Capitolo1
Angolo autrice: solo una piccola nota prima di lasciarvi alla lettura. Questo capitolo l'ho scritto ascoltando "Meraviglioso Amore mio" di Arisa e boh, magari aiuterà anche voi nella lettura. Mi siete mancati anche se ci "conosciamo" solo virtualmente. ♡
NICOLE
Una sedia fredda e dura mi tiene compagnia da ore ormai. Non mi importa di avere la schiena intorpidita a forza di rimanere per tanto tempo nella stessa posizione. Sento i singhiozzi della mamma di Louis che siede al mio fianco ma non ho il coraggio di guardarla: non ho il coraggio di rivedere l'angoscia negli occhi di qualcuno che teme di perdere una delle persone più importanti della propria vita. Ancora ricordo il dolore che ho letto negli occhi di mia madre mentre chiamava a gran voce mio padre pregandolo di non lasciarci soli; ricordo come gli occhi di mia madre si siano spenti non appena mio padre ha chiuso i suoi e a osservarla oggi, nonostante sia passato tanto tempo, si può notare come quel velo di tristezza e malinconia la accompagni sempre.
Non sono pronta a rivivere ancora una volta certi momenti e così mi sforzo di pensare ad altro. Osservo le pareti bianche che ho di fronte, così vuote ed inespressive; osservo le mie amiche che cercando di nascondere gli occhi rossi per le troppe lacrime, mi stringono cercando di confortarmi; osservo Harry che ha un braccio fasciato e dei punti sulla fronte, Niall con un occhio nero e il gesso ad una gamba e osservo Liam: lui non ha avuto il coraggio di venirmi vicino, non mi ha ancora guardato negli occhi. E' strano pensare a quante volte ho pronunciato la parola <<occhi>> finora ma è inspiegabilmente vero il fatto che con quei due piccoli cerchietti si comunica molto più di quanto si riesce a parole e talvolta molto di più di quanto si vorrebbe.
Il mio sguardo cade sulle mie mani: le osservo attentamente non trovando nulla di più interessante: osservo le unghie non perfettamente curate; lo smalto ormai scrostato e le piccole crosticine che si formano ogni volta che strappo le pellicine per il nervosismo. Almeno le unghie non sono mangiucchiate. E' strano, penserete, ma non sono proprio capace nonostante ci abbia provato. Sono tante le linee che solcano il palmo, un po' come sono tante le persone che incontriamo durante la nostra vita e che possono decidere di seguirci o lasciarci proseguire da soli.
il palmo della mano destra è ancora un po' arrossato rispetto a quello della mano sinistra. Chiudendo gli occhi posso ancora sentire in lontananza il rumore dell'impatto con la guancia di Logan. Si, l'ho colpito non appena mi sono resa conto di quello che stavamo facendo. Io pensavo di appartenere a Louis ma ora che lui è in quella sala operatoria e non si decide a tornare da me, non lo so più. E non so neanche se sono così certa di volere lui al mio fianco. Devo proteggere il mio cuore una volta che tutti i pezzi saranno tornati al proprio posto ma Louis potrà aiutarmi a farlo? Mi tornano in mente le parole di Logan: lui potrebbe darmi una vita serena, per lui non dovrei stare in pensiero quando esce al mattino e non dovrei andare in panico se tarda la sera. Logan non dovrebbe uscire con un'arma sempre a portata di mano e a lui potrei chiedere di raccontarmi della sua giornata al lavoro senza essere liquidata con un brusco <<bene>>.
Il mio cervello mi impone di pensare a tutto questo però da quel piccolo organo che si trova più in basso, sulla sinistra, sale una voce che mi ricorda che nonostante tutto, lui non è Louis. Eppure il cuore è più piccolo del cervello; così piccolo eppure così testardo da imporre il proprio volere.
Ci ha raggiunto anche mia madre dopo aver lasciato Scott con una vicina e nonostante sia seduta la mio fianco non sento la sua voce mentre cerca di parlarmi ma io sono persa nel mio mondo. Avverto solo il suo calore e nonostante sia quasi piena estate, quel calore è l'unica cosa che mi impedisce di battere i denti per il freddo.
Dopo poco più di un'ora arriva il medico. Nonostante mostri una certa serietà appaiono evidenti i suoi pregiudizi nei confronti di Louis e della sua famiglia, di noi. Chissà di quanti ragazzi si sarà dovuto occupare; chissà quanti ne avrà visti ridotti nelle stesse condizioni di Louis o peggio. Non c'è bisogno di chiedersi cosa penserà: che sono solo dei delinquenti e che magari sarebbe meglio che non ce la facessero; che alla nostra società non servono e che magari potrebbero morire al posto di tanti altri innocenti. E' facile giudicare quando non conosci la storia di una persona.
Mi ridesto dai miei pensieri quando il dottore inizia a parlare e ci dice che Louis era in cattive condizioni e che hanno fatto di tutto per bloccare l'emorragia interna e ci sono riusciti. Ha anche un trauma cranico e un polso fratturato e hanno dovuto indurgli il coma per non sottoporre il fisico ad ulteriori sforzi.
"Saranno il suo corpo e la sua volontà a riportarlo da voi, quando sarà pronto". Queste sono le esatte parole che ci ha detto prima di andare via permettendoci di vederlo anche se uno alla volta e per poco tempo.
Per primi sono entrate la madre e le due sorelline: facevano una gran tenerezza a vederle ai due lati del letto mentre ognuna gli stringeva una mano nelle proprie e la madre gli scostava il ciuffo dalla fronte accarezzandolo come se fosse il gioiello più prezioso. Poi sono entrati i suoi amici e man mano che uscivano, uno dopo l'altro, avevano tutti le guance bagnate. Ho preferito che lo vedessero le mie amiche e persino mia madre prima di me.
Buffo ma mi fa più paura ora che quando l'ho visto per la prima volta con quell'aria strafottente e minacciosa. Ora che è indifeso mi fa paura. Alla fine faccio forza sulle gambe e mi sollevo. Mi avvicino alla porta e mi blocco con la mano chiusa intorno al pomello. Una leggera pressione e il mio Louis mi apparirà davanti. Ma non so se sono pronta a vederlo. Anche se tutti fanno finta di nulla, né mi mettono fretta, so di avere tutti i loro sguardi puntati addosso e percepisco persino i singhiozzi di mia madre e le parole di conforto che Rose e Sophie le rivolgono.
Non voglio la loro pietà o la loro compassione perché non sono io che sto male. Non sono io ad essere incosciente in un letto d'ospedale e non sono io ad essere stata tanto idiota da mettere a repentaglio la mia vita per una stupida vendetta. Presa da un'improvvisa rabbia, spalanco la porta e la richiudo alle mie spalle.
Mi poggio con le spalle al muro freddo e lo guardo tenendomi ad una certa distanza. Il suo petto si solleva e si abbassa con regolarità, il viso è rilassato, non ha la fronte corrucciata e non mostra segni di sofferenza. Come vorrei che fosse vero e che non fosse solo un effetto dei medicinali.
I tatuaggi continuano a colorargli la pelle che ora è pallida; i capelli gli contornano il viso ma non c'è traccia di sorriso agli angoli della sua bocca e i suoi occhi color cielo non sono spalancati e pronti ad avvolgermi e farmici specchiare dentro. Mi avvicino, un passo dopo l'altro fino a trovarmi di fronte al suo letto. Noto uno per uno tutti i suoi lividi, invisibili alla distanza a cui mi trovavo prima e avrei voglia di baciarglieli tutti, uno per uno per poter lenire almeno in parte il suo dolore.
Senza rendermene conto, un attimo dopo, sono poggiata al suo corpo, scossa dai singhiozzi. Prego che sentendo il dolore che mi sta provocando si svegli e mi baci la fronte; ma non mi sente. Non pronuncio una parola ma continuo a piangere finché non le guance non sono di nuovo asciutte, nella vana speranza che le mie lacrime si portino via il suo dolore. Ma non cambia molto. E così decido: non lascerò che la mia rabbia prenda il sopravvento ma aspetterò che lui si svegli per urlargliela contro. Voglio dirgli che non merito di star male, che me lo aveva promesso di stare attento, che mi aveva detto che mi avrebbe protetto ma non sapeva che avrebbe dovuto tenermi al sicuro anche da se stesso. Continuo a pensare finché non arrivo alla conclusione che per quanto io lo ami, lui non è la mia persona. E per quanto io lo ami, una volta che si sarà svegliato le nostre strade si separeranno. Mi prenderò cura del nostro amore finché lui non sarà in grado di farlo e poi gli lascerò il nostro ricordo nella speranza che lo aiuti a guarire. Nel frattempo lo terrò per me, affinché mi dia la forza di imparare a rinunciare a lui e acquistare la sicurezza per dirgli quello che avrò deciso.
Passano i giorni ma non cambia nulla: il secondo giorno non ho pianto: ho preso una sedia e mi sono seduta al suo capezzale a guardarlo dormire. Ho represso i miei sentimenti perché non posso crollare proprio ora e mi sono imposta di non provare niente. Il terzo giorno non ho fatto nulla di diverso da quello prima; il quarto un senso di rabbia ha iniziato a pervadermi facendosi spazio dentro di me in modo sempre più prepotente; il quinto giorno sono uscita dalla stanza dopo poco perché ero così arrabbiata con lui che pensavo che avrei iniziato a picchiarlo.
Vedevo tutti gli altri che passavano ore a parlargli, ricordandogli aneddoti divertenti di quando era piccolo o di quando usciva con i suoi amici. Le gemelline avevano riempito la stanza di disegni colorati e la madre continuava a promettergli di preparargli i suoi piatti preferiti. E io me ne stavo in silenzio. In silenzio nel mio dolore.
Al sesto giorno non ce l'ho fatta più e una volta dentro mi sono avvicinata e ho lanciato un urlo che racchiudeva tutto il mio dolore. Nessuno è entrato e di questo sono stata grata.
"Tu. Sei. Un. Grandissimo. Stronzo. Mi hai capito? Sei uno stronzo perché mi hai lasciato sola, mi stai lasciando sola. Hai sempre detto di volermi proteggere e ora dove sei? Sai che mi stai facendo male? Mi hai sempre detto che non me ne avresti fatto eppure eccomi qua, in lacrime per colpa tua. Bravo. Oppure sei qui e non vuoi svegliarti perché sai quello che succederà non appena aprirai gli occhi? Riesci ancora a leggermi dentro e hai capito che non appena tornerai da me ti allontanerò? Si, hai capito bene, ti lascio perché sei stato un irresponsabile e perché ti sei messo in pericolo e soprattutto ti lascio prima che lo faccia tu perché non posso sopportare di perdere anche te!"
Gli stringo le dita nella speranza che ricambi e crollo sul suo petto per alcuni minuti finché non decido di uscire. E' stato tutto inutile. Anche questo. Tutto inutile come sempre, penso.
E poi succede l'impossibile: una leggera stretta intorno alle mie dita e due parole: "Non... lasc..iarmi"
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