Di oceani e ali spezzate.
"Certi amori non finiscono, fanno dei giri immensi e poi ritornano, amori indivisibili, indissolubili, inseparabili."
~Antonello Venditti
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Simone affondò la testa nel cuscino, il collo dolorante, gli occhi arrossati e il rimbombo di un clacson nei timpani.
Per la centesima volta da quando era arrivato maledisse New York, con tutto il suo caos notturno che della gradevolezza di quello romano non aveva nulla, e i suoi colori spenti dalle luci degli alti grattacieli che nascondevano il cielo sotto tetti grigi.
Sentì un flebile raggio di sole accarezzargli le palpebre, probabilmente filtrato dalle tende che aveva usato per coprire i due enormi vetri che facevano da pareti nella sua stanza. La luce lo informò ufficialmente della sua insonnia, più che svegliarlo.
Non aveva chiuso occhio.
Facendo un respiro profondo si passò una mano tra i capelli disordinati, per poi incontrare la chiarezza della stanza che era tanto in contrasto con il buio nella sua espressione. Allungò un braccio nudo verso il comodino per controllare l'ora: le 6:23.
La sveglia non sarebbe suonata prima delle 7:30.
Simone spinse in gola uno sbuffo e si mise a sedere. Studiò la camera, come ogni dannata mattina; che poi neanche sapeva perché la studiava ogni giorno visto che da due mesi era sempre la stessa. Forse era la costantemente delusa speranza di non trovarla vuota che lo spingeva a farlo. Forse era soltanto una semplice, nuova abitudine.
Non importava comunque. Il gelo al suo fianco, nel letto, lo sentiva anche senza aprire gli occhi.
Decise di alzarsi; non avrebbe comunque dormito. Tanto valeva utilizzare quel tempo in maniera produttiva, magari studiando.
Facendo riferimento a questo nuovo proposito, Simone scostò una tenda e lasciò che il calore del sole d'Aprile lo investisse totalmente. La giornata prometteva bene; l'alba sembrava pulita da tutte le nuvole grigie.
Le nuvole, di quei tempi, sembravano essersi tutte rifugiate nel cuore di Simone, scatenando tempeste di lacrime ogni singola notte.
I vuoti non esistono in natura, la fisica lo dice. Sono sempre riempiti da qualcosa.
E il vuoto di quell'assenza era riempito dalla pioggia.
Mentre si voltava per dirigersi alla cabina armadio e tirare fuori una tuta comoda da indossare, gli occhi di Simone si posarono involontariamente sul suo cellulare.
La tentazione era lì, c'era sempre. Gli solleticava la punta delle dita ogni volta che lo prendeva in mano, anche per questo il suo tempo di utilizzo era spaventosamente diminuito.
Nonostante il forte impulso, tuttavia, non aveva mai chiamato.
Non sentiva la sua voce da due mesi, e Simone avrebbe di gran lunga preferito diventare sordo, piuttosto che avere le orecchie sempre piene di note confuse che non corrispondevano mai all'unica melodia che avrebbe voluto ascoltare.
Che poi, a chi importava se quel brano gli trapassava il petto come una lama? A chi importava se era estremamente egoista, e lo rendeva fragile come una lastra di vetro fine?
New York gli aveva dato tutto quello che voleva nella vita e anche di più. New York era stata la sua vera possibilità di volo. Eppure Simone si sentiva come una farfalla con un'ala spezzata, e quell'ala spezzata portava un nome. Quell'ala spezzata faceva male.
Forse sarebbe stato meglio cadere, piuttosto che volare in quel modo. Incessantemente a pezzi.
Per questo la voglia di farsi riparare lo seguiva come un'ombra, specialmente nelle ore più buie, quando le ombre dominavano il paesaggio. Ma Simone non cedeva mai a quel diabolico suggerimento della vocina nella sua testa.
E, suo malgrado, non cedette neanche quella mattina.
Distolse lo sguardo da quell'inutile aggeggio, che ai suoi occhi era ormai soltanto una decorazione in contrasto con il legno bianco dei suoi mobili. Attraversò la stanza e passò oltre, senza guardarsi indietro.
Dall'altra parte del mondo, nelle tenebre, un ventottenne ricciolino stringeva stretto il suo cellulare, fissando un nome in rubrica.
Erano le 12:29 della notte.
Sapeva già che non sarebbe riuscito a dormire.
E sapeva anche che nessuno dei due avrebbe premuto quel pulsante.
***
—Due mesi prima—
Simone ingoiò la saliva a fatica; il nodo alla gola ostruiva il passaggio.
Manuel era in piedi davanti a lui, la schiena leggermente china, le nocche bianche per la presa sul bordo del tavolo, e spostava gli occhi furiosi dal suo portatile spalancato al suo viso.
Nella stanza regnava un silenzio glaciale.
I pensieri si rincorrevano scomposti nella testa di Simone, che sembrava cosparsa di mine sul punto di esplodere. Il panico regnava sovrano dal trono nel suo petto mentre l'ansia gestiva il suo sistema nervoso, facendogli tremare le mani.
Oltre quello, il suo corpo sembrava non reagire all'imponente presenza di Manuel.
Simone tentò di calmare il suo respiro, la cui regolarità era stata turbata dalla consapevolezza di essere stato colto con le mani nella marmellata. Per un attimo, tentò di convincersi che forse non era quello il motivo per cui Manuel sembrava trasudare fuoco.
Gli bastò incontrare lo sguardo dell'altro, tuttavia, per capire che non era così; quella loro complicità, un giorno, sarebbe stata la loro più grande condanna.
La giornata di Simone era stata particolarmente stancante, e aveva passato tutto il tempo ad aspettare il momento in cui avrebbe potuto riposarsi nell'abbraccio di Manuel. Aveva voluto vederlo, prima; ora, invece, voleva solo scappare lontano e aspettare che quella tsunami si abbassasse da sola.
Ma purtroppo era troppo vicino per scappare.
"C'hai qualcosa da dirme, per caso, Simò?" il tono di Manuel era così piatto da far scendere un brivido di paura lungo la schiena di Simone.
La sua rabbia non era rosso fuoco come sempre; stavolta era nera. E ciò era maledettamente spaventoso.
Nonostante questo, Simone riuscì a rispondere in maniera controllata, neanche una stonatura nella sua voce. Si lodò da solo, per questo.
"Che ci fai col mio computer, Manuel?" domandò stupidamente, in un disperato tentativo di spostare la colpa sull'altro.
Manuel non si scompose.
"Il mio me lo so dimenticato l'artro giorno da Marco e Vanessa," rispose. "perciò ho dovuto prende il tuo pe' invia n'email. Allora Simò? C'hai quarcosa da dirme?"
Simone si fece piccolo sotto quegli occhi taglienti. Quell'appartamento, da due anni a questa parte, era stata la sua più grande fonte di conforto; un posto da condividere con l'amore della sua vita.
Ora che la temperatura era scesa di almeno dieci gradi, però, quel posto non gli sembrava più tanto accogliente.
Si sentiva con le spalle al muro. Nessuna via d'uscita, solo la cupa verità.
"Non ho ancora deciso, ecco perché non te l'ho detto." disse, andando dritto al punto.
Manuel scoppiò in una risata isterica, che fece impallidire Simone. Era abituato alla melodia del sole, non allo scricchiolare del ghiaccio perenne.
"E quando avevi intenzione de dirmelo, eh?" il marrone nelle iridi di Manuel si iniettò di sangue. "Er giorno prima de partì pe' l'annetto de vacanza a New York?"
"Manuel, per favore, calmati. Parliamone, civilmente." lo supplicò Simone.
Semmai, quelle parole contribuirono soltanto ad alimentare il motore di rabbia nello stomaco di Manuel, la cui voce tuonò nella di nuovo nella quiete della stanza.
"Ah, me devo calma' Simò? Te decidi de prende decisioni da solo su na cosa del genere e me chiedi se calmarme?"
Simone sentì l'irritazione aggrottargli la fronte.
"E co chi l'avrei dovuta prende sta decisione? Co' te?"
Manuel lo fissò, l'espressione determinata di chi crede gli sia dovuto tutto.
"Si." sibilò
Stavolta fu il turno di Simone di ridere; la risata era amara nella sua bocca.
"Spero tu stia scherzando," sputò. "me offrono de finì gli studi pe' il dottorato in una delle più prestigiose università degli USA, se non del mondo, e dovrei chiede pareri a te?"
"M'o stai seriamente a chiede? Certo che sì, perché purtroppo non so se t'o ricordi Simò, so o' stronzo con cui condividi la casa!"
Simone sentì le tempie pulsare.
"Ah quindi è questo er problema? C'hai paura che non riesci a paga le bollette?" sapeva che era un colpo basso, e che non era assolutamente il motivo per cui Manuel era furioso, ma la rabbia era ingestibile e aveva la necessità di liberarsi di tutto il veleno sulla sua lingua.
Vide il viso di Manuel contorcersi in una smorfia di puro furore. Gli occhi brillavano di fulmini.
"Si Simò, sai che c'è? So le bollette er problema! Sai che possiamo fa? Me mandi n'po' di soldi a fine mese come o' stipendio e m'aiuti a mantene la casa da New York. Te garba come idea?" schernì il più grande.
"Questo è esattamente il motivo per cui non ti ho chiesto un parere!" ruggì allora Simone.
La rabbia di Manuel fu velata per un momento dalla confusione. "Cioè?"
Simone scosse la testa, il sangue che gli ribolliva nelle vene, il cuore che pulsava forte. Per la prima volta da quando si era riunito a Manuel, vide le fondamenta del castello di certezze che avevano attentamente costruito in due anni di relazione vacillare.
Aveva creduto che Manuel lo avrebbe supportato sempre. Aveva fatto di lui la colonna portante della sua vita, lo aveva sempre ritenuto il suo più grande punto di riferimento.
Aveva commesso l'errore di credere che lo avrebbe sempre accompagnato, anche quando il tempo non sarebbe stato più generoso con loro, anche quando i tornadi avrebbero provato a separarli.
Un tempo, aveva persino creduto che Manuel avrebbe fatto di tutto per lui. Evidentemente si sbagliava.
"Tu non vuoi che io vada a New York." sussurrò, aspro.
Manuel si irrigidì.
"Non ho detto questo."
"Ma lo pensi." confermò Simone.
Per un istante, tutto tacque. L'unico rumore nella sala sembrava essere quello dei pensieri dei due ragazzi.
Febbraio, a Roma, non era mai stato così gelido.
"Certo se te ne vai non è che me metto a fa i salti de gioia," borbottò infine Manuel. "ma se te ne voij anda, vai. Che me frega a me?"
Se Simone fosse stato più calmo, avrebbe lasciato correre; lo conosceva abbastanza da sapere che con la finta indifferenza, Manuel alzava semplicemente le sue difese.
Tuttavia, le parole di Manuel gli avevano scavato un buco nel petto e gli avevano strappato il cuore, e Simone sentiva il disturbante bisogno di rendergli il favore.
"Allora direi che ce semo detti tutto."
La testa di Manuel, che aveva poco prima abbassato lo sguardo, scattò verso di lui, gli occhi sbiaditi dalla stanchezza.
Tremava.
"Simò, ma stai a fa serio?" gli chiese con un fil di voce, il timore insinuato sotto la pelle.
Simone fece spallucce, le pupille cieche, le iridi macchiate di rosso. "È la cosa più bella che me potesse capita in vita mia." disse soltanto.
Manuel deglutì qualcosa che somigliava spaventosamente alle lacrime. Sembrò essere arrivato a una conclusione che non aveva neanche lontanamente previsto. Come se avesse creduto in qualcosa da sempre, e quel qualcosa si fosse rivelato inesistente.
Lo guardò per un attimo, vuoto.
Ma il vuoto non esiste, e presto si riempì di nuovo di rabbia.
"Se è così non c'abbiamo più niente da dirce," gli comunicò, freddo. "puoi pure prenderte la tua roba e andartene. Non me ne frega un cazzo."
Quella stessa sera, mentre Manuel lo dimenticava in un bar, Simone preparò la valigia in lacrime, rispose all'email e prenotò un volo di sola andata per la grande Mela.
La mattina dopo non era in casa.
Due settimane più tardi, Manuel venne a sapere che era stato da Laura per un po', in modo tale da poter organizzare al meglio la sua vita nell'altro continente e trovare un posto decente in cui vivere. Poi era partito, e Manuel non lo aveva più visto, né sentito.
Di lui, non aveva lasciato niente, se non quella vecchia, orribile felpa color senape che Manuel aveva ritrovato tra i panni sporchi il giorno dopo.
***
Gli occhi di Manuel si perdevano tra le righe della pagina mentre la sua mente falliva nel dare un senso logico alla filosofia di cui quell'inchiostro parlava. L'emicrania premeva arroganza dietro i suoi occhi, e il ragazzo li chiuse istintivamente per strofinarseli.
Aveva decisamente bisogno di una pausa.
Esalando un respiro di rassegnazione, Manuel si alzò e s'incamminò verso la cucina, bisognoso di un caffè nero come quella giornata. Si chiese se a New York ci fosse il sole, poi si schiaffeggiò mentalmente. Erano le cinque del pomeriggio , e nella Grande Mela era già sera inoltrata.
In più, si era ripromesso di non pensare più a quanto il suo cielo fosse diverso da quello sotto cui viveva Simone.
Con l'umore annebbiato, osservò la flebile fiamma che riscaldava la moka. Immaginava che qualsiasi persona esterna avrebbe trovato quella scena angosciante: un uomo solo in una casa infestata dai fantasmi del passato, e il suo caffè per uno.
Si sentì incredibilmente patetico.
Da quando Simone se n'era andato, Manuel era diventato grigio. Il più piccolo aveva succhiato via tutto il colore dal suo carattere, abbandonando una larva, una pagina ingiallita, una ridicola bozza del Manuel che era stato prima.
Simone, con sé, si era portato via il pezzo più bello di Manuel.
Erano stati dei mesi duri. Le prime due settimane si era segregato in casa, rifiutandosi di uscire se non per motivi universitari; e anche quando andava lì, si sentiva smarrito, appassito, perché quelle pareti non facevano altro che ricordargli le dita di Simone intrecciate alle sue e il suo volto fiero di lui.
La terza settimana Vanessa aveva forzato la serratura di casa sua e l'aveva trascinato in un pub insieme a lei, Marco e Laura.
Il cameriere gli aveva lasciato il suo numero sullo scontrino. Manuel lo aveva strappato, e quella notte aveva pianto, memore di una serata in cui era successa la medesima cosa e Simone gli aveva fatto un'adorabile scenata di gelosia.
La quarta settimana si era iniziato a riprendere. Aveva fatto colazione al bar con Vanessa tutte le mattine prima che andassero entrambi a lezione, ed era stato bene. Poi una mattina gli era caduto l'occhio sullo schermo del cellulare di lei, e aveva letto quel nome proibito tra le notifiche.
Aveva rifiutato di vederla per tre giorni.
Il mese successivo, quell'assenza divenne abitudine, un po' come la prima volta. Certo, ora era diverso; perdere qualcosa che hai toccato con mano è molto più doloroso di perdere qualcosa che non hai potuto toccare. Ciononostante, col tempo, aveva fatto i conti con la solitudine, ed erano giunti entrambi a un tacito accordo.
Quello che faceva più male era sapere che Marco, Vanessa e Laura sentivano Simone tutti i giorni. Le loro bocche celavano sempre questa informazione, così come i loro occhi, ma Manuel sapeva.
Sapeva che Simone non poteva vivere senza la sua chiacchierata quotidiana con Marco, anche se al telefono.
Sapeva che lui e Vanessa leggevano gli stessi libri in inglese, per poi discuterne in videochiamata.
Sapeva che Laura sentiva Simone a tutte le ore del giorno e della notte, nonostante il fuso orario, tramite messaggio. Sapeva che si faceva raccontare tutti i dettagli delle sue giornate, perché lo faceva anche prima che andasse a vivere dall'altra parte del mondo.
Quello che sapeva meglio, era che a Simone non importava niente di lui, altrimenti lo avrebbe chiamato.
Quello che non sapeva, era che in una chiacchierata amichevole, un dialogo letterario o un messaggio sentito, spesso spuntava fuori il suo nome. Ma questo, ovviamente, non gli era dato saperlo.
Manuel fu grato di essere stato distratto dal suono del campanello. Inspirando l'odore del caffè appena uscito, se lo versò in una tazzina, e reggendola con una mano andò ad aprire.
Davanti a lui apparvero due figure in contrasto: Marco, in tutta la sua altezza, e Vanessa, poco più bassa di due. Manuel sorrise ai suoi amici mentre assaporava il tepore della sua bevanda.
"Ciao Manuel." Marco ricambiò il sorriso, ma non lo stava guardando in faccia. Il suo sguardo pareva perso in un ricordo, soffermato sul petto di Manuel.
Quest'ultimo inarcò un sopracciglio, chiedendosi se per caso si fosse versato del caffè addosso, visto lo sconcerto nell'espressione di Marco. Abbassò lo sguardo per controllare.
Poi avvampò.
Quel pomeriggio si era sentito particolarmente nostalgico, e, benché mancasse del suo profumo, aveva deciso di indossare la felpa di Simone.
Reduce da anni di convivenza, Marco aveva dovuto riconoscerla.
"Allora?" la voce dolce che si insinuò nel suo imbarazzo, alleviandolo un po', era quella di Vanessa. "Possiamo entrare?"
Manuel scosse la testa e si ricompose.
"Certo—entrate." e così dicendo si spostò per farli passare, chiudendogli la porta alle spalle.
Li accompagnò in sala e li fece accomodare al tavolo, su cui ancora giaceva, inutilizzato quel giorno, il suo libro di antropologia filosofica.
"Ho appena fatto il caffè, voi lo volete?"
Ricevette due cenni negativi con la testa come risposta, perciò decise di prendere posto al tavolo, di fronte alla coppia.
Per un po', passò il tempo a osservarli mentre lo studiavano con gli occhi, come se fosse una cavia da laboratorio.
Sembravano nervosi entrambi, e la cosa innervosiva anche Manuel.
Sbuffò spazientito.
"Allora? Ce sta un motivo per cui state entrambi qui?" il suo tono risultò più brusco del previsto, ma perlomeno spezzò la tensione tra loro.
"Ce stai a caccia'?" lo sfidò Marco, l'ombra di un sorrisino sul suo viso.
"Mo te caccio a calci in culo, Ma'"
"Vogliamo scommette'"
"Vuoi n'occhio nero?"
Vanessa si alzò improvvisamente vagamente indispettita, ma con una scintilla divertita negli occhi. "Quando avete finito con questo teatrino richiamatemi."
E detto ciò fece per andarsene, ma venne fermata
dalla presa ferma della mano di Marco attorno al suo polso. Io e lui ci guardammo, e scoppiammo a ridere.
"E dai, amore, non fa' l'acida e siediti," Vanessa sbuffò e si accasciò sulla sedia, incrociando le braccia. Sulle labbra le aleggiava un piccolo sorriso. "mica lo posso fa da solo, poi, st'annuncio."
Il cuore di Manuel perse un battito e la sua testa il lume della ragione. Migliaia di ipotesi presero forma tra la nebbia, e tutte portavano con loro un nome: Simone, Simone, Simone.
Sentendo campanelli d'allarme accendersi nel suo stomaco, Manuel dovette smorzarsi per non mostrarsi eccessivamente ansioso riguardo tutta la faccenda. Nonostante questo, entrambi i suoi amici sembrarono percepire il suo nervosismo, e gli rivolsero un sorriso rassicurante.
Anzi, Vanessa, più che rassicurante, gli sembrava raggiante. Nel senso del sole vero.
"Che annuncio?" Manuel sperò di averlo detto con voce abbastanza tranquilla, anche se dentro la sua gabbia toracica, il cuore si divertiva a fare capriole.
Vanessa saltellò sulla sedia visibilmente entusiasta, mentre Marco la osservava gioire in tutto il suo splendore. "Aspetta." gli ordinò poi lei, e Manuel non potè far altro che obbedire.
La osservò infilare la mano sinistra nella borsa, e si chiese perché non utilizzasse quella destra se si trovava più vicina all'oggetto.
Inarcò un sopracciglio notando il foglietto in cartoncino che ne venne tirato fuori un secondo dopo.
Marco non smetteva di sorridere.
"Che significa?" li interrogò Manuel, sospettoso. Non aveva la più pallida idea di cosa tutto quello potesse significare.
"Tieni, leggi." rispose vaga Vanessa, facendo scivolare verso di lui il pezzo di carta rosa che teneva tra le dita. Manuel la guardò interrogativa, e lei sporse il mento come segno d'incitamento.
Manuel, curioso, girò il cartoncino e lo lesse.
"Marco e Vanessa
22 Agosto 2032"
C'era scritto solo questo, in oro, con una calligrafia squisitamente corsiva e decorativa.
Gli occhi di Manuel si sgranarono per la comprensione.
Sollevò la testa, incontrando i sorrisi felici dei suoi amici.
Entrambi i loro anulari splendevano.
"Congratulazioni." fu l'unica cosa che riuscì a dire, travolto dalla contentezza e dallo stupore.
I due, furbi, gli riserbarono un ghigno divertito.
"Grazie," annuì Vanessa. "però ci devi dire se vieni."
Se possibile, gli occhi di Manuel si spalancarono ancora di più; ma stavolta, la sua sorpresa era contaminata dall'offerta ricevuta.
"Ao, ma m'o stai a chiede sur serio?" sentenziò, come se la risposta alla sua domanda fosse la più ovvia del mondo. "E certo che vengo!"
A quel punto, Marco rilasciò un finto sospiro di sollievo, eccessivamente esagerato, quasi teatrale.
"Ah e menomale," alzò entrambe le sopracciglia si scambiò uno sguardo complice con la fidanzata. "sennò poi restavo senza n'testimone."
Manuel fece fatica a elaborare quelle ultime parole.
La prima informazione che recepì, fu la sottointesa richiesta di Marco. Lo voleva come testimone.
Gli pizzicarono gli occhi all'idea; certo che ti faccio da testimone, gli comunicarono le sue iridi turbate da quel velo di lacrime.
La seconda informazione che recepì, fu una dura botta in testa. Una doccia bollente, l'odore di fogna, lo scontro con la realtà.
Quella parole profumavano di New York, e a Manuel il cuore pulsava più forte al solo pensiero della città. Ovviamente Simone sarebbe tornato, per il matrimonio del suo migliore amico.
Voleva dire che lo avrebbe rivisto in meno di quattro mesi.
È troppo poco, gli suggerì amaramente il petto dolorante. Quattro mesi non erano niente per fronteggiare l'amore di una vita.
Manuel si sentiva come un soldato impreparato alla battaglia.
"Manuel." fu la voce calma di Vanessa a riportarlo tra di loro. La ragazza lo guardava affranta, come se sapesse esattamente cosa stava passando.
Ma lei non conosceva il peso del gelo dietro la schiena, ogni volta che si svegliava e non c'era Simone a riscaldarla col suo abbraccio. Lei non conosceva la monotonia del mondo, che non cambiava colore da mesi, perché non c'era niente di diverso nell'aria. Non conosceva il disgustoso sapore del tabacco sulla lingua, che non faceva altro che ricordargli la mancanza di quella dell'altro. Non conosceva i suoi demoni, che lo tormentavano e lo tenevano sveglio ad abbracciare felpe vecchie di cinque anni sperando di fiutare un odore ormai sbiadito dal tempo.
Non conosceva l'essenza della vita senza poter amare Simone.
Nessuno la conosceva tranne lui.
"Manuel, guardami."
Vanessa lo richiamò teneramente, vedendolo di nuovo perso nel labirinto del suo cuore infranto.
Manuel spinse un sospiro in gola, e suo malgrado le rispose.
"È tutto ok. Sto bene, so felice che ve sposate, davvero."
Ma Vanessa scosse la testa, per niente convinta.
"Manuel, non devi tenertelo per forza dentro, parlarne non è proibito."
"No, non lo è," concordò Manuel, sconfitto. "ma parlarne lo rende reale. E lo sento già abbastanza dentro le ossa così."
Vide gli occhi di Marco bruciare di compassione, ma il ragazzo non disse nulla. Gli argomenti delicati erano decisamente gestiti meglio da Vanessa.
"Fingere che non lo sia non ti farà stare meglio." lo rimproverò la ragazza, i capelli scuri che le ricadevano sulle spalle, spenti dalla luce grigia che filtrava dalla finestra.
Manuel si lasciò scappare uno sbuffo isterico. "Sto bene."
"Invece no!" squittì lei. "E fingere che non sia successo niente non ti aiuta. Lui non lo fa."
"Beh, non è lui quello che è stato abbandonato!" tuonò Manuel, il respiro affannato, le emozioni dipinte di rosso.
Vanessa sobbalzò, e anche Marco gli sembrò alquanto preoccupato. In quel momento, la ragazza stava pericolosamente giocando con le fiamme che spesso innalzava attorno al suo cuore per difenderlo.
Finora, solo Simone era riuscito a spegnerle.
Nonostante ciò, Manuel tentò di calmarsi; non voleva spaventare i suoi amici con quell'atteggiamento, anche perché non lo meritavano. Sapeva che stavano solo cercando di aiutarlo.
Il viso della ragazza si contrasse, arrivando a produrre un'espressione colma di pura empatia e vicinanza. Per la prima volta a distanza di mesi, Manuel non si sentì solo.
"Manuel, Simone non ti ha abbandonato. Simone se n'è andato perché gli hai detto che non te ne fregava nulla di quello che faceva—o almeno, è quello che ha detto a noi." disse Vanessa, piano.
Manuel la guardò incredulo.
Ah, quinni mo' so io che l'ho cacciato di casa, ringhiò la voce dei pensieri nella sua testa.
Dalla sua bocca, tuttavia, uscirono parole più moderate.
"Mi sembra chiaro non fosse così." mormorò stanco, girandosi i pollici.
Vanessa gli regalò un sorriso amareggiato.
"Noi lo sappiamo, Manuel, ma lui no," riprese a parlare lei. "quando è partito, era incazzato nero. Blaterava un sacco, a stento lo seguivamo—diceva che non volevi vederlo felice, che eri uno stronzo, che ti interessava solo di te stesso. Poi ha iniziato a dirci che in realtà sei tu che gli hai detto che non ti importava. È vero?"
Quel discorso non fu altro se non un'altra spina tra le pieghe del suo petto. Manuel sospirò.
"Lui voleva partire, glielo leggevo negli occhi. Pensavo di rendere le cose più semplici a entrambi, fingendo che non me ne fregasse nulla."
Vanessa lo osservò, il volto fiero per averlo finalmente spinto ad aprirsi con loro. Non disse niente per qualche minuto, come se stesse riflettendo sul giusto da dirsi.
Fu Marco, sorprendentemente, a prende la parola per primo.
"Secondo me quello che avete sbagliato voi due," cominciò. "è che avete visto New York come la fine della vostra relazione, e basta. Non ve siete nemmeno n'attimo soffermati a pensa che forse valeva la pena provarce, anche a quella distanza?"
Manuel scosse la testa.
Certo che ci aveva pensato. Ci aveva pensato tutto il tempo, prima che Simone tornasse a casa il giorno in cui aveva scoperto tutto. Ci aveva riflettuto così tanto da consumare le idee ancor prima di proporle.
Aveva concluso, alla fine, che non avrebbe mai funzionato.
Sarebbe stato troppo rischioso. Uno dei due alla fine avrebbe ceduto, finendo per rovinarsi la vita per l'altro; o peggio, l'amore nel cuore di uno dei due sarebbe svanito, probabilmente quello di Simone, che avrebbe fatto la bella vita.
Non avrebbe mai potuto funzionare, a distanza. Anche se solo per un anno.
L'amore non conosce tempo.
"N'avrebbe mai funzionato," Manuel zittì la sua coscienza esternando il suo primo pensiero. Ci mancava solo lei a rincarargli la dose di sensi di colpa. "Simone avrebbe perso interesse prima o poi. Sarebbe stata na cosa a senso unico."
Sentì lo sguardo di Vanessa pungergli la pelle; gli sembrò di essere tornato tra i banchi di scuola, pronto per essere affogato in un mare di nuove notizie.
Con l'aria di chi sta per smentire una tesi, la ragazza aprì la bocca.
"Ti sei sbagliato, misa, visto che sono due mesi che non vi vedete e che non state insieme e lui ti ama ancora," Manuel ebbe il presentimento che quest'informazione non avrebbe dovuto averla, ma gli scaldò il cuore lo stesso. "quindi fattelo dire, chiaro e conciso per una volta che mi fai parlare: secondo me hai fatto una grande cazzata. E sai perché? Perché l'oceano non consuma l'amore. Ma le persone si, e se non vi sbrigate, sarete voi i vostri carnefici. Riflettici, su questo, Manuel."
E Manuel passerà l'intera settimana a rifletterci.
***
*Spazio autrice*
Ebbene sì, con questi due a quanto pare non si può stare mai tranquilli. E neanche con me, visto che devo infilare angst dappertutto.
Ma non vi preoccupate che mi farò perdonare, promesso.
Comunque, manca un capitolo soltanto alla fine e sono abbastanza nervosa perché voglio scriverlo bene. Voi, intanto, che ne pensate della storia? Vi sta piacendo? Secondo voi come andrà a finire?
Manuel e Simone si ricongiungeranno?
Vi lascio con questo cliffhanger, lo sapete che vi amo.
Al prossimo capitolo. Grazie di tutto, vi voglio bene.❤️
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