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11-ERIN

Nel momento esatto in cui trovai mio fratello accasciato sopra il corpo di una sua coetanea, sentii il mondo crollarmi addosso; lo spostai distendendolo sulla schiena affianco alla ragazza e vidi che era ancora vivo, ferito all'addome, ma vivo. Stessa cosa si poteva dire della ragazza che però era ferita alla clavicola dalla quale spuntava un pezzo di ferro. Consegnai a Jamie la mia camicia a quadri e gli dissi di rimanere sveglio e premere sulla sua ferita il più possibile, mentre io ripetevo l'azione sulla sua amica sperando che Jay e i paramedici arrivassero presto perché non potevo sopportare l'idea di perdere pure lui.

Tre ore dopo Jamie era ancora in sala operatoria e nel frattempo erano arrivati anche Camille in divisa da infermiera, Caroline, Burgess, Roman, la squadra e i genitori della ragazza che scoprii chiamarsi Emily ed era un anno più piccola di mio fratello; Justin era in viaggio da Detroit e sarebbe arrivato fra poco.

<Erin ti prego, smettila di camminare. Ci hai fatto il solco> disse Camille fermandomi alla quarta volta che le passavo davanti nel giro di due minuti <Non uscirà prima> proseguì. La fulminai con lo sguardo incapace di parlare dall'agitazione e dalla paura; vidi Dawson, Atwater, Olinsky, Ruzek e Halstead affrettarsi ad uscire e capii che avevano scoperto qualcosa.

<Cosa hanno scoperto?> chiesi rivolta a Hank che era seduto tra Caroline e Camille e stringeva le mani ad entrambe

<Non è il luogo adatto a parlarne> affermò soltanto senza più aprire bocca; lo odiavo quando faceva così.

<Scusa> la voce di una donna proveniente dalla mia destra mi destò dai pensieri <Tu sei Erin Lindsay, la sorella di James Lindsay?> annuii confusa poiché non riconoscevo con chi stessi parlando <Sono Michela, la mamma di Emily, suo fratello è un ragazzo d'oro; come sta?>

<Come fa a conoscerlo?>

<È il ragazzo di Emily; ce lo ha presentato una settimana fa portandolo al nostro ristorante... Tutto apposto?> No, non era niente apposto. Che razza di sorella non sapeva che suo fratello aveva la sua prima ragazza? Quante cose non conoscevo di lui?

<Voi> puntai il dito in direzione della mia famiglia <Voi lo sapevate?> annuirono <E non vi è venuto in mente di dirmelo? Sapete com'è, sarei sua sorella... Da quanto va avanti?> aprii la domanda a tutti senza un destinatario preciso.

<Quasi un mese> seguitò Hank <Ma è stato un periodo difficile per tutti, soprattutto per te, e abbiamo preferito non dirtelo> Stava scherzando, vero? Sì, era stato un periodo difficile, avevo appena perso la mia collega, la mia amica, ma ero pur sempre sua sorella; diamine! Dovevo saperlo! Stavo per fare qualcosa di cui mi sarei pentita, quando due voci che conoscevo fin troppo bene mi intimarono di calmarmi e mettermi a sedere; eseguii l'ordine senza battere ciglio lasciando esterrefatti Hank e Camille. Michelle e Natalie corsero ad abbracciarmi e io non potei esserne più felice perché tra l'università, loro, e il lavoro erano poche le occasioni per incontrarsi, inoltre in queste ultime settimane mi ero proprio estraniata dal mondo. "Certo che se tutto il gruppo si fosse riunito sarebbe stato meglio, ma ora come ora andava bene così" pensai.

<Come stai? James?> Domandò Natalie

<Mi siete mancate> cambiai discorso volontariamente perché non ero ancora pronta a mostrare i sentimenti che mi torturavano, nemmeno alle mie migliori amiche.

Uno dei due chirurghi che si occupavano degli interventi dei due ragazzi uscì facendo calare il silenzio, brevemente interrotto dalla comparsa di zia Clara con il marito e il figlio, e si diresse verso la famiglia di Emily per informali che l'operazione era andata bene e che ora era stata trasferita in terapia intensiva; al contrario l'intervento di mio fratello non era ancora terminato. Perché ci mettevano così tanto?

Poco dopo sopraggiunse anche il dottor Charles che seguii nel suo studio dove mi chiese come stessi e se avevo voglia di parlare; stranamente le parole uscirono senza bisogno di cercarle. Gli dissi tutto ciò che mi passava per la testa in quel momento, la difficoltà che provavo ad andare in centrale ogni giorno da quando Ramirez era morta, la colpa che mi auto-attribuivo, il fatto di rivivere adesso ogni istante dell'incidente dei miei genitori, la voglia che avevo di abbandonare tutto ma alla quale rinunciavo sapendo che non sarei riuscita a sopravvivere senza poter aiutare le persone e parlai persino della parentela con Voight. Restò sorpreso, ma non aggiunse altro perché voleva che terminassi il mio monologo.

<Ora te lo richiedo: come stai?> seguitò dopo essersi assicurato che non avessi altro da aggiungere

<Male, ma adesso che ne ho parlato con qualcuno sto molto meglio. Grazie dottore> conclusi prima di uscire dalla stanza e recarmi nuovamente dagli altri. Erano tutti in piedi accalcati vicino al chirurgo Rhodes che stava già spiegando l'esito dell'intervento; in questo momento non mi interessava sapere tutti i passaggi, mi interessava conoscere se era ancora vivo o era morto anche lui perché le facce non erano ottimiste o almeno così le percepivo io. Michelle e Natalie mi si avvicinarono stringendo ognuna una spalla; ero pietrificata, non riuscivo a muovermi; non vidi sorridere e annuire il dottore e il resto della famiglia, non notai la presenza della squadra né le persone che ci passavano intorno: c'eravamo solo io e la barella. La seguii fino alla sua stanza, che era di fianco a quella di Emily, e attesi il suo risveglio dall'anestesia. Con la coda dell'occhio vidi la mia famiglia fuori dalla stanza parlare con i genitori della ragazza, ma avevo paura a lasciargli la mano perché temevo che se ne potesse andare; la strinse prima impercettibilmente poi sempre più forte e capii che ora non poteva più scappare, non poteva più morire. Era fuori pericolo, giusto?

Rhodes entrò e lo estubò controllando i parametri e oscultando con lo stetoscopio il torace <Come ti senti?>

<Come se mi fosse appena esplosa una bomba addosso> mormorò facendoci sorridere. Sì, stava decisamente meglio <Emily?>

<Sta bene; è nell'altra stanza> lo informò prima di spiegargli perché era stato operato <Un vetro aveva perforato l'addome e una scheggia era arrivata alla milza provocando un'emorragia. Inoltre hai la caviglia destra slogata...>

<Quanto dovrò stare a riposo? Potrò tornare a giocare?> gli si leggeva la preoccupazione addosso e solo la nostra famiglia conosceva l'importanza del basket per Jamie: era l'unica cosa che gli permetteva di sentire il nostro padre biologico qui tra noi, poiché era stato proprio lui ad instradarlo a questo sport.

<Per la caviglia basta una settimana di riposo e una borsa del ghiaccio alla sera; per l'intervento un paio di settimane e sì, potrai tornare a giocare> sospirò rumorosamente esultando <Voglio venirti a vedere, sappilo> seguitò il dottore.

<Contaci, grazie> concluse il mio fratellino <Papà è rimasto sempre qui con mamma?> annuii <Dovrai dire la verità, lo sai?> annuii nuovamente e lo avrei fatto non appena fossi tornata al distretto, ma adesso l'importante era stare con il mio piccolo fratellino. Mi fece cenno di distendermi affianco a lui e abbracciarlo <Ho temuto di morire. Quando la bomba esplosa, io ed Emily stavamo tornando dagli altri ragazzi, ma la finestra è scoppiata e...>

<Ehi, l'hai salvata. Vi siete salvati entrambi e tu, sei stato bravissimo> affermai decisa scompigliando ancora di più il ciuffo <Però quando pensavi di dirmi che hai la ragazza?> mi finsi offesa e notai che c'erano diverse persone che ci osservavano emozionate, tra cui Halstead. Gli sorrisi rapidamente prima di puntare lo sguardo sul ragazzo di fianco

<E tu quando pensi di fidanzarti con Halstead?> rispose sulle rime <Voglio diventare uno zio giovane> lo guardai allibita prima di tirargli un pugno scherzoso sulla spalla e fargli il solletico

<Raccontami di Emily> seguitai.

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