembrava sorpresa quanto lui, però, alle volte, faceva la finta tonta pur di estorcere la verità. Stavo per replicare minimizzando la situazione, ma ancora una volta zia parlò e aggravò la situazione. <Oddio! E tu sei andato lì? Almeno avevi le giuste protezioni?> chiese preoccupata mamma. Non mi lasciò controbattere <Basta. Da domani ti iscriverai a legge, a medicina o->
<Scusate se mi permetto, capisco la vostra preoccupazione ma non trovo giusto che tentate in tutti i modi di dissuaderlo e allontanarlo dal lavoro che ha scelto> iniziò, la guardai curioso perché non mi aspettavo questo comportamento <Io non so quale sia stato il motivo dell'arruolamento prima nell'esercito, poi nella polizia, però so che è stata la scelta migliore. Capisco la vostra preoccupazione, ma la vita è sua; il poliziotto è un lavoro pericoloso? Sì, confermo, quanto un vigile del fuoco. Grazie alla sua esperienza come cecchino, ci ha salvato diverse volte la vita tirandoci fuori da situazioni scomode dalle quali non avevamo scampo; mi ha salvato dall'oblio quasi due mesi fa e io ho "ricambiato" liberandolo... Quindi, in conclusione, accettate la sua scelta di vita perché non ci sarà mai un lavoro più adatto per lui> si alzò e con un movimento della mano con la quale teneva il cellulare, mi mostrò lo schermo: era Jessie. Uscii dalla casa senza indossare il cappottino e mi lasciò solo con tutti gli occhi puntati addosso; stavano tutti meditando sulle parole che avevano appena udito. Aveva fatto centro, lo sapevano loro e lo sapevano noi, per cui, se Dio avesse voluto, d'ora in poi mi avrebbero lasciato in pace.
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