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Di perseveranza e successi.

"Il successo è amare la vita e osare viverla."
~Maya Angelou
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La capacità di dubitare è da sempre la più grande fonte di conoscenza dell'uomo. L'essere umano, infatti, diventa capace di scoprire il mondo attorno a sé soltanto nel momento in cui si pone le domande giuste. Il progresso è una conseguenza del dubbio: la curiosità porta allo studio, lo studio allo sviluppo di nuove teorie.

Se i grandi filosofi e i grandi scienziati non si fossero interrogati sull'esistenza del tutto, le leggi fisiche e le teorie filosofiche non esisterebbero. L'umanità vivrebbe nell'ignoranza della totalità: in nulla sarebbe differenziata dagli animali, a quel punto.

Simone era un uomo di scienza. Le domande se l'era sempre fatte ed aveva sempre perseverato cercando le risposte, talvolta peccando di testardaggine. Qualcuno, il cui nome è severamente vietato pronunciare, lo aveva sempre rimproverato per questa sua caratteristica: tuttavia, Simone si era reso ben presto conto che non sarebbe stato l'ultimo a criticarlo per la sua determinazione.

Gli anni erano passati, e l'adolescenza era per Simone un semplice arco di tempo passato, una tappa importante per la sua crescita ma oramai conclusa. Assieme a quegli anni era volato via anche il suo migliore amico, il suo primo amore, il suo primo cuore spezzato.

Il triennio era stato, specialmente per Simone, un infinito giro sulle montagne russe. Alti e bassi si erano susseguiti, ma mai era stata superata quella linea di confine che Manuel aveva posto tra loro: e Simone se l'era fatto andare bene.

Si erano separati da amici, gradualmente, senza rancore. Simone aveva certamente contribuito molto a questo allontanamento; il bisogno incessante di spegnere il suo cuore per un po' gli aveva fatto credere che allontanarsi sarebbe stata la scelta giusta.

E forse, per la prima volta, non aveva commesso un errore con Manuel. Il distacco dal suo primo amore era stato doloroso, ma necessario. Per fortuna, gli impegni con l'università avevano giocato a suo favore.

Ora come ora, Simone era felice. Non poteva essere altro che felice.

Tale felicità si mischiava, poi, all'incessante impulso di sbattere in faccia il suo successo a chiunque avesse osato giudicarlo per la sua tendenza al dubbio e alla risoluzione dei problemi impossibili. Il suo primo pensiero andò al professor Morelli: immaginando la sua rassegnazione nello scoprire che si era sbagliato su di lui e sulla sua 'stupida, giovanile determinazione', Simone non stava più nella pelle.

"Merda." affermò con tono misto tra il soddisfatto e l'incredulo mentre si accertava che tutti i calcoli sul foglio quadrassero. "Merda. L'ho risolto."

In quel pomeriggio di Maggio, i colori divennero più nitidi agli occhi di Simone. Portandosi le mani dietro la nuca, si stese all'indietro, sfidando pericolosamente i limiti dello schienale della sua sedia. Guardò fuori dalla finestra, al cielo, che era così azzurro da far paura al mare.

Era così chiaro, proprio come i calcoli nella sua testa.

Merda.

L'euforia dominò il suo petto. La consapevolezza di avercela fatta dopo tanti rischi, dopo tanto lavoro, dopo tanto tempo e specialmente dopo tante critiche.

Scattò in piedi.

"Marco! Vieni qua!" chiamò in preda alla gioia, il cuore forte nel petto, la mente annebbiata da una marea di numeri che finalmente insieme avevano un senso.

Una figura apparve sull'uscio della porta aperta, le braccia incrociate e un sopracciglio alzato.

"Simò, tutto ok?" domandò Marco.

Simone regalò al suo migliore amico un sorriso a trentadue denti. "Marco, ce l'ho fatta," disse con voce leggermente spezzata dall'entusiasmo, afferrando il quaderno aperto sul tavolo. "lo capisci? Ce l'ho fatta. L'ho risolto, Marco."

Le labbra di Marco si divisero. Le sopracciglia castane scattarono in alto e lo sguardo si sgranò, producendo sul suo volto un'espressione di puro stupore. Il ragazzo si slanciò poi verso di lui, strappandogli il foglio dalle mani per osservare il suo capolavoro.

"Simò me stai a pija per culo?" domandò con il tono di chi già sapeva che la risposta sarebbe stata negativa, ma poneva la domanda per sicurezza.

Simone scosse la testa, il suo sorriso, semmai, ancora più brillante. "No Marco, guarda qua. Quadra tutto." E così dicendo dicendo si sporse in avanti per osservare meglio il suo elaborato e indicare con un dito tutti i passaggi.

Gli occhi di Marco scrutarono la carta, attenti e meravigliati; ci mise circa un minuto per convincersi dell'esistenza di ciò che teneva in mano.

"Merda." disse, imitando la reazione di Simone, che nel frattempo scoppiò in una risata sull'orlo dell'isterismo. "Che cazzo ti ridi Simò? Ma ti rendi conto di quello che hai fatto? Non è divertente! È...è ammirevole, sicuramente sconcertante, ma non divertente!"

Ma Simone non smetteva di ridere. Era quello il piano che la sua mente aveva escogitato per difendersi da quell'ondata di emozioni che lo aveva travolto nel momento in cui aveva capito di aver raggiunto il suo obiettivo.

"Simò, ma te sei impazzito per caso?"

"No fratè, sei te che non riesci a comprendere la mia genialità!" Simone lo disse scherzando, ma lo sguardo di Marco, dapprima divertito, si fece d'un tratto serio.

"Me sa che a sto punto te devo da' ragione." si morse un labbro, pensoso.

Il suono della risata di Simone si affievolì fino a scomparire, ma le sue labbra rimasero incurvate. "Ma che stai a dì, ja, n'è niente de che."

"Niente de che?" rimarcò Marco, il verde nei suoi occhi sconvolto. "Simò, ma te stai a rende conto de che cazzo hai fatto, si? Porca troia, non ce so riusciti i più grandi geni...Simò, porca troia!"

E così urlando, gli gettò un braccio intorno al collo.

Simone si lasciò cullare da quell'abbraccio, gli occhi bagnati da lacrime di felicità. Marco era stata l'unica persona a supportarlo in quel suo folle progetto, e se ce l'aveva fatta, era sopratutto grazie al suo supporto.

Quante volte gli era stato suggerito—specialmente dal professor Morelli—di lasciar perdere. Quante volte gli avevano ripetuto che stava rischiando tutto per nulla, che non avrebbe concluso niente, che non era in grado di fare ciò che si era già prestabilito.

Ma Simone era riuscito a non curarsi di quelle voci. L'unica voce che aveva ascoltato era stata quella di Marco, entusiasta e intelligente quanto lui, che lo aveva spronato, che aveva creduto in lui, che aveva coperto con le sue risate i rimproveri di chi non ci credeva.

Marco, il suo migliore amico dal primo anno di università, quando lo aveva incontrato per caso alla facoltà di fisica. Marco, quel moro dallo sguardo di fuoco e l'atteggiamento altrettanto focoso che gli aveva ricordato sin da subito la sua persona. Marco, che gli era stato sempre affianco.

Marco, che si differenziava da Manuel solo per un piccolo particolare: il tipo di amore provato da Simone nei suoi confronti.

L'amore che Simone provava per Marco era puramente platonico. Era stato quel sentimento a fargli finalmente capire e apprezzare l'intensità dell'amore che aveva provato per Manuel; due emozioni talmente diverse, eppure ugualmente forti.

Con Marco aveva capito il valore dell'amicizia. Aveva imparato che il supporto reciproco e la volontà di venirsi incontro era, in ogni caso, la soluzione a ogni problema. Aveva imparato ad amare in maniera diversa, ma altrettanto meravigliosa.

Simone non avrebbe mai potuto ringraziarlo per essere stato presente nella sua vita. Senza la sua presenza, probabilmente, non avrebbe mai osato così tanto; e di conseguenza, non sarebbe mai arrivato al traguardo che ora stringeva tra le mani sotto forma di foglio di carta.

L'abbraccio durò qualche secondo, ma racchiuse anni di promesse fatte e mantenute. La promessa di starsi accanto. La promessa di esserci sempre, anche nel momento del fallimento.

"Devi anda' da Morelli, mo'," gli ordinò Marco, tenendo gli occhi fissi nei suoi e una mano sulla sua spalle. "glielo devi sbatte in faccia e lo devi fa sentì na merda, hai capito?"

Simone annuì, visibilmente d'accordo. "Contaci."

"Bene," disse Marco indietreggiando. "allora chiamo Vanessa e Laura, così quando torni festeggiamo, ok?"

Il più alto si passò una mano tra i capelli, tentando di frenare l'entusiasmo nel sapere che di lì a poco anche la sua migliore amica e la ragazza della sul migliore amico avrebbero saputo del suo successo.

Era così felice che sentiva il cuore scoppiare.

Ce l'ho fatta, continuò a ripetersi, un mantra ormai fisso nella sua testa, che gli serviva a curare le ferite che gli erano state causate dai bugiardi in quegli ultimi mesi.

"Ce l'ho fatta." si lasciò sfuggire. Fu un sussurro appena percettibile, ma Marco lo captò e gli sorrise.

"Non avevo dubbi."

***

Simone teneva la testa alta mentre Morelli studiava l'inchiostro sul suo quaderno. I minuti passavano, l'orologio ticchettava sul muro, Simone deglutiva ogni venti secondi e quel foglio sembrava non provocare alcuna reazione in Morelli.

Simone si arrese al suo destino.

Forse aveva sbagliato qualcosa. Forse aveva esultato troppo presto. Forse aveva seguito troppo la freccia termodinamica, arrendendosi al caos e al disordine dell'universo, senza contare che avrebbe potuto errare in qualcosa.

Forse non ce l'aveva fatta davvero.

Questi pensieri lo tormentarono per i seguenti cinque minuti. Simone tratteneva il respiro, ripercorrendo nella sua testa serie di numeri e lettere greche che ormai aveva imparato a memoria. Forse si era sopravvalutato.

L'espressione di Morelli inflessibile, annoiata. La penna che teneva tra le mani picchiava sul tavolo ogni tanto, facendo sobbalzare Simone. Non c'era assolutamente nulla nel suo viso che dimostrasse un po' di sorpresa.

Simone sospirò e prese a mordersi le labbra per prepararsi psicologicamente ad essere buttato nuovamente giù da quel mostro.

Poi, però, qualcosa cambiò.

Una nuova luce si accese negli occhi dell'insegnante. Luce che irradiava una tale sorpresa che Simone si sentì quasi acciecato.
Improvvisamente, i battiti si fecero prepotenti nel suo petto.

Morelli sollevò lo sguardo, impregnato di un'idea che Simone, in tutta la sua genialità, non riusciva a captare. Era impressionante, come quel ragazzo riuscisse a comprendere infinite e complesse combinazioni di numeri, ma poi si perdesse nel capire cosa passasse per la mente a chi aveva davanti.

C'era da dirlo, nei rapporti interpersonali, Simone faceva pietà.

La schiena del suo professore ricadde sullo schienale della sedia in pelle, mentre da dietro le lenti i suoi occhi si perdevano nei pensieri.

Simone aspettò che parlasse; non che potesse fare altro, comunque.

"Simone," il suo nome venne pronunciato inaspettatamente. Quel nome non era mai uscito dalle labbra dell'insegnante, che lo aveva sempre chiamato per cognome. A Simone, per un attimo, si gelò il sangue.

I suoi occhi incontrarono quelli di Morelli, e Simone tenne lo sguardo fisso su di lui. In momenti come questo, solitamente, guerreggiavano tra loro quattro paia d'occhi intelligenti e testardi. Nessuno di loro due si arrendeva mai, durante questi conflitti; in questo, erano uguali.

Forse era per questo che Simone non andava d'accordo con l'uomo dall'altro lato del tavolo.

Tuttavia, qualcosa era diverso negli occhi dell'uomo. Una nuova emozione era balenata in quelle iridi di petrolio; a Simone fecero quasi paura. Nonostante ciò, sostenne il suo sguardo.

"glielo devo confessare, sono profondamente e felicemente colpito." continuò l'uomo.

Il cervello di Simone, già completamente sconvolto da numeri, emozioni e pensieri, fece fatica a processare quelle parole, che sicuramente non si aspettava di udire rivolte a lui. Il ragazzo alzò entrambe le sopracciglia, incapace di contenersi.

"Davvero?" l'incredulità nella sua voce era inconfondibile. Del resto, Morelli era il primo ad aver cercato di fermare quel suo folle progetto.

Con sua grande sorpresa, il volto del professore si aprì in un enorme, brillante sorriso.

"Quando, nel bel mezzo degli studi per il dottorato, mi ha detto che avresti voluto approfondire quest'equazione, ho pensato fosse una follia—e questo, ovviamente, lo sa già. Avevo capito che eri un ragazzo in gamba, e con tanto potenziale, ma ritenevo comunque che questa tua idea ti avrebbe rovinato la carriera. Io sono consapevole del fatto che tu creda che ti odi—ma, per quanto possa suonare assurdo, devi credermi, lo stavo facendo per il tuo bene."

Simone gli rispose con uno sguardo corrucciato e gli occhi interrogativi.

Morelli annuì, comprensivo, e riprese a parlare.

"Credevo che avresti iniziato a trascurare lo studio per via di questa tua curiosità—cosa che hai fatto, tra l'altro, non pensare che non l'abbia notato. Non volevo bruciassi tanto talento per qualcosa che nessuno era riuscito a risolvere, ma tu continuavi a seguire quella linea di pensiero imperterrito e io non sapevo che fare. Volevo buttarti giù per evitare che fossi tu stesso a farlo—non una delle mie più brillanti idee, lo ammetto," così dicendo, scrollò le spalle. "ma nonostante questo, ora non posso dirmi altro che contento che tu non abbia abbandonato i tuoi propositi, Simone. Quello che hai fatto, quello che hai risolto—è semplicemente sensazionale. Mi hai lasciato senza parole, complimenti."

Simone si sentì investito da quelle parole, pronunciate con tanto riguardo che quasi si disgustò per tutto l'odio che aveva provato nei confronti del suo maestro. Un nodo gli si formò in gola, le lacrime minacciose nei suoi occhi velati.

Simone strinse gli occhi per asciugarle. Poi, con voce leggermente rauca per l'emozione, parlò.

"Io...io la ringrazio." riuscì a dire soltanto.

Morelli ridacchiò e si tolse gli occhiali, sporgendosi verso di lui. "Non ringraziare me, Simone—ringrazia te stesso, il tuo cervello e la tua perseveranza. Ricordati che sei stato tu a fare questo, non io, non la comunità scientifica, tu. Con la tua testa, consapevole dei rischi. Congratulazioni, Simone—a mio modesto parere, sei una delle menti più geniali che sia mai passata qui."

Simone voleva urlare. Voleva piangere, ridere, saltare, o addirittura abbracciare il professore.

Voleva stringere quella felicità che finalmente aveva raggiunto, e lo aveva fatto da solo.

"Prima mi sottovalutava—ora mi sta sopravvalutando, professore." scrollò le spalle il ragazzo.

L'uomo scosse la testa. "Simone, io conosco perfettamente le abilità dello studente che ho davanti. Tu sei, a dir poco, straordinario, e il fatto che tu non te ne renda conto in questo momento ti rende ancora più tale. Io, di fronte a un caso del genere, posso fare solo una cosa—supportarti come avrei dovuto già fare molti mesi fa."

Simone non disse nulla, limitandosi a deglutire e ad ascoltare attentamente. Iniziò a sentirsi leggermente agitato: il suo futuro, in quel momento, sembrava splendere talmente tanto da far paura. Sapeva che, una volta uscito da quell'ufficio, tutto sarebbe cambiato.

E il cambiamento, per quanto positivo, spaventava sempre tutti, almeno un po'.

"Voglio organizzare una conferenza, la settimana prossima," Morelli ruppe nuovamente il silenzio creatosi nell'ufficio. "per darti modo di illustrare le tue scoperte e i tuoi studi. E voglio invitare persone particolarmente importanti a quest'evento, perché quest'equazione, come probabilmente sai già, potrebbe rivoluzionare il mondo della scienza. Ci siamo intesi?"

Simone lo guardò da sotto le sopracciglia e annuì. "Mi dica data e orario—e ci sarò."

"Certo che ci sarai," confermò l'uomo portandosi gli occhiali al naso. "sei consapevole che questa conferenza potrebbe cambiarti la vita, vero?"

"Certo." rispose di getto, le labbra tremanti.

"Molto bene, allora ci rivedremo la settimana prossima," disse l'insegnante alzandosi, sfoggiando il suo completo formale, la giacca beige e la camicia bianca con il colletto. Simone allungò la mano in segno di educazione, ma gliela strinse con tale intensità che poteva comunicare solo gratitudine. "e ancora complimenti, Simone. Complimenti per aver osato rischiare e per aver ottenuto questo ottimo risultato."

Detto questo, l'uomo tornò a sedersi, mentre Simone si voltava per uscire dalla stanza.

Le parole di Morelli gli ruotarono in testa per un po' mentre attraversava gli infiniti corridoi dell'università. In particolare, l'ultima frase lo perseguitò per tutto il tragitto, addentrandosi nei meandri più segreti del suo cervello.

Complimenti per aver osato rischiare.

L'osare. Un verbo, un sostantivo. Una parola così affascinante, ma allo stesso tempo incredibilmente pericolosa. Una parola che suggeriva il rischio, che profumava di cadute, ma preannunciava voli eterni.

Osare, forse la parola preferita di Simone, che in vita sua aveva sempre rischiato tutto, anche il cuore. Aveva osato baciare Manuel. Aveva osato amarlo. Aveva osato persino dirglielo.

Aveva osato aggrapparsi alla speranza, che con quella sua debolezza non era riuscita a salvarlo da quella spiacevole caduta.

Ferite su ferite aveva dovuto ricucire. Ma almeno, non aveva avuto rimpianti.

Gli tornò alla mente una conversazione risalente a nove anni prima, tenutasi in quella che una volta fu la quarta B. Ricordava ancora la spiegazione di suo padre in maniera del tutto nitida, parola dopo parola.

Ricordava tutti gli interventi fatti, gli scambi fatti, le parole non dette, le parole che non sarebbero dovute essere dette.

Forse se la ricordava, quella lezione, perché gli aveva insegnato la vita. Perché gli aveva insegnato a lottare, a rischiare, ad amare.
Perché l'amore va prima di tutto dimostrato. Altrimenti, se taciuto, non è amore, ma rimane solamente futile, inutile ammirazione.

E Simone aveva amato troppo per limitarsi ad ammirare.

-Nove anni prima-

"Quello che sto cercando di dirvi, è che nella vita niente è concesso senza un prezzo. Bisogna combattere, ragazzi, per la felicità—e soprattutto, bisogna avere il coraggio di osare farlo, mi capite?"

La classe annuì, stregata, come d'abitudine, dai discorsi di Dante Balestra.

Simone, con gli occhi socchiusi e la soglia di attenzione particolarmente alta, seguiva interessato. Quel giorno suo padre non stava trattando un filosofo in particolare: stava trattando la filosofia. E la filosofia trattava la vita.

"Molto bene," le labbra di Dante si incurvarono in un sorriso radioso. "ora però, voglio sapere cosa ne pensate voi. Per esempio—Giulio, tu che ne pensi?"

Giulio, che aveva l'aria completamente spaesata, tentò di abbozzare una risposta soddisfacente.

"Secondo me, sinceramente, è meglio non mettersi in pericolo. Sembra tutta una favola detta così, quella del rischiare—poi però, nella realtà può essere uno schifo."

Dante annuì poco convinto mentre un'altra voce riempiva la stanza.

"Secondo me non è vero," sentenziò Luna. "è come stare a casa quando hai la completa libertà di prendere un aereo e partire, pure se ci sono tutte le probabilità che cada—se non osi mai, poi ti perdi la vita."

Simone la guardò incuriosito. Sorprendentemente, era d'accordo con lei. Lui che aveva sfidato la morte, si era reso conto forse troppo tardi che la vita non fa sconti. O vivi, o esisti.

E Simone non voleva limitarsi a esistere, non in un mondo così pieno di bellezza. Lui voleva vivere, voleva osare.

Lo doveva anche a Jacopo.

"Secondo me è na cazzata."

Eccola lì, la voce che aveva temuto di più di sentire. Quel canto di sirene, tanto bello da udire quanto letale da seguire. La voce per cui avrebbe fatto di tutto, anche rinunciare alla vita che tanto amava, perché ormai quella voce l'amava più di se stesso.

La voce per cui avrebbe osato non osare.

Tutti gli occhi si voltarono verso Manuel, esclusi quelli di Simone, che, scoprendosi non d'accordo con l'amico, non era riuscì a guardarlo in viso.

"Come mai pensi questo, Manuel?" chiese Dante con tono tranquillo.

Manuel sbuffò silenziosamente. "Ma perché uno dovrebbe rischia quando va tutto bene? Solo n'pazzo lo farebbe—perché rovinare quell'equilibrio?"

Simone si scoprì poco stupito. Chissà perché, qualcosa gli aveva suggerito che quello sarebbe stato il pensiero di Manuel riguardo quell'argomento, pensiero che lui assolutamente non condivideva.

Dante chiuse gli occhi e fece un respiro profondo. Poi l'ombra di quel suo abituale sorriso tornò a riflettersi sul suo volto.

"Perché la felicità non sta nell'equilibrio, Manuel. La felicità viene dopo il rischio."

"C'è chi il rischio non lo supera, però," ribattè Manuel, convinto. "c'è pure chi ci rimane secco, professò. Prenda, che ne so, Icaro—quer deficiente che c'ha guadagnato pe osa? S'è bruciato le ali, è caduto, ed è bello che morto. Glielo dico io che c'ha guadagnato—niente."

Simone aspettò con ansia la risposta del padre. Aveva disperatamente bisogno di una spinta in più, qualcosa che lo convincesse sul serio a fare ciò che voleva fare senza più timori.

La spinta arrivò, e fu talmente forte da mandarlo in tilt.

"Un attimo di felicità prima della caduta, ecco cosa ci ha guadagnato. E allora io ti chiedo, Manuel—preferiresti vivere miserabile per sempre, o morire sapendo di essere stato felice anche solo per un istante?"

Che scelta di merda che erano costretti a compiere, gli umani. Ma era così, la vita era una bastarda. Un secondo di felicità aveva un prezzo, e bisognava essere disposti a osare pagarlo.

Quel pomeriggio, Simone confessò a Manuel che lo amava.

Quanto dolore per un rischio.

Quanta felicità per assaggiare la libertà di amare.

***

Simone si morse un labbro e sorrise.

Un'idea gli offuscò la mente mentre si metteva al volante.

***
*Spazio autrice*

Beh, questa è la mia prima storia a capitoli (che tra l'altro, non saranno molti, ma vabbè), quindi abbiate un po' di pietà. Mi sono tenuta vaga riguardo i successi di Simone perché di fisica non capisco assolutamente nulla, ma simobale genietto della fisica è un'altra delle mie trope preferite quindi fatevelo andare bene, vi amo.

Vabbè, a parte questo, spero la storia possa interessarvi. Buona lettura.❤️

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