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Di parole invertite e navi da crociera.

"E poi così, il tuo ritorno, eclissi in un qualsiasi mezzogiorno."
~Francesco Gabbani
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Simone si diresse a grandi falcate verso il corso di meccanica quantistica, una coppa di starbucks stretta in una mano come se quel caffè fosse la sua unica fonte di energia. Non che fosse errata come osservazione, comunque. Era abbastanza consapevole delle sfumature viola sotto i suoi occhi e degli sbadigli ripetuti che non riusciva a trattenere in aula, ma non ci poteva fare molto se non dormiva la notte. Non era colpa sua.

Sentì il mormorio provenire dalle diverse aule, e si accorse di essere nel corridoio giusto. In poco tempo si trovò di fronte a un enorme porta bianca che aveva visto circa un migliaio di volte negli ultimi due mesi e la superò, incamminandosi alla cieca verso il suo posto.

I suoi movimenti erano meccanici, dettati dall'abitudine. Non c'era niente di Simone in quella stanza; tutta quell'energia che lo accendeva, l'aveva lasciata in Italia.

Forse per questo non era riuscito a fare amicizia. Si era chiuso completamente in sé stesso, trovando rifugio tra le curve di un numero e le infinite possibilità indicate da una lettera greca.

Parlava solo se interpellato, spesso a monosillabi; gli era sempre piaciuto di più ascoltare, con le parole non ci sapeva fare. E poi aveva la scusa di non essere madrelingua, anche se l'inglese, con cui era cresciuto, non era il vero problema.

Il vero problema era che gli ultimi due anni gli erano paesi un sogno, ed ora che si era svegliato, doveva fare i conti con la realtà. Ciò che rendeva tutto molto peggio era l'inganno dei suoi stessi sensi; ormai confondeva momenti immaginati con momenti accaduti realmente come sale sciolto in acqua. Flussi di pensieri confusi scorrevano nella sua testa, ma non riusciva a dare forma a nulla, se non a un paio di equazioni ed occhi scuri.

Dio, era proprio impazzito.

Si mise a sedere e aprì il computer mentre la stanza si riempiva. L'eco si fece sempre più forte e riecheggiò felicemente tra quelle mura, rinfacciando a Simone la presenza d'animo e la forza di volontà che lui non possedeva.

Ben presto, le voci si spensero, segnalando l'arrivo della professoressa in classe.
Quella quiete, tutta via, non era dovuta al timore di un viso severo; erano i lineamenti morbidi e gli occhi vispi di Ms.Evans a suscitare rispetto nel corpo studentesco.

Era una donna a dir poco squisita. Ordinata e solare, perennemente composta, spruzzava naturalezza e vita da tutti i pori. Persino i suoi boccoli rossi erano suggestivi riguardo il suo carattere: una personalità poco rettilinea, sbarazzina e decisamente romantica.

Simone l'aveva adorata fin da subito.

Spiegata da lei, quella materia già affascinante di suo diventava ancora più interessante. Parlava delle stelle come fossero sue amiche, e nel suo tono c'era devozione per la materia di cui spiegava la composizione. Era a dir poco magnetica: una vera forza della natura.

Si chiude la porta del suo ufficio —che si, era situato dentro l'aula—alle spalle e , sfoggiando un sorriso raggiante da dietro gli occhiali porpora, fece la stessa cosa con il portone di ingresso all'aula.

"Goodmorning, everyone." salutò, mite, e la classe non poté far altro che ricambiare quel calore. Anche Simone le sorrise, sentendosi moralmente in dovere di farlo per una creatura così angelica.

Li informò che quel giorno avrebbero ripreso il discorso sulle fluttuazioni quantistiche avviato durante la lezione precedente, e tutti si dimostrarono stupidamente entusiasti, come se quell'argomento non fosse parte del programma.

Con l'accento marcato ma chiaro, e il tono squillante, Ms.Evans si lanciò nei meandri più oscuri dello spazio, accompagnata da una presentazione sul maxi-schermo.

Simone seguì la lezione con sincero interesse, contento di sapere che alla fine avrebbe dovuto studiare poco, visto che aveva la tendenza ad acquisire tutte le nozioni in classe quando c'era di mezzo Ms.Evans. Era quello il vero talento dell'insegnante: imprimere le informazioni nel cervello senza affaticarlo e aiutarlo a comprendere senza rendergli tale comprensione sgradevole.

Era un lavoro che solo a poche persone riusciva. Per fortuna, Ms.Evans, con la sua materia tanto complessa, era una di quelle.

Sentendo parlare di universo, si perse un po' tra le pieghe di quest'ultimo. Era rapito dal discorso dell'insegnante; nella sua testa apparivano sequenze di immagini vivide ad ogni parola, a cui riusciva ad associare un evento, un fenomeno o un'equazione.

Che materia meravigliosa. Che professoressa meravigliosa, che università meravigliosa, che città meravigliosa.

Eppure, a New York mancava ancora il sole.

Simone quasi si diede uno schiaffo fisico, e si costrinse a tornare con la testa in aula. Quelli erano gli unici momenti che gli fornivano un vero pretesto per distrarsi: non poteva smarrirsi tra i fili dei ricordi anche lì.

Scosse la testa, come se il movimento fisico potesse scacciare i pensieri, e tornò ad ascoltare i toni soavi che colmavano la stanza vuota di altre voci.
Gli uccelli cantavano fuori, tra gli alberi, e la luce filtrava dal vetro. Forse non andava tutto così male.

La lezione terminò dopo un'ora, ma a Simone parvero passati cinque minuti. Sarebbe stato ad ascoltare Ms.Evans per ore: la sua radiosità, la sua capacità di gestire le parole e modellarle come voleva, la passione che ci metteva in tutto quello che faceva, erano la cosa più vicina a Manuel che aveva lì.

Forse era per questo che era tanto affezionato a lei.

Simone raccolse le sue cose e iniziò a scendere le scale per andarsene, ma una voce lo trattenne all'uscio.

"Simone?" lo chiamò Ms.Evans, la voce mielosa.

Sentendosi interpellato, si voltò, riservandole un sorriso caloroso che venne subito ricambiato.

"Yes?" la interrogò con lo sguardo.

"Can you wait here a minute? I want to show you something since I know of your passion for my subject, but I keep it in the physics laboratory and I need to get there to take it. If you want to, it'll be only a minute, and I promise it'll be worth it."

Le sue labbra si schiusero teneramente e Simone, divorato dalla curiosità, non riuscì a dirle di no. Fremeva al pensiero di aggiungere qualcos'altro alla lista delle sue conoscenze, di approfondire il funzionamento dell'universo e le leggi del tempo. E in quel momento, era estremamente grato alla professoressa per avergli offerto tale possibilità.

Che poi, passione smisurata per la fisica a parte, a Ms.Evans non le avrebbe detto mai di no comunque.

"Of course I want to!" esclamò, gli occhi che brillavano come quelli di un bambino alla vista del gelato, la cadenza italiana marcata in maniera imbarazzante. "Don't worry, keep me for all the time you want—I'll wait for you here."

Qualcosa ombreggiò il viso di lei per un attimo, scurendolo in una smorfia di qualcosa che assomigliava vagamente all'esasperazione. Simone le offrì uno sguardo interrogativo, che fu subito incontrato da un paio di occhi accoglienti, il momento di tempesta ormai passato.

"Actually," riprese lei la parola, un angolo della bocca più curvato rispetto all'altro, quasi maliziosamente. "you can wait in my office. And check the desk—you might find something you want to know there, too."

Simone si sentì confuso, ma non gli venne dato ulteriore tempo per porre domande. Ms. Evans volò via, lasciandolo lì, solo e perplesso.

Fece spallucce e decise di seguire quello che gli era parso quasi un ordine. Serrò le dita intorno alla maniglia della porta di quel benedetto ufficio, e con poca fatica la aprì.

La vivacità del luogo e dei colori diede di nuovo un po' di colore a quel mondo opaco in cui Simone aveva vissuto per tanto tempo. Sembrava esserci Ms.Evans ovunque, in quella stanza.

Tuttavia, non si prese tempo per guardarsi attorno, piuttosto concentrato sulla scrivania di cui gli aveva parlato l'insegnante.
Fallendo miseramente la sua battaglia contro la sua curiosità, si avvicinò cautamente, come se la donna avesse piazzato una bomba nascosta tra quelle gambe; cosa, tra l'altro, altamente improbabile.

Quando fu abbastanza vicino, poté scorgere un post-it colorato appiccicato ad un quaderno rosso. Ma quella stanza era dannatamente grande, e dovette avvicinarsi di più per leggere bene le lettere tracciate sulla carta.

"amoR ti seguirà sempre."

Simone inarcò un sopracciglio, il respiro improvvisamente irregolare. La sua testa faticava a comprendere; il suo inconscio, come sempre, era un passo avanti.

Prese il foglietto in mano e se lo rigirò tra le dita, come se quel movimento potesse cambiare qualcosa. I suoi occhi indugiarono sulle lettere, tremarono per le domande che il suo cervello si stava ponendo.

Perché quel bigliettino era scritto in italiano? Cosa voleva dire? Che razza di scherzo era? La professoressa di fisica aveva forse intenzione di schernirlo con la sua nazionalità?

Simone non riusciva a darsi altre spiegazioni.
Iniziò a esternare tutto il suo stupore in bisbìgli.

"Ma che ca—"

"La prima parola devi leggerla al contrario."

Quando si voltò, Simone pensò che il caffè di quella mattina fosse stato drogato. Non c'era alcun altra spiegazione alla visione mistica che stava avendo: Manuel, la pelle ambrata accarezzata dal sole, le braccia conserte e le spalle appoggiate al muro in tutta la sua finta arroganza.

I suoi occhi impiegarono qualche istante a mettere a fuoco i contorni del suo viso per via del troppo stupore. Nel frattempo, il suo cuore aveva perso almeno cento battiti.

Qualsiasi cosa tentò di dire, gli morì in bocca.

"Che c'è? Te sei incantato?"

Era così dannatamente Manuel. Poteva essere produzione solo della sua testa? Sembrava così incantevole, in effetti. Eppure, Simone era certo di essersi svegliato quella mattina.

"Io..." balbettò incerto, prima di riabbassare lo sguardo e seguire il consiglio che Manuel aveva esternato precedentemente, facendolo quasi morire di infarto.

Rivisitò l'inchiostro sul post it, stavolta rileggendolo nell'altra maniera.

"Roma ti seguirà sempre."

Simone, temporaneamente ubriaco di Manuel, all'inizio non capì.

Poi si.

"Tu sei completamente folle." fu l'unica cosa che riuscì a dire, prima che le lacrime divenissero troppo pesanti per i suoi occhi.

Manuel gli regalò un sorriso a trentadue denti che illuminò addirittura gli ultimi due mesi passati al buio. Il ragazzo si staccò dal muro, fece ricadere le braccia sui fianchi, e con passo svelto si avvicinò a lui.

Con un movimento delicato, raccolse una lacrima che gli rigava la guancia. Simone rabbrivì, e si fece coccolare dal tono dolce di Manuel.

"Non so folle io. Sei te che me rendi pazzo." disse.

Simone aprì gli occhi.

"Me spieghi che cazzo veniva fai a New York?"

Il biondo lo scrutò, sicuro.

"C'avevo voglia de vederte."

Poi scrollò le spalle, come se quel loro incontro fosse una cosa abituale. Manuel era così: capace di rendere tutto naturale, trasformare il disagio in conforto, l'incertezza in certezza.

"Cristo santo," sussurrò Simone. "mo me devi spiega come cazzo hai organizzato sta cosa, allora."

Manuel scoppiò in una risata divertita, e quella melodia riempì il vuoto nello stomaco di Simone.

"Diciamo che ar segretario interessavo particolarmente, tanto che m'ha fornito nome e orari tuoi in un batter d'occhio," spiegò, il tono sinuoso, mentre gli accarezzava uno zigomo. Cristo. "e a professoressa tua? N'tesoro, la devono fa santa. Io che non so appiccica due parole sensate insieme d'inglese, e lei m'ha capito lo stesso, incredibile. Vabbè, comunque, tra na cosa e l'artra, è venuto pure fuori che è n'inguaribile romantica—e quinni ha deciso che se m'aiutava non moriva nessuno, ma che se n'o faceva forse ce rimanevo io. N'angelo sceso n'terra Simò, non sto a scherza'."

Simone incassò quella valanga di informazioni come se fosse terra colpita da macerie. Gli appariva tutto così surreale; ma Manuel era lì, lo stava toccando come se un angelo inviato a resuscitarlo, e della furia che aveva visto nei suoi occhi l'ultima volta non c'era più traccia.

Adesso, qualcosa di nuovo era scritto tra le righe delle sue iridi, e assomigliava tanto alla voglia di provarci.

"Io...io non so che dire." confessò Simone, trovando improvvisamente il pavimento interessante.

La verità era che un po' si vergognava. Era completamente sparito dalla vita del più grande, ridotto in cenere, polverizzato. Si era fatto stringere dalla rabbia, dal gelo, dal dolore di un'ala spezzata.

Non si era neanche per un attimo soffermato su cosa potesse aver provato Manuel, al solo pensiero di averlo lontano da lui. Era stato egoista: non aveva neanche tentato di capire perché Manuel non lo volesse a New York, ma ora che ci aveva provato sul serio, si stava rendendo conto di quanta sofferenza gli avesse causato.

Aveva guardato solo al futuro, lasciandosi indietro la cosa più importante: il presente.
E questo, con tutte le ferite che aveva causato a Manuel, non se lo sarebbe mai perdonato.

"Non devi dì niente, se non voij." la voce di Manuel tremò leggermente, così come il pollice che ancora gli accarezzava la guancia. Simone percepì la sua insicurezza, e si sgridò mentalmente.

"Me dispiace," riuscì a dire poi, ignorando il nodo in gola. "avrei dovuto dirtelo. T'avrei dovuto parla, t'avrei dovuto almeno saluta', anzi, sarei dovuto resta'—"

"No." lo interruppe Manuel, duro. "Questa è l'occasione della tua vita. Non potevi perdertela per me, che poi l'hai detto tu—è la cosa più bella che t'è capitata."

Celata all'orecchio ma non al cuore, c'era angoscia in quelle parole.
Un fuoco nuovo si accese nell'abisso scuro delle iridi di Simone, e quella nuova luce, per un attimo, si rifletté sul viso di Manuel.

"Sei tu la cosa più bella che mi sia capitata nella vita," si affrettò a smentire Simone, senza esitazione. Vide le lacrime pungere gli occhi del più grande, e sorrise prendigli il viso con una mano per costringerlo a guardarlo. "e so stato n'deficiente a buttare tutto al cesso. Me ne so reso conto troppo tardi, ma te giuro Manuel, so stato na merda sti due mesi senza di te. C'avevo tutto, ma non c'avevo niente—niente aveva senso senza di te, lo capisci? C'avevamo qualcosa de bello, e io l'ho distrutto. Mi dispiace."

Stava per scoppiare a piangere. Una parte di sé lo voleva; voleva tirar fuori tutto quello che si era tenuto dentro, cadere tra le braccia di Manuel, farsi sussurrare che tutto andava bene.

Non si meritava nemmeno quello. Per questo, ricacciò via le lacrime, distogliendo l'attenzione dalla tanta bellezza che lo stava sovrastando.

Manuel lo scrutò e con il palmo gli spostò il viso, costringendolo a mischiare nuovamente i loro occhi.

Che quando lo facevano, si mischiavano pure l'anima.

"Te n'hai distrutto niente, so stato io er coglione," scosse la testa il biondo, genuinamente convinto di ciò che stava dicendo. "c'avevi ragione tu, non volevo che venissi a New York. Se m'avessi chiesto n'parere avrei fatto l'egoista e t'avrei tenuto a Roma, privandoti de tutto questo. Te c'avevi er diritto de sentirti in quel modo—io no. Però questo non vor di che è tutto rovinato."

Le labbra di Simone si schiusero.
Manuel era lì. Era lì per lui. Aveva preso un volo, il volo, ed aveva attraversato l'oceano per lui. Aveva smosso chissà quali mari e quali monti per trovarlo, e aveva fatto tutto per loro.

Ci mise poco a rimettere insieme i pezzi del puzzle.
Manuel era lì per un motivo ben preciso; e Simone fremeva all'idea di venirne a conoscenza, anche se in fondo, già sapeva di cosa si trattava. Gli era bastata la delicatezza di Manuel sulla sua pelle per capire tutto.

"Che n'tendi dì?" chiede Simone, il tono carico di emozione.

"Che sti due mesi senza te so stati infernali," gli rispose l'altro. "che me svegliavo ogni giorno sperando de sentì armeno il suono della tua voce, passavo le ore a fissa il telefono inutilmente perché sapevo che tanto non c'avevo er diritto de sentirlo. Che a' vita mia è diventata buia perché te sei portato tutta la mia luce co te, ma er sole splende in tutto il mondo prima o poi, e io posso aspetta che torni. Sto a dì che posso sopporta' pure gli uragani se me prometti che m'amerai, pure a un continente de distanza. Sto a dì che ce voglio prova pure se sarà difficile, perché c'o meritiamo entrambi, e—"

Manuel non riuscì mai a terminare quel suo infinito monologo.

Ci aveva sempre saputo fare con le parole, aveva sempre avuto la capacità di incantare Simone, ma  le parole a volte non erano neanche lontanamente paragonabili al silenzioso piacere che provocava il tocco di un paio di labbra.

Erano le loro bocche incastrate insieme perfettamente, che facevano sentire Simone completo.

Si baciarono come sempre, come se fosse la prima volta. Ogni nuovo bacio era un nuovo universo da scoprire, un nuovo pezzo di loro stessi condiviso con l'altro, una nuova certezza in quell'album di incertezze.

Ogni bacio era un tatuaggio, un pezzo della loro storia insieme.

Anzi, se fosse stato possibile, se li sarebbero fatti entrambi tatuare i loro baci, così da portarseli sempre con loro. Specialmente in quel momento, con la consapevolezza che avrebbero potuto baciarsi solo con il pensiero per un arco di tempo ancora lungo.

Ma non importava, in fondo. I baci, l'amore, il potere di un tocco, erano solo grandezze infinite in un tempo limitato.

"Ce voglio prova anche io." fiatò Simone non appena si staccarono, serio, determinato. Aveva ancora gli occhi chiusi.

Sentì Manuel arricciare il naso, e capì che il volto del ragazzo si era aperto in un sorriso. Per avere la possibilità di ammirarlo, si fece forza e aprì gli occhi, incontrando il lago ambrato in quelli dell'altro.

"Però devo ave la certezza che m'amerai lo stesso." gli sussurrò all'orecchio, ma stavolta il suo tono era quello di chi stava per ottenere esattamente ciò che voleva.

Simone rabbrividì.

"Te lo giuro." lo rassicurò, ricalcando le lettere una per una, come se fosse la cosa più importante che avesse mai detto.

Manuel scosse la testa. "No Simò, le parole non me bastano. Me servono i fatti."

"Tutto quello che vuoi." Simone era ipnotizzato. Avrebbe rubato le stelle al cielo per lui.

Il più grande si lasciò scappare una risatina divertita, per poi scostarsi leggermente, gettando una secchiata di panico temporaneo su Simone.
Il ragazzo, tranquillo, non se ne curò, e sentendo bruciare gli occhi del corvino sulla pelle, tirò fuori qualcosa dalla tasca.

Simone abbassò lo sguardo per capire di cosa si trattasse, e le sue pupille coprirono le iridi colorate nel momento in cui Manuel aprì la scatolina in pelle che reggeva in mano.

Uno scintillio gli colpì gli occhi, e Simone non fu propriamente sicuro se si trattasse del piccolo diamante, del sole di Maggio, o semplicemente delle sue lacrime.

Sinceramente, non gli interessava nemmeno.

"Sposami, Simò." l'ordine gli vibrò nel petto come le corde di un pianoforte. "Sposami, l'anno, prossimo, quando torni. Promettimelo."

Simone lasciò che una singola lacrima gli rigasse il viso. Era una lacrima diversa da quelle che aveva piano in quegli ultimi mesi: era una lacrima di felicità.

Incontrò l'amore in Manuel, si ricordò che il ragazzo irradiava tutto quello che gli serviva per essere felice.

Non esitò neanche un secondo a fornirgli una risposta.

"Te lo prometto."

***

Un anno dopo—

Simone sentì la testa di Manuel muoversi sul suo petto, e abbassò lo sguardo per incontrare il suo.
Gli occhi erano schiariti nella notte dalla luce che filtrava dalla finestra della cabina; i contorni del suo viso erano scolpiti nell'ombra, le labbra morbide nelle tenebre.

Dio, è bellissimo, pensò Simone, ne è valsa davvero la pena.

Manuel gli offrì quel suo sorriso caldo e accogliente, quello che era riservato solo a lui.

I loro corpi nudi intrecciati sotto le lenzuola, l'amore nell'aria, la calma dell'oceano, il silenzio del nulla assoluto. A Simone sembrò di essere stato scaraventato dritto in paradiso.

Sorrise di rimando, gli occhi grandi quanto il cuore.

Manuel prese a disegnare cerchi su uno dei suoi pettorali, il calore scottante delle sue dita in contrasto con la freschezza della fede d'argento. Simone sentì una serie di brividi percorrere i muscoli del suo corpo mentre la voce di suo marito frantumava il silenzio.

"C'andiamo a fa un bagno?"

La proposta di Manuel arrivò seria al suo orecchio, e Simone scoppiò a ridere.

Era notte fonda, le cabine erano chiuse, tutti stavano dormendo. La sola idea di uscire e raggiungere la piscina di bordo gli sembrava folle.

Scosse la testa, divertito. "Stai scherzando?"

Ma Manuel non scherzava—lo aveva capito dal tono iniziale. Conosceva già la risposta alla sua domanda.

"No Simò, dai," e così dicendo, lasciò che il gelo gli invadesse il petto mentre si alzava con movimenti furtivi. "alzati e cerca er costume. Namo a fa un bagno."

Il biondo neanche aspettò una risposta. Completamente nudo, si aggirò per la piccola cabina, alla ricerca di un costume da bagno in tutto quel disordine che avevano creato.
Simone roteò gli occhi, immobile.

Sapeva che questo sua fermezza nel non eseguire l'ordine avrebbe infastidito Manuel, e non vedeva l'ora di intraprendere questo dibattito con lui.

Non che non fosse d'accordo: l'idea di osservare l'oceano notturno cullato dall'acqua di una piscina e dal calore del corpo di Manuel gli sembrava terribilmente romantica.

Tuttavia, Simone viveva della possibilità di irritare l'altro. Gli piaceva studiare le pieghe della sua fronte quando assumeva un'espressione corrucciata. Gli piaceva quando arricciava il naso, quando alzava gli occhi al cielo, quando assumeva quel tono da so-tutto-io che solo un laureato in filosofia che credeva di sapere tutto sul mondo poteva assumere.

Gli piaceva specialmente quella dinamica che c'era tra loro, quando si prendevano in giro ma si sorridevano come ebeti.

Gli piaceva, insomma, la sua vita con Manuel. Una vita tutta da vivere, da scoprire, proprio come l'oceano sotto di loro.

Nel vederlo fermo nella sua posizione, Manuel gli lanciò un'occhiata esasperata.

"Jammi Simò, non fa lo stronzo." esordì mentre si infilava il costume. Ma Simone era troppo impegnato a divorare con gli occhi la curva della sua schiena per accorgersi che stesse parlando.

A Manuel il dettaglio non sfuggì, e ghignò malizioso.

"Se mo non te alzi e non te metti er costume, giuro che ce vado da solo e te lascio qui." lo minacciò.

Simone, captando la minaccia velata, sbuffò, non realmente infastidito, e si mise alla ricerca dell'unico costume da bagno che si era portato dietro.

"Manco i quindicenni." borbottò infilando una mano in valigia, sorridendo sotto i baffi al sentir crescere l'irritazione del più grande

Manuel lo guardò indispettito. "Madonna Simò, pari mi nonno. Semo in luna de miele—e goditi n'po' la vita."

Simone sghignazzò, sapendo di aver centrato il bersaglio perfettamente, ma non rispose e continuò a spostare i panni nel trolley. Manuel lo aspettò con ansia.

Passarono i venti minuti seguenti a percorrere i corridoi spogli di vita, con un accappatoio addosso, cercando di non svegliare nessuno e sperando che altre coppie non avessero avuto la loro stessa idea.

Alla fine, quando giunsero alla piscina, la trovarono fortunatamente vuota come i corridoio. Manuel, ovviamente, sentì il bisogno di tuffarsi, con il rischio di svegliare metà dei passeggeri con il suo incontro con l'acqua; Simone, il più pacato dei due, si limitò a utilizzare la scaletta.

L'acqua era leggermente rinfrescata dalla brezza notturna, e il corvino tremò al contatto con essa. Manuel lo percepì subito, e si lanciò a soccorrerlo, cingendogli i fianchi e spingendolo verso il bordo.

Il freddo improvvisamente svanì, rimpiazzato dal fiato caldo di Manuel sul collo.

Simone gli prese il viso con una mano, accarezzando con movimenti lenti il suo zigomo destro. Un angolo della sua bocca si curvò all'insù quando vide Manuel abbassare le palpebre, cullato da quei movimenti.

"Lo sai che forse non è stata cattiva idea?" gli sussurrò sulle labbra, prima di baciarlo.

Quando si staccarono, Manuel era illuminato dalla luna e dal sorriso.

Per un attimo, interruppe il contatto visivo. Lo fece per guardarsi intorno; si voltò senza lasciargli mai i fianchi, prima verso il mare, poi verso il cielo.

"Ce potrei scrive na poesia su sto momento." esordì.

Una risata piacevole vibrò nel petto di Simone.
"Ammazza oh, filosofo e pure poeta. N'è che sto a parla cor prossimo Dante Alighieri?" lo schernì.

Manuel, con la battuta sempre pronta, non esitò a ribattere. "Statte zitto Albert Einstein."

Poi lo baciò, e il cielo parve collassare sotto la potenza della loro unione, più forte di prima, più forte del tempo, più forte di sempre.

"Ti amo." gli sussurrò Simone sulle labbra, quando le divisero per poter riprendere fiato.

Manuel indugiò; non era la prima volta che se lo dicevano, e non sarebbe stata l'ultima. Ma quella volta, quelle due parole avevano un sapore diverso. Sapevano di poesia.

Doveva dirle bene.

"Ti amo anch'io."

E si fiondò nuovamente su di lui.

Il sole non faceva più così paura, se si aveva la certezza di cadere insieme.

Al chiaro di luna, quattro paio di ali brillavano.

Facevano invidia persino a lei.

***

*Spazio autrice*

Ed eccoci qui, siamo alla fine. Io non so davvero come ringraziarvi per il supporto che mi avete dato tutti, non soltanto durante la stesura di questa storia, ma da quando ho iniziato a scrivere. Non avrei mai pensato che qualcosa di mio sarebbe potuto piacere; eppure eccomi qui, a ringraziarvi tutti quanti per i vostri commenti pieni di belle parole.

Mi viene da piangere, spero che questa ff vi sia piaciuta e non abbia deluso le aspettative, perché ci ho messo un po' a riordinare le idee per scriverla—dunque spero di non aver combinato un disastro.

Vabbè, discorsi dolci a parte, grazie per aver seguito la storia.

Vi voglio bene, alla prossima.❤️

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