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Di musica e sigarette.

"Vivere è la cosa più rara al mondo. La maggior parte della gente esiste, ecco tutto."
~Oscar Wilde
_____________

Manuel si sentì quasi sovrastato dalla grandezza dell'edificio che aveva davanti. Lo studiò con occhi vispi e cuore palpitante, chiedendosi se si sarebbe perso al suo interno.

La parte più ansiosa di lui lo sperava.

Soddisfando il petto implorante d'aria, prese a camminare verso l'entrata della facoltà, i passi piccoli tanto quanto lui rispetto a quell'edificio che copriva il cielo.

Ma il cielo c'era sempre, anche quando non si vedeva. Anche quando era nascosto dalla paura.

Erano le cinque e un quarto del pomeriggio, ma la presenza del sole era così sentita che sembrava mattina. Per Manuel, in un certo senso, lo era; la mattina era il momento delle grandi decisioni, e lui ne stava prendendo una alquanto pericolosa.

Ancora non aveva spiccato il volo: ma stava preparando le ali, con l'aiuto di quella ritrovata speranza che era sempre capace di riaccendere gli incendi in petto. Era già qualcosa.

Una volta superato l'uscio della porta, l'aria cambiò. C'era qualcosa di incredibilmente travolgente nel modo in cui le persone riempivano quel posto, attraversando l'atrio a grandi falcate, alzando e abbassando maniglie, chiacchierando tra di loro di concetti troppo difficili da afferrare per Manuel.

Aveva dimenticato la bellezza dell'università. Quel luogo che pullulava di intelligenza e di impegno, tanto affascinante quanto inadatto per uno che come lui nella vita era stato capace solo di rovinare e rovinarsi. Manuel sentiva di trovarsi in una delle tante, minuscole arterie pulsanti della cultura; pertanto, si sentiva estremamente fuori luogo. Le nozioni che aveva acquisito negli anni precedenti alla disfatta non erano neanche lontanamente comparabili al carico di informazioni di cui profumava quel luogo.

Accantonando qualsiasi pensiero irritante gli suggerisse la sua coscienza riguardo la sua incapacità di accettare una sconfitta, Manuel si guardò intorno. Costatando di non avere la più pallida idea di come muoversi, decise di chiedere aiuto.

"Ehi, scusa," si rivolse a una ragazza dal colorito pallido e gli occhi splendenti d'azzurro che lo stava superando. La ragazza si girò al suono della sua voce, un cipiglio tra le sopracciglia.

"Dici a me?" chiese confusa.

"Si," confermò Manuel. Lei annuì scettica, ma non disse nulla. "te volevo chiede, visto che qua dentro non c'ho mai messo piede, se sai dirmi dove se tiene la conferenza che se fa' oggi—non so se hai capito."

Sul viso della mora affiorò un ghigno divertito. "Vedo che ne sai molto," lo prese in giro. "comunque facciamo che ti ci porto io, che tanto la sto andando e se ci vai da solo fidati che arrivi in ritardo. Sto' posto può esse un labirinto."

Qualche minuto dopo, Manuel si scoprì a darle ragione mentalmente. Quel posto gli sembrava un enorme ragnatela dai mille filamenti, e lui una mosca disperata guidata da un ragno.

Se fosse stato da solo, complice il suo pessimo senso dell'orientamento e la sua nuvoletta personale di sfortuna, si sarebbe sicuramente perso.

Le doveva un grazie.

"T'o devo dì, m'hai salvato la vita." esordì.

Esagerato.

La ragazza ridacchiò. "Addirittura? Mica sto a parla co qualcuno di quei geni che devono partecipa'?"

Manuel scosse la testa, lasciandosi sfuggire un sospiro divertito. "Ma magari. Non c'ho mai capito n'cazzo de fisica, e sinceramente, non me n'è mai fregato niente."

"E allora siamo in due," lo informò lei, velocizzando il passo. Manuel la imitò per non rimanere indietro. "ma allora, se non te ne frega niente, perché sei qui?"

Una domanda lecita e innocente, Manuel suppose.

Eppure, il motivo reale per cui era lì non era chiaro neanche a lui. La sua mente era un groviglio di fili, come se fosse una tasca in cui qualcuno aveva infilato un paio di cuffiette. In quel mucchio di sensazioni e domande, Manuel non riusciva a sciogliere niente.

Perciò dovette buttarsi su una risposta dall'accezione vaga anche per lui.

"Sono qui per un amico." si limitò a dire, sperando bastasse.

A giudicare dall'espressione di lei, che divenne un cumulo di curiosità ed entusiasmo, aveva sbagliato qualcosa.

"Aspetta," esclamò, le gote arrossate in contrasto con la sua chiarezza. "ma sei un amico di Simone?"

E lei che ne sapeva di Simone?

Stai andando a una conferenza di cui sarà il protagonista, gli ricordò, bastarda, la sua coscienza, è ovvio che sa chi è Simone.

Ingoiando la saliva, Manuel optò per un monosillabo. "Si."

"Ah oddio, è strano, non ti conosco." rispose lei pensierosa.

Manuel sentì l'irritazione pizzicargli le labbra. "Perché? Lo conosci?"

"Certo che sì!" si affrettò a dire lei, senza esitazione. Come se fosse una cosa ovvia conoscere Simone Balestra.

Manuel suppose che in quel momento lo era.

"È il migliore amico del mio ragazzo," continuò imperterrita, rinforzando la sua tesi. Manuel non seppe perché, ma l'irritazione sfumò, e ne fu grato. "ma aspetta, sei un amico, o un amico?"

La rabbia improvvisamente tornò, più furiosa di prima, alla sola implicazione di quella parola sottolineata con la voce. Che voleva dire amico? Quale sfumatura avrebbe dovuto attribuire a quell'insieme di consonanti?

Quanti amici aveva Simone, esattamente?

"Un amico e basta." borbottò Manuel, cupo.

Lei sembrò accorgersi del cambiamento nel suo umore, e lo scrutò per un attimo. Un suggerimento velò i suoi occhi. Poi parlò di nuovo.

"Gli amici di Simone sono i miei," sorrise, ma sembrava forzato. Manuel tentò di ricambiare. "quindi piacere, sono Vanessa."

Non allungò la mano per stringergliela, non avevano tempo di fermarsi. Manuel apprezzò lo stesso.

"Manuel," disse lui, il battito sentito nel petto, la mascella serrata. "e il piacere è mio."

Manuel non se ne accorse, troppo preso dal suo confusionario stato d'animo, ma qualcosa si accese in Vanessa a sentire il suo nome. Era realizzazione.

"Manuel...è un bel nome," gli rispose. Un sentito tentativo di allungare la conversazione fino alla fine del tragitto. "e che fai nella vita?"

All'apparenza poteva sembrare una domanda di troppo per una sconosciuta, ma il biondo sentiva il bisogno di calmarsi per non rovinare la giornata a Simone con il risentimento prepotente nel petto, e lei gli stava offrendo la possibilità di distrarsi dalle sue stesse parole.

Il volto di Manuel si contrasse in segno di gratitudine. "Tatuo," rispose. "ho uno studio in centro, insieme a na mia amica."

Vanessa aveva la faccia di chi aveva appena completato un puzzle. Il ragazzo si sforzò di non farci caso.

"Figo," il suo labbro inferiore si sporse in avanti, il movimento involontario simbolo della sua onestà. "io insegno."

"Davvero?" domandò Manuel, genuinamente stupito.

"Si," confermò lei. "inglese, in una scuola superiore. È il lavoro della mia vita—stare vicino ai ragazzi e aiutarli a crescere è la cosa più bella che potevo scegliere di fare."

Manuel si chiese se l'universo si stesse prendendo gioco di lui. Ignorò quella spina che era tornata nuovamente a pungergli il fianco, e si preparò a rispondere.

Per fortuna, però, non ne ebbe tempo. "Eccoci qua." gli comunicò improvvisamente, spegnendo le sue parole sul nascere. Meglio così.

Sentì la stanza ancor prima di vederla. L'eco di migliaia di voci rimbombava in quell'aula spettacolarmente ricca di colori vivaci.
Qualcuno si stava occupando di sistemare i microfoni. Qualcun altro organizzava un mini buffet su una tavolata rivestita di stoffa bianca. Qualcun altro ancora stava prendendo posto.

A Manuel non interessava. Cercò Simone con lo sguardo.

"Eccoli lì." il tono squillante di Vanessa gli arrivò alle orecchie come divino, mentre il suo dito gli indicava due ragazzi della stessa altezza. Uno non lo conosceva, ma era abbastanza certo di averlo tatuato una volta; l'altro così tanto da sentire il suo nervosismo a metri di distanza.

Si lasciò trascinare verso Simone per un braccio, muto. Era troppo impegnato a fissarlo per parlare.

"Simò, t'ho portato un regalo!" esclamò Vanessa attirando l'attenzione dei due ragazzi. Simone le lanciò un'occhiata confusa, e Manuel la vide fargli l'occhiolino. Quando alzò lo sguardo, il corvino sgranò gli occhi.

"Manuel." pronunciò il suo nome come aveva sempre fatto. Nella sua bocca non era mai un caso, non era mai un nome qualsiasi; era carico di emozioni.

Gli fece un cenno con la testa, mantenendo il contatto visivo. "Ciao Simò."

"Manuel! Che ci fai qui?" si intromise l'altro, inconsapevole del contatto che con la sua distrazione stava spezzando. Vanessa lo fulminò con lo sguardo. "Non mi fraintende', eh, è bello vederte è tutto, ma—aspe', conosci a Simone?"

Sembrava un bambino che faceva le divisioni in colonna. La sua fronte aggrottata era quasi buffa agli occhi di Manuel.

"Marco, amore mio," gli si avvicinò Vanessa, che Manuel ringraziò mentalmente. "che ne dici di andare a prendere qualcosa bere prima che inizi la conferenza?"

Marco apparve sufficiente persuaso nel momento in cui il suo petto entrò in contatto con la mano di lei. "Va bene allora," disse. "ce vediamo dopo Simò. Bona fortuna e stai tranquillo che sei più intelligente di noi tutti messi insieme. Ciao Manuel."

E così detto se ne andarono, lasciandoli soli.

L'aria era ferma, eppure il vento sembrava aver arrossato le guance di Simone. Manuel trattenne un sorriso al pensiero di essere il vento.

"Sei venuto." il primo a parlare fu Simone.

Manuel gli regalò un sorriso di scherno. "Non te fa' i film Simò. Passavo de qua e so venuto a da n'occhiata."

Quella piacevole tensione tra loro, a quel punto, sembrava spezzata.

Mentre il volto di Simone si illuminava, Manuel si prese tempo per squadrarlo in quel modo in cui solo lui sapeva fare. Si sentì estremamente a disagio quando si rese conto della sciattezza della camicia nera che portava rispetto al completo munito di giacca e cravatta indossato da Simone; non era mai stato il migliore nel seguire i dress-codes, o forse era Simone che aveva esagerato per l'occasione.

Non che a Manuel dispiacesse. L'outfit gli donava particolarmente; Simone appariva, a primo impatto, come  un principe delle fiabe, incantevole quanto irraggiungibile. Se si spostava l'attenzione sul nero dei suoi occhi, i capelli con vita propria penosamente sistemati e i primi due bottoni della camicia sbottonati, il discorso era diverso.

Simone assomigliava alla sua più grande condanna.

"Allora me sento onorato." una voce bassa si insinuò tra i suoi pensieri, obbligandolo a tornare con la testa nella realtà.

A Manuel venne quasi in mente di maledire chi aveva parlato; poi si ricordò che era Simone, e sorrise.

"Mbè, devi, ma mica pe me," sostenne il più grande. "guardati attorno Simò—guarda quanta gente, sicuro importante."

Con quelle parole, Manuel aveva creduto di rallegrare Simone. Evidentemente si era sbagliato: fu il modo in cui le labbra dell'altro—che non stava assolutamente fissando—presero a tremare che lo fece ricredere.

"Oh Simò, tutto apposto?" domandò preoccupato.

Simone si guardò intorno, evitandolo. "Si si, tutto ok," ma Manuel lo guardava con occhi tanto grandi che Simone non se la sentì di mentirgli. "solo, sono un po' nervoso, tutto qui."

"Eh ho notato," il biondo si morse il labbro. "ma perché? Guarda che è vero che sei il più intelligente della stanza, eh?"

L'ombra di un sorriso sul viso dell'altro fu abbastanza per sollevare di morale anche Manuel.

"Non è questo," rispose Simone. "è che—io non so' bravo co' le parole. C'ho paura che sbaglio qualcosa, non lo so."

"...scusa ma non te sei preparato n'discorso?"

Simone lo guardò colpevole. "Emh, no?"

Dio, è adorabile quando si lecca le labbra in quel modo. Manuel scosse la testa.

"Non ce posso crede," rise Manuel, sbeffeggiandolo. "uno che n'è bravo co e parole manco un discorso se prepara?"

"Oh, non sei d'aiuto!" lo rimproverò il corvino, ma Manuel continuò a ridere, e la sua risata si fece presto contagiosa.

Due adolescenti che ridevano in un garage, due adulti che ridevano in un'aula universitaria a un passo dal cielo. Dov'era la differenza?

Forse il sole che filtrava dalle grandi finestre.

"Comunque, scherzi a parte, non te preoccupa," lo rassicurò Manuel. "tu dì quello che te dice la testa, che tanto è abbastanza bona da non farte fa na figura di merda. Vedi che spacchi i culi."

Simone alzò gli occhi al cielo. "Non devo spacca i culi, Manuel. Devo dimostrare quello che ho fatto."

Il più grande alzò un sopracciglio.

"E ndò sta la differenza?"

Simone sembrava sconsolato, ed era il paesaggio più bello che Manuel avesse mai avuto il privilegio di ammirare. Così tanta forza, così tanta determinazione, così tanta luce in una sola persona. Si domandò come facesse Simone a non scoppiare.

"Guarda, nemmeno ti rispondo." disse Simone.

"Ecco, meglio così. Pensa a quello che devi dì, piuttosto."

Migliaia di farfalle svolazzarono nello stomaco di Manuel, come fosse tornato adolescente. Poi si sorrisero.

Con gli occhi. Col cuore.

***

A fine conferenza, Simone era troppo impegnato a discutere con quelli che Manuel sapeva essere pezzi grossi per dargli attenzione. D'altronde, era stato spettacolare: di quello che aveva detto, Manuel non ci aveva capito nulla, ma se lo sentiva.

Lo sapeva.

Passò un po' di tempo a conversare con Marco e Vanessa, che stavano entrambi aspettando Simone, proprio come lui. A un certo punto si unì a loro anche Laura: Manuel, sinceramente, si era aspettato di trovarla lì.

La mora e il suo ragazzo erano entrambi due persone che esplodevano di fuoco, era evidente. Due personalità carismatiche, con cui Manuel non poteva far altro che andare d'accordo. Si chiese se Laura faticasse a respirare, travolta com'era da tutto quell'ego.

C'era qualcosa, però, che non gli quadrava. Forse era il mondo in cui, ogni tanto, quei tre sembravano complottare con gli occhi.

Decise di non preoccuparsene e godersi invece lo champagne fresco che reggeva in mano.

"Ascoltate tutti!" a un certo punto, un ruggito rauco attirò l'attenzione di tutti. Manuel incontrò tre sguardi colmi di confusione, e tutti e tre decisero di avvicinarsi al punto da cui era provenuto il suono.

Gli apparve un pianoforte davanti. A destra, un po' imbarazzato, stava Simone, e un uomo che Manuel suppose essere un insegnante. "Non ci posso credere." ghignò Marco a bassa voce. Il riccio lo guardò interrogativo, ma non ricevette alcuna risposta alle sue domande.

"Simone è un ragazzo dalle mille risorse, come avete già tutti potuto accertare," continuò l'uomo con gli occhiali, accarezzando la spalla di Simone, che invece sembra essere sul punto di darsi alla fuga. "ma ha un altro talento nascosto, oltre quello per la fisica, o almeno così mi ha detto. Perciò, io ora non posso fare altro che chiedertelo, Simone...ci fai ascoltare qualcosa?"

Se la terra gli si fosse aperta sotto i piedi, Simone l'avrebbe ringraziata.

"Vai Simò!" rincarò la dose d'imbarazzo Marco, guadagnando uno sguardo di fuoco da parte dell'amico.

Manuel, dal canto suo, era troppo impegnato a elaborare l'informazione per parlare; da quando Simone suonava il pianoforte?

"Va bene, dai," sospirò il ragazzo alla fine, prendendo posto davanti al pianoforte mentre il professore, raggiante, lo incoraggiava.

Manuel lo osservò passarsi la lingua sulle labbra e scrocchiarsi le dita mentre prendeva un respiro profondo. Soffermò la sua concentrazione sulle mani sinuose, le dita delicate, così perfette per i tasti di un pianoforte. Trattenne il respiro per tutto il tempo d'attesa, la curiosità bruciante nello stomaco.

Poi Simone iniziò a suonare, e il fuoco sparì.

Qualsiasi mormorio si spense all'accendersi di quella melodia. Il mondo parve ricolorarsi; fu dipinto da quelle combinazioni di note così sentite, così meravigliosamente attente ai dettagli, così reali. Quella stanza divenne d'un tratto lussuosa: la prima testimone di quel miracolo.

Manuel si lascio cullare dalla musica. Simone aveva gli occhi chiusi; era lui la stessa musica che suonava. In quel brano c'era tutto quello che provava: la malinconia di una notte di Marzo, la gioia per un successo, la paura della caduta, la consapevolezza di aver raggiunto il sole. Era tutto lì, sulla punta delle sue dita, e Manuel poteva sentirlo.

Al di là della tecnica, stava lì il talento dell'artista. Nel saper trasmettere emozioni, nell'essere in grado di comunicare pensieri, nel riuscire a far vivere vite.

Simone suonava, ma dipingeva la tela del cuore di Manuel di mille sfumature diverse.

Ma l'amore non muore mai? si ritrovò a chiedersi Manuel, gli occhi che si chiudevano accompagnati da Simone.

La risposta gli fu chiara quando le mani di lui si staccarono dai tasti, e il ragazzo gli sorrise.

Decisamente no.

***

Le ultime sfumature color pesca si mischiarono all'immenso blu di una tipica notte romana, la pace del sole lontana, sostituita dalla straordinaria entropia della Roma notturna.

Simone, con la mente disordinata e il cuore leggero, riuscì a scappare alle grinfie dei più grandi geni d'Italia dopo più di un'ora. Stanco ma felice, rispose al suo bisogno d'aria pulita, e si diresse verso l'uscita.

Dopo aver girato mezza università, finalmente trovò un po' di pace. Guardò gli scalini che conducevano all'ingresso della facoltà, che sembravano chiamarlo come un padrone fa col suo cane. Prese posto sul più alto, si mise comodo, e fece quello che fa chiunque studi l'universo: si mise a osservare lo spazio.

Simone rifletté. Conosceva tutte le stelle, le loro funzioni, le loro reazioni, il loro calore. Eppure la stella più brillante il cielo gliel'aveva nascosta da tempo.
Conosceva i moti dei corpi, sapeva spiegare i loro comportamenti, e riusciva perfino a scriverli sotto forma d'equazione; nonostante ciò, l'unica attrazione che sapeva scrivere su carta, era quella gravitazionale.

Simone non capiva.

Aveva scoperto tante cose, aveva acquisito miriadi di nozioni, aveva studiato il mondo, eppure ancora non capiva. Forse, il funzionamento del cuore umano era un meccanismo troppo complesso perché una mente tanto ragionevole potesse comprenderlo.

Che grande paradosso.

C'era qualcosa, nel petto di ognuno, di incredibilmente spaventoso. I poeti erano tra gli uomini che meglio erano riusciti a spiegarlo; con i loro versi d'amore, su prati fioriti e fiamme eterne, c'erano andati quasi vicini.

Tuttavia, in quel quadro mancava ancora una sfumatura. Simone aveva usato tutti i colori: la gioia, il dolore, il disgusto, l'odio, il vuoto di una mancanza. Le ombre che descrivevano l'amore le aveva provate ad una ad una sulla pelle, e ciononostante, era bastato lo schizzo di un colore sconosciuto a costringerlo a ricominciare tutto da capo.

È incredibilmente pericoloso, che un amore dimenticato possa travolgerti come un'onda solamente per un sorriso. È anche eccezionalmente affascinante; il mare non si accantona, un giorno smetti di andarci e basta.

Poi ci torni, e ti innamori di nuovo.

Simone sospirò e si accese una sigaretta.

Non se lo riusciva a scostare dalle arterie, quel tremore costante. Gli avvelenava il sangue, una cura insidiosa, e gli arrivava dritto al cuore. Tremava di felicità; tanto perfetta quanto facile da perdere.

Questione di un attimo, la felicità. Non era un emozione da sempre.

"Da quand'è che suoni?" fu il brivido nella sua spina dorsale nell'udire tale voce a distrarlo dal cielo. Che tanto, la persona che gli riscaldava il fianco destro, ci assomigliava molto per carattere scostante e imprevedibile.

Gli lanciò un'occhiata, incrociando i suoi occhi. Poi risollevò lo sguardo e si portò la sigaretta alle labbra.

"Tre anni circa. È stato tutto molto veloce—eravamo in vacanza io e Marco, a un certo punto s'è messo a suonare il piano così dal nulla all'aeroporto. Quanno te dico che m'ha incantato, so sincero. Gli ho chiesto de insegnarme, m'ha dato lezioni, ed ecco qua il risultato."

Manuel annuì pensieroso. "Ha fatto bene. Sei bravo."

Le labbra di Simone si curvarono, ma non disse niente. Per un po' tutto tacque. Roma sembrava parlare già abbastanza per tutti e due.

"Tu e Marco sembrate molto legati." disse d'un tratto Manuel, col tono di chi aveva appena espresso un pensiero ad alta voce che forse non avrebbe dovuto esprimere.

Ma ormai il silenzio era un vetro infranto. Tanto valeva parlare.

"Lo siamo," confermò Simone, notando che la mascella poco rilassata. "è il mio migliore amico da quando sono all'università."

"Quindi non è un amico?"

Manuel aveva l'aria di chi avrebbe voluto cucirsi la bocca con un ago, oppure serrarla con un lucchetto e gettare la chiave come i bambini. Le sue gote si imporporarono leggermente, in netto contrasto con la notte; Simone ingoiò un ghigno divertito.

"Hai parlato con Vanessa, eh?" chiese retorico, la voce scherzosa. "C'è stato n'periodo in cui c'avevo più compagni che libri, e Vanessa non finisce di rinfacciarmelo. Ovviamente lo doveva dire pure a te."

Manuel sollevò un sopracciglio.

"E perché?"

Complimenti campione, ti sei scavato la fossa da solo, si sgridò Simone mentalmente. Prese un bel sospiro, e poi ripartì all'attacco.

"Lascia stare," sviò. "comunque, ora non c'è nessuno."

Quell'aggiunta era un salto nel vuoto, ma Simone, d'altronde, si definiva un ragazzo coraggioso. Sperava solo che ci sarebbe stato qualcuno a prenderlo sotto.

Manuel fece un cenno con la testa, poco convinto.

Quiete maledetta, che di pace non ha nulla quando non si è detto tutto. Almeno Simone poteva cercare la calma nel fumo che volava via, lontano.

Manuel poteva solo guardarlo.

"Ma perché fumi?" la voce del biondo inebriò nuovamente l'atmosfera.

Simone si morse un labbro. "Perché è rilassante."

"No' scienziato come a te lo dovrebbe sape che quella roba t'uccide."

"N'filosofo come a te, n'vece, dovrebbe sape che l'unica cosa che uccide so' le parole."

Ma da dove l'ho cacciata questa?

Dapprima, il pensiero si formò nella sua mente come un rimprovero. Quando vide Manuel arricciare il naso in maniera totalmente adorabile, cambiò idea.

Ma c'era malinconia nei suoi occhi.

"Non so' n'filosofo." disse con un fil di voce. Suonava così fragile che Simone si preoccupò.

"Ma te non te volevi laurea en filosofia?"

Forse era la stata la domanda sbagliata, perché gli occhi di Manuel si rabbuiarono, e d'un tratto sbiancò. Sul pianoforte non sbagliava un tasto, eppure, con Manuel li premeva tutti sbagliati.

Dannazione.

"Volevo," scrollò le spalle. "non a tutti le cose vanno bene, Simò."

Simone si sentì estremamente in colpa, ma non si arrese. Era stato conosciuto dal mondo per il suo desiderio di scavare fino in fondo. Non si sarebbe di certo fermato a Manuel; d'altronde, era con lui che aveva iniziato a porsi le prime domande.

"Mi dispiace,"sussurrò. "se vuoi, puoi raccontarmelo, però."

Manuel gli strappò la sigaretta dalle dita, e le loro pelli si sfiorarono, facendoli rabbrividire entrambi. "E menomale che sta' roba uccideva, eh." lo schernì Simone, per allentare la tensione.

"A vorte rilassa pure." ribatté Manuel, sempre con la risposta pronta. Simone alzò gli occhi al cielo. Tipico di Manuel.

Respirò un po' di fumo, poi lo esalò abbandonandosi a se stesso. Ci volle un po' prima che parlasse di nuovo.

"C'ho avuto paura Simò, non ce sta di niente. So n'vigliacco e basta, un buon a nulla. Non ce so riuscito, e ho lasciato. Ecco qua, la mia penosa storia."

A Simone si strinse il cuore; sentire la voce di Manuel così affranta, così rassegnata, quando lui ci credeva più di tutti che potesse fare grandi cose, lo feriva profondamente. Manuel gli sembrava tanto un cucciolo smarrito che aveva preso ad abbaiare a tutti perché perché la vita era stata crudele con lui; rassegnarsi alla paura era una protezione, per lui.

Ma il cucciolo Simone aveva intenzione di trovarlo.

"Non è mai troppo tardi per avere coraggio, Manuel."

Manuel sbuffò, un po' spazientito. "Seh vabbè Simò, non semo mica tutti geni come a te."

"Vaffanculo Manuel." rispose Simone, una punta percepibile di rabbia nel suo tono.

Il respiro di Manuel rallentò a quella realizzazione. Simone, dal canto suo, sentì una rabbia ingiustificata annebbiargli i sensi; sentiva di averla persa lui quella battaglia.

Aveva creduto in Manuel, si era ripromesso di esserci, e poi lo aveva lasciato andare per puro egoismo.

E ora, Manuel non ci credeva più.

Ma Simone si, e faceva male vedere la persona che aveva amato infliggersi quella pena.

"Mi dispiace." balbettò Manuel, sinceramente dispiaciuto. Simone scosse la testa, rasserenato dal calore della mano di Manuel, che si era spostata per rioffrirgli quella sigaretta.

"No, dispiace a me," si affrettò a dire. "ho esagerato, scusa. È solo che...non sopporto che tu non riesca a vedere il tuo potenziale. Vorrei che potessi guardarti coi miei occhi."

La testa di Manuel scattò verso di lui, e Simone lo sentì che era arrivato il momento di mischiare i loro occhi. Era arrivato il momento di parlarsi cuore a cuore. Anima ad anima.

"E tu come mi vedi?" chiese Manuel, interessato, come se la sua vita fosse appesa alle labbra dell'altro. Forse lo era.

"Come uno che può fare tutto."

Simone gli sorrise, ed era così vero che accese del coraggio. "Pensi davvero che io possa fare tutto? Anche stasera?"

"Tutto. Anche stasera." confermò Simone, senza esitare.

I loro fiati erano così vicini. Nel loro calore, vivevano ricordi.

"Beh, la laurea non m'ha posso prende stasera," rifletté Manuel, il volto impregnato di una nuova ritrovata sicurezza. "ce sta na cosa che posso fa, però."

"Ah si? Cosa?" le parole suonavano leggere nell'aria. Non avrebbe fatto il primo passo, non dopo tutto quello che avevano passato. Però, tanto valeva spingere Manuel a farlo.

Il biondo sogghignò, beffardo. Poi ruotò il capo, lasciando che l'aria gelida accarezzasse il viso di Simone, in una carezza colma di delusione.

Ma Manuel era il cielo imprevedibile, ed era sempre pieno di sorprese.

"Te posso chiede d'uscì, per esempio."

Per un momento, Simone pensò che il suo stesso sistema nervoso lo stesse ingannando. Manuel Ferro che gli chiedeva di uscire, così sfrontato? Forse aveva afferrato male. Forse aveva frainteso.

Ma il suo cuore aveva già capito, e perse un battito.

"Uscì n'chesenso?" si permise domandare.

Sentì l'esasperazione di Manuel in petto ancor prima di udirla per voce. "N'chesenso c'esci tu co gli amici tuoi?"

"Di solito non c'esco." borbottò Simone.

Manuel ingoiò uno sbuffo scocciato. "Vabbè, co' me c'esci si o no?" chiese.

Simone sollevò entrambe le sopracciglia.

"Ma te n'eri Manuel a me piacciono le donne e so eterissimo Ferro?"

Il biondo si massaggiò il punto di congiunzione tra sopracciglia e naso, visibilmente contrariato. "Ah Simò, sto pe ritirà la proposta eh."

Simone scoppiò a ridere e il suono volò lontano, portandosi via l'irritazione di Manuel.

"Rilassate, stavo a scherza eh!" esclamò scuotendo la testa.

"Vabbè, ok," si morse un labbro il più grande. "ma n'hai ancora risposto, però."

Al più piccolo quasi non pareva necessario fornirgli una risposta? Manuel non se lo ricordava che effetto gli faceva?

Il no gli moriva sulla lingua, quando si trovava affianco a Manuel.

"Certo che c'esco co' te, coglione." assicurò Simone, incatenando i loro sguardi.

Al biondo sorrisero gli occhi.

"Allora te chiamo io. E non fa quella faccia, c'ho il numero salvato dalla prenotazione p'er tatuaggio."

Simone non potè far altro che aprirsi in un sorriso; brillava così tanto nella notte che Manuel lo avrebbe accusato di aver rubato la luce alla luna.

Che tanto, al chiaro di luna, le ali non bruciavano.

***
*Spazio autrice*

MI DISPIACE. Sono consapevole della lunghezza dei capitoli, ma tendo a perdermi nelle parole e nei pensieri e scrivo decisamente tanto, forse più del dovuto, e so che talvolta può risultare fastidioso. Quindi mi dispiace, ma prometto che ci sto lavorando.

Comunque, a parte questo, spero il capitolo vi sia piaciuto. Mancano pochi capitoli alla fine, quindi spero di non combinare un disastro. Grazie mille di tutto, al prossimo capitolo.❤️

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