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Capitolo Sei

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Grazie e buona lettura 🌼

Louis era sempre stato bravo ad aspettare.

Quando era soltanto un bambino, trascorreva ore intere al doposcuola prima che sua madre terminasse il turno all'ospedale e non se ne era mai lamentato: bastava che Johannah gli desse un bacio e gli promettesse di trascorrere l'intero pomeriggio insieme per far passare quell'attesa in secondo piano. Da adolescente, invece, si ritrovava ad aspettare i suoi amici al solito pub di Doncaster per minuti che sembravano ore dal momento che lui arrivava sempre in anticipo e loro in ritardo, ma ogni lamentela veniva sedata dal primo giro di birra che gli veniva offerto. Da adulto, poi, era stato paziente anche con la proposta di matrimonio che era arrivata a cinque anni dal primo incontro con Cameron, proprio a Calton Hill, con il tramonto a far loro da sfondo e un venticello dolce a scuotere le loro anime già tremanti per l'emozione.

Quel pomeriggio di fine luglio, però, Louis pensava di aver aspettato fin troppo.

Da ore, infatti, non desiderava altro che vedere Harry entrare dalla porta principale del Daffodil, accomodarsi al bancone e chiedere la sua solita ordinazione. Tuttavia, quest'ultimo non si faceva vivo dalla sera precedente, da quando lo aveva salutato con un bacio mozzafiato contro il portoncino blu del palazzo e lui si era sfiorato le labbra incredulo, quasi per capire se quella serata fosse stata soltanto un sogno o semplicemente la realtà.

«Credi che abbia avuto dei ripensamenti?» chiese preoccupato a Marilla. «E se fosse tornato a Londra?»

Lei poggiò il canovaccio sul bancone e lo guardò confusa. «Di chi stiamo parlando, Lou?»

«Di Harry.» ribatté, come se la risposta fosse ovvia. «Ieri sera mi aveva promesso che sarebbe venuto qui questa mattina, ma non si è ancora fatto vivo, sono le tre del pomeriggio e non ha neanche risposto ai miei messaggi. E se...»

«...e se avesse avuto soltanto un imprevisto o fosse stato occupato con il suo lavoro?» concluse Marilla al posto suo. «Tesoro, questa mattina non facevi altro che ripetermi che bella serata avessi trascorso ieri. Insomma, non pronunciavi l'aggettivo "magnifico" da anni!»

Louis accennò un sorriso perché lo era stato, era stato tutto magnifico la sera precedente, compreso tornare a respirare per qualche istante grazie ai baci che si erano scambiati.

«Quindi...»

«...pensi che dovrei tartassarlo di messaggi e chiamate? Non sembrerei un po' disperato?»

«No, intendevo che forse dovresti...»

«...aspettare? Sono stanco di aspettare, Marilla.»

Lei scosse la testa e poggiò le mani sulle sue spalle, prima di mormorargli «voltati» e sorridergli in modo esasperato. Lui sbuffò e alzò gli occhi al cielo, ma eseguì il suo ordine perché sapeva di averla portata al limite anche quel giorno con le sue paranoie e non lo meritava. Non appena si voltò, sentì quasi il suo cuore saltare qualche battito perché Harry era lì, all'entrata del Daffodil, tutto intento a tenere aperta la porta ad una mamma che spingeva all'interno il passeggino del suo bambino. Louis curvò le sue labbra in un sorriso quando lo raggiunse al bancone e lo guardò imbarazzato, indeciso sul da farsi.

«Ciao.» soffiò Harry, dondolandosi sui talloni e stringendosi addosso la tote-bag che indossava. «Buon pomeriggio, Marilla.»

«Buon pomeriggio anche a te, caro.» ribatté lei compiaciuta, prima di dargli una pacca incoraggiante sulla schiena e raggiungere al tavolino la cliente appena entrata.

Louis, ancora sorpreso dal suo arrivo, riuscì soltanto a sospirare «sei davvero qui» per poi sentirsi più leggero.

«Certo che sono qui, dove altro avrei dovuto essere?»

«Lascia stare.» mormorò imbarazzato.

Tuttavia, Harry aggirò il bancone e lo raggiunse, gli sfiorò il dorso della mano con il palmo della sua e richiamò la sua attenzione.

«Allora, cosa c'è che non va?»

Louis sospirò. «Per un istante ho pensato che non saresti venuto, che fossi tornato a Londra e che quella di ieri sera fosse stata tutta una presa in giro. Sì, lo so che è un pensiero un po' estremo, ma questo è quel che sono...un concentrato di paturnie che non riesce a godersi neanche le poche cose belle che gli capitano.»

Harry s'intenerì e gli prese il viso tra le mani con una delicatezza tale da fargli tremolare le ginocchia. «Guardami, Lou.» mormorò. «Ti prego, non vergognarti, ho bisogno che mi guardi negli occhi.» E soltanto allora incontrò il suo sguardo e non vide altro che comprensione e onestà. «So che è difficile aprire il tuo cuore e fidarti di qualcun altro dopo ciò che hai passato, ma io sono qui e non vado da nessuna parte. Mi sembrava di averlo reso ben chiaro ieri sera, sai? Con tutti quei baci che ci siamo scambiati...»

Louis liberò finalmente una risata e gli cinse la vita, finalmente più rilassato.

«...ma sono disposto a spiegartelo di nuovo perché non sono una persona che si arrende facilmente, sta' tranquillo.»

E, a pochi millimetri dal suo viso, Harry non poté fare altro che sporgersi e incontrare le sue labbra, ancora distese in un sorriso, in un bacio morbido, casto, ben diverso da quelli che si erano scambiati la sera precedente, ma non per questo meno bello. Quel bacio sapeva di qualcosa che avrebbe potuto diventare presto quotidianità, sapeva di intimità e di fiducia promessa.

«Sai perché sono venuto qui soltanto poco fa?» mormorò, facendo un passo indietro. «Perché ieri notte non ho dormito affatto e mi sono addormentato all'alba. Mi sono svegliato soltanto un paio d'ore fa e il mio primo pensiero è stato quello di raggiungerti.»

«Ma perché non hai dormito? Hai avuto qualche ripensamento?»

«Perché non riuscivo a smettere di pensarti, Lou. A un ragazzo come me non capita spesso di incontrare persone come te, quindi...»

Le guance di Louis s'imporporarono. Avrebbe voluto dirgli che per lui era lo stesso, che aveva trascorso non solo la notte in quel modo, ma anche la mattina e parte del pomeriggio, che era stata una benedizione incontrarlo. Eppure, tutto quello che fece fu sobbalzare perché Marilla si schiarì la voce alle loro spalle all'improvviso e un istante dopo li guardò con un sopracciglio alzato e le mani sui fianchi.

«I clienti non sono qui per assistere ad una telenovelas, ma per il nostro tè! E tu, Harry, torna assolutamente al di là del balcone!» esclamò, dandogli un colpetto sull'avambraccio con il menu, prima di scomparire nel laboratorio.

Entrambi ridacchiarono e, soltanto al suo secondo richiamo, Harry chiese a Louis sottovoce «ma vede anche attraverso i muri?».

«Sì e ci sento anche!» esclamò lei dalla stanza attigua.

Fu allora che alzò i palmi delle mani in segno di resa e si mise comodo sullo sgabello, mentre Louis osservava divertito la scena e Marilla gli rivolgeva un occhiolino sulla soglia della porta. Harry trascorse un paio d'ore a lavorare al suo laptop e a sorseggiare il suo tè freddo preferito, mentre il Daffodil si affollava e si svuotava ciclicamente di avventori. Louis di tanto in tanto cercava di sbirciare lo schermo del computer per capire su cosa stesse lavorando con così tanto ardore, ma Harry metteva su un sorriso sornione e gli ripeteva che lo avrebbe scoperto soltanto quando quel progetto sarebbe stato più definito.

«Dov'è oggi Mia?» gli chiese, quando si fermò dietro al bancone per terminare un'ordinazione.

«È al parco con un'amica e i suoi genitori.»

«Che ne dici se quando stacchi e lei torna qui guardassimo insieme "La Carica dei 101"?»

Louis sospirò. «Sai che non devi farlo per forza...insomma, passare il tuo tempo libero anche con Mia. Ti sto dando una via d'uscita ora, ti sto dicendo che quello che c'è tra noi può rimanere tra adulti, senza che...»

«...senza che io mi senta in obbligo di considerare anche lei?» concluse al suo posto. «Non sono un idiota, Lou. So che Mia si è affezionata a me e io mi sono affezionata a lei. So anche che vedermi con te in atteggiamenti affettuosi, portarla a prendere il gelato o passare del semplice tempo insieme potrebbe spingerla a pensare che sono di più di una figura satellite nella sua vita e...» esitò un istante. «...e a me sta bene perché sono io il primo a desiderarlo.»

«Harry, io...»

«Non ho bisogno di una via d'uscita, okay? E poi chi ti ha detto che sono qui per te e non per lei?»

«Ah scusami, per un istante ho dimenticato che è lei la Tomlinson che preferisci. Devono essere stati tutti quei baci che mi hai dato ieri sera a confondermi.»

«O semplicemente la vecchiaia.»

«Ehi!»

Harry ridacchiò davanti alla sua espressione indignata, prese un sorso del suo tè freddo e poi tornò al lavoro. Louis lo osservò con l'ombra di un sorriso sulle labbra per qualche minuto, prima di richiamare la sua attenzione.

«Comunque sì.»

«Sì a cosa?»

«A guardare insieme "La Carica dei 101". E che ne dici di rimanere anche a cena da noi? Soltanto io, te e Mia.»

«Rimango, Lou.»

E suonò come una promessa legata non solo a quella sera, ma a molte altre ancora.

*

Harry amava le sorprese, soprattutto se quest'ultime significavano Louis, Mia e Pongo che gli intimavano di precipitarsi fuori dal Balmoral in fretta e furia.

Per questo, dopo aver infilato una felpa grigia e dei pantaloncini neri, scese di gran carriera al piano terra non potendo fare a meno di pensare a cosa avessero in serbo per lui durante l'intero tragitto. Si fermò sulla scalinata d'ingresso dell'hotel soltanto per un istante, quello necessario a sentire il suo cuore saltare un battito alla vista di Louis che, appoggiato alla portiera di un SUV nero, lo guardava già con un'espressione divertita sul volto e le braccia incrociate al petto.

«Allora? Rimani a fissarmi ancora un po' o mi raggiungi?»

Harry scosse la testa e alzò gli occhi al cielo, ma curvò le labbra in un sorriso non appena s'incamminò verso la sua direzione. Quella mattina Louis sembrava ancora non essersi svegliato del tutto, aveva lo sguardo un po' assonnato e sotto un cappellino di Burberry s'intravedevano i suoi capelli color miele tutti scarmigliati. Nonostante questo, sorrideva e lui non nascondeva che amava vedergli quella spensieratezza addosso, tanto più quando lo spingeva a compiere gesti spontanei e improvvisi, come afferrare delicatamente lo scollo della sua felpa e attirarlo a sé per unire le loro labbra in un bacio casto, ancora un po' incerto e sulle punte dei piedi.

«Buongiorno, spilungone.»

«Buongiorno, Lou.»

Rimasero a guardarsi per pochi istanti, prima che un «buongiorno, Harry!» li facesse sobbalzare e uno sguardo vispo catturasse la loro attenzione.

«Buongiorno anche a te, Mia!» Le rivolse un buffo inchino e «ciao anche a te, Pongo» aggiunse, quando il muso del dalmata finì al di fuori del finestrino in cerca di coccole.

Tuttavia, poté soltanto concedergli una carezza sul muso perché Louis lo spintonò delicatamente verso il posto del passeggero mormorando che fosse già tardi.

«Già tardi per cosa?» chiese imbronciato, mentre si sistemava sul sedile. «Dov'è che andiamo?»

Louis e Mia fecero incontrare i loro sguardi complici nello specchietto retrovisore dell'automobile prima di esclamare all'unisono «nelle Highlands!».

«Ti piacerà un sacco! Papà ci porterà a vedere i Kelpies, tanti castelli e tanti laghi!»

«Wow, non vedo l'ora!» ribatté, condividendo il suo entusiasmo, prima di sussurrare un più sottile «grazie, Lou».

«E per cosa?»

«Per questa gita e anche per permettermi di passare del tempo con voi due.»

Louis scosse la testa e gli sorrise prima di volgere lo sguardo sulla strada e concentrarsi sulla guida: a volte, e Harry ne era consapevole nonostante il suo mestiere, le parole non servivano affatto. Quel sorriso non scomparve mai dalle sue labbra, soprattutto quando si ritrovò a ridacchiare per qualche battuta o a canticchiare con Mia le canzoni che passavano alla radio. Sull'autostrada la loro attenzione venne catturata dai Kelpies, enormi strutture in acciaio a forma di testa di cavallo che affioravano da uno specchio d'acqua e che, secondo la tradizione celtica, richiamavano creature maligne.

«Quei Kelpies sono enormi!» esclamò Mia meravigliata. «Sono anche più alti di te, papà?»

«Tesoro, persino Pongo è più alto di papà se si mette su due zampe.» s'intromise Harry, facendo ridacchiare la bambina e ignorando quell'«ehi» infastidito che Louis gli rivolse insieme a un colpetto affettuoso sulla coscia destra. «E comunque sì, sono davvero enormi!»

«Mia, amore di papà, non ascoltare Harry. Quei Kelpies sono alti trenta metri, sarebbero più alti di chiunque.»

«E perché non andiamo a vederli da vicino?»

«Perché sai cosa dice la leggenda. I Kelpies sono creature malvagie che infestano i laghi e attirano i viaggiatori per poi farli cadere nel lago e condurli sul fondo.» le ricordò Louis, mentre Mia annuiva e stringeva al petto il suo dalmata di peluche. «È meglio se proseguiamo sulla nostra strada, tesoro.»

«Macabro.» commentò Harry a bassa voce. «Devo crederci davvero?»

«Nah, non c'è granché da vedere a Falkirk e i Kelpies si vedono bene anche dall'autostrada. Le ho ricordato quella leggenda spaventosa soltanto per farle perdere interesse e non far diventare quei cavalli un capriccio.»

«E con questa stessa bocca baci tua figlia, Louis Tomlinson?»

Louis ridacchiò. «So che non è molto onesto, ma sono dei piccoli espedienti che tutti i genitori usano con i propri figli. Benvenuto nel mondo degli adulti, Harry.»

Sentì la sua mano stringere la presa sulla propria coscia e ricordò soltanto in quel momento che l'altro non l'avesse spostata dopo il colpetto che gli aveva dato scherzosamente per rimproverarlo. Non gli chiese di farlo, però. Anzi, pose la propria mano sulla sua e curvò le labbra in un sorriso prima di puntare lo sguardo alla strada e al panorama che scorreva velocemente al di là dei finestrini. Era rassicurante averlo così vicino, percepire sul proprio corpo il peso della sua mano, capire che ormai fosse reale.

Ed era tutto reale: Harry, Louis, Mia e Pongo stretti in quell'automobile e pronti per nuove avventure.

Di tanto in tanto Louis deviava dalla strada principale per far vedere loro vecchi castelli arroccati e ormai in decadenza. Man mano che si allontanavano dai centri abitati e si addentravano nel Parco Nazionale del Loch Lomond, il paesaggio diventava sempre più selvaggio. Colline verdeggianti e montagne rocciose si estendevano fino all'orizzonte tra piccoli laghi e fiumiciattoli e il clima si mostrava mutevole con il sole che spuntava di tanto in tanto dietro grandi nuvole grigie e qualche goccia di pioggia che bagnava il loro parabrezza. Soltanto quando giunsero alla prima tappa del loro itinerario, il cielo cominciò ad aprirsi.

Luss era un piccolo villaggio situato sulle sponde del Loch Lomond, il più grande dell'intera Gran Bretagna. Deliziosi cottage ottocenteschi si estendevano a perdita d'occhio con i loro giardini fioriti e diverse stradine portavano alla sponda bianca del lago, lì dove c'era anche un piccolo molo per la partenza dei traghetti che compievano giri turistici. Nelle vicinanze c'era persino una chiesetta in stile revival gotico, circondata da un cimitero di lapidi risalenti, però, a molti secoli prima. Sembrava di trovarsi in un altro mondo e si respirava un'aria di tranquillità e serenità che difficilmente Harry trovava in città.

«Conosci bene questo paesino.» constatò, mentre Mia e Pongo giocavano sulla sabbia bianca della sponda del lago. «Ci sei già stato altre volte?»

«La famiglia di Cameron ha un cottage nella zona e, quando cercavamo un po' di relax, ci rifugiavamo lì nel weekend e girovagavamo per i paesini vicini. Era bello fuggire dalla città per qualche giorno e pensare soltanto a noi due.»

«Avevate già Mia?»

«No, non ancora. Quando è arrivata Mia, non abbiamo più avuto molto tempo libero tra le notti insonni, il Daffodil e il lavoro.» ridacchiò. «Però, qualche mese prima che Cam si aggravasse, l'ho bendato, l'ho costretto a entrare in macchina e l'ho portato qui. Abbiamo lasciato Mia dai nonni e per un fine settimana ci siamo sentiti di nuovo spensierati, ci è sembrato di tornare a molti anni prima, a quando eravamo soltanto io e lui e non c'era alcuna malattia a dividerci.»

«Ma nessuna malattia vi ha mai diviso per davvero, Lou. Non nello spirito o nel cuore, per lo meno.»

«Hai ragione. Perdonami se parlo troppo spesso del mio passato.»

«Non devi scusarti, mi piace quando mi racconti qualcosa del tuo passato o della vita con Cameron.»

«Sì?»

Harry annuì. «So quanto sia stato e sia ancora importante per te, quindi non scusarti. Dopotutto, sei la persona che sei anche grazie a lui e a me piace molto questa persona, sai?»

Louis lasciò scivolare una mano sulla sua spalla, sul collo e poi sulla guancia per avvicinarlo a sé e sussurrargli sulle labbra «come farei senza di te?».

«Non lo so, ma facciamo in modo di non scoprirlo, okay?»

Si scambiarono un sorriso complice prima di raggiungere Mia e Pongo sulla sponda del lago, giocherellare con loro e scattare qualche foto ricordo. Poi, si rimisero in viaggio. Incontrarono un po' di pioggia per le stradine tortuose che abbracciavano le colline e le montagne delle Highlands e tirarono un sospiro di sollievo quando il tempo migliorò a Inveraray. Non c'era un cielo azzurro a fargli da sfondo, ma quel paesino era uno spettacolo ugualmente: un insieme di edifici bianchi d'epoca georgiana si affacciava sulla sponda occidentale del Loch Fyne riflettendosi nelle sue acque e da un'altura non lontana era visibile persino il castello dallo stile eclettico che vegliava sull'intera vallata. Girovagarono per le tante stradine, fermandosi di tanto in tanto nei negozietti caratteristici per acquistare qualche souvenir, fino a quando non scelsero di pranzare in un ristorante sul lungolago con vista panoramica sulle barchette ormeggiate al molo.

Alla vista del piatto forte di quelle zone, Louis rabbrividì. «Come fai a mangiarle?» Si riferiva alle ostriche che occupavano il piatto di Harry, perché nel suo e in quello di Mia, invece, c'erano del pesce fritto e delle patatine.

«Che significa "come faccio a mangiarle"? Le porto alle labbra e le faccio scivolare giù per la gola.»

«Assolutamente orrendo.» ribatté ancora, chiudendo gli occhi e strizzando le palpebre per qualche istante. «Le ho mangiate una sola volta ad un matrimonio e non riuscivo neanche a deglutire, facevano su e giù continuamente, è stato un incubo.»

«Oh, per quello io non ho problemi. Quasi non ho il riflesso faringeo, quindi...»

Gli lanciò un'occhiata allusiva, lasciando che il suo sguardo cadesse per un istante sul bassoventre prima di riportarlo in fretta sul viso. Louis, capendo le implicazioni della sua affermazione, si sistemò meglio sulla sedia e pronunciò un «ah». E Harry, che aveva cercato di rimanere serio per tutto il tempo, scoppiò in una fragorosa risata davanti alla sua espressione a metà tra l'imbarazzo e la curiosità. Louis cercò di farlo smettere, guardandosi intorno e notando gli altri clienti osservarli incuriositi, ma poco dopo non poté fare a meno di unirsi alla sua risata contagiosa.

Tuttavia, entrambi si zittirono quando Mia domandò ingenuamente «cosa è il riflesso paringeo, papà?» prima di mangiucchiare una patatina. «E perché Harry non lo ha?»

«Nulla, tesoro.» si affrettò a rispondere Louis, lanciando un'occhiataccia al diretto interessato. «Nulla di cui non dovrai preoccuparti almeno fino ai trent'anni compiuti.»

Non impiegarono molto a distrarre la bambina con qualche strana leggenda dei dintorni e, fortunatamente, non tornarono più sull'argomento. Trascorsero l'intera durata del pranzo tra risate e chiacchiere piacevoli, tra Mia che divideva il suo pranzo con Pongo e Louis che arricciava la punta del naso ogni qual volta il suo sguardo si posava sulle ostriche di Harry. Dopo aver consumato il dessert e aver battibeccato sul conto, mentre Louis e Mia si dirigevano all'esterno con il dalmata, Harry andò a pagare.

«Siete una bellissima famiglia.» esordì la signora alla cassa.

«Uhm, cosa?»

«Lei e il suo compagno, con la bambina e quel dalmata. Siete proprio una bella famiglia.»

Harry boccheggiò per qualche istante prima di realizzare quelle parole e le loro implicazioni. Una famiglia? Sembravano davvero una famiglia? Quasi sentì la testa girare e le ginocchia tremolare a quel pensiero, perché Louis e Mia erano già una famiglia e appartenevano a qualcuno che purtroppo non c'era più. Harry? Lui era entrato nella loro vita per caso, poco più di un mese prima, e non aveva il diritto di esserne incluso. Tuttavia, l'affabile donna che aveva davanti a sé non poteva saperlo e, per questo, le accennò soltanto un sorriso prima di pagare, salutarla e respirare a pieni polmoni una volta fuori dal locale. Raggiunse i due soltanto quando il senso di nausea che gli stringeva lo stomaco scomparve e il suo respiro si stabilizzò.

«Ehi, ce ne hai messo di tempo per pagare.» gli fece notare Louis.

«Uhm, no, in realtà ho ricevuto una chiamata di lavoro.»

«Tutto okay o c'è qualche problema? Sembri strano.»

«Sta' tranquillo, il redattore voleva soltanto farmi i complimenti per l'articolo.»

E non era del tutto una bugia perché aveva ricevuto quella telefonata per davvero, ma la sera precedente. Il suo redattore si era complimentato con lui per la storia pubblicata visto il successo che aveva avuto online e sui social e lui si era sentito finalmente fiero di se stesso. Lo era un po' meno in quel momento, ma si disse che una bugia bianca non avrebbe fatto male a nessuno.

«Te lo avevo detto che sarebbe stato un successo.»

Harry annuì e Louis richiamò Mia e Pongo per invitarli a dirigersi verso il castello di Inveraray. Lì, apprezzarono gli interni eclettici e i giardini curati, prima di spostarsi in una fattoria vicina e accarezzare le mucche delle Highlands. Harry si sciolse nel vedere Mia tra le braccia di Louis tendere la manina oltre il recinto in legno per intrufolarla nel pelo marroncino di una mucca e non poté evitare di scattare qualche fotografia.

Nel pomeriggio, invece, si spostarono verso la parte orientale del Parco Nazionale.

Il Loch Lubnaig era un piccolo lago situato tra due montagne, riparato dai venti, ma non dai nuvoloni grigi e carichi di pioggia che oscurarono il cielo pian piano. Il panorama, però, era mozzafiato con l'acqua cristallina nella quale le montagne si specchiavano e con le chiome verdi degli alberi a fare da cornice. Tuttavia, Harry non riuscì a goderselo a pieno. I pensieri e le paranoie su ciò che era accaduto nel ristorante avevano gettato un'ombra sulla sua felicità e neanche sollevare Mia per farle bagnare i piedini nell'acqua fresca del lago riuscì a strappargli un sorriso sincero sul viso in quel momento. E Louis se ne accorse perché, dopo qualche minuto, lo raggiunse sulla seduta in pietra che occupava affinché sputasse il rospo.

«Meglio fuori che dentro, dice sempre Marilla. Allora, cosa c'è che non va?»

Lui sospirò. «Prima, quando eravamo a Inveraray, non ho ricevuto una chiamata di lavoro. O meglio, quella chiamata l'ho ricevuta per davvero ieri sera, ma te l'ho detto solo poco fa perché mi serviva un diversivo. Non volevo farti preoccupare con le mie paranoie.»

«Harry, mi stai facendo preoccupare seriamente ora. Dai, sputa il rospo.»

«Uhm, quando ero a pagare, la proprietaria del locale mi ha detto che eravamo una bella famiglia...io, te e Mia.»

«Oh.»

«Già, oh.» ripeté, scuotendo la testa. «M-mi sono sentito così a disagio, Lou.»

«È perché, ehm, sei ancora troppo giovane? Insomma, non è il sogno di tutti essere scambiato per il padre di una bambina o un marito a ventisette anni...i-io lo capisco.»

«No, no, non è per questo che mi sono sentito a disagio.»

«E per cosa, allora?»

«Perché non dovevo esserci io qui con voi oggi. Tu, Cameron e Mia eravate una famiglia. Io? Io sono un caso, una variabile. E le parole di quella donna, per quanto gentili, mi hanno fatto sentire in colpa perché non voglio sostituire nessuno.»

«Sappiamo che non vuoi sostituire Cam. L'ho capito io e l'ha capito anche Mia. E non devi sentirti in colpa per qualcosa che non hai fatto o per quello che gli altri dicono di noi, soprattutto se lo fanno con ingenuità o leggerezza.»

«Eppure, a volte, non riesco a fare a meno sentirmi un po' a disagio nei confronti di Mia.»

«In che senso?»

«Non so, ho paura di infastidirla. È per questo che prima di baciarti o anche solo di sfiorarti con un dito controllo che non ci stia guardando.»

Louis scosse la testa. «Baciami, abbracciami, prendimi la mano quanto e quando vuoi.» rispose semplicemente. «Mia è soltanto una bambina, sì, ma è intelligente e sa che suo padre è insostituibile. Sa anche chi sei tu per me e quanto mi rendi felice, però.»

Harry annuì, abbassando lo sguardo e accennando un sorriso imbarazzato. «Mi sono reso ridicolo, vero?»

«No, invece. Mi hai solo dimostrato ancora una volta quanto tu sia premuroso.»

«È che non voglio rovinare nulla. Lo so che ci conosciamo da poco più di un mese e non è molto, ma io sono così felice con te, Lou. Sono felice così come non lo ero da tempo.»

«Anche io sono felice con te e...il tempo? Credo sia del tutto relativo. Due persone possono stare insieme da una vita e non conoscersi affatto. Altre, invece, possono scoprirsi completamente in pochi giorni o settimane. E ricordati che io non sono fatto di vetro: quindi abbracciami, tienimi la mano, baciami.» soffiò sulle sue labbra. «Sempre se non lo faccio prima io.»

Fu l'ultima cosa che disse perché, un attimo dopo, premette le labbra sottili sulle sue e Harry non poté far altro che accoglierle senza alcuna esitazione. La mano di Louis scivolò tra i ricci color cioccolato e lo attirò a sé per approfondire quel bacio togliendogli il respiro e restituendoglielo allo stesso tempo. E fu diverso dai baci precedenti: non c'era più alcuna cautela, perché gli suggeriva di lasciarsi andare e scrollarsi di dosso ogni paura e ogni senso di colpa. Per questo, Harry inclinò il capo e si aggrappò allo scollo della sua felpa per stringersi maggiormente a lui, fino a quando il clima mutevole delle Highlands non li soprese ancora una volta con delle gocce fredde e consistenti di pioggia e dei tuoni rumorosi.

Louis ridacchiò sulle sue labbra, prima di baciarle ancora una volta e allontanarsi a malincuore. Corse sulla riva del lago e si sistemò Mia su un fianco, mentre cercava il guinzaglio di Pongo finito chissà dove. Harry si affrettò a raggiungerlo, sfilandosi la felpa grigia che indossava e avvolgendoci la bambina, prima che lui gliela passasse tra le braccia e li invitasse ad entrare subito nell'automobile.

«Odio la pioggia!» sbuffò Mia, accoccolando il viso sulla sua spalla e arrendendosi al loro ritorno a casa. «La odio!»

«Anche io, tesoro.» ribatté Harry, aprendo la portiera dell'automobile e sistemandola nel seggiolino. «Tra poco saremmo dovuti tornare a casa lo stesso, però, quindi non ci siamo persi granché.» aggiunse, dandole un buffetto sulla guancia mentre asciugava delle gocce di pioggia sul suo volto. «Ti sei divertita oggi?»

«Tantissimo! Dovremmo farlo più spesso!»

Le sorrise, ma non ebbe il tempo di risponderle perché Louis li raggiunse con Pongo al suo seguito e lo rimproverò con un severo «entra subito in macchina! Sta grandinando e tu sei a maniche corte! Ora!» prima di sistemare il dalmata nel porta bagagli. Eseguì subito i suoi ordini e si sedette al fianco del guidatore, strizzando i ricci bagnati dalla pioggia e azionando il climatizzatore per non sentire ulteriori rimproveri.

«La prima volta che ci siamo incontrati avevi proprio ragione nel dire che qui possono fare anche quattro stagioni in un giorno.» constatò sconvolto. «È il tre agosto e sta grandinando!»

«Ricordi davvero quello che ti ho detto quel giorno?»

Harry annuì divertito. «E tu?»

«Più o meno.»

«Ti ricordi anche di avermi dato del "pennivendolo imbrattacarte"?»

«Certo che voi giornalisti vi legate tutto al dito!» sbuffò, mentre si metteva in viaggio verso casa. «E comunque l'importante è che mi sia ravveduto e che ora sia diventato il fan numero uno della tua rubrica!»

Harry non riuscì a non carpire una nota di orgoglio nelle sue parole e finì per arrossire. Era strano realizzare che qualcuno, oltre se stesso, il suo redattore o sua sorella, credesse realmente nelle sue capacità o nel suo progetto lavorativo. Louis aveva capito quanto il suo lavoro contasse per lui e non faceva altro che incoraggiarlo, nonostante i problemi che la mancanza di ispirazione gli aveva causato nell'ultimo periodo. Dopotutto, Louis non si arrendeva facilmente alla prima difficoltà, essendo abituato a rialzarsi in piedi anche dopo diverse brutte cadute, e il fatto che fosse al suo fianco sorridente in quel momento lo dimostrava.

Per questo, tra uno starnuto e un altro, durante il lungo viaggio di ritorno, non poté fare a meno di pensare a ciò che gli aveva detto poco prima che quel temporale scoppiasse. Louis non era fatto di vetro. Il vetro era fragile, mentre lui era resiliente. Era qualcosa di straordinario, unico e puro, ma forte. Louis non era fatto di vetro, era un vero e proprio diamante.

*

Erano ancora in macchina, posteggiati davanti al Balmoral, quando Louis si avvicinò a Harry per salutarlo propriamente con un bacio sulle labbra e scoprì che la sua pelle fosse più calda del dovuto.

«Ehi, ma tu scotti!» esclamò, passando subito il palmo sulla sua fronte per scoprire che le sensazioni iniziali fossero giuste. «Credo che quella pioggia e la tua maglietta bagnata ti abbiano fatto venire un po' di febbre.»

«Davvero?» chiese Harry, i suoi occhi erano lucidi e la sua voce più roca del solito. «In effetti, mi sento un po' strano e neanche l'aria condizionata è riuscita a scaldarmi. Forse, il clima delle Highlands non fa per me.»

«Forse, non dovevi levarti la felpa per coprire Mia.»

«Meglio me che lei.» ribatté categorico. «Beh, meglio che torni in camera e mi metta a letto allora.»

A quel punto, Mia si sporse tra i sedili anteriori e chiese «papà, ma in albergo curano anche la febbre?».

«No, tesoro.»

«E, allora, perché Harry deve tornare in albergo? Può tornare a casa con noi così ci prendiamo cura di lui e domani sarà già guarito.»

Dopotutto, Mia non aveva tutti i torti. Harry sarebbe tornato nella sua suite e sarebbe rimasto lì da solo, senza qualcuno che si prendesse cura di lui e loro non avrebbero dovuto permetterglielo, non dopo averlo trascinato per un giorno intero su e giù per le Highlands.

«Ora che ci penso, non sarebbe una cattiva idea.»

Harry scosse la testa. «No, Lou. Non se ne parla, non verrò a casa vostra malato, né ti darò del lavoro in più da fare. Prenderò del paracetamolo, ordinerò una zuppa al servizio in camera e sopravviverò anche a questa febbre passeggera.»

«È un buon piano il tuo...peccato che non coincida con il nostro e che, quindi, sia inutile.» ribatté solennemente. «Ora ti dirò quello che succederà realmente: tornerai a casa con noi, ti farai una doccia calda, prenderai del paracetamolo, mangerai una zuppa e, poi, ti metterai a dormire sperando che domani mattina questa febbre sia già passata.»

«Lou.»

«Non ti conviene contraddire papà, Harry.» lo canzonò Mia. «Alla fine, ha sempre ragione.»

«Sentito? Ho sempre ragione.»

«E va bene, ma domani mattina vado subito via.»

Mia esultò sollevando i suoi pugnetti in aria, Pongo abbaiò allegro e Louis gli rivolse un sorriso che sapeva di vittoria prima di mettere ancora una volta in moto la macchina e tornare a casa: non sapeva se invitare Harry a stare da loro per la notte significava bruciare le tappe o se si sarebbe rivelata una cattiva idea, ma in quel momento decise per una volta di fidarsi del proprio istinto.

Una volta giunti all'appartamento, Harry seguì i suoi ordini senza troppe lamentele, soprattutto quando scoprì di avere qualche decimo di febbre e cominciò a tremare come una foglia al vento. Dopo essersi goduto una doccia calda e aver indossato una sua tuta abbondante, si infilò al di sotto delle coperte e non ne uscì più dal momento che Mia insisté persino per portargli la cena a letto. Dopo aver pulito i fornelli e sistemato le poche stoviglie utilizzate per cenare, Louis si diresse in camera da letto con l'intenzione di convincere la bambina ad andare a dormire e lasciar riposare finalmente Harry.

Tuttavia, fu difficile mantenere le sue intenzioni quando li vide interagire.

Mia sedeva alla fine del letto con le gambe incrociate e un cuscino tra le braccia e lo guardava incantata. Harry, invece, con la schiena contro la testiera morbida, le sorrideva e le raccontava una delle sue tante storie. Nessuno dei due sembrava essersi accorto della sua presenza e, forse, era meglio così perché persino il suo cuore gli intimava di non porre fine a quel momento. C'era una particolare familiarità tra Mia e Harry, qualcosa di speciale tra loro, un legame che Louis ancora non riusciva a comprendere del tutto.

«Come stai ora, Harry?»

«Sono un po' stanco. Ho la coda gelata e il naso gelato e le orecchie gelate e i piedi gelati proprio come Lucky.»

«Ma alla fine Lucky è riuscito a guarire! Starai bene anche tu, vero?»

«Certo, con le cure del tuo papà e con il tuo aiuto starò benissimo.»

Mia annuì preoccupata e fu in quel momento che Louis entrò nella stanza schioccando le dita ed esclamando «okay, signorina...è l'ora del bagno e della nanna» prima di avvicinarsi e prenderla in braccio. «Saluta Harry.»

«Notte, Harry.»

«Sogni d'oro, Mia.» ribatté dolcemente, prima di richiamare Louis per un ultimo «grazie...sai, per tutto».

Lui gli sorrise e scosse la testa, pensando che l'avrebbe fatto chiunque e che non ci fosse bisogno di tutta quella gratitudine. Si occupò di Mia, facendole il bagno, mentre la bambina non smetteva mai di parlare della giornata appena trascorsa. Si appuntò mentalmente di prendere più giorni liberi dal lavoro e portarla a spasso per le Highlands più spesso se la rendeva così felice. Poi, la sistemò nel letto e le lesse un capitolo di Harry Potter e il prigioniero di Azkaban fino a farla addormentare pacificamente. Soltanto dopo averle rimboccato le coperte e averle lasciato un bacio sulla fronte, tornò nella sua camera da letto e ciò che vi trovò gli fece tremare gambe, cuore e anima.

Harry dormiva tra le sue coperte e le sue lenzuola serenamente. La luce flebile dell'abat-jour illuminava il suo profilo delicatamente, proiettando sulla pelle morbida degli zigomi le ombre delle sue lunghe ciglia. Sembrava un dipinto di Caravaggio, con i ricci castani sparsi sul cuscino, le labbra leggermente dischiuse e quel viso macchiato dal chiaro-scuro della luce fioca. Per un istante si sentì persino di troppo perché aveva sempre pensato che ci fosse qualcosa di intimo nel vedere qualcuno dormire, c'erano i sogni e gli incubi dell'altro, c'era la vulnerabilità di mostrarsi senza difese, inermi.

Gli si avvicinò lentamente e gli rimboccò le coperte, perdendosi per qualche attimo ad osservarlo e ad ascoltare il suo respiro pacifico. Una parte di lui, quella più coraggiosa, avrebbe voluto stendersi al suo fianco e poggiare il capo sul suo petto per ascoltare il battito del suo cuore e sincronizzarlo col proprio, ma non lo fece. Non lo fece perché un'altra parte di lui era spaventata delle sue stesse emozioni, perché non dormiva con un uomo al suo fianco da anni e farlo avrebbe significato abbattere un muro che forse non voleva ancora vedere giù.

«Buonanotte, Harry.» mormorò con una punta di malinconia nella sua voce.

Si beò di quella visione ancora per qualche istante e chiuse la porta della stanza alle sue spalle sperando che quella notte Mia non avrebbe scalciato molto e, soprattutto, non gli avrebbe rubato tutte le coperte.









Un capitolo di passaggio, così come lo sarà anche il prossimo. Saranno capitoli utili a preparare il terreno per le tante altre cose più movimentate che succederanno più in là.
Siamo a un terzo della storia ormai, fatemi sapere se vi sta piacendo o meno e le vostre impressioni!

A presto,
Lucia

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