Capitolo Sette
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Grazie e buona lettura 🌼
Harry provò un'insolita sensazione di smarrimento non appena si svegliò in una camera che non riconobbe subito come familiare.
Corrugò la fronte e cercò di mettere a fuoco le pareti circostanti, prima di posare lo sguardo sul dalmata che lo osservava scodinzolando ai piedi del letto. Soltanto allora la nebbia tra i suoi ricordi si diramò e lasciò il posto alle vicende del giorno precedente e alla febbricola che lo aveva costretto alle cure e all'ospitalità dei Tomlinson. Si affrettò a stiracchiarsi e a sistemare la schiena contro la testiera morbida del letto per poi accogliere Pongo al suo fianco. Il cane, felice per le coccole ricevute, cominciò ad abbaiare e non impiegò molto ad attirare Mia al piano superiore. La bambina, infatti, non mancò di entrare nella stanza saltellando allegra, mentre delle trecce color miele gli sfioravano le spalle.
«Harry!» esclamò, arrampicandosi sul letto e raggiungendolo. «Come stai?»
«Meglio, tesoro. Credo che la febbre di ieri sera sia stata soltanto la mia reazione un po' troppo melodrammatica al clima delle Highlands.»
«Ma ti sei divertito, vero?»
«Tantissimo! Non avevo mai visto tanti laghi, tante montagne e tanta erica tutti assieme! E tu?»
«Io li avevo già visti, ma mi sono divertita tanto lo stesso. E si è divertito anche papà perché gliel'ho chiesto a colazione, mentre mi preparava i pancakes.»
«Papà sa fare i pancakes?»
«Solo quando non ci mette per sbaglio il sale perché lo confonde con il barattolo dello zucchero. L'ultima volta sembrava di mangiare qualcosa che era finito nel Mar Morto da anni.»
Harry arricciò il naso disgustato e rabbrividì.
«Ma non preoccuparti, questa volta sono venuti buoni per davvero. Ti va di mangiarli? Te ne abbiamo lasciati un po' in cucina per la colazione.»
«Ho una fame da lupi, certo che mi va di mangiarli. Papà è già al lavoro?»
La bambina annuì. «Ero con lui fino a qualche minuto fa, ma mi annoiavo a morte e mi ha dato il permesso di stare quassù. Possiamo fare qualcosa insieme? Non mi va di tornare giù, anche se papà mi ha detto di lasciarti riposare.»
«Certo e sta' tranquilla, mi sono riposato fin troppo in realtà. Fammi soltanto fare una doccia e poi sarò tutto tuo.»
Mia gli rivolse un sorriso sincero e scese al piano inferiore intimando a Pongo di seguirla per lasciargli un po' di privacy. Harry si alzò dal letto e si stiracchiò per bene, fece una smorfia quando sentì ancora alcuni muscoli intorpiditi dalle fatiche del giorno precedente, ma ormai quella febbricola era un ricordo lontano. Si guardò intorno e sorrise nel vedere una vecchia foto di Louis, Cam e Mia sul comò, prima che qualcos'altro attirasse la sua attenzione. Sulla poltrona disposta all'angolo della stanza, tra la porta e la finestra, c'era una pila di asciugamani e di indumenti ben piegati sormontati da un foglietto che recitava le parole seguenti.
Buongiorno dormiglione!
Spero che stamattina tu stia meglio e che la febbre sia soltanto un brutto ricordo. Fammi sapere come stai con un messaggio e non provare a uscire dall'appartamento visto che piove a catinelle dall'alba. Non alzare neanche gli occhi al cielo e non sbuffare: ormai abbiamo constatato che il clima scozzese non fa proprio per te, quindi ti conviene ascoltarmi per bene. Fa' colazione con i pancakes, rilassati e cerca di non farti corrompere da quei due per combinarne qualcuna delle loro.
A dopo,
Louis
Harry curvò le sue labbra in un sorriso divertito, prima di poggiare il foglietto sul comò, prendere gli asciugamani e gli indumenti preparati da Louis e dirigersi in bagno. Non perse ulteriore tempo e si affrettò ad entrare in doccia, certo che l'acqua calda e il bagnoschiuma alla vaniglia avrebbero portato via ogni residuo di stanchezza o di malessere. Quando si asciugò e percepì gli indumenti morbidi di Louis avvolgergli il corpo, non poté fare a meno di sorridere allo specchio e chiedersi se quella fosse davvero la sua vita o soltanto un sogno. Non vedeva quel sorriso così spontaneo sul suo volto da troppo tempo e mai i suoi occhi avevano brillato in quel modo così genuino. Dopo aver recuperato il suo cellulare, rassicurò Louis sul suo stato di salute e gli promise di resistere ai tentativi di corruzione di Mia e Pongo. Sceso al piano inferiore, tuttavia, la sua promessa cominciò a vacillare perché vide la bambina aspettarlo con un piatto tra le mani e un sorriso che era tutto un programma.
«E questa l'hai fatta tu?» chiese, riferendosi alla decorazione del pancake che era in cima a tutti gli altri: delle gocce di cioccolato per simulare gli occhi, una decina di mirtilli per il sorriso e un bel po' di panna per i capelli. «Sai, mi ricorda qualcuno di familiare.»
«È perché sei tu!»
«Ma questo pancake è molto più bello di me!» esclamò, sgranando gli occhi e fingendosi sorpreso. «Non posso mangiare una simile opera d'arte.»
«Sai, credo che se non lo farai tu, lo farà Pongo in meno di un minuto!»
E, dopotutto, Mia non aveva tutti i torti perché il dalmata era al suo fianco e guardava quel piatto come se fosse la sua unica ragione di vita. Certo che non potesse mangiare quei pancakes, Harry scosse la testa e gli lasciò una carezza sul muso prima di sedersi al tavolo e gustarsi la sua colazione. Quando il cane capì di non avere alcuna chance, guaì e si sistemò nella sua cuccia incrociando le zampette anteriori e poggiandovi il muso sopra.
«Gli passerà.» affermò Mia facendo spallucce. «Zio Niall dice che Pongo sa essere pelodrammatico come papà.»
«Melodrammatico forse?»
Lei sembrò pensarci su, poi «forse» disse. «Insomma, il succo è che esagera spesso.»
«E lo pensi anche tu?»
«Un po', soprattutto quando io e Pongo sgattaioliamo via dal Daffodil e andiamo da Betsy a comprare le caramelle.»
«Beh, in quel caso è perché papà ha paura che possa capitarvi qualcosa di brutto.»
«Tipo?»
Harry boccheggiò per qualche istante, quelli necessari a capire se dovesse parlarle dei pericoli reali che correvano una bambina di sei anni e un dalmata in strada, come possibili rapimenti o incidenti tra pedoni e macchine, oppure se dovesse indorarle la pillola. Tra le due, scelse l'opzione più rapida e indolore e promise a se stesso di essere un padre migliore nel caso in cui avrebbe avuto dei figli in futuro.
«Hai presente il drago di Arthur's Seat? E se decidesse di svegliarsi dal suo riposino all'improvviso e di rapirvi?»
«Che forte! Gli chiederei subito cosa ha sognato per tutti questi anni!»
«Mia! Non è forte, è spaventoso! Non potrai più vedere tuo padre, Niall o Marilla!»
«E la nonna?»
«Pensi che quel drago ti porterà a Doncaster per farti fare una gita fuori porta?»
«No.» sospirò mesta. «Allora ti prometto che non sgattaioleremo più via da qui di nascosto così il drago non ci potrà fare niente di niente.»
«Così va meglio.» affermò lui solenne. Poi, vedendo un ciglio pensieroso sul suo volto, poggiò la forchetta nel piatto ormai vuoto e le prese una mano nella sua. «Ehi, piccola, non devi aver paura di quel drago.»
«E se si svegliasse veramente?»
«Ci sarà il tuo papà a proteggerti sempre, non devi preoccuparti.»
«E tu?»
«Io cosa?»
«Ci sarà anche il tuo papà a proteggerti?»
«Il mio papà è molto molto lontano, non penso che riuscirà a proteggermi da questo drago purtroppo.»
«Allora il mio proteggerà anche te, così siamo a posto.»
Non ebbe neanche il tempo di ringraziarla, però, perché Mia strinse la presa sulla sua mano e lo trascinò in soggiorno, tra il divano e la parete attrezzata a libreria, invitandolo a sedersi sul tappeto per colorare e disegnare insieme. Trascorsero un paio d'ore in quel modo, loro due inginocchiati intorno al tavolino da caffè e Pongo che di tanto in tanto rubava dei pennarelli perché non aveva ancora digerito la seconda colazione mancata.
«Posso colorarli?»
«Cosa?»
«I tuoi tatuaggi.» rispose Mia speranzosa, mentre gattonava verso di lui per guardare meglio quelle linee nere che decoravano le sue braccia. «Anche papà ne ha molti e sono tutti neri e così tristi...proprio come i tuoi!»
«Tristi? Non sono affatto tristi, signorina! Guarda qui...c'è persino un trifoglio ed è molto simpatico!» ribatté, indicando il polso.
«Ma il trifoglio è verde, non grigio! E questo cuore...perché lo hai fatto tutto nero? E la rosa? Non è più bella rossa?»
Harry parve rifletterci su, poi disse «sai, forse hai ragione» con una scrollata di spalle. «Fammi vedere cosa sai fare!»
Pian piano quella fitta rete di storie in bianco e nero che gli avviluppava le braccia divenne a colori: la rosa sul suo avambraccio sinistro si colorò di rosso, l'ape su quello destro di giallo, la sirena indossò fiori tra i capelli e delle onde azzurre comparvero accanto al vascello tatuato sul suo bicipite. Poi, fiori e lettere riempirono gli spazi liberi sulla sua pelle abbronzata.
«Dobbiamo farlo anche con i tatuaggi di papà!»
«Credi che ce lo lascerà fare?»
Mia arricciò la punta del naso. «Non credo, Harry. Ma possiamo farlo di nascosto quando dorme, no?»
E, dimentico delle raccomandazioni di Louis, tra cui quella di non passare al lato oscuro della forza, si ritrovò semplicemente ad annuire. I due si fermarono soltanto verso l'ora di pranzo, quando sentirono qualcuno armeggiare al portoncino blu.
«Ma non sei papà!» esclamò Mia imbronciata quando vide il volto magro di Marilla e il suo chignon fare capolino in casa.
«Bel modo di accogliere chi ti porta il pranzo, signorina!» ribatté lei con un cipiglio severo che si sciolse a favore di un sorriso soltanto quando la bambina la raggiunse e l'abbracciò. «Dai, di corsa a lavare le mani che tra poco si mangia.» Dopo essersi assicurata che Mia stesse eseguendo il suo ordine, si voltò nella direzione di Harry e gli chiese «e tu come stai?» poggiando la pentola fumante che aveva tra le mani sul bancone della cucina. «Louis mi ha detto della febbre.»
«Sto bene ora. Sono ancora un po' indolenzito, ma per fortuna mi sono svegliato senza febbre stamattina.» rispose, prima di liberare uno starnuto.
«Non riesci proprio ad andare d'accordo con questo clima, vero?»
«È lui che non vuole andare d'accordo con me!»
Marilla gli lanciò un'occhiata bonaria e, non appena vide Mia scendere le scale, disse «dai, mettete la tavola così mangiate questo brodo ben caldo».
«Apparecchiamo anche per te?»
«Purtroppo no, di sotto c'è il caos assoluto e sembra che con la pioggia l'intera città si sia rifugiata al Daffodil. Posso rimanere soltanto qualche minuto, altrimenti Louis darà di matto. A proposito, vi saluta e manda un bacio a tutti e due.» Lasciò un buffetto sulla guancia della bambina che le sorrise di rimando. «E ringrazia soprattutto te, Harry, per stare con Mia e Pongo anche se non ti senti al meglio.»
Lui scosse la testa, mentre sistemava la tovaglia sul tavolo. «Non deve ringraziarmi, lo faccio con piacere. E poi, a dire la verità, è stata Mia a prendersi cura di me per tutta la mattina.»
Marilla puntò lo sguardo sulle sue braccia tutte colorate e affermò divertita «oh, immagino».
Poi, dopo aver riempito loro i piatti, rimase soltanto per un'altra manciata di minuti, il tempo necessario a Harry di ringraziarla per il pranzo e chiederle dove Louis conservasse le lenzuola di ricambio. Lei gli indicò un armadio a scorrimento e aggiunse che non fosse necessario perché ci avrebbe pensato lo stesso Louis più tardi, ma Harry fu categorico: voleva sdebitarsi dell'accoglienza e pensava che fargli trovare lenzuola che sapevano di pulito nel suo letto fosse un modo carino per farlo, dopotutto. Le ore seguenti passarono velocemente tra il cambio delle lenzuola e qualche capriola di Mia sul letto, un po' di lettura e qualche disegno.
«Prepariamo la cena per papà?» chiese la bambina, quando il cielo al di là delle finestre cominciò a imbrunire. «Scommetto che sarà stanco dopo questa giornata e non dà il suo meglio in cucina in questi casi.»
«Certo, è un'ottima idea.» rispose, seguendola in cucina. «Ti piace cucinare?» chiese, mentre le allacciava in vita un grembiule il cui orlo quasi sfiorava il pavimento.
«Mi piace soprattutto quando non cucina papà perché vuol dire che si mangia bene!»
Harry ridacchiò e le sfiorò la punta del nasino all'insù, prima di scuotere la testa e sospirare «ma come dobbiamo fare con te?». Poi, la sollevò e la fece sistemare su uno sgabello così che fosse all'altezza giusta per lavorare sul bancone. «A rigor di logica, visto che questa volta non cucinerà papà, ti piacerà tantissimo!»
Poi, aprì il frigorifero e cercò di fare del proprio meglio con gli ingredienti che trovò lì e nella dispensa. Ricordò di aver mangiato una sorta di sformato di patate con tocchetti di prosciutto, salame e mozzarella in un viaggio nel sud dell'Italia e decise di prepararlo facendo a meno del salame.
«È una ricetta italiana, credo si chiami...ehm, gateau? Gattò, forse? Non ne sono certo!»
Mia ridacchiò. «Ha un nome buffo.»
«Lo ha, ma posso assicurarti che è molto buono.» ribatté con un sorriso, prima di mettersi all'opera.
A quel punto Harry scoprì quanto Mia e Pongo potessero essere caotici insieme, mentre l'una si muoveva maldestra sullo sgabello e l'altro cercava di rubare del cibo non appena ne aveva l'occasione. Lui, però, non se ne lamentò. Anzi, adorò vedere la bambina così concentrata nella preparazione di quel piatto e attenta a eseguire i suoi ordini, anche se poi finiva per rovesciare la maggior parte degli ingredienti qua e là. Un paio di ore dopo e con lo sformato a riposare nel forno, Mia lo trascinò per mano sul divano affinché guardassero ancora una volta "La Carica dei 101" e Harry, stanco com'era, si arrese semplicemente al suo volere. Così, con la bambina accoccolata su di lui e la pioggia che batteva ancora forte sulle finestre del bow-window, finalmente si rilassò. E ci fu qualcosa di speciale nel vedere la codina di Pongo, sistematosi davanti al televisore, scodinzolare allegra contro il parquet, o nel sentire la risata delicata della bambina solleticargli il petto.
Da tempo non percepiva quell'aria di famiglia scaldargli il cuore e con quel pensiero a curvargli le labbra si addormentò.
*
A fine giornata, Louis non avrebbe mai immaginato di aprire il portoncino del suo appartamento e di assistere a una visione così tenera con i suoi stessi occhi.
Harry riposava pacifico sul divano, un braccio era ripiegato sotto il suo capo e l'altro era sistemato intorno a Mia che era accoccolata al suo fianco e guardava la televisione con un'espressione serena sul volto. A ridestarlo fu Pongo che uggiolò sommessamente nella speranza di compiere la sua solita passeggiata serale: i suoi occhioni scuri si alternarono tra il portoncino e la finestra del bow-window per pochi istanti prima che Louis prendesse il guinzaglio e glielo facesse indossare lasciandogli sul muso qualche carezza. Mia gli fece cenno di non fare troppo rumore dal momento che Harry dormiva ancora profondamente e scese dal divano lentamente per poi raggiungerlo e dargli un bacio sulla guancia.
«Si è addormentato ancora prima che Crudelia arrivasse da Rudy e Anita per vedere i cuccioli!»
«Forse era stanco, tesoro. Lasciamolo dormire un altro po'. Che ne dici di fare la solita passeggiata con me e Pongo visto che ha spiovuto?»
Mia annuì e lui l'aiutò ad indossare la giacca a vento, prima di lasciare un plaid sul corpo di Harry e un post-it sul tavolino in cui scrisse dove erano diretti. A quel punto, i tre abbandonarono il palazzo e si ritrovarono sul Royal Mile avvolti da una leggera nebbiolina che li seguì anche a Holyrood Park, meta della loro passeggiata.
«Allora, cosa hai fatto con Harry oggi?»
«Ho disegnato tanto e ho colorato...anche i suoi tatuaggi!»
«Mia!»
«Papà!» ribatté lei, alzando gli occhi al cielo. «Me lo ha chiesto lui!»
«Ovviamente. E poi?»
«Poi Marilla ci ha portato il brodo e qualche scones.»
«Hai fatto la brava e hai mangiato tutto, vero?»
«Tutto tutto.» confermò. «A pomeriggio, invece, abbiamo giocato ancora, abbiamo fatto le capriole sul letto e abbiamo visto "La Carica dei 101"...beh, io e Pongo lo abbiamo visto perché Harry dormiva.»
«Ti sei divertita?»
«Tanto.»
Mia gli sorrise genuinamente. Poi, Pongo le andò incontro e le leccò la manina per invitarla a lanciargli la pallina blu che stringeva nel palmo. Poco dopo ai due si unì anche Louis, che sentì quasi tutta la stanchezza della giornata scomparire davanti all'abbaiare allegro del dalmata e alla risata limpida di Mia. Amava profondamente quei piccoli momenti di serenità perché lo spingevano a pensare positivamente e ad avere un po' di speranza nel futuro. Giocherellano insieme fino a quando un tuono squarciò la quiete di quegli istanti e, sentendo qualche gocciolina di pioggia, decisero di incamminarsi verso casa.
«Papà?» lo richiamò Mia a metà tragitto. «Harry rimarrà con noi?»
«Credo di sì.»
«Per sempre?»
Louis s'immobilizzò. All'improvviso, numerosi pensieri s'accavallarono gli uni sugli altri appesantendogli la testa e il cuore. Cosa significava, poi, "per sempre"? "Per sempre" era la promessa che lui e Cameron si erano scambiati al loro matrimonio ed era stata infranta tragicamente da una malattia che nessuno dei due aveva messo in conto. Soprattutto, frequentava Harry da poco più di un mese e, per quanto gli sembrasse di conoscerlo da sempre, non conosceva i suoi piani per il futuro, né quando sarebbe tornato a Londra o cosa li avrebbe uniti a quel punto.
«Harry non può rimanere con noi per sempre.» sospirò grave, accucciandosi davanti a lei così da poter guardare la sua espressione imbronciata. «Rimarrà soltanto un'altra notte a casa nostra e poi tornerà nel suo albergo. E quando la sua permanenza qui sarà finita tornerà a Londra.»
«E perché?»
«Perché lì ha un lavoro e la sua famiglia.»
Dirlo ad alta voce fu più spaventoso di quanto pensasse perché nelle ultime settimane, spinto dall'entusiasmo di rimettersi in gioco, non aveva pensato al "dopo": per lui c'erano stati soltanto il presente, le tenerezze che Harry gli aveva rivolto e quella libertà capace di scuotergli le membra e ogni credenza quando era con lui.
«Quindi tornerà davvero a casa sua.»
«Prima o poi, sì.»
«E tu lo sai quando è questo "prima o poi"?»
«No, amore, non lo so. Glielo chiederò, però. Va bene?»
Mia annuì. «Così possiamo fare tutte le cose più divertenti prima che lui torni a casa sua, giusto?»
«Giusto.»
I due si scambiarono un sorriso complice, quello di Louis risultò più malinconico, ma Mia non se ne accorse. Anzi, strofinò la punta del proprio naso sulla sua e ridacchiò prima di lasciargli un bacio sulla guancia barbuta. Quando tornarono a casa, Harry dormiva ancora sul divano e Louis non resistette alla tentazione di accoccolarsi al suo fianco e di guardare l'espressione serafica presente sul suo volto. Soltanto quando gli spostò un ricciolo castano dalla fronte, le sue palpebre sfarfallarono dolcemente e, ancora prima di aprire propriamente gli occhi, sulle sue labbra piene e rosee si aprì un sorriso tenero.
«Lou.»
«Ehi, dormiglione. Come stai?»
«Ora che sei qui molto meglio.» rispose in uno sbadiglio. «Hai già chiuso il Daffodil?»
«Un'oretta fa in realtà. Siamo appena tornati da una passeggiata a Holyrood Park e ora siamo tutti tuoi.»
Harry tese le braccia verso di lui e, dopo aver afferrato con le mani il colletto del suo maglione, lo tirò a sé unendo le loro labbra in un bacio dolce, lento, che sapeva di bentornato a casa. Le loro lingue si incontrarono languidamente per la prima volta in quel giorno e Louis dimenticò tutto il resto, le domande di Mia, le paranoie sul futuro. Nient'altro contava quando baciava Harry, se non le sue labbra morbide, i suoi sospiri tremolanti e le sue mani che gli accarezzavano il volto.
«Mi piace che siate tutti miei perché anche io mi sento vostro.»
Louis rimase per qualche istante senza fiato e non tanto per i baci che si erano scambiati poco prima, ma per le parole che Harry aveva pronunciato con così tanta spontaneità e semplicità. Quel ragazzo era diretto, trasparente e a volte lui non sapeva se quel suo tratto caratteriale fosse più una maledizione che una benedizione. Capì, però, qualcosa. Era quello il motivo per il quale non conosceva ancora i suoi piani per il futuro, né precisamente quando sarebbe partito per Londra: Harry con una sola frase riusciva a mettere a tacere ogni suo dubbio, a fargli pensare che ciò che stava nascendo tra loro non fosse schiavo del poco tempo che rimaneva loro, ma che andasse oltre, oltre il tempo e la distanza. Per questo, gli sorrise dolcemente.
«Beh, lo dicono anche i tuoi nuovi tatuaggi che sei nostro...» precisò, facendo un cenno a quel "Mia" tremolante che era stato scritto sul braccio destro. «...anzi, che sei di mia figlia ormai.»
Harry ridacchiò. «Mi sono lasciato corrompere alla fine.»
«Benvenuto nel club. Mi ha detto che si è divertita un sacco oggi con te.»
«Sì? Anche io, tanto.»
«Già, mi ha anche parlato di alcune capriole sul letto...»
«Ho cambiato le lenzuola e lei ha voluto aiutarmi a tutti i costi, anche se poi ha finito solo per saltellare sul letto tutto il tempo...credo che abbia voluto aiutarmi solo per quello in realtà.»
«Harry Styles, ormai i Tomlinson per te non hanno più segreti!» esclamò divertito. «Comunque, che ne dici di ordinare una pizza per cena?»
«Magari un'altra sera? C'è già la cena pronta nel forno.»
«Cosa?»
«Ho preparato uno sformato di patate, prosciutto e mozzarella. Riscaldalo ancora un po' e sarà buonissimo.»
«Non dovevi darti da fare, non nelle tue condizioni.»
«Il dovere non c'entra niente. Non è a questo che servono i favori...c'entra solo la gioia di sapere che qualcuno ha pensato a te.»
Louis avvertì uno strano calore sulle guance. «T-tu hai...pensato a me?»
«Costantemente. Anche se non posso prendermi il merito di tutta la cena da solo. È stata principalmente un'idea di Mia perché temeva che tu fossi troppo stanco per cucinare, io ho soltanto messo insieme qualche ingrediente.» precisò, prima di mettersi in piedi. «Ora vado a riprendere le mie cose e vi lascio cenare.»
Louis lo guardò confuso, ma lo imitò. «Dove pensi di andare?»
«Al Balmoral.»
«Non se ne parla, fuori piove ancora e non voglio che tu prenda freddo. Cena qui con noi...sarebbe uno spreco non mangiare insieme quello che avete preparato tu e Mia, no?» Si sistemò a un soffio dalle sue labbra e liberò la sua preghiera in un sussurro. «Rimani qui anche stanotte, per favore.» Un bacio sulla mandibola e «poi, domani, quando ti sarai completamente ripreso, ti lascerò tornare al Balmoral» aggiunse.
«Okay, okay, rimango. Sei stato piuttosto convincente.»
Louis specchiò il suo sorriso, prima di alzarsi sulle punte dei piedi e lasciargli un bacio sulla guancia. Trascorsero la cena in serenità, mentre Harry raccontava loro del suo viaggio in Italia e di come avesse mangiato quello sformato di patate più e più volte tanto da volerne imparare la ricetta. Persino Mia non lasciò neanche una briciola nel piatto e si complimentò con lui, chiedendogli di cucinare per loro più spesso. A quel punto, certo che non avrebbe sopportato Harry e Mia coalizzarsi contro le sue scarse doti culinarie, Louis decise che fosse giunto il momento di andare a dormire. Così, dopo aver letto un po' con lei, la mise a letto e la guardò addormentarsi in pochi minuti. Quando tornò in soggiorno, trovò Harry seduto sul bow-window con una tazza di tè tra le mani e il muso di Pongo accoccolato sul suo grembo.
«C'è una tazza anche per te sul bancone.»
Louis gli sorrise e la prese portandosela alle labbra, prima di sistemarsi al capo opposto della panca imbottita e intrecciare le gambe alle sue. «L'ultima volta che mi hai preparato del tè eravamo sulla terrazza ed era l'alba.»
«Sembra una vita fa, vero?» Harry poggiò il capo sul vetro della finestra e liberò un sospiro. «Mi sei mancato tanto oggi.»
«Anche tu, ma sei stato bene qui oggi con Mia?»
«Molto, Lou. È difficile da spiegare, ma io qui mi sento a casa.»
«E non ti manca mai casa tua, insomma, quella vera?»
«Non del tutto. A volte mi mancano mia sorella e i miei amici, sì, ma non mi manca la vita che avevo a Londra.»
«Non riesco a credere che la tua vita a Londra sia così difficile.»
Harry arricciò la punta del naso. «Credimi, lo è.» ribatté. «Pochi giorni prima di decidere di partire, mia madre mi ha fissato un colloquio con una testata giornalistica che si occupa di inchieste importanti grazie ai suoi contatti e a quel punto non ce l'ho fatta più a rimanere lì. Ero stanco di quella sensazione che mi appesantiva il petto ogni mattina appena mi alzavo dal letto, quella di non essere mai all'altezza delle aspettative altrui o di essere preso in considerazione soltanto per il cognome della mia famiglia. E poi, ero così mortificato per la mancanza di fiducia che mia madre riponeva in me da voler mettere più chilometri possibili tra di noi.»
«Quindi questo viaggio è stato una via di fuga.»
«Anche. Però ho pensato che cambiare aria potesse far bene non solo alla mia salute mentale, ma anche alla mia ispirazione e un po' ha funzionato perché sto lavorando a qualcosa di nuovo che non c'entra niente con la rubrica e sono pieno di idee.»
«Ti riferisci a quel nuovo progetto di cui non hai intenzione di parlarmi?»
«Non è che non te ne voglio parlare, ma è ancora a uno stato embrionale e sono un po' scaramantico quando si tratta di queste cose.»
«Ma mi farai leggere qualcosa prima o poi? Credo di avere la precedenza rispetto ai milioni di persone che ti seguono dal momento che ci hai lavorato su nel mio locale.»
«Può darsi, magari prima o poi ascolterai qualcosa.»
«Può darsi? Che giornalista ingrato!»
«Ehi! E io che stavo anche per sciorinare mille lodi nei tuoi confronti!»
«Ah sì? E cosa avresti detto, se io non avessi sottolineato la tua ingratitudine?»
«Beh, se te ne fossi stato zitto, avrei detto anche che non mi manca del tutto casa mia perché ho incontrato voi, te.» Il tono della sua voce, dapprima scherzoso, acquistò una sfumatura più seria e le sue guance s'imporporarono. «Non voglio affrettare le cose o spaventarti, ma quello che provo per te io non l'ho mai provato per nessun altro. E so che per te non sarà mai lo stesso, perché hai avuto un marito che amavi con tutto te stesso, ma...» esitò per qualche istante. «...ma io non avevo mai sentito il mio cuore scoppiettare nel petto o le mie guance scaldarsi in questo modo ridicolo o le mie mani desiderare così tanto quelle di un'altra persona prima di incontrarti. Per non parlare del fatto che starei a guardarti o a sentirti parlare per ore...io...insomma, questo è quello che sento e lo sento soltanto con te, Lou.»
Stranamente Louis non si spaventò, anzi. Il pensiero di essere così importante per Harry lo rassicurava, gli permetteva di mettere da parte le sue insicurezze e le sue paranoie e godersi ciò che c'era tra loro nel modo più sicuro.
«Vieni qui.» mormorò, invitandolo a posizionarsi tra le sue gambe, per poi prendere il suo viso tra le mani e baciarlo alla fioca luce delle lucine che sagomavano il bow-window. «Non mi spaventi affatto.» Harry rilasciò un respiro tremolante sulle sue labbra e chiuse gli occhi, beandosi delle sue mani che scorrevano sulla schiena e lo accarezzavano. «Anzi, mi fai sentire al sicuro perché anche per me quello che c'è tra noi è importante.»
«Nessuno me lo aveva mai detto prima.»
«Nessuno? Neanche uno dei tuoi precedenti ragazzi?»
«Non ho mai avuto storie molto serie, te l'ho detto, e non ho mai incontrato la persona giusta, ma tu...»
«...io mi ritengo fortunato, allora, ad essere stato il primo.»
Harry lo guardò con occhi nuovi, sembravano brillare anche contro il cielo scuro di Edimburgo quella sera, e si lasciò baciare lentamente ancora una volta. Ed era così bello, lui e le sue labbra morbide e rosse, lui e i suoi riccioli da attorcigliare intorno alle dita, lui e quel profumo ormai familiare. Louis non riuscì a fare a meno di notare che ormai Harry sapesse di casa: riconosceva il loro bagnoschiuma alla vaniglia sulla sua pelle e i palmi delle sue mani scorrevano senza alcun impaccio sulla felpa che indossava e che gli apparteneva.
«Mia oggi mi ha chiesto quando andrai via.»
Harry poggiò la guancia sulla sua spalla. «E tu cosa le hai risposto?»
«Che non lo so.» rispose sinceramente. «Ho fatto bene?»
Lo sentì muovere il capo sulla sua spalla per annuire e poi sospirare sulla pelle del suo collo «hai fatto bene, non lo so neanche io», poi tornò a baciarlo.
E, si disse, andava bene così.
*
Quando Louis fece capolino in camera da letto, Harry era già sotto le coperte e Pongo era sul suo grembo ben intenzionato a ricevere tutte le sue attenzioni e carezze.
Gli rivolse un guaito tenero al quale Louis rispose scuotendo la testa e ordinando al dalmata di andare a dormire nella propria cuccia dal momento che nel suo letto c'era già uno spilungone e che non lo avrebbe diviso anche con lui quella notte. Pongo uggiolò, ma finì per abbandonare la stanza soddisfatto dopo aver fatto il pieno delle coccole da parte sua. A quel punto, dopo essersi chiuso la porta alle spalle, Louis si sedette sul bordo del letto e Harry ebbe l'impressione che fosse teso, nervoso, che il momento trascorso un'ora prima sul bow-window fosse lontano anni luce da loro.
«Scusa se ci ho messo così tanto a raggiungerti, ma stamattina sono arrivati dei rifornimenti e volevo mettere a posto alcune fatture»
«Non fa nulla, Pongo ha saputo tenermi compagnia per tutto il tempo.»
«Già, il solito ruffiano...per qualche coccola farebbe di tutto.»
«Abbiamo qualcosa in comune, allora.»
Entrambi ridacchiarono, ma Louis era ancora visibilmente teso. Indossava ancora la sua tuta, sedeva sul bordo del letto sull'attenti e, nonostante la stanchezza che gli velava gli occhi cerulei, non sembrava intenzionato a indossare il pigiama e a raggiungerlo sotto le coperte per il momento.
«Ehm, sei sicuro che vada bene che io resti a dormire qui un'altra notte?» gli chiese, prendendogli la mano nella sua e cercando di sciogliere quella tensione. «Insomma, se vuoi posso tornare al Balmoral e...»
«...mph n-no.» balbettò Louis. «Perché? Vuoi andare via?»
«Non voglio andare via...insomma, a meno che non lo voglia tu.»
«Non voglio che tu vada via. È solo che...che è la prima volta in cui dormo con un uomo che non sia Niall in questo letto.»
«Oh.»
«Già e non è come l'avevo immaginato nei miei sogni più arditi, sai. Forse è colpa mia, visto che ho passato l'ultima ora a lavorare.»
«E come l'avevi immaginato?» gli chiese Harry divertito, mentre accorciava lo spazio tra loro e con la mano gli lasciava carezze lungo l'avambraccio.
«Beh, prima di tutto, con meno vestiti.» Ed entrambi ridacchiarono sommessamente. «Poi, più vicini di così e sudati, molto sudati.»
«Sai, non è stata un'ottima idea rivelarmi i tuoi sogni più arditi quando tua figlia e il tuo dalmata sono a una stanza di distanza, ma credo di poter rimediare ad almeno una delle tre opzioni.»
«Si?»
«Sì, se me lo permetti.»
Con la mano di Harry arrivata a vezzeggiargli la spalla, Louis infilò la propria tra i suoi ricci castani per baciarlo e approfondire quel contatto che suonò più forte di un «sì» e che annullò ogni distanza tra loro perché da quel momento in poi risultò difficile capire dove iniziava l'uno e dove finiva l'altro. Le loro labbra si modellarono le une sulle altre, mentre rubavano sospiri e respiri e li restituivano tremolanti. I loro petti si scontrarono per la prima volta in quel modo così intimo e le loro mani percorsero i loro corpi seguendone ogni curva. Harry sussultò quando percepì il palmo caldo di Louis infrangersi contro la sua pelle, ma non si chiese neanche quando l'altro avesse trovato il coraggio di scostare la sua t-shirt e accarezzargli la schiena, troppo impegnato ad ascoltare il suo respiro affannato e a premere la lingua su un lembo del suo collo. Ne morse la pelle e poi la lenì con la lingua, continuò a stargli così vicino e gemette soddisfatto quando sentì l'eccitazione di Louis premere dura contro la sua coscia, desiderando di averla tra le mani o tra le labbra al più presto.
Voleva che Louis si sentisse ancora un uomo fatto di carne e passione, non solo un papà con l'intero mondo a pesare sulle sue spalle.
Per questo, ad occhi chiusi, mentre le labbra scivolavano prima sulla sua mandibola e prendevano possesso della sua bocca, fece vagare il palmo della mano sul suo torace fino a trovare l'orlo della t-shirt e a superarlo, a sfiorare la pelle calda del suo bassoventre. Gli accarezzò il bacino e la sua mano volò sempre più in basso, giocherellando con la coulisse dei pantaloncini e il bordo elastico dei boxer, mentre Louis si aggrappava alla sua schiena e le sue labbra rilasciavano sospiri tremolanti. Sospirò anche Harry, quando le dita sfiorarono la sua intimità sopra il tessuto leggero dei boxer e le sue palpebre sfarfallarono per un istante a quel contatto. Tuttavia, quel piacere, quello che stava montando nel suo bassoventre, sfumò presto in preoccupazione: gli bastò notare il volto di Louis irrigidito e le sue labbra strette in una linea sottile.
«Lou?» mormorò, inginocchiandosi tra le sue gambe, le mani erano già corse sulle guance a dargli conforto. «Va tutto bene?»
L'altro scosse la testa, gli occhi erano inumiditi dalle lacrime. «Abbracciami, ti prego.» disse in un sussurro.
E Harry non fece domande, lo tirò su e lo premette contro il suo petto. Le gambe tornite di Louis erano ai lati del suo bacino, le mani si aggrappavano disperatamente alla sua t-shirt, il volto si nascondeva nell'incavo del suo collo, il suo petto veniva scosso dai singhiozzi. Lui lo rassicurava con baci sulla spalla e le mani che tracciavano forme morbide sulla sua schiena. L'eccitazione di entrambi si era spenta, in quel momento si respiravano solo vulnerabilità e fragilità nell'aria. Trascorsero in quel modo istanti che a Harry sembrarono eterni, scanditi soltanto dai sospiri e dai singhiozzi. Poi, percepì Louis allontanarsi.
«Scusa.»
«Ehi.» lo richiamò, lasciando scivolare l'indice sul suo mento e invitandolo a guardarlo. «Non hai niente di cui scusarti.»
«Sei il primo uomo che mi tocca in quel modo da...» esitò per un istante. «...da quando Cameron è morto ed è stato tutto così nuovo che mi ha sopraffatto.» confessò. «I-io...ecco, credo di dovermi abituare all'idea che un altro uomo possa ancora farmi sentire in questo modo, che io stesso possa far sentire in questo modo qualcun altro che non sia lui.»
«Va tutto bene, non dobbiamo fare nulla per il momento. Prenditi il tuo tempo, io ti aspetto.» E, prima che Louis scuotesse la testa, premette i palmi delle sue mani sulle guance. «Ehi, sto dicendo sul serio, non dobbiamo fare nulla. È normale che tu non ti senta ancora pronto a condividere questo tipo di intimità con qualcun altro e io non ho alcuna pretesa. Come fai a non capirlo? A me basta starti vicino nel modo in cui tu desideri.»
«A volte penso di non meritarti, Harry.»
«Non dire così, per favore.»
Louis sospirò. «Il mio cuore è pieno di crepe e non so se alcune di queste si risarciranno mai, ma a te non importa.» mormorò. «Tu sei qui, tu sei ancora qui che mi stringi il viso, mi guardi con quest'espressione serena e non pretendi nulla da me. Sei ancora qui e non vuoi andare via, anzi, mi dici che ti basta quel poco che ti do e che vuoi soltanto starmi vicino.»
«È così, ma non dire che mi dai poco, perché nelle settimane passate mi hai dato più di quanto avrei mai potuto immaginare.»
«Come faccio a non pensare di non meritarti se mi dici queste cose?»
«Non devi pensarlo.» rispose risoluto, prima di lasciargli un bacio sul mento, poi sulle guance, sugli zigomi e sulla punta del naso. «Non c'è alcuna fretta, ti aspetterò.»
E quando arrivò alle palpebre Louis stava già sorridendo e ridacchiando sommessamente. Harry lasciò scontrare la sua schiena con il materasso morbido e si beò di quella visione, di Louis finalmente rilassato e con la frangia tutta scompigliata tra le lenzuola bianche, prima di continuare a lasciare baci giocosi su tutto il suo viso e godersi la sua risata spensierata. Capì che Louis avesse bisogno di sorridere, di sentire le sue mani e le sue labbra, di abituarsi a quei gesti, ancora prima che al piacere e al sesso. Quest'ultimo chiuse gli occhi e si sporse verso di lui, lasciandogli un bacio a fior di labbra, un bacio che, nonostante tutto, sapeva ancora di scuse e allo stesso tempo chiedeva comprensione. Harry si sistemò di fianco, con la guancia a riposare sul cuscino e gli occhi ad osservare il suo profilo illuminato flebilmente.
«Posso abbracciarti stanotte?»
Louis voltò il capo nella sua direzione e annuì prima di spegnere l'abat-jour. Così, Harry si avvicinò e fece aderire la sua schiena al proprio petto, mentre la mano destra incontrò dolcemente la curva del fianco. Non riuscì a non tremare quando Louis prese quella mano e ne baciò il dorso, prima di portarsela al petto, all'altezza del cuore.
«Sai, alla fine non è un male che il tuo cuore abbia tutte quelle crepe.» mormorò a quel punto. «Dopotutto, è così che entra la luce.»
È stata una settimana difficile, ma sono felice di essere riuscita a pubblicare questo capitolo nonostante tutto!
La frase finale, quella che Harry dice a Louis, è una delle mie preferite della storia e credo semplicemente che dovremmo ricordarlo a noi stessi più spesso 🤍
Fatemi sapere se questo capitolo vi è piaciuto!
A presto,
Lucia
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