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Di giardini e vuoti inesistenti.

"Il vuoto del cielo disarma la collera"
~Simone De Beauvoir
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"Me sei venuto a prende sur serio in moto?" furono le prime parole che Simone scandì quella sera.

Erano le otto, il sole era scomparso dietro l'orizzonte, e Simone indossava una t-shirt del colore del cielo e un sorriso della luminosità delle stelle. Manuel, i cui nervi avevano tremato fino a quel momento, si sentì improvvisamente più tranquillo al suono delle note così dolci della voce di Simone.

Finse uno sbuffo indispettito, ma dentro sorrideva. "Ao Simò, che t'aspettavi? Na' limousine?"

Era straordinario. Neanche secoli di lontananza avrebbero ucciso quella loro dinamica.

Simone alzò un sopracciglio.

"Na' macchina?"

"Non la tengo."

"Sei serio?"

L'espressione di Manuel era addirittura fiera. "Serissimo."

Simone gli apparve interdetto per un istante. Il corvino sembrava nel bel mezzo di una consultazione di un manuale di risposte pronte.
Manuel aspettò la sua risposta, divertito.

"Vabbè menomale che non me so messo la camicia allora, che c'ho l'impressione che non sarà la serata formale che m'aspettavo." concluse infine Simone, ma Manuel non udì alcuna punta di delusione nel suo tono. Solo scherno, forse.

E in effetti, Simone aveva ragione.
Manuel non se l'era sentita di prenotare un tavolo in qualche locale dove entrambi si sarebbero sentiti fuori luogo; aveva invece optato per un appuntamento meno elegante, ma che lui riteneva decisamente più romantico.

"Simò, gestisco no studio de tatuaggi, non teniamo mica tutti la villetta come a te." lo prese in giro, facendo riferimento alla casa per lui enorme davanti alla quale entrambi si trovavano.

Simone si fece piccolo sotto il suo sguardo. Era la cosa più adorabile che Manuel avesse mai visto.

"Non è così tanto grande." borbottò il più piccolo.

Il biondo lo guardò sconvolto.

"Ma stai a scherza? Er bagno tuo sarà tutta casa mia."

Simone alzò gli occhi al cielo. "Vabbè Manuel, ma che stiamo a fa, n'tour de na casa in vendita o n'appuntamento? Me fai salì o no?"

Manuel ghignò. "Che c'è Simò? C'hai fretta?"

"Mo risalgo."

E così dicendo, fece per voltarsi, ma fu fermato da una mano forte che gli serrò il braccio. Manuel lo costrinse a girarsi, e i loro occhi si incrociarono. Scariche elettriche bei punti di contatto.

"Ja Simò, quanto sei permaloso, sto a scherza'. Non hai cambiato idea veramente, eh?"

Simone lo studiò per un attimo, le palpebre socchiuse, le labbra leggermente separate. Tutto nella sua espressione urlava irritazione, e Manuel, per un attimo, credette che stesse facendo sul serio.

Tornò a respirare quando Simone scoppiò a ridere.

"Te dovevi vede n'faccia," singhiozzò. "pareva che aveva visto n'fantasma. Non m'o scorderò mai."

Il palmo di Manuel perse immediatamente contatto col il suo bicipite, riacquisendolo subito dopo mentre gli dava una spinta. "Ma vaffanculo Simò." mugugnò, mentre il ragazzo continuava a sghignazzare senza sosta.

Qualche minuto dopo, Simone finalmente prese posto dietro Manuel. Le sue braccia nude gli cinsero i fianchi, e il biondo sentì la sua temperatura corporea salire. Datti una regolata, Manuel, rimproverò se stesso, sperando vivamente che Simone non si fosse accorto dell'effetto che il suo tocco gli provocava.

Come non detto. Suo malgrado, Simone aveva capito, e all'insaputa di Manuel, sul suo volto era affiorato un sorrisetto malizioso.

"Fa caldo, non è vero, Manuel?" sussurrò contro il casco, facendo rabbrividire il suo interlocutore.

Le gote di Manuel si tinsero di rosa. Merda.
"Ma te stai n'po' zitto?" si limitò a rispondere, il tremolio nella voce appena percepibile. Sentì Simone sorridere contro la sua schiena, ma oltre quello, non disse nulla.

Passarono il resto del tragitto così, stretti l'uno all'altro, cercando di regolare i loro respiri. Manuel provava a mantenere l'attenzione sulla strada, ma nel frattempo, si appendeva a quel contatto che gli era mancato per anni come fosse il filo della vita. Il petto di Simone che si alzava e si abbassava sulla sua schiena, le sue mani che incoscientemente tracciavano cerchi sull'addome, di Manuel, il suo fiato caldo sul collo.

Dio, ci vuole uccidere entrambi. Che poi, se Manuel fosse morto in quell'esatto istante, avrebbe osato dirsi anche felice.

Rimpianse il contatto fisico appena il rombo della moto si spense, quando Simone, lentamente, si staccò da lui. Il contatto fisico, tuttavia, venne presto presto dimenticato. Bastarono due paia di iridi ambrate alla luce artificiale di un lampione, che si guardavano intorno spaesate e incuriosite.

Manuel sorrise. Simone era un adulto che aveva fatto strada nella vita, eppure talvolta, i suoi occhi erano quelli di un bambino. Ingenui e pieni d'amore.

"Allora? Dove m'hai portato?" domandò il più piccolo mentre Manuel rimetteva a posto i caschi.

"Ma come Simò? No' sai sul serio addò stiamo?" rispose il biondo, il tono un po' scherzoso e un po' sorpreso.

Simone lo guardò colpevole e scosse la testa. Manuel sospirò divertito.

"Non lo diresti che sei cresciuto a Roma," il più piccolo corrucciò il viso, visibilmente offeso. "non ce posso crede che non ce sei mai stato. È il giardino degli aranci, Simò."

Come un lampo a ciel sereno, la realizzazione scintillò negli occhi dell'altro ragazzo. Il giardino degli aranci era da sempre considerato uno dei posti più romantici di tutta Roma, ma lui non ci aveva mai portato nessuno, e chiaramente, nessuno si era mai preso la briga di portarci lui. Non che visitare quel posto fosse tra la lista delle priorità di Simone; nonostante ciò, il cuore gli si riempì di pura gioia a sapere che Manuel gli avesse riservato un luogo tanto speciale.

Poi un'idea gli rabbuiò il viso. "Ce porti tutti i primi appuntamenti, qua?" chiese, un tantino indispettito.

Se Manuel lo avesse conosciuto meglio, avrebbe rischiato di affermare che fosse geloso.

Ma Manuel lo conosceva bene, ed era indubbiamente certo che Simone in quel momento stesse combattendo col demone verde. Ridacchiò al pensiero.

"No no, solo alcuni," decise di affondare il coltello nella piaga, ma appena Simone si lasciò sfuggire uno sbuffo spazientito, cedette. "sto a scherza' coglione. Solo tu."

Quelle parole dovevano essere suonate parecchio rassicuranti, contando che il sole tornò a splendere sul viso del corvino.

Il sole di notte. Pensa un po' te, tutte le stranezze ce le aveva lui.

"Vabbè, comunque io c'ho fame," Simone informò Manuel. "quindi sarà meglio per te aver pensato alla cena."

Il più grande lo guardò con occhi pieni di sfida. Quelli di Simone non erano da meno; un vecchio gioco di cui entrambi conoscevano già le regole.

"Sennò?"

L'espressione sul viso di Simone si fece spavalda. "Dovrò trova' qualcuno che me porta a cena."

Manuel era stato affondato al primo colpo; Simone aveva imparato a giocare con lui, ormai. Sapeva dove colpire, dove solleticare, dove guardare e dove non guardare. Conosceva tutto di lui, come se il tempo si fosse fermato ai momenti che avevano passato insieme. Come se non fosse cambiato assolutamente nulla.

"Vabbè, allora me tocca sbrigamme," disse Manuel con aria sconfitta. "ce sta n'chiosco a quarche metro da qua, non te preoccupa, ho pensato a tutto. E non fa' quella faccia—ce vengo da solo, prima che tu possa chiede. Ja, andiamo."

Circa un quarto d'ora dopo, con i panini che gli riscaldavano le mani e le risate che gli scaldavano i cuori, Manuel e Simone scelsero una panchina su cui gustare la loro modesta cena.

Le luci del giardino coccolavano i loro occhi, le melodie provenienti dagli alberi primaverili accompagnava le loro voci, e la notte sembrava anziana in confronto all'ingenuità di quell'amore appena maturato. C'era qualcosa di magico nell'aria, quella sera; si trattava della stessa brezza che impollinava i fiori a Marzo.

Qualcosa di nuovo stava sbocciando.

"A che pensi?" chiese Manuel osservando Simone, che da un po' non si faceva più sentire e se ne stava a fissare l'erba scura.

Simone sollevò lo sguardo, e Manuel vi lesse serenità. "A te." rispose onestamente.

Innocente curiosità riempì la loro bolla.

"Più precisamente?" lo interrogò ancora Manuel, ricevendo in cambio un'occhiata furba.

"Precisamente," gli fece il verso Simone. "ma come parli?"

In quella frase, ormai, c'era qualcosa di loro. A Manuel sorrise il cuore, la realizzazione una stufa nel petto.

"Vabbè, m'o meritavo," scoppiarono entrambi a ridere. "però, mo, seriamente. Perché eri così silenzioso?"

Simone si allungò sulla panchina, tediandola del peso della sua intera schiena. Il suo viso era rilassato, i suoi lineamenti morbidi ma scolpiti, gli occhi laghi di miele scuro. Irradiava conforto da tutti i pori: Manuel desiderò tenerlo stretto a sé per sempre. Involontariamente, si sporse verso di lui mentre quello elaborava una risposta.

"Stavo pensando che dovresti riscriverti all'università."

Un taglio all'altezza della gabbia toracica. Stormi di corvi nella sua testa, confusi, irregolari, che gracchiavano inganno e sconfitta.
Il clima mite si smorzò, ma Simone, consapevole, non se ne curò.

Era una conversazione che Manuel sapeva voleva affrontare. Quel ragazzo aveva l'abitudine di tentare di suonare anche le corde rotte in lui; e le corde rotte facevano male.

"Simò, per favore, non ne parliamo mo'. È na bella serata, non roviniamola." fu tutto ciò che uscì dalla bocca di Manuel.

Simone sembrò capire, e lasciò perdere. Il suo respiro profumava di insoddisfazione.

Quell'ultima uscita del più piccolo tese di nuovo l'aria tra loro. Trascorsero minuto dopo minuto in silenzio, ognuno di loro perso tra i suoi pensieri.

Manuel, in particolare, stava soffrendo parecchio gli stormi svolazzanti nella sua mente. Non riusciva più a chiudere le gabbie; aveva dato le chiavi alle parole di Simone, e ora non riusciva più a recuperarle. Sentiva voci che lo aggredivano, altre che lo incoraggiavano, altre che lo chiamavano codardo.

Universo, falle stare zitte, per favore.

L'universo soddisfò il suo desiderio.

"C'andiamo a sdraia?" il ghiaccio venne completamente frantumato da Simone, e Manuel gliene fu grato. La sua voce era una gradita sostituta a tutte quelle che lo tormentavano.

Nonostante questo, gli rifilò uno sguardo interrogativo mentre accartocciava la carta del suo panino e la buttava nel cestino.

"Ma che stai a dì Simò?"

"Sto a chiede se ce vogliamo anda a sdraia. Tanto non ce sta più nessuno, e chi ce sta non sta di certo a guarda a noi." aggiunse, facendo riferimento alla coppia che pomiciava qualche metro più in là.

Manuel sembrava appena caduto dalle nuvole; il che era improbabile, visto che di nuvole quella sera non ce n'erano. Il cielo era limpido tanto quanto gli occhi di Simone.

"Ma sdraia n'chesenso?" si ritrovò a domandare.

Simone inarcò un sopracciglio. "Ma tu come te sdrai scusa?"

"Ma n'do?"

"Sul prato. Guardiamo le stelle."

Un istante di silenzio. "Ah."

Simone non aspettò una risposta. "Dai andiamo." disse entusiasta, saltellando in piedi come un bambino che ha appena visto il gelataio. Allungò una mano verso di lui come invito. Manuel lo studiò; brillava. Non gli serviva stendersi per guardare le stelle.

Ciononostante, intrecciò le dita con quelle dell'altro, ipnotizzato dalla sua allegria, impossibilitato nel dirgli di no. Che tanto, non gli avrebbe detto di no comunque. L'idea di osservare l'universo con Simone disteso sull'erba lo elettrizzava come un fulmine. Manuel si sentì improvvisamente adolescente per la seconda volta.

L'unica differenza, era che la sua mano non era più gelida per la paura.

Simone fu il primo a stendersi, e non lasciò mai la sua mano. Manuel restò fermo a guardarlo per qualche secondo: al chiaro di luna, con un braccio dietro la nuca e i capelli scompigliati, Simone era come un incantesimo. Manuel era stregato, come se avesse perso se stesso nei tratti del viso dell'altro. Non gli interessava: avrebbe passato l'eternità a perdersi tra le curve del viso di Simone.

"Ao, ma te sei incantato?" la voce era scherzosa.

Si, avrebbe detto Manuel se fosse stato onesto. Invece, si limitò a non parlare, imitando la posizione del più piccolo e prendendo posto accanto a lui.

Un braccio dietro la nuca, l'altro rilassato lungo i fianchi. Le loro mani erano ancora unite.

Manuel sentì i fili d'erba solleticargli la pelle lasciata nuda dalla t-shirt. Erano freschi. Quale miglior contrasto con il fuoco nelle sue mani?

Per un po', il cielo fu l'unico a parlare. Simone lo studiava con gli occhi di chi ne conosceva la vera essenza, e Manuel faceva lo stesso con Simone. Il suo profilo sembrava scolpito nel marmo; la pelle assomigliava all'avorio lavorato, liscio, splendente, chiaro. Gli zigomi rialzati, l'osso della mascella, il neo tra l'orecchio e il collo, erano tutti particolari che Manuel sarebbe stato ad analizzare per ore.

Simone era una perla che stringeva tra le mani, trovata in un mare di problemi e insicurezze. Il suo odore sapeva di fiori ornati di brina e acqua salata; i profumi più piacevoli al mondo non erano paragonabili a quella naturalezza.

Quale fortuna aveva avuto un rottame come lui per guadagnarsi il privilegio di avvicinarsi a tale gioiello?

"Perché non guardi le stelle?"

Fu come risvegliarsi da un sogno. Ora l'alba era alle porte, anche se era notte fonda, e domandava prontezza per una nuova giornata.

Manuel pensò bene a come rispondere a quella domanda. Alla fine, optò per l'opzione migliore: la sincerità.

"Le stelle ce le ho avute sulla testa negli ultimi otto anni," disse. "te affianco, invece, no. Preferisco guarda' te."

Simone mischiò i loro occhi, il viso oscurato per metà dalle ombre del buio. "Ma da quand'è che sei così sdolcinato?"

Manuel ridacchiò. "Solo quando so' contento lo so'. Non te c'abituà troppo comunque, eh."

Il volto del corvino si contrasse in un pensiero. Un riccio ribelle gli ricadde sulla fronte e Manuel, istintivamente, glielo spostò.

"Sei contento, quindi?"

Si, si, si. Sarei felice anche all'inferno con te.

"Simò," scandì il suo nome con occhi quasi malinconici. "sti anni che non ce sei stato nella mia vita, c'ho avuto n'vuoto dentro che te manco c'hai idea. Mi sei mancato, tanto. So' stato n'coglione, so arrivato in ritardo e ho capito tante cose dopo—e me sei mancato da morì."

Le labbra di Simone si incurvarono. Manuel si avvicinò così tanto da far sfiorare i loro nasi.

"Lo sai che dice la fisica riguardo ai vuoti?" sussurrò il più piccolo.

Manuel scosse la testa, pendendo dalle sue labbra. Era rapito.

"Che non esiste uno spazio vuoto, in nessun angolo dell'universo. Perché se esistesse, tutti i campi sarebbero uguali a zero, e sarebbe perso l'equilibrio. Perciò, tecnicamente, il vuoto non esiste: c'è sempre un'energia, una presenza, una parola, qualcosa che lo riempie, anche se tu non lo percepisci. Significa che anche se tu non mi vedevi, io in realtà c'ero lì con te. Mi capisci?"

Ti amo.

Manuel aveva gli occhi lucidi. L'amore non era mai morto, era solo andato a dormire.
Aveva riempito da sempre quel vuoto, anche se lui non se n'era accorto.

Il biondo si sporse in avanti, unendo i loro fiati, ma si bloccò un istante prima che diventassero uno. Avevano entrambi gli occhi chiusi. Manuel respirava solo Simone. La sua presenza gli bruciava le ali.

Ma non aveva paura di cadere, se gli stringeva la mano in quel modo.

"Simone." il nome vibrò tra le sue labbra come la nota suonata da un violino, carica di suppliche.

Sentì Simone scuotere la testa.

"Voglio che faccia tutto tu, Manuel. Voglio che tu faccia tutto quello che per paura non hai fatto otto anni fa. Ti prego."

E Manuel non se lo fece ripetere due volte.

Si fiondò sulle sue labbra.

Sei tu l'unica stella che voglio guardare.

***

Simone non si ricordava come erano arrivati a casa di Manuel. I fatti che ricordava erano altri, più importanti.

Priorità.

Ricordava bene il sudore che aveva baciato sul collo di Manuel. Ricordava bene il suo alito impregnato di tabacco sulla lingua, la danza infinita dei loro corpi nudi, la corsa contro il tempo per spogliarsi da tutte le paure. Ricordava l'umidità delle carezze di Manuel, il miele sulle sue labbra, il suo nome sussurrato all'infinito, Simone, Simone, Simone. I graffi sulla schiena, i succhiotti sul petto, le ali segnate da quei palmi incantati.

Ricordava e basta, un loop nella sua mente, un disco rotto, Simone e Manuel, un album di fotografie. La barbetta che gli solleticava la bocca, il cuore che si sincronizzava col suo, il sapore della memoria di una notte sotto un cantiere.

La brama famelica di chi aveva accantonato un desiderio inesaudito per troppo tempo.
La voglia di amarsi sotto le stelle, sotto il sole, sotto le nuvole e tra gli uragani.

Simone si ricordava tutto, steso a pancia in su sul letto, nudo e coperto solo da un lenzuolo, i respiri profondi di Manuel che riempivano la stanza.

Lo guardava dormire, gli era sempre piaciuto. Le palpebre rilassate, le ciglia immobili, le labbra semiaperte. Una persona che dormiva poteva sembrare agli altri così fragile, così indifesa da volerla proteggere; la cosa affascinante per Simone, invece, era che Manuel riusciva ad apparire forte lo stesso. Anche incosciente di ciò che gli accadeva intorno, la sua presenza era magnetica per il mondo, tutto sembrava ruotare intorno a lui.

O almeno, il mondo di Simone ruotava intorno a lui.

Il più piccolo ghignò, annotando nella sua mente di non riferire mai questo pensiero al più grande; avrebbe solo contribuito ad accrescere smisuratamente il suo già abbastanza grande ego.

All'improvviso, il respiro di Manuel mutò. Simone lo seppe ancor prima che aprisse gli occhi.

"Sei sveglio." era un affermazione, non una domanda. Lo sentì annuire sul suo petto.

"Tu anche." gli disse Manuel, la voce impastata dal sonno.

"Ti guardavo dormire."

Il più basso inclinò leggermente la testa e aprì gli occhi velati. "Perché?"

Simone non si prese neanche il tempo per riflettere sulla risposta.

"Sei bello quando dormi."

"Ah non so' bello sempre?"

"Si, ma quando dormi almeno stai calmo. Poi te svegli e boom, finita la pace." borbottò Simone.

Manuel rise. Simone sentì la risata vibrargli nel petto; gli arrivò dritta al cuore.

"Me la dici na cosa, Simò?" domandò d'un tratto nella quiete. Il corvino annuí, curioso. "Ma quanto è lontano il sole da noi?"

Simone si chiese che razza di domanda fosse mentre pensava alla risposta. La sua testa prese a calcolare distanze, risolvere problemi di trasporto, e quasi scoppiò a ridere nel rendersi conto che stava cercando di arrivare al sole per Manuel.

Ma d'altronde, per lui avrebbe fatto di tutto.

"Sono 150 milioni di chilometri, dalla terra." affermò convinto.

Sentì Manuel sorridere sulla sua pelle.

"È na bella caduta, mo che ce penso."

Il cervello di Simone si riempì di nebbia. Vagò ciecò, alla ricerca di un significato adatto da dare a quelle parole, ma per quanto si impegnasse, non ne trovava il senso.

Manuel doveva aver percepito la sua confusione, visto che si lanciò subito in quella che era un'articolata spiegazione per essere formulata nelle ore più scure della notte.

"Quello che voglio dì, è che mo che ho osato vola', se faccio a fine d'Icaro me faccio male. Te che dici?"

Complice il sonno, e l'ubriachezza per Manuel, Simone ci mise un po' ad associare un significato a quell'insieme di lettere confuse. Quando comprese, si morse un labbro.

"Io dico che non cadi. Te prendo io, se succede."

Una sola frase, migliaia di implicazioni. Manuel capì.

Azzerò nuovamente le distanze tra di loro.

***

"Finalmente te sei degnato de presentarte!"

Gli acuti toni di Chicca gli colpirono i timpani nel momento in cui aprì la porta, scatenando in lui una reazione del tutto naturale: lo sbuffo.

"Ah sbuffi pure? Dovevi sta qua due ore fa!" esclamò la ragazza, contrariata.

Manuel, giusto per contrastare ancora di più quel suo nero umore, sorrise allegro. "E dai Chì, non fa la stronza. Oggi è na bella giornata, er sole splende ed è quasi Giugno."

Chicca inclinò la testa di lato e lo squadrò da capo a piedi, socchiudendo gli occhi. Con un sospiro, esalò via anche l'esasperazione.

"Da quanno stai co' Simone er cielo potrebbe pure cade e pe' te splenderebbe il sole."

Ecco. La bocca della verità.

"E vabbè Chì, che te devo dì? So felice." Manuel scrollò le spalle, e Chicca gli sorrise.

"Lo vedo," affermò lei. "e so felice pur io pe' voi, veramente. Ma fai tardi n'artra volta a lavoro pe' sta co lui e non scopi più."

A Manuel scappò una risata divertita.
"E se te dicessi che non stavamo a scopa'?"

Chicca inarcò un sopracciglio. "Avete deciso de farvi preti?"

"No Chì," scosse la testa Manuel, assaporando gia lo stupore negli occhi di lei prima ancora che comparisse. "m'ha accompagnato all'università. Me so riscritto."

Era stata una decisione difficile, per lui, ma alla fine si era convinto a eseguire quel salto nel vuoto. Simone in quelle ultime tre settimane gli era stato accanto come non mai, nonostante tutti gli impegni legati alla sua scoperta; era chiaro che entrambi avevano voglia di recuperare il tempo perduto, e stavano facendo di tutto per farlo, anche se avevano a disposizione tutti il tempo del mondo.

Era stato proprio il suo ragazzo a persuaderlo a riscriversi, alla fine. Lo aveva fatto sudare tanto, ma alla fine Simone era riuscito a farlo parlare. Manuel non aveva mai parlato a nessuno dell'università, nemmeno a Chicca; era stata sempre una ferita aperta per lui, un po' come Simone. Ma come si era chiuso a riccio anni prima, così si era riaperto con il più piccolo, che non aveva avuto paura degli aculei e ci aveva provato in tutti i modi a farlo ragionare.

Manuel ogni tanto ci credeva agli angeli—forse Simone era il suo. Si chiese ancora cosa avesse fatto per meritarselo.

Un lampo attraversò gli occhi di Chicca, e la ragazza scattò in piedi. "Me stai a pija pe culo, Manuel?"

Il suo viso era dipinto di sorpresa e contentezza. Manuel aprì le braccia, come segno della sua onestà, e fece cenno di no con la testa.

Chicca gli gettò le mani al collo, e in meno che non si dica Manuel si ritrovò le narici piene dell'odore di shampoo alla fragola; tuttavia, non gli dispiaceva affatto. Si cullò nell'abbraccio dell'amica, e quando si divisero, scoprì un sorriso benevolo stampato sul suo volto.

"A te Simone te fa proprio bene." commentò la ragazza.

Manuel non potè far altro che annuire. Eccola di nuovo, la bocca della verità.

"Vabbè, comunque," riprese la parola lui. "me devi fa un favore enorme."

Lo sguardo di Chicca si fece scettico. Di solito quella frase non preannunciava niente di buono da parte sua, eppure Manuel le comunicò con gli occhi che non c'era nulla da temere.

La ragazza sospirò, mormorando un "E dimme sto favore."

L'ombra di un sorriso malizioso illuminò il volto di Manuel.

"Me devi fa n'tatuaggio."

Chicca sbuffò indignata.

Alla fine, però, Manuel la convinse.

Inutile dire che quando Simone e Manuel fecero l'amore, la volta seguente, le labbra del primo non si staccarono un attimo dalla schiena del più grande.

***

*Spazio autrice*

Ed eccoci qui, finalmente Manuel ce l'ha fatta ad aprirsi completamente con Simone.
Eppure, io sento puzza di guai, e voi?

Vabbe, non vi dico nulla va. Al prossimo capitolo, grazie per aver letto.❤️

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