20-JAY
Che notte fantastica e sarebbe potuta migliorare ancora, le volte a seguire. Mi sentivo rinato, letteralmente, come se avesse qualche potere strano con il quale ringiovaniva di anni.
Rientrati al distretto capii che c'erano degli ospiti per un certo verso inaspettati; pregai che la lavagna fosse stata girata dalla parte bianca perché non volevo traumatizzare nessuno, ma soprattutto non volevo che le mie cugine facessero, anche involontariamente, la spia ai miei genitori. Giovanni era seduto per terra a fare le coccole ad Akira e a lasciarsi leccare con l'aeroplano affianco; Cami, Totta e Gio parlavano animatamente con Dawson e Ruzek vicino alla scrivania di quest'ultimo.
<Eccoti qua> sentenziò Totta facendo alzare lo sguardo a Giovanni che corse fra le mie braccia.
<Zio è lei la tua collega?> chiese in italiano dopo essersi sciolto dal mio abbraccio; annuii <È bellissima>
Lei nel mentre si era seduta alla sua scrivania e fissava con sguardo perso un ciondolo che aveva estratto dal cassetto, perciò fui alquanto indeciso sul presentare tutte quelle persone in quel momento, ma non ce ne fu bisogno perché ci pensarono i due colleghi presenti.
Era contenta perché aveva spostato l'attenzione su altro che non riguardasse il caso, ma questo sentimento durò poco poiché Jessica, la figlia di Rocky, le telefonò spaventata. <Jay vieni con me; è urgente> più che un ordine era un'implorazione; i lineamenti erano tornati tesi come i primi tempi e potevo sentire la tensione crescere. Presi la pistola che avevo riposto con la fondina nel cassetto della scrivania e mi affrettai a seguirla.
<Tutto apposto?> chiese Antonio.
<No. È Jessica> scomparii <Ti ha detto cos'è successo?> le domandai in auto
<Ho capito solo casa, sangue, papà> Pensavo che, nonostante le parole sconnesse da parte della ragazzina, Erin, come me, avesse già chiaro ciò che era successo; per questo aveva chiesto il mio aiuto <Ha chiamato l'ambulanza, ma non l'hanno fatta salire> saettava in mezzo alle auto, prendeva le curve talmente larghe che più di una volta rischiò di sbattere contro le auto parcheggiate e l'ultimo tratto di strada lo attraversò rigorosamente contro mano.
Jessie ci attendeva fuori dalla porta di casa con i vestiti, le mani sporche di sangue mentre diversa gente del vicinato era accorsa sentendo varie sirene andare e venire.
Ci dirigemmo al Med dove le due ragazze si precipitarono all'interno della struttura mentre io parcheggiavo l'auto; entrato vidi Lindsay inginocchiata davanti a Jessie che piangeva copiosamente. Mi bastò uno sguardo verso la più grande per capire che era morto <Voglio vedere papà> affermò singhiozzante; era scossa, assente come lo era stata la mia partner fino a qualche tempo fa e riconobbi che, in quel momento, non potevo fare niente. Non sarei stato d'aiuto. Non conoscevo quella sensazione perché non l'avevo mai provata; ringraziando Dio i genitori li avevo ancora vivi, per cui decisi che le avrei lasciate sole e mi sarei limitato ad avvisare gli altri.
Passò diverso tempo prima che entrambe le ragazze uscissero: la piccola, stretta alla vita di Erin, aveva gli occhi gonfi e iniettati di rosso; la seconda stava cercando di mantenere la calma e mostrarsi forte.
<Erin quando i nonni moriranno, potrò stare con te e Jay?> domandò con voce crinata.
<Perché pensi queste cose? Credi che siamo fidanzati?> seguitò dopo essersi scambiata uno sguardo complice con me. Annuì rapidamente <Ci stiamo frequentando, ma è un segreto, però non devi dirlo a nessuno. Intesi?> ammise.
<Le penso perché ultimamente tutte le persone a cui voglio bene, sono morte> tirò su con il naso e si asciugò una lacrima dalla guancia sinistra <Sarò muta come un pesce. La mamma avrebbe fatto la stessa cosa> sorrise leggermente ma in modo malinconico.
<Ehi piccoletta, che ne dici se ci andiamo a cambiare? Poi ti portiamo dai nonni?> annuì guardandosi e dopo spostando lo sguardo sui vestiti dell'altra ragazza sporchi di sangue.
La casa di Jessie era talmente silenziosa che faceva paura; ogni stanza era stata lucidata da cima a fondo prima della disgrazia e mentre attendevo il loro ritorno dal piano superiore osservai ogni centimetro del luogo dove un mese fa circa stavamo festeggiando il compleanno di Erin.
Successivamente l'occhio si soffermò sul sangue, ancora fresco, che macchiava il tappeto del salotto; immaginai la scena: il corpo di David riverso a terra con un foro di proiettile all'addome, la piccola Jessie che, spaventata, tentava di arrestare il sangue e poi... Poi lo sguardo si spostò sul mobiletto affianco all'entrata. Una lettera, per Jessie. Gliela consegnai quando scese dal piano di sopra, ma la lanciò per terra come se scottasse, piangendo.
<Ehi Jessie, calmati> mi abbassai al suo livello affinché potessi guardarla negli occhi <Va bene. Va tutto bene, la butterò via. Okay?> annuì e l'abbracciai. Non l'avrei fatto seriamente, un giorno avrebbe potuta richiedere.
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