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Di ali e tatuaggi.

"È il volo di Icaro che devi considerare—non la sua caduta."
~Anonimo
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"Me voglio fa n'tatuaggio." esordì Simone, portandosi una tazzina di caffè fumante alle labbra.

Marco lo guardò disinteressato, come se la notizia fosse di poco conto rispetto a tutto quello che gli gravitava intorno al momento. Forse aveva ragione.

"Ok." scrollò le spalle l'altro, addentando il suo cornetto alla crema.

"Che entusiasmo, mamma mia." Simone alzò gli occhi al cielo, indispettito dall'atteggiamento noncurante dell'amico.

Marco ghignò quel suo terribile ghigno, quello che accompagnava sempre il suo abituale tono sarcastico.

Quello che gli ricordava fin troppo un'altra persona.

"Vuoi che t'organizzo un'altra festa?"

"No, stronzo," Simone lo fulminò con lo sguardo. "voglio che me dici addò te sei fatto quello sul petto. È bello, chi te l'ha fatto dev'esse bravo."

Il tatuaggio di Marco era, effettivamente, un'opera d'arte. Il ragazzo si era fatto tatuare una bussola sul petto, con la freccia puntata in direzione del cuore. I contorni della bussola erano stati definiti in maniera precisa e circolare, per non parlare delle rosa dei venti, disegnata e sfumata in maniera talmente minuziosa da risultare inverosimilmente reale agli occhi. Il significato del tatuaggio era chiaro: il motto di Marco, seguire sempre il cuore.

Simone, in tutta onestà, non condivideva. L'ultima volta che aveva seguito il cuore, era tornato indietro da solo.

Ma non era questo il punto.

"E c'hai pure ragione," Marco annuì pensieroso. "vabbè, allora famo che te mando il contatto su whatsapp così chiami e prenoti allo studio, va bene?"

Simone gli lanciò uno sguardo grato. "Va bene. Grazie fratè."

Per un po', fecero la colazione in silenzio, godendo di quella serenità che solo Maggio, con la sua brezza leggera e il suo sole debole ma luminoso, sapeva dare a Roma.

Poi, Marco inclinò leggermente la testa a destra, socchiudendo gli occhi come per metterlo al fuoco, l'espressione interrogativa. Infine, si decise a spezzare il silenzio. "Ma se po' sape che te voi tatuà?"

Simone, ripensando alla sua idea, si morse un labbro e sorrise.

"Un paio d'ali."

***

Qualcuno sostiene che le giornate serene siano le giornate perfette per un'artista. Manuel non è mai stata d'accordo con questa linea di pensiero: qualsiasi giornata è la giornata perfetta per un'artista. Colui che fa arte crea cose belle, e per creare cose belle bisogna innanzitutto saperle scorgere nel mondo.

Un cielo azzurro ispira facilmente. La vera arte sta nel trovare la propria musa in una nuvola grigia; solo scovando la poesia in un fiore appassito lo si può far rinascere.

Chicca, tuttavia, non era della stessa idea. La ragazza era odiosamente meteoropatica: il giorno prima era stata radiosa, proprio come il sole nel cielo. Quel giorno, invece, non si era neanche presentata a lavoro, sostenendo che la pioggia e il malumore l'avrebbero deconcentrata.

E così, Manuel si era ritrovato a lavorare da solo quel pomeriggio.

Il loro studio di tatuaggi era un buco nel cemento al centro di Roma, eppure pullulava continuamente di persone. Con il tempo si erano costruiti una reputazione; e la loro fama non nasceva dal nulla. Manuel non si faceva problemi legati alla modestia nel dirlo: erano entrambi degli eccellenti tatuatori.

Il ragazzo, ormai ventiseienne, non aveva pianificato nulla di quella vita. I suoi progetti erano stati altri fino a tre anni prima: la laurea in filosofia, la cattedra in un istituto superiore e la voglia di aiutare ragazzi in difficoltà.

Poi qualcosa era cambiato. Era andato tutto a rotoli: un esame andato male, la rabbia, la frustrazione, la rassegnazione di chi si crede un buono al nulla.

E la laurea non l'aveva mai conseguita.

Per fortuna, c'era stata Chicca a tirarlo fuori da quel mare in cui stava affondando. Era entrata nuovamente nella sua vita una sera di Marzo e aveva riportato la primavera con i suoi colori e con il suo inchiostro.

Manuel non l'avrebbe mai ringraziata abbastanza per avergli offerto quel lavoro.

In tre anni, Chicca non lo aveva mai lasciato solo. Era diventata la sua migliore amica, la sua confidente, la sua colonna di supporto, e così lui per lei. Da quando si erano rincontrati, erano andati avanti, insieme, legati da quell'affetto di chi si è sempre voluto bene, in un modo o nell'altro.

Lei era stata il suo primo tutto: la sua prima ragazza, la sua prima migliore amica, la prima persona che lo aveva spronato ad aprirsi senza spingerlo alla pazzia.

Chicca era stata anche la prima, e l'unica, con cui aveva parlato di Simone.

Simone. Un nome talmente potente che lo aveva fatto scoppiare un pomeriggio a lavoro, dipingendo la sua voce di un tale isterismo che la ragazza si era quasi spaventata.

Poi aveva capito.

Lo aveva fatto sedere a tavolino e lo aveva incoraggiato a spiegarle perché un flebile ricordo, degli anni del liceo e raccontato per caso, fosse stato in grado di accendere una fiamma tanto alta. E Manuel aveva vomitato tutto, mostrandosi debole per la prima volta.

Le aveva detto di baci rubati e parole mai dette. Le aveva detto di inverni gelidi ed estati mai vissute, di contatti visivi mai consumati, di amori sovrastati dalla paura di essere sbagliati. Le aveva confessato del momento in cui aveva sentito il suo cuore battere per la prima volta, di quanto quel battito lo avesse terrorizzato, portandolo a mandare tutto all'aria.

Le aveva raccontato della mancanza di aria, delle lacrime notturne e silenziose, dei vuoti colmi di un'assenza di quegli ultimi anni.

Le aveva raccontato di lui.

Chicca gli aveva preso la mano e l'aveva stretta, ma il calore da lei trasmesso non era stato abbastanza per Manuel, memore del fuoco di un paio di mani grandi e sicure.

Aveva pianto. Le lacrime gli avevano rigato il viso, il loro calore simile sostituto di una mano, sotto gli occhi dispiaciuti della sua migliore amica. Gli era stato sussurrato che era tutto nel passato, che avrebbe dovuto guardare al futuro adesso. Ma Manuel era divorato dai sensi di colpa; la consapevolezza di non aver annaffiato quella rosa sullo sbocciare soltanto per paura delle spine era un peso costante sul suo cuore.

Negli ultimi anni, fortunatamente, c'era stata Chicca a riempire quei vuoti—in modo platonico e uguale, perché diverso era Simone, e lei non era lui. Ma per Manuel era bastato.

C'erano state anche altre persone, ovviamente. Qualche cotta Manuel se l'era presa, ma neanche lontanamente paragonabile all'elettricità che lo faceva tremare al solo pensiero di Simone. E comunque, erano state tutte cotte passeggere.

Nessuno era rimasto, tranne Chicca, che non lo aveva lasciato più solo. Mai, tranne quel giorno.

Manuel sbuffò sul divanetto in pelle della stanza dei tatuaggi e guardò l'orologio sulla parete, per poi spostare l'attenzione sulla porta. Erano le quattro e sedici del pomeriggio, aveva almeno cinque persone da tatuare e il primo appuntamento di quel giorno era in ritardo.

Giuro che glie faccio na schifezza addosso, pensò Manuel innervosito, alzandosi e dirigendosi verso l'ala dello studio a cui l'accesso era vietato ai clienti. Sentendo la mancanza della sua caotica amica fin dentro le ossa, Manuel tirò fuori dal cassetto un notebook malandato che utilizzava talvolta per qualche bozza, oppure per qualche poesia.

La poesia. Una passione che non aveva mai perso.

Lasciandosi trasportare dalle emozioni, prese a far scivolare la matita sul foglio. Il tempo volò, e prima che se ne accorgesse, il suono del campanello d'entrata finalmente lo distrasse. Mentre posava il quadernino, una voce pacata gli giunse alle orecchie dall'altra sala.

"Scusate il ritardo," borbottò lo sconosciuto, il cui tono però, così familiare, rubò l'aria dai polmoni di Manuel. "è che sono giornate un po' impegnative per me e—vabbè, sono sicuro che non v'importa. Se ho fatto troppo tardi, comunque posso tornare—aspetta...ma c'è qualcuno?"

Il ragazzo probabilmente si era reso conto di star intrattenendo una conversazione a senso unico, perché d'un tratto si fermò, imbarazzato.

A Manuel batteva il cuore, incessantemente. Quest'ultimo, la cui memoria era più vivida di quella di una mente testarda, aveva già riconosciuto quelle ottave soavi.

Manuel deglutì e tentò di zittire il cuore. Scelse di seguire quella strada di penosa auto convinzione che aveva già percorso migliaia di volte e che conosceva a memoria. Ci volle il suo ingresso nell'altra stanza per bloccargli il tragitto. Un masso enorme, strano, diverso, alto quasi un metro e novanta, dai capelli corvini e gli occhi grandi.

Merda.

"Ce sto solo io." disse Manuel con tono sorprendentemente contenuto, attirando su di sé l'attenzione dell'altro ragazzo, che ancora non si era accorto della sua presenza.

Occhi dentro occhi, il tempo parve fermarsi. Prati fioriti in un paio di occhi scuri, tempeste diaboliche nell'altro paio, così simili, così diversi. Strati di realizzazione, velati di ricordi e di nostalgia. Scintille di coraggio nello sguardo di uno, la paura del rischio in quello dell'altro.

Storie mai raccontate, anni passati a vagare nel buio in cerca di quella stessa sensazione che stringeva il petto dei due incoscienti ragazzi. Una vita per cercarsi, un anno per perdersi, un secondo per ritrovarsi.

Manuel si appoggiò alla cornice della porta, sentendosi un'ombra. Fu questa l'informazione prodotta dall'espressione di Simone: pareva trovarsi davanti al fantasma di una vita passata.

Forse era così.

Simone deglutì, sciogliendo le catene che legavano i loro occhi. Poi trafisse il silenzio.

"Manuel."

Un nome proibito, sei lettere incise sul suo cuore da sempre, anche questo aveva cessato di battere per quelle. Un viso dimenticato alla luce del sole, ma nitido nel buio dei sogni.

Il primo amore, d'altronde, non si scorda mai.

Per Manuel valeva lo stesso.

"Ciao Simò," il più grande incrociò le braccia, il tono spavaldo e l'ansia pronta a tradirlo. "er mondo è piccolo, eh? Tra tutti i posti, te sei venuto a tatua' proprio da me."

Il suo sorriso era beffardo, ma i suoi occhi erano tinti di insicurezza.

Simone, già abbastanza tormentato dalla sua, non lo notò comunque.

"Eh già," mugugnò poco convinto. "la storia si ripete."

Fu un bisbiglio, accompagnato da un respiro profondo. Sperò quasi che Manuel non se ne accorgesse.

Ma Manuel se ne accorse.

Sospirando, si staccò dalla porta e gli andò incontro, architettando un buon piano per alleggerire la palpabile tensione tra loro.

È incredibile come puntualmente, nel momento in cui te li dimentichi, i tuoi problemi tornino indietro come boomerang. Simone , per Manuel, era proprio quello: che fosse fisicamente o in sogno, quel volto aveva l'abitudine di ricordargli la sua esistenza ogni qualvolta Manuel era sul punto di dimenticarla.

D'altronde, Simone era sempre stato così: c'era. C'era quando doveva rubare un auto, o quando stava male per una ragazza. C'era quando ridevano, quando studiavano, quando fumavano e si scolavano birre distesi sui prati. C'era, specialmente, quando non c'era.

E Manuel aveva imparato a farsene una ragione.

"Vabbè, allora," sentenziò il biondo mentre prendeva posto davanti al lettino in pelle, buttandosi sulla sedia di legno lì accanto. Indicando la sedia di fronte a lui, poi, riprese a parlare: "facciamo così. Mo' prima te metti qui e me dici che voij—a proposito, c'hai n'disegno, na scritta o qualcosa da cui devo copia per caso?"

Simone si morse un labbro e prese posto di fronte a Manuel, cacciando dalla tasca del jeans un foglietto ripiegato in quattro.

"È un disegno," iniziò a spiegare, aprendo il foglio per mostrarlo a Manuel. "e vorrei qualcosa del genere, però puoi anche personalizzarlo, hai fatto n'tatuaggio a n'amico mio e ho visto che sei bravo, quindi me fido."

Manuel ignorò il complimento, concentrandosi invece su ciò che Simone gli stava presentando.
Dieci paia d'ali diverse presero forma nella sua mente nello studiare il disegno, tutte decisamente migliori dell'idea a cui avrebbe dovuto ispirarsi.

Senza alcun dubbio, avrebbe apportato modifiche al progetto originale.

"Dove lo vuoi?" chiese per informazione professionale tanto quando personale. L'idea di dover tatuare Simone in qualche punto troppo intimo lo terrorizzava.

Già l'idea di tornare a contatto con la sua pelle lo faceva rabbrividire.

"Dietro la schiena," rispose Simone. "sulle scapole. Non troppo grande, ma nemmeno troppo piccolo."

"Una su una scapola e una sull'altra, quindi?"

Simone annuì. "Esatto."

Con un cenno della testa, Manuel lo invitò silenziosamente a posizionarsi sul lettino con le spalle rivolte verso di lui. Simone obbedì immediatamente, sfilandosi la maglietta; Manuel, ignorando qualsiasi istinto lo attirasse verso il ragazzo a petto nudo, si alzò e raccolse tutto ciò che gli sarebbe servito per disinfettare e tatuare.

Poi si mise a lavoro.

Appena l'ago toccò la pelle di Simone, il ragazzo tentò trattenere un smorfia di dolore. Manuel, tuttavia, se ne accorse; ricordo con insistente malinconia il primo tatuaggio che gli aveva fatto, quando il mondo ancora ruotava in maniera semplice e perfetta. Quasi sorrise al ricordo dei lamenti di Simone; gli mancavano quei tempi.

Quando le loro pelli si sfiorarono, si costrinse a restare calmo. Scoprì ben presto che le sue mani avevano deciso di collaborare: neanche l'ombra di un tremolio le smuoveva, nonostante il suo cuore stesse tremando. Meglio così.

Simone, d'altro canto, fu vittima della reazione naturale del suo corpo al tocco di Manuel. Un brivido gli corse lungo la schiena, brivido che il più grande percepì. "C'hai le mani fredde." tentò di giustificarsi il corvino quando notò il sorrisino spuntato sul volto di Manuel, e quest'ultimo se la fece andare bene come giustificazione. Non poteva permettersi il lusso di sperare in altro, non in quel momento così delicato.

Poco tempo servì a Manuel per dimenticare la realtà. I suoi occhi, impegnati nella costruzione dei sogni del suo cliente, vedevano mondi interi all'interno di quelle ali. Nuotava tra le piume, giocava con le curve, spiccava il volo con le ali che di cui tracciava i contorni.

Se c'era una cosa di cui Manuel andava fiero, era la sua concentrazione nel lavoro. Quando tatuava, era completamente immerso nella sua arte. Aveva sempre creduto che un pezzo di pelle simboleggiasse un pezzo di storia: pertanto, non era solo la passione a spingerlo a dare del suo meglio, ma anche la consapevolezza di star donando nuovamente un pezzo di vita a qualcuno.

Perciò, Manuel lavorava relativamente tranquillo.

Il silenzio regnava nello studio. Il ronzio del liner sembrava ingombrante in un ambiente in cui la pace era dettata dall'inutilizzo della parola. Il fiato caldo di Manuel si scontrava con il collo altrettanto caldo di Simone, dettaglio che li faceva, celati l'uno dall'altro, rabbrividire entrambi.

Il respiro di Simone era irregolare, e Manuel si convinse che fosse una reazione del tutto naturale al dolore. Il petto del più piccolo sembrava affannato; Manuel aveva desiderato essere la ragione di quella mancanza d'aria per così tanto tempo, che quasi mancò il respiro anche a lui.

Scuotendo la testa, come per scacciare via i pensieri, accantonò il passato e si decise a focalizzarci nuovamente sul presente.

Terminò la prima ala nella quiete.

"Ho fatto co' la prima," informò Simone. "vuoi che te faccio l'altra mo' o torni n'artro giorno?"

Manuel non sapeva in che risposta sperare.

Passare più tempo con Simone ora, o avere la possibilità di rivederlo.

Che belle opzioni di merda.

Fosse stato per lui, lo avrebbe tatuato per l'eternità, fino a consumarsi le mani.

"Falla mo'." rispose Simone, sicuro.

Manuel si lasciò scappare un leggero sospiro. Sperò vivamente che fosse passato inosservato.

"Ok." disse soltanto.

Poi riprese a lavorare.

Pensieri vorticavano complessi in testa, trasformandosi in ali di angelo sulle punte delle dita. Che meraviglia, quelle dannate ali. Così maledettamente meravigliose, il profumo del cielo, eppure il promemoria dell'impossibilità di volare.

Manuel si chiese cosa che pezzo della storia di Simone ci fosse, in quelle ali. Forse Simone voleva volare, e doveva ricordarsi come fare.

O forse Simone stava già volando, e lo aveva lasciato a terra, solo e disperato, condannato a desiderare l'azzurro per sempre.

Si disse che anche se fosse stato così, se lo sarebbe meritato. Era lui che per primo aveva spezzato le ali di entrambi, per paura che queste non funzionassero. Aveva impedito a Simone di toccare il cielo per così tanto tempo, e aveva imitato tale condanna su se stesso.

E ora che Simone era libero da quella gabbia che aveva costruito per due, Manuel si sentiva solo. Si sentiva perso, e con le ali spezzate.

Ma a tutti vengono tagliate le ali, prima o poi. L'importante, è avere la testa giusta per ricostruirsele.

"Perché le ali?" domandò d'un tratto Manuel, annebbiato da quei pensieri. Combatté con l'impulso di tapparsi la bocca con la mano.

Nonostante questo, Simone si dimostrò loquace a tal punto da fargli quasi credere che quella silenziosa conversazione stesse diventando piacevole.

Comunque, se Manuel avesse saputo quale sarebbe stata la risposta, non avrebbe neanche pensato di chiederlo.

Il ragazzo sentì Simone sospirare; quell'aria assomigliava vagamente al sollievo. "Ho passato un periodo abbastanza particolare," spiegò. "gli ultimi mesi sono stati...duri, ecco."

Manuel annuì, attento. Simone lo prese come un segno per continuare.

"Ho corso dei rischi. Molti. Per quei rischi mi sono quasi giocato il dottorato—ho trascurato tutto perché mi ero fissato su una cosa, che non sto neanche qui a dirti. Ho lavorato su quel progetto così tanto duramente che ho rischiato tutto quello a cui prima aspiravo. Però—però, Dio, Manuel, sapessi quanto ne è valsa la pensa di correre quel rischi. Di osare, Manuel."

Un verbo, una garanzia.

Manuel comprese all'istante.

"Icaro." disse con un fil di voce, residuo di una lezione imparata molti anni prima.

Pur tenendo gli occhi puntati sulla sua schiena, vide Simone accennare un sì con la testa. "Esattamente."

Distraente, la curiosità gli offuscò la ragione. Le dita continuarono a muoversi, meccaniche, come quelle di un'artista che fa arte da tanto tempo che conoscono da sole i movimenti da compiere. Il cervello, invece, lo tartassò di domande.

Perché, era il sempre stato il più grande punto interrogativo di Manuel.

Perché papà ci ha abbandonati?

Perché non riesco a combinare nulla di buono nella vita?

Perché mi sento diverso?

Perché mi piacciono i maschi?

Perché ho baciato Simone? Perché l'ho lasciato andare?

Perché, perché, perché. L'insieme di consonanti più devastante mai creato.

Perché Simone aveva rischiato? Perché lui no?

"Perché dici che questo tuo correre rischi ne è valsa la pena?" fu quello che invece, involontariamente, uscì dalle sue labbra.

Dannato sistema nervoso, che non lavorava mai correttamente intorno a Simone, anche a distanza di anni.

La sua mente aveva forse dimenticato; tutto il resto, no.

E poi, bastava una lieve fiamma per accendere la benzina.

Simone inclinò leggermente la testa, come a volersi voltare verso di lui. Poi ci ripensò.
Parlò protetto dal suo cranio.

"Diciamo che ho... scoperto una cosa importante," rispose. "mi sono laureato in fisica alla triennale, uscito dal liceo. Poi ho intrapreso alcuni studi che mi avrebbero portato al dottorato—è stato mentre studiavo che ho trovato il progetto di una vita. Avevo deciso che dovevo lavorare su una cosa irrisolta—nemmeno ti sto a dire cosa, che tanto non ce capiresti na mazza—e munito di testardaggine ho continuato anche quando le critiche mi sono iniziate a volare davanti gli occhi, specialmente quelle di un professore che pare la copia di Lombardi per carattere. Comunque, lo sai che quando voglio trova la risposta a qualcosa me ce metto d'impegno fino a quando non la ottengo—"

"M'o ricordo bene." si lasciò sfuggire Manuel, interrompendolo. Dopo quest'uscita, dovette trattenersi dallo sbattere la testa al muro più volte.

Con sua grande sorpresa, Simone rise. Fu così puro, così spontaneo, che l'aria inquinata di Roma parve improvvisamente pulirsi.

"Appunto." concordò. "Vabbè,  fatto sta che ho lavorato su sta cosa pe quello che m'è parsa sinceramente n'eternità, co' Morelli che me stava col fiato sul collo e me tartassava co le sue teorie sulla mia mancata umiltà, quindi n'è stata proprio ma passeggiata al chiaro di luna. Comunque alla fine Morelli s'è dovuto ricrede—ho risolto na cosa importante, tanto che mo è costretto a organizzarmi na conferenza."

Sinceramente, Manuel non fu neanche troppo colpito da quella rivelazione. Aveva sempre saputo che Simone avrebbe spaccato nella vita. Con quel suo cervello geniale e la sua testa dura, non avrebbe fatto altro che ammorbidire il mondo, e Manuel lo aveva previsto.

E infatti.

Forse avrebbe dovuto intraprendere la carriera da veggente.

"E quinni mo' che sto a fa? Mica sto' a tatuà un premio Nobel pe' la fisica?" scherzò Manuel, ma nel suo tono c'era qualcosa di spaventosamente serio.

Simone scosse la testa, divertito da quel ritrovato equilibrio riacquisito con il suo ex amico. "È n'po' presto pe' quello, ma ce se po' sempre lavora."

Manuel rise.

"Ammazza Simò, che me stai a dì? O' sapevo che avresti spaccato culi, ma questo è nuovo pure pe' me."

Le labbra di Simone si schiusero leggermente.
"Che significa che sapevi ch'avrei spaccato culi?" chiese curioso.

Ovviamente.

Simone e la sua mania di fare domande.

"O' Simò, mica l'hai perso er vizio di fa domande." risposte Manuel sulla difensiva.

Senti Simone spegnersi sotto davanti a lui. "Vabbè." borbottò insoddisfatto e un tantino deluso.

Manuel, testimone e colpevole della perdita di energia che aveva causato, sentì una stretta al petto. L'aveva fatto di nuovo. Il suo più grande talento: consumare l'entusiasmo di Simone, fino a renderlo nullo con i suoi atteggiamenti.

Il più grande si mise istantaneamente alla ricerca di un accendino metaforico. Doveva riaccendere quella scintilla.

"Simò, sto a scherza," si giustificò, gli occhi da cerbiatto invisibili a Simone. "certo c'o sapevo che avresti spaccato culi, se vedeva lontano n'kilometro—sei un genio e pure cocciuto. Era ovvio che ste due cose te portavano da quarche parte."

Manuel riuscì a scorgere un angolo della bocca di Simone che si incurvava, e si sentì fiero di se stesso.

"Grazie." disse l'altro.

Poi il silenzio ombreggiò di nuovo quel clima mite che si era creato finalmente tra di loro. Però adesso era diverso. Adesso era piacevole.

Stettero zitti per un po', la testa leggera, la pelle pesante al contatto.

Manuel ci stava provando, a non pensarci. Ci stava provando davvero, a non ricordare il suono esatto dei gemiti di Simone mentre gli accarezza la schiena. Ci stava provando, a non immaginare come sarebbe stato diabolicamente dolce lasciare una serie di baci umidi su quella mascella così marcata. Ci stava provando, a sedare quel desiderio irrefrenabile che solo Simone era capace di provocargli, anche con un semplice sguardo. Quella voglia costante toccare l'estate con mano, anche quando era inverno.

Simone era la sua estate.

Simone tornava sempre, con la sua mitezza.

E Manuel adorava l'estate.

"Perché non vieni pure te?" esordì d'un tratto Simone, facendo quasi sobbalzare Manuel, che alzò un sopracciglio.

"Ma ndo'?" il tono era saccente, ma decorato con un pizzico di curiosità.

N'do vole che vado, mo?

"Alla conferenza," rispose Simone, coinciso. "mercoledì prossimo, alle 17:30 alla facoltà di fisica della Sapienza, se ti va. Era solo una proposta."

Manuel tentò di processare la richiesta in modo tale da riuscire a dare una risposta immediata, ma con scarsi risultati. I muscoli della schiena di Simone si insinuavano tra i suoi pensieri, gli suggerivano di rimanere con lui per sempre. Rispondere in quel momento sarebbe stato come rispondere da ubriaco, i tepori dell'alcol sostituiti dalla passionale delicatezza del profumo proveniente dal collo di Simone.

Merda, pensò, m'è partita proprio la brocca.

"Se riesco, vengo." sviò, ripromettendosi di pensarci quando il calore sarebbe scomparso dal suo corpo.

"Ok," disse Simone con noncuranza. "ma guarda che poi te cerco, eh."

Il cuore di Manuel fece una capriola. Poi sorrise.

Lui, e il cuore.

"Addirittura?"

"Certamente." ricalcò il corvino, determinato.

Manuel prese la palla al balzo. "Certamente. Ma come cazzo parli?"

Sentì la risata nascere nel petto di Simone ancor prima che questa diventasse rumorosa. Una risata piacevole, procurata da un ricordo altrettanto piacevole.

Manuel si rese conto che le parole li avevano sempre divisi. Ma i tatuaggi, invece, li avevano sempre uniti.

Forse l'universo aveva deciso di mandargli un segnale. Forse quel paio di ali doveva usarle anche lui, per poter raggiungere Simone in volo.

Forse, gli era stata data la possibilità di assaggiare un attimo eterno di felicità.

Mentre Manuel rideva accompagnando Simone, prese la sua decisione.

Al diavolo la solitudine, al diavolo la ragione.
L'ultima volta che l'aveva usata, aveva perso tutto.

Era ora di pensare col cuore. Era l'ora di volare.

***
*Spazio autrice*

Ebbene, i liceali gay sono tornati e non sono più tanto liceali, ma va bene così.

Fatemi sapere che ne pensate di questo capitolo—spero, comunque, che vi sia piaciuto.

Al prossimo aggiornamento, grazie a tutti.❤️

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