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Capitolo Otto

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Grazie e buona lettura 🌼

Il ritorno al Balmoral non fu una passeggiata per Harry.

Per quanto confortevole, svegliarsi nel suo letto king size tra lenzuola perfettamente stirate e in un silenzio assordante non era neanche lontanamente paragonabile all'insistente abbaiare di un dalmata o ai piedi freddi di Louis intrecciati ai suoi. Ne sentì tutta la mancanza quel mattino, quando allungò un braccio nella parte opposta del letto e non percepì altro che la vibrazione incessante del suo cellulare invece del corpo di Louis o della sua risata ancora assonnata. Dopo aver sbuffato ed essersi strofinato un occhio con il dorso di una mano, prese il cellulare in un palmo e non si disturbò neanche a leggere chi fosse il mittente di quella che sembrava una videochiamata prima di accettarla e mettersi seduto sul materasso.

«Buongiorno, tesoro!»

E fu decisamente sorpreso del buonumore di sua madre perché difficilmente Anne Styles si mostrava così entusiasta o affabile al mattino, soprattutto da quando suo figlio era partito per la Scozia. Per questo, ancora prima di rispondere al suo saluto, impiegò qualche istante a squadrarla bene nello schermo del cellulare pur non notando niente di strano. Sua madre, da sempre emblema d'eleganza, non aveva mai qualcosa fuori posto, a partire dai capelli neri sempre racchiusi in uno chignon ordinato e finendo con i tailleur mai sgualciti. Quel rigore l'aveva sempre aiutata ad affrontare e a razionalizzare una realtà che di semplice non aveva proprio nulla e Harry la invidiava in un certo senso perché raramente riusciva a mantenere il suo stesso distacco sia nella vita quotidiana che sul lavoro. Anne, invece, sembrava risolvere qualsiasi problema, che fosse nell'aula di un tribunale o in lavanderia, con compostezza e risolutezza.

E, prima che potesse dire qualsiasi cosa, al suo fianco comparve anche sua sorella. Pur essendo più grande di lui, sembrava quasi di guardarsi allo specchio, a meno degli occhi color nocciola, di un tailleur nero e di una laurea in giurisprudenza che aveva reso orgogliosa l'intera famiglia.

«Ehi, Harold!»

«Non chiamarmi così di prima mattina, mi fa sentire un vecchio prozio che sa di naftalina.» si lamentò, ma non riuscì a trattenere un sorriso perché, nonostante tutto, Gemma e le sue maniere poco ortodosse gli erano mancate. «Buongiorno a tutte e due, comunque.»

«Hai detto "di prima mattina?"» chiese Anne con un cipiglio. «Sono le undici e io e tua sorella siamo al lavoro già da tre ore.»

«Sì? Allora sono contento per tutti gli orsi polari che avete salvato finora. Io, invece, me la prendo comoda...qui è tutta un'altra cosa rispetto a Londra.»

«Hai già trovato un'altra storia?» domandò Gemma sorridente. «Quella di agosto ci è piaciuta molto.»

«"Ci"?»

«A me e alla mamma.»

«Non pensavo che anche tu leggessi la mia rubrica. Non l'hai definita "una perdita di tempo" l'ultima volta che ci siamo sentiti?»

Anne rimase imperturbabile alla sua provocazione. «Non ho definito una perdita di tempo la tua rubrica, ma questo viaggio in Scozia. Londra ha milioni di abitanti e altrettante storie che i tuoi lettori avrebbero voluto conoscere. Non era necessario che ti trasferissi dall'altro capo del paese da un giorno all'altro, soprattutto in vista degli impegni che avevi.»

«Stai parlando del colloquio di lavoro che hai organizzato alle mie spalle e senza tener conto della mia opinione?» chiese scettico. «Ah no, forse intendevi la grande festa per i cinquant'anni di attività dello studio legale del nonno dal quale mi sono sempre tenuto alla larga.»

«Certo, dimenticavo che non ti interessa minimamente ciò che tuo nonno ha realizzato in vita sua, figuriamoci quello che io e tuo padre abbiamo cercato di raggiungere negli ultimi vent'anni e..

«...e non avevamo detto che fosse ormai acqua passata?» la interruppe Gemma, rivolgendo ad entrambi uno sguardo di supplica.

Harry inspirò bruscamente e scrollò le spalle prima di rilasciare uno sbuffo, Anne puntò lo sguardo oltre la parete vetrata del suo ufficio e per qualche istante nessuno parlò. Non poté fare a meno di pensare che nella sua famiglia non discutessero mai propriamente dei loro problemi, ma che tutto rimanesse appena sotto la superficie, che a volte ci provassero anche a parlarne, ma che non sapessero come farlo fino in fondo.

«Allora, Harry, dicci delle storie. Ne hai un'altra da raccontare?»

Lui si schiarì la voce. «No, al momento no, quindi sto lavorando su una che avevo scartato qualche mese fa per il numero di settembre.»

«E il tuo redattore cosa ne dice?»

«Non lo sa, insomma a lui interessa soltanto che io porti in stampa una storia all'altezza delle altre. Tra qualche giorno faremo la solita riunione e mi approveranno il pezzo, non credo che ci saranno grossi problemi. Però sto lavorando parallelamente ad un nuovo progetto e credo che ti piacerà, Gemma.»

«Quindi non è necessario che tu rimanga in Scozia ancora per molto.» gli fece notare Anne. «Insomma, se non hai trovato una storia nuova, puoi lavorare a quella scartata anche da casa, a Londra.»

«Ehm, sì, potrei anche tornare a Londra a questo punto.» Si grattò la nuca in difficoltà, perché volere e potere nel suo caso non coincidevano affatto. «Ma credo che stare qui ancora per un po' mi possa aiutare, sai, per quel progetto a cui sto lavorando e per ricaricare le batterie nel tempo libero.»

«Ah, hai anche del tempo libero?»

«Beh, non puoi pretendere che passi le giornate chiuso in questa stanza a lavorare e non metta il muso fuori di qua. Ormai ho la mia routine e ho conosciuto diverse persone...in realtà, sto anche frequentando un ragazzo e...» e la voce gli tremolò quando aggiunse «...ed è una cosa seria».

Gemma batté le mani e sembrò gongolare: dopotutto, quando era a Londra, non faceva altro che incastrarlo in appuntamenti al buio con i suoi colleghi avvocati e Harry trovava mortalmente noiosi quegli uomini perennemente in giacca e cravatta. Non riusciva neanche a capire come sua sorella avesse potuto sposarne uno, Jack, qualche anno prima, ma non spettava a lui capire come funzionasse l'amore o, peggio, Gemma.

«Ma è meraviglioso!» esclamò, portandosi dietro le orecchie i capelli lisci e castani e sporgendosi verso lo schermo interessata. «Dicci qualcosa di lui, ti prego!»

«È davvero una persona fantastica. È inglese, ha poco più di trent'anni, ma abita a Edimburgo da più di dieci e gestisce una sala da tè.»

«Ma tu odi il tè!»

«Non è vero, non lo conoscevo abbastanza per odiarlo.» precisò. «Comunque, ha un dalmata e una figlia di quasi sei anni. Sono dolcissimi, ma sarebbero capaci di mettere a soqquadro l'intera città se solo ne avessero l'occasione.»

Anne non riuscì proprio a trattenersi a quel punto. «Hai già conosciuto sua figlia?»

«Beh, in realtà, ho conosciuto prima sua figlia e il suo dalmata perché mi hanno travolto sul Royal Mile, poi lui.»

Harry non impiegò molto a capire che qualcosa fosse cambiato, che quell'aria di spensieratezza che aveva respirato fino a poco prima fosse divenuta più densa, quasi insopportabile, quando sua madre sospirò e si prese il ponte del naso tra pollice e indice.

«Sei lì da quanto? Un mese e mezzo? E già hai conosciuto sua figlia. Non credi che sia un atteggiamento poco responsabile dal momento che tra poco andrai via? Perché quest'uomo lo sa che ad un certo punto dovrai andare via, vero? Che, comunque vadano le cose tra voi due, non potrai rimanere a Edimburgo per sempre

«Lo sa, ma non gli importa e non importa neanche a me sinceramente. Non posso spiegarti quello che c'è tra di noi, mamma. Quello che condividiamo è molto profondo e sono intenzionato a vivere questa storia fino in fondo perché sono convinto che non sia soltanto una breve parentesi nella mia vita, ma qualcosa che può farsi intero se vissuto pienamente. E il tempo? Non mi interessa se sono qui soltanto da poco più di un mese, a me sembra di conoscerlo da sempre.»

«Sei così ingenuo a volte, tesoro.» sospirò Anne e, per quanto le sue parole lo avessero infastidito, sapeva che non lo avesse detto con cattiveria, ma che fosse soltanto preoccupata. «Non basta una vita intera per conoscere una persona e tu...beh, ora sei infatuato e sei portato a vedere soltanto i lati positivi di questa "relazione", ma un mese trascorso insieme non basta per costruire qualcosa di serio nella vita reale.»

«Tu non lo conosci, non sai che...»

«...non lo conosci neanche tu, Harry. Ha una figlia, quindi anche un matrimonio o una relazione che non ha funzionato alle spalle. E quanto ne sai di questo aspetto?»

Molto, Harry ne sapeva molto. Eppure, non glielo disse. Anne non meritava di conoscere la storia di Louis in quel momento e non spettava a lui raccontarla. Quella storia, fatta di dolore, devozione, amore, perdita e rinascita, era per pochi, era per chi si fermava ad ascoltare e a capire.

«Appunto.» aggiunse, prendendo quel silenzio per una conferma. «Sei ancora così giovane e hai tutta la vita davanti. Promettimi di non metterti in qualcosa che può diventare più grande di te, okay?»

Non le rispose. Distolse lo sguardo dallo schermo e accennò soltanto un saluto quando, poco dopo, lei affermò di dover andare in riunione e che si sarebbero sentiti presto. Quando chiuse la porta dell'ufficio alle sue spalle, Harry incontrò lo sguardo di Gemma e lesse nei suoi occhi color nocciola soltanto comprensione.

«Come si chiama?»

«Louis, si chiama Louis.»

«Ha un nome molto bello

«Dovresti vedere il suo viso o i suoi occhi.» sospirò, mentre le sue guance si imporporavano d'imbarazzo. «Non ho mai incontrato un uomo più bello, più gentile e più coraggioso di lui in tutta la mia vita.»

«È una cosa seria per davvero, allora.»

«Lo è.»

«E come farete quando dovrai tornare qui?»

Non lo sapeva, non lo sapevano neanche loro, ma Harry sentiva il petto gonfiarsi di speranza all'idea di un futuro insieme e credeva fermamente che a quel punto avrebbero trovato una soluzione, nonostante entrambi fossero propensi a concentrarsi soprattutto sul presente da trascorrere insieme. Non dovette spiegarlo anche a Gemma, però, perché il trillo di una sveglia lo salvò in corner.

«Scusami, un promemoria.» disse, prima di guardare lo schermo del suo cellulare e accigliarsi. «A quanto pare ho una call tra dieci minuti, quindi devo lasciarti.»

«Tranquilla, va' a salvare i pinguini dell'Antartide da qualche petroliere spietato.»

Gemma gli rivolse una linguaccia. «Fatti sentire più spesso, okay? Anche soltanto per parlare del tuo Louis, mi piacerebbe sapere qualcosa in più sul suo conto.»

«Così potrai raccontarlo alla mamma?»

«Ehi! Lo sai che io sono e sarò sempre dalla tua parte, ma capisco anche lei stavolta. Dopotutto, sei tutto solo in una città che non è casa tua.»

«Non dico che non debba preoccuparsi perché è mia madre e va bene che una madre si preoccupi per il proprio figlio, ma perché deve essere sempre così severa, fredda o razionale?»

«Lo fa soltanto per metterti in guardia da una ipotetica delusione.»

«Lo capisco, ma non può farlo in un altro modo? Non so, magari in un modo un po' più empatico?»

Gemma scrollò le spalle. «È l'unico modo che conosce ormai

«Già, ma in questi anni avrebbe potuto impararne altri.»

«Ora devo davvero andare, Harry. Chiamami più spesso, okay? Puoi chiamarmi per qualunque cosa, per parlare della mamma o del tuo lavoro o per farmi sapere come va tra te e Louis.»

«Perché ti interessa così tanto?»

«Perché è bello vedere il mio fratellino finalmente innamorato

«Okay, va bene, sento i rinoceronti di Giava invocare il tuo aiuto da qui e non ti tratterrò oltre perché ci tengo a questo pianeta e ai suoi abitanti.» ribatté, eludendo alcuna sua insinuazione. «Salutami Jack e non lavorare troppo, mi raccomando!»

E, prima che Gemma potesse ribattere qualcosa al fiume di parole che si era liberato dalla sua bocca, chiuse la telefonata e si lasciò cadere tra le lenzuola e i cuscini. Si stropicciò il viso con i palmi delle mani e cercò di pensare ad altro, ma le parole di sua sorella si ripeterono nella sua testa in un loop fastidioso. Le sue guance s'imporporarono a quel pensiero, al pensiero di essersi realmente innamorato per la prima volta in vita sua e proprio di Louis. Maggiormente al pensiero di non poter affermare con precisione quando o come perché era avvenuto tutto in modo così naturale, in un modo del tutto folle e irrazionale perché lo conosceva da poco più di un mese, ma naturale.

Innamorarsi di Louis era stato facile, immediato, spontaneo.

E non dovrebbe essere proprio questo l'amore? si chiese. L'amore dovrebbe essere semplice, senza domande e senza dubbi, dovrebbe essere incontrarsi, scegliersi e non lasciarsi più, si rispose.

A quel punto il suo cuore cominciò a battere erratico e la sua testa a girare. Non aveva ancora messo piede fuori dal letto, ma era già stanco.

*

I Giardini di Princes Street erano uno dei posti che Harry preferiva in città.

Quando Louis era impegnato alla sala da tè tra clienti e fornitori, portava Mia e Pongo in quel parco per non essergli troppo d'impaccio. Sistemava una coperta sull'erbetta verde e umida e poi si affrettava a distendercisi su per non farla volare via, facendo sempre ridacchiare Mia perché i suoi piedi sporgevano al di là del tessuto. A volte leggevano qualcosa insieme, altre semplicemente guardavano il cielo e le buffe nuvole che l'affollavano, altre ancora impedivano a Pongo di essere arrestato dalla polizia canina per aver rincorso un artista di strada con i suoi modi giocosi, ma poco ortodossi. E non tornavano mai a casa se prima non avevano mangiato un gelato, che puntualmente finiva sugli indumenti di Mia. Erano quelli i momenti della sua permanenza a Edimburgo che avrebbe ricordato con più piacere se si escludevano quelli che trascorreva abbarbicato a Louis, erano le risate della bambina e l'allegro scodinzolio del Dalmata, erano persino le occhiatacce che il padre gli lanciava quando li vedeva fare ritorno al Daffodil con le ginocchia sporche di erba e terra.

Un pomeriggio, uno di quelli in cui il cielo era sereno e il sole scaldava la terra, furono raggiunti da Louis inaspettatamente. Marilla lo aveva convinto che la sala da tè non sarebbe andata in fiamme se lui avesse preso qualche ora libera e Harry si era ripromesso di stringere la donna in un abbraccio soffocante l'indomani. Per il momento, era ben intenzionato a non perdere di vista Louis neanche per un istante. Sapeva di suonare melenso, ma più la fine di agosto si avvicinava, più desiderava trascorrere la maggior parte del tempo con lui e se questo significava passare l'intero pomeriggio disteso al suo fianco poteva dirsi l'uomo più fortunato al mondo.

«Quindi è questo che fate tutti i pomeriggi da quasi due mesi?» gli chiese Louis curioso, mentre accarezzava i capelli color miele di Mia sparsi sul suo grembo.

«Quando non piove sì, ma sei capitato in un giorno piuttosto pigro. Soprattutto per Pongo dal momento che le chiappe di quell'artista di strada sono ancora tutte intere e lui sonnecchia ai tuoi piedi. Sei stato molto sfortunato.»

«Sentiamo, se fossi stato fortunato, cosa avrei visto?»

«Prima di tutto ci avresti ascoltato leggere un po' di Harry Potter.»

«Allora non sono così sfortunato.»

«Papà!» lo ammonì la bambina, non mancando di lanciargli un'occhiataccia minacciosa.

«Poi» continuò divertito «di solito guardiamo il cielo e inventiamo delle storie su ogni nuvola...tua figlia ha un'ottima immaginazione, quindi è possibile che diventi una bravissima scrittrice da grande.» A quel punto Mia distese il suo broncio in un sorriso raggiante e Louis la guardò profondamente innamorato, Harry si chiese per un istante se avrebbe mai provato un amore del genere per qualcun altro. «Prima di tornare a casa, invece, facciamo una passeggiata per il parco con Pongo e mangiamo un gelato.»

«Credo di sapere già cosa fare tra il gelato e il ritorno a casa...sporcate gli indumenti che io lavo e stiro!»

Alle sue parole indignate Mia e Harry non poterono fare a meno di ridacchiare e Pongo di abbaiare allegro, quasi a voler partecipare a quel momento spensierato. Louis non impiegò molto a mettersi a sedere e a imprigionare Mia tra le sue braccia per poi farle il solletico fino a farla ridere a crepapelle. Aveva appena esclamato che avrebbe smesso soltanto se avessero offerto un gelato anche a lui quel pomeriggio, quando una voce femminile lo chiamò dal sentiero principale.

«Louis? Louis Tomlinson?»

«Non posso crederci...Joey!» esclamò sorpreso, mentre cercava di alzarsi. «Da quanto tempo è che non ci vediamo?»

«Anni, credo.»

«C-come va?»

«Va tutto bene. E tu? Mi sembri abbastanza impegnato.» ribatté con una punta di divertimento nella sua voce nel vederlo intrecciato a Mia, Harry e Pongo.

«Aspetta che vengo a salutarti come si deve.»

«Ma chi è questa qui che ci ruba papà?» mormorò Mia, guardando di sottecchi il padre che raggiungeva la donna e lei che lo abbracciava per salutarlo. «Proprio oggi che lo avevamo per noi tutto il pomeriggio.»

Harry fece spallucce perché sapeva molto poco dei conoscenti di Louis. Conosceva Niall e Marilla, la sua famiglia scozzese, e alcuni amici del calcetto perché diverse volte si erano incontrati per una birra al solito pub e grazie a loro aveva avuto modo di capire che Louis si circondasse di poche persone, ma buone. All'infuori di quella cerchia ristretta, lo aveva visto interagire con altri commercianti del quartiere, alcuni clienti affezionati del Daffodil e nessun altro. Per questo, incuriosito dalla familiarità che aveva con lei, tese l'orecchio nella loro direzione e cercò di ascoltare la loro conversazione.

«...avrei tanto voluto, ma ho temporeggiato nel comprare i biglietti e quando ho deciso di andarci non li ho più trovati.»

«Beh, è una fortuna che tu mi abbia incontrato oggi allora. Devo ricordarti che sono un'organizzatrice di eventi e che ho agganci ovunque in città?»

«Beh, come potevo farlo da solo? Devo ricordarti che non ti fai vedere da anni qui o alla sala da tè?»

«Ho preferito un taglio netto, lo sai.»

«Via il cerotto, via il dolore. No?»

«Già, ho pensato che mettere un bel po' di miglia tra me e questa città fosse la scelta migliore.»

«Non sono mai stato d'accordo con tutta quella storia, lo sai, ma non credo che la mia opinione possa ancora contare qualcosa oggi. Mi dispiace soltanto che...» esitò per qualche istante, prima di lanciare un'occhiata di sfuggita a Mia. «...insomma, sarebbe stato bello per mia figlia averti in giro negli ultimi anni.»

«Era inevitabile, ma non pensare che sia stato facile per me andare via.» Joey sembrava davvero dispiaciuta, ma d'un tratto accennò un sorriso. «Prima, quando ho sentito la tua risata, ti ho riconosciuto subito ed è stato come tornare a qualche anno fa.»

«È davvero così riconoscibile?»

«Già e non la sentivo da così tanto, da ancora prima che sparissi dalle vostre vite. È stato bello riascoltarla, anche perché sembri davvero felice ora, Lou.»

«I-io credo di esserlo, Joey. Non è stato per niente facile negli ultimi anni, ma in questo ultimo periodo le cose sembrano andare meglio.»

«Te lo meriti.»

«E tu? Tu che mi dici? Hai rimesso insieme tutti i pezzi della tua vita dall'ultima volta che ci siamo visti?»

Lei scrollò le spalle e mascherò la sua malinconia con un sorriso. «Diciamo che Parigi non mi ha aiutato molto su questo aspetto, sto ancora cercando il pezzo mancante.» Prima che lui potesse ribattere, prese un respiro profondo e continuò. «Non voglio annoiarti con questo, però. Sono davvero felice di averti incontrato e anche di aver visto Mia. È cresciuta così tanto ed è bellissima.»

Louis le rivolse un sorriso accogliente. «Ti va di salutarla?»

«P-posso?»

«Certo che puoi, Joey. Anzi, scusa se non te l'ho proposto prima o se non ti ho presentato subito Harry, ma non sapevo se fossi ancora arrabbiata o meno con tutti noi e...»

«Non sono mai stata arrabbiata con voi e lo sai. D-doveva soltanto succedere e io...beh, me ne sono andata per prima perché non vi avrei mai chiesto di scegliere tra me e lui, non dopo che avevi già perso Cam.»

«Lo so, ma in ogni caso volevo evitare che mia figlia e il mio ragazzo mi vedessero prendercele di brutto.»

Da quel momento in poi, Harry non ascoltò più una parola. Insomma, Louis lo aveva appena definito "il suo ragazzo" e ogni altro suono arrivava alle sue orecchie come un ronzio fastidioso visto che nella sua testa si ripetevano soltanto quelle parole in un loop ipnotico. E non avrebbe dovuto neanche sorprenderlo più di tanto quella definizione dal momento che avevano trascorso l'ultimo mese l'uno al fianco dell'altro a scoprirsi pian piano e lui, alla fine, aveva realizzato di essersi innamorato perdutamente. Ma Louis? Louis era un padre, un uomo che aveva perso il grande amore della sua vita troppo presto e che aveva ancora tanti muri da abbattere. Tuttavia, lo aveva appena chiamato "il suo ragazzo" spazzando via qualunque incertezza e confermandogli ancora una volta che fosse importante, che Harry fosse importante. Non era mai stato il ragazzo di nessuno, dopotutto. Era stato un amante, un amico di letto, ma mai il ragazzo di qualcuno perché non aveva mai perso la testa per un'altra persona.

E ora?

«Harry?» lo ridestò Mia, dopo avergli dato un colpetto sull'avambraccio. «Non hai sentito? Ti sta chiamando papà!»

Ed era vero, o almeno non del tutto. Ridestatosi dalla sua trance, sentì realmente Louis chiamare non solo il suo nome, ma anche quello di sua figlia. Per questo, si alzò da terra in un istante e implorò con la sua migliore espressione da cucciolo la bambina di seguirlo.

«Non ci provare neanche.»

«Non mi puoi lasciare da solo, Mia.» ribatté in un sussurro, prima di rivolgere a Louis un «arriviamo!» frettoloso. «Sei soltanto una bambina e non puoi rimanere qua da sola.»

«Non sono sola, c'è Pongo.»

«Viene anche Pongo con noi, infatti.» E il dalmata uggiolò contrariato. «Leggeremo due capitoli di Harry Potter prima di cena se verrai con me da papà.»

«Puoi fare di meglio.»

«Ti comprerò un gelato, un gelato al giorno d'ora in poi.»

Mia incrociò le braccia al petto. «Sempre cono grande e ci dovranno essere almeno tre palline di menta e gocce di cioccolato, altrimenti non se ne fa nulla.»

«Dio, ma sei sicura di avere a malapena sei anni?» sbuffò. «E va bene, affare fatto!»

La sua espressione sospettosa svanì all'improvviso a favore di una angelica e di un sorriso che sembrava tutto un programma. «Eccoci papà!» esclamò, prima di mettersi in piedi e raggiungerlo di corsa.

A quel punto Harry si permise di pensare che prima o poi i Tomlinson lo avrebbero fatto impazzire, scosse la testa e raggiunse il trio con Pongo al guinzaglio.

«...è cresciuta un po' dall'ultima volta che l'hai vista, vero?» ridacchiò Louis, prendendola in braccio. «Sono passati anni.»

«È un piacere rivederti, Mia.» disse Joey sorridente. «Ti ho visto nascere, lo sai? Allora eri piccola piccola, ma ora sei una signorina! Tra poco supererai persino papà in altezza.»

La bambina ridacchiò timida e le sue guance s'imporporarono d'imbarazzo. Harry sbuffò incredulo per la sua improvvisa timidezza dal momento che poco prima lo aveva ricattato con una nonchalance che avrebbero fatto impallidire persino uno strozzino. Fu a quel punto che le attenzioni di Joey si spostarono su di lui e i suoi occhi castani lo squadrarono a fondo dalla testa ai piedi.

«Tu sei Harry, giusto? Louis mi stava giusto dicendo qualcosa di te poco fa.»

Lui annuì, stringendole la mano. «Piacere di conoscerti, Joey. Spero che ti abbia detto solo cose belle, allora.»

«Oh, andiamo, come se si potesse dire qualcosa di brutto su di te!» precisò Louis divertito. «Fa il giornalista e si è messo in mente di cambiare il mondo intero con una rubrica sul Guardian. Direi che basta come presentazione, no?»

D'un tratto Joey strabuzzò gli occhi. «Sei Harry Styles? Quell'Harry Styles?» domandò. «Sei il giornalista di Serendipity

«L'unico e il solo.» rispose Louis al suo posto e i suoi occhi erano così pieni di orgoglio che sembravano quasi brillare. «Mica un pennivendolo imbratta carte qualunque.»

«Non è così che mi hai definito la prima volta in cui ci siamo incontrati al Daffodil? Comunque, sì, sono proprio io a scrivere quella rubrica.»

«Non posso crederci, ti seguo da sempre! E se non leggo la tua storia il primo di ogni mese, per me è come se non iniziasse. Mi dà la carica giusta e mette tutto in prospettiva, le gioie, i dolori, tutto.» affermò emozionata e Harry le volle quasi chiedere di ripetere quelle parole affinché potesse registrarle e farle ascoltare a sua madre. «Qualche spoiler per il numero di settembre?»

Le sorrise imbarazzato e si grattò la nuca in difficoltà, perché il numero di settembre non era altro che lo scarto di quello di aprile. Per un istante, uno soltanto, pensò di non meritare l'affetto e i complimenti dei suoi lettori e di dover fare di meglio. Nell'ultimo mese ci aveva riflettuto a fondo ed era arrivato alla conclusione che non avrebbe potuto vivere di quelle storie per sempre. Non sapeva dove lo avrebbe portato il nuovo progetto che stava seguendo, ma aveva realizzato che Serendipity era stata fin troppo fortunata a compiere tre anni.

«Andiamo, non farti pregare!»

«Okay, basta così altrimenti si monterà la testa.» scherzò Louis, levandolo d'impaccio. «Se vuoi avere spoiler sul nuovo numero della rubrica dovrai venire a cena da noi una sera e non ammetto scuse.»

Lei sospirò, ma non sembrò che qualcosa le appesantiva il petto, anzi. «Mi piacerebbe molto, Lou.»

«Ottimo, il mio numero è sempre lo stesso. Puoi chiamarmi quando vuoi.»

Joey annuì e gli promise anche di trovare tre biglietti per qualcosa che non comprese in quel momento, prima di congedarsi da tutti loro con un abbraccio e da Pongo con una carezza. Harry osservò Louis guardarla andare via e non poté fare a meno di imitare il suo sorriso e sentire il petto sgombro da qualunque preoccupazione per il momento. Poi, lui si voltò nella sua direzione. Aveva ancora Mia tra le braccia e quel sorriso capace di fargli saltare diversi battiti del suo cuore, capace di abbattere ogni muro. Era bellissimo illuminato dalla luce del sole ed era ancora il suo ragazzo. Gli prese il volto tra le mani e premette le labbra sulle sue in un bacio casto per istanti che gli sembrarono infiniti. Poi, lasciò un bacio giocoso anche sulla fronte di Mia che sorrise divertita.

«E questo per cosa era?»

Harry scrollò le spalle, sorridendogli dolcemente e arrossendo violentemente allo stesso tempo, perché avrebbe potuto dargli dieci, cento, mille spiegazioni, ma nessuna di queste avrebbe giustificato perfettamente il sentimento che provava per lui. «Non so, sentivo soltanto che il mio ragazzo lo meritasse.»

Louis allora capì e gli strinse una mano nella sua. «Sai, dopotutto non credo di essere capitato in un giorno sfortunato. Mi sento fortunato ogni giorno con voi al mio fianco.»

E Harry fu pronto a custodire l'ennesimo ricordo, forse il più bello, legato a quel posto che tanto amava.

*

Il Royal Military Tatto non era il festival che Louis preferiva tra quelli che si svolgevano in città, ma pensava che Harry avrebbe dovuto parteciparvi almeno una volta nella sua vita.

Per questo, non rimpiangeva né l'ora di fila che avevano fatto per prendere posto sulle gradonate del Castello, né il venticello umido che di tanto in tanto faceva increspare la sua pelle. Dopotutto, al suo fianco c'erano Harry e Mia che parlottavano tra loro e non poteva lamentarsene: la bambina, avvolta nel suo impermeabile giallo, sedeva sul grembo di Harry e fissava divertita le foto che lui le mostrava sullo schermo del suo cellulare. Louis non si vergognava neanche di ammettere che si incantava un po' troppo spesso a osservarli ultimamente, mentre il loro legame diveniva sempre più forte di giorno in giorno.

«Papà!» lo richiamò Mia. «Guarda, papà!»

Puntò lo sguardo sul display del cellulare e non poté fare a meno di ridacchiare. «Harry, ma sei proprio tu?» Si riferiva al bambino sorridente travestito da dalmata ai piedi di una ragazzina che, invece, impersonava Crudelia De Mon. «Beh, devo dire che le macchie ti donano più di quei maglioni che ti piacciono tanto.»

«Ah-ah.» ribatté lui, alzando gli occhi al cielo. «Quell'anno io e mia sorella abbiamo vinto il premio per il travestimento migliore di tutta la scuola.»

«Possiamo vestirci anche noi così quest'anno?» gli domandò Mia speranzosa. «Anche io voglio essere un dalmata.»

Louis ridacchiò pensando che Pongo, un dalmata in carne e ossa, già gli bastava. «E chi farebbe Crudelia?»

«Marilla!»

«E il tuo papà?» domandò Harry divertito.

Lei sembrò pensarci su qualche istante prima di esclamare «il Colonnello!».

«Ehi, non voglio essere un Bobtail anziano e peloso! È davvero così che mi vedi?»

Ed era sul punto di fare il solletico alla bambina, giusto per toglierle quell'espressione divertita che le stropicciava i lineamenti del viso, quando le luci che illuminavano la spianata del Castello si abbassarono. Mia si sistemò meglio sulle gambe di Harry e puntò lo sguardo curioso sulla banda vestita di tutto punto che faceva il suo ingresso, accompagnata dal suono potente dei rulli di tamburi e delle cornamuse e dai fuochi d'artificio nel cielo buio che sancivano l'inizio della parata.

«Come hai recuperato quelle foto?»

«Ho chiesto a mia sorella se poteva ritrovarla in uno dei tanti album di famiglia.» rispose Harry, mentre batteva le mani insieme a Mia. «Dopo qualche tentativo andato vano e aver ritrovato persino le foto del mio primo compleanno, ci è riuscita.»

«Chissà quanto tempo avrà perso per cercarle, non era affatto necessario.»

«Era importante, invece.»

«No, non lo era.»

«Beh, per me sì e non si discute.»

Harry si avvicinò al suo viso e premette un bacio sulle sue labbra imbronciate, poi tornò a concedere ogni sua attenzione a Mia e alla parata e Louis non poté fare a meno di pensare che fossero stati i suoi modi gentili a farlo capitolare definitivamente, oltre a quella bontà che non aveva alcun secondo fine. Davanti a lui persino cento cornamuse che suonavano all'unisono, le coreografie eseguite alla perfezione dall'esercito britannico in Tartan e le danze tradizionali dei paesi del Commonwealth sfiguravano. Per Louis, in quel momento, c'era soltanto Harry, anche con i fuochi d'artificio a illuminare i loro volti e un coro di voci che intonavano l'inno nazionale a sancire la fine dello spettacolo.

«Grazie, Lou.» mormorò Harry a quel punto. «Non avevo mai assistito a qualcosa di così bello.»

«Ti sei commosso per davvero?» gli chiese incredulo, notando gli occhi lucidi e la voce tremolante. «È stato il Tartan, vero? Ho capito che è la tua fantasia preferita.»

«Non c'entra niente il Tartan! Voglio dire, amo il Tartan, ma questo genere di spettacoli, quelli in cui tutti cantano all'unisono o sono mossi da sentimenti patriottici, mi commuovono. Sono ridicolo, lo so.»

«No.» Louis gli lasciò un bacio sulla guancia. «Sei dolce, invece.»

Presero per mano Mia e insieme scesero attentamente le gradonate per tornare a casa. Non era molto tardi, ma l'orario in cui la bambina solitamente andava a dormire era passato da un pezzo e Louis era molto attento a non stravolgere troppo le sue abitudini. I tre si misero pazientemente in fila per uscire dalla spianata del Castello e, mentre Harry di tanto in tanto gli lasciava dei baci casti sulla nuca, Louis scambiava qualche parolina con Mia che sembrava essere rimasta affascinata dallo spettacolo a cui aveva assistito.

«Rimani a dormire da noi stanotte, giusto?»

«Se lo vuoi ancora, sì.»

«Certo che lo voglio.»

Louis si voltò e lo avvicinò a sé, l'ultima cosa che vide fu il sorriso di Harry sfumare nel loro bacio prima di chiudere gli occhi e chiedere l'accesso alle sue labbra morbide. Solitamente non era molto a suo agio con le dimostrazioni pubbliche d'affetto, ma fu spontaneo dirgli "resta" con quel bacio, accarezzargli le guance calde e rabbrividire nel sentire le mani dell'altro aggrapparsi ai suoi fianchi. Furono riportati alla realtà da un colpo di tosse alle loro spalle e, nel vedere che la fila era avanzata, chiesero scusa e proseguirono a camminare imbarazzati.

Louis cercò Mia con la mano per prenderla in braccio e affrettare il ritorno a casa, ma quando si accorse che non c'era nessuno al suo fianco s'immobilizzò all'istante. Nello stesso momento, la voce profonda di Harry risuonò alle sue spalle chiedendo «dov'è Mia?». Si scambiarono un'occhiata di puro terrore, prima di guardarsi intorno e cercare la bambina nei paraggi, chiedendo a chiunque incontrassero sul loro cammino se avessero visto un impermeabile giallo muoversi tra la folla. Eppure, ricevettero soltanto risposte negative: Mia sembrava essere sparita all'improvviso.

«Cazzo.» disse Louis a denti stretti, prima di precipitarsi verso i controlli di sicurezza all'uscita e di lasciarsi alle spalle Harry che chiamava il suo nome.

Al momento, aveva soltanto il bisogno di sentire dagli agenti di polizia che tutto sarebbe andato bene e che avrebbero ritrovato sua figlia in un battito di ciglia. Nient'altro gli avrebbe impedito di correre o di sentire i polmoni bruciare nel raggiungere le uscite, neanche Harry o Niall che aveva cominciato a chiamarlo al cellulare insistentemente. Il suo petto si alzava e si abbassava in affanno, sentiva il sudore bagnargli la nuca, ma allo stesso tempo dei brividi gli percorrevano la schiena alla sola eventualità che fosse successo qualcosa a Mia. E non se lo sarebbe mai perdonato quella volta. Aveva accettato la scomparsa di Cameron perché non avrebbe mai potuto combattere la sua malattia, ma quella di Mia era tutta un'altra storia: lui non le aveva prestato abbastanza attenzioni perché era troppo impegnato a baciare il suo ragazzo e lei era sparita nel nulla. Non avrebbe neanche dovuto averlo un ragazzo, dopotutto. Louis era un vedovo ed era un padre, avrebbe dovuto rispettare la memoria di Cameron e pensare a sua figlia, non a baciare un ragazzo nella folla. A quel pensiero, percepì la fede che portava al collo appesantirsi e persino togliergli il respiro tanto che, arrivato ai controlli all'uscita, si ritrovò a boccheggiare davanti a un agente di polizia che lo guardò preoccupato.

«Agente, ha visto una bambina di sei anni, con capelli castani e occhi blu da sola?» chiese Harry al suo posto risoluto e Louis non si chiese neanche quando lo avesse raggiunto. «Indossa un impermeabile giallo e...»

L'agente scosse la testa, prima di farli spostare lungo la recinzione, in un posto meno affollato, e chiedere più informazioni così da diramare un avviso più preciso agli altri colleghi che sorvegliavano le diverse uscite.

«È mia figlia.» disse Louis con un filo di voce. «Eravamo in fila per uscire da qui e l'ho persa di vista per un solo, mi creda, un solo istante.» Sentì la mano di Harry poggiarsi sulla sua spalla destra, ma non gli recò alcun conforto, anzi, sembrò appesantirlo maggiormente: per questo, se ne liberò al più presto facendo un passo in avanti. «I-io non so cosa fare, non so dove sia potuta andare da sola e se le è successo qualcosa, i-io...»

«Per favore si calmi, signor...?»

«Tomlinson.»

«Signor Tomlinson, deve rimanere lucido.» affermò categorico l'agente nella sua uniforme scura. «Ora allerterò i miei colleghi di guardia a tutte le uscite: faremo tutto il possibile per ritrovarla, stia tranquillo. Potrebbe farmi vedere una foto della bambina e ripetermi il suo nome?»

«M-mia Tomlinson-Murray.»

E, prima ancora che potesse cercare la foto da mostrargli, l'agente diramò l'allarme ai suoi colleghi tramite una ricetrasmittente. Ogni istante trascorso da quel momento in poi fu straziante, ogni secondo era un frammento che si insinuava pericolosamente tra le sue paranoie e una voce sottile che gli ripeteva quanto fosse stato un pessimo padre. Poi, d'un tratto, qualcuno lo scosse per le spalle. Inizialmente vide il volto di Harry stropicciato dalla preoccupazione e le sue labbra muoversi quasi a rallentatore, ma non sentì nulla. Alle sue orecchie arrivò soltanto un fischio sottile e fastidioso che esplose nella grande confusione che lo circondava quando i suoi occhi misero a fuoco Niall dietro le spalle di Harry, Niall che stringeva tra le braccia una bambina con un impermeabile giallo che avrebbe riconosciuto ovunque.

«È stata con Niall, Lou.» gli ripeté Harry. «È stata con Niall per tutto il tempo.»

Tutto quello che successe negli istanti successivi Louis non seppe mai esprimerlo a parole. Si lasciò alle spalle l'agente e Harry e cominciò a correre verso Niall e Mia per raggiungerli al più presto. Sentì il petto alleggerirsi di ogni peso soltanto quando si inginocchiò sul lastricato di pietra e la bambina si gettò tra le sue braccia. Riempì il suo volto di baci, carezze e "ti voglio bene" che avevano il sapore delle lacrime, quelle che gli rigavano il viso e che non sapeva neanche quando fossero arrivate.

«Papà, ma perché piangi?» chiese candidamente Mia. «Harry, tu sai perché papà piange?» domandò ancora quando l'altro li raggiunse con al suo seguito l'agente che avevano allertato.

«Non devi farlo mai più, Mia.» affermò Louis con la voce ancora tremolante e il suo volto tra le mani. «Non devi mai più scappare in questo modo, non posso perdere anche te. Lo capisci?»

Mia annuì dispiaciuta. «Ho soltanto visto lo zio Niall più avanti con i suoi amici e l'ho raggiunto.»

«Non mi interessa, Mia. Poteva succederti di tutto e cosa avrei fatto senza di te?»

«Lou.» Niall fece un passo in avanti e si passò una mano tra i capelli castani. «Se non mi avesse visto, non sarebbe mai scappata. Voleva soltanto salutarmi e quando non vi ho visti arrivare dopo di lei mi sono insospettito e ho cominciato a chiamarti. Tu, però, continuavi a ignorare le mie chiamate e...»

«Perché ero impegnato a cercarla, Niall!»

«Lo so, ma non sapevo cosa fare per ritrovarvi in mezzo alla folla. Per fortuna che ho chiamato Harry e lui mi ha risposto al primo squillo.»

Soltanto in quel momento Louis si voltò nella sua direzione e lo vide per davvero. Era stravolto, i ricci che gli incorniciavano il volto erano tutti scompigliati e le sopracciglia castane corrugate.

«G-grazie, Harry.» mormorò.

Non riuscì a reggere ulteriormente il suo sguardo e puntò il proprio all'agente che ancora era al suo fianco. Lo ringraziò per il tempo e per le risorse che aveva dedicato a loro inutilmente a quel punto, ma l'uomo scosse la testa e gli disse di aver svolto semplicemente il suo lavoro. Prima di andarsene, gli raccomandò di fare più attenzione a Mia soprattutto in circostanze così affollate e gli rivolse uno sguardo severo. Lo sapeva, lo sapeva di dover fare attenzione sempre a sua figlia, a maggior ragione in quei casi. Dopotutto, era stato un buon padre fino a quel momento, fino a un secondo prima di perderla di vista.

«Andiamo.» lo ridestò Niall. «Andiamocene via da qua.»

Mia prese per mano Louis e non disse una parola. Nessuno parlò durante il tragitto. Lui e la bambina aprivano la carovana e Niall e Harry la chiudevano nel silenzio più assoluto. La testa di Louis, fino a un momento prima affollata di paranoie e pensieri, parve svuotarsi completamente ad ogni passo che compieva lungo il Royal Mile e i suoi occhi si occuparono soltanto di guardare la pietra lastricata della pavimentazione e che la bambina fosse ancora al suo fianco. Giunti all'angolo con Lawnmarket, si fermò e si voltò verso gli altri due.

«Saluta, Mia. Per stasera ne hai combinate abbastanza, è ora di andare a dormire.»

«Ma papà!»

«Saluta.» ripeté più severo. «Avanti.»

Mia, le cui labbra erano ancora arricciate in un broncio, si sporse ad abbracciare Niall che si piegò sulle ginocchia e le lasciò un bacio sulla fronte.

«Devi ascoltare di più il tuo papà. D'ora in poi basta fughe e lo sto dicendo sul serio, me lo devi promettere.»

Lei annuì. «Va bene, zio Niall. Te lo prometto.»

Lui l'abbracciò ancora e le lasciò una carezza sulla guancia, prima di liberarla dalla sua presa e farla tornare da Louis.

«Saluta anche Harry.»

Mia protestò ancora. «Ma non è giusto! Non doveva rimanere con noi stasera?»

Louis scrollò le spalle. «Cambio di programma, signorina. Saluta anche Harry e torniamo a casa.»

Harry si inginocchiò per raggiungere la sua altezza e Mia si precipitò tra le sue braccia, guadagnandosi due baci sulla guancia e un buffetto sulla punta del naso. Le sussurrò anche qualcosa che Louis non riuscì ad ascoltare, ma che fece comparire un grande sorriso sulle sue labbra. A quel punto, distolse lo sguardo dai due e lo puntò distrattamente su Niall, che era già impegnato a fissarlo con aria di rimprovero.

«Non farlo, Lou.»

«Non fare cosa?»

«Lo sai cosa. È stato solo un incidente, niente di più.»

«Non so di cosa tu stia parlando.» borbottò, prima di richiamare Mia.

A quel punto, Harry si rimise in piedi e lo guardò inclinando il capo di qualche grado. «Posso salutare anche te?»

Sempre in punta di piedi, sempre ad assicurarsi di non essere troppo invadente o inopportuno. Louis lo guardava e vedeva gentilezza, premura, delicatezza. Per questo, annuì e in un istante vide il palmo della sua mano accarezzargli la guancia e trattenerlo a sé mentre le loro labbra si incontravano in un leggero sfregamento. Non poté fare a meno di chiedersi come potesse essere sbagliato, come quel sentimento così puro che gli scaldava il petto potesse essere una distrazione tale da impedirgli di essere un buon padre. Era tutto nella sua mente? Oppure c'era un fondo di verità nelle paranoie che gli affollavano la testa?

«Buonanotte, Lou.» soffiò Harry sulle sue labbra. «Ci vediamo domani, no?»

Louis non rispose, non poteva dargli le conferme che quegli occhi così onesti e limpidi chiedevano, non quella notte per lo meno. Quella notte aveva bisogno di stringere Mia forte forte al suo petto, di addormentarsi con i suoi capelli color miele che gli solleticavano il viso e di sentire i suoi piedini freddi intrecciati alle proprie gambe. Si limitò a sussurrare un flebile «ciao» prima di scivolare via dalla sua presa e dirigersi verso casa con la mano di Mia stretta nella sua e un pericoloso dubbio.

Per mantenere la promessa fatta a Cameron ed essere un buon padre per Mia, Louis avrebbe dovuto tagliare qualche distrazione dalla sua vita e ancora non sapeva affermare con certezza se Harry fosse o meno una di quelle.

*

Harry non sapeva neanche come si fosse ritrovato al Devil's Advocate.

Tutto ciò che sapeva era che quella sul tavolo in legno era la sua terza birra e che per arginare il senso di angoscia che provava nel petto non sarebbe bastata nemmeno la quarta. Niall e i suoi amici erano stati accoglienti, lo avevano portato in quel pub e lo avevano incluso nelle loro conversazioni, cercando in ogni modo di non nominare Louis o qualunque cosa lo riguardasse per non farlo adombrare o perdere tra i suoi pensieri. Era uscito fuori che fosse molto difficile perché era impossibile parlare dei loro aneddoti e delle loro partite di calcetto senza nominarlo, ma Harry aveva apprezzato i loro sforzi e aveva cercato di ignorare quei silenzi imbarazzanti e le occhiate esitanti che si erano scambiati tra loro. Dopo mezzanotte, davanti a due whiskey ben invecchiati, erano rimasti soltanto lui e Niall.

«Da domani comincerà a ignorarmi, vero?» gli chiese con tono grave.

«Possibile.»

Sospirò, si scompigliò i ricci e portò le mani sulla nuca in un gesto frustrato. Lo sapeva già, glielo aveva letto negli occhi tormentati che avevano faticato a incontrare i suoi al momento dei saluti. Erano di un blu torbido come il mare in tempesta, come se paura, colpevolezza e inadeguatezza si fossero d'un tratto nascoste dietro ad essi.

«Lo immaginavo e odio che pensi che il nostro rapporto lo distragga dall'essere il padre perfetto.»

«Ma non è stata colpa vostra, poteva succedere a chiunque. Anche il giorno in cui vi siete conosciuti Mia è sgattaiolata da Betsy per comprare delle caramelle e Louis si è torturato per giorni per una semplice marachella.»

«Sembra che porti sempre il peso del mondo intero sulle spalle e non c'è niente di più sbagliato. Ora penserà di essere un pessimo padre e di aver tradito la promessa fatta a Cameron.»

«Louis ha un modo strano di funzionare. Non riesce mai a vedere chiaramente quanto vale e non può fare a meno di mettersi sempre in discussione da quando Cam non c'è più. Cosa pensi di fare ora?»

Harry si mordicchiò il labbro inferiore in difficoltà. «Nulla, gli lascerò del tempo.» affermò. «Se andassi da lui ora o domani, peggiorerei la situazione.»

«Hai ragione. In questi casi è come un animale selvatico e bisogna avvicinarsi a lui pian piano per evitare che scappi.»

«Già.»

A quel punto non poté fare a meno di fissare il liquido ambrato contenuto nel bicchiere che stringeva nella mano destra e tentare di affogare al suo interno ogni problema o angoscia. Per questo, in un unico sorso, ingollò quello che rimaneva del whiskey e sbatté il bicchiere sul tavolo per chiederne ancora.

«Ehi, vacci piano!» ridacchiò Niall. «Devo ricordarti che l'ultima volta sei stato uno straccio il giorno dopo?»

Harry scosse la testa. «Non mi importa.» ribatté. «Sai cosa mi dà più fastidio di tutta questa storia? Che mia madre avesse ragione.»

«E cosa c'entra tua madre ora?»

«Pochi giorni fa abbiamo discusso al telefono e mi ha detto che io e Louis non dureremmo neanche un istante nel mondo reale e quello che è successo poco fa non ne è una conferma? Insomma, abbiamo perso di vista per un solo secondo Mia e guarda com'è andata a finire: con lui che probabilmente da domani mi ignorerà e io che mi sto ubriacando in un pub.»

«Non ti farò ubriacare questa notte, puoi starne certo. E non puoi sapere con sicurezza se da domani Louis comincerà a ignorarti o meno. Magari, ha soltanto bisogno di sbollire la rabbia per fatti suoi e domani tornerà tutto alla normalità.»

«E pensare che soltanto due giorni fa mi ha presentato come il suo ragazzo a quella Joey.»

Niall per poco non sputò quello che rimaneva del whiskey sul suo viso. «Hai detto J-Joey?»

«Joey, l'organizzatrice di eventi. È lei che ci ha trovato i biglietti per questa sera, me lo ha detto Louis oggi pomeriggio.»

«E questa Joey aveva dei capelli rossi, gli occhi castani e una pelle chiarissima?»

Harry annuì confuso. «La conosci anche tu?»

Niall sospirò. «È stata la mia ragazza per anni.»

«La tua cosa?»

«La mia ragazza, già, almeno fino a poco prima che si trasferisse a Parigi.»

«Ho sentito Louis dirle che non era mai stato d'accordo col fatto che fosse sparita dalla circolazione e lei rispondergli che aveva dovuto farlo per prima perché non gli avrebbe mai chiesto di scegliere tra lei e un certo "lui" e...» Il suo viso si illuminò. «...ma certo, quel "lui" eri tu!»

«Complimenti, Sherlock. Diciamo che eravamo arrivati a quel punto della relazione in cui o si fa il grande passo o le strade si dividono e io...» esitò per pochi istanti. «...io ero troppo spaventato per fare il grande passo.»

«Oh.»

«Mi ero appena laureato, non sapevo ancora quale strada percorrere dal punto di vista lavorativo, Cameron aveva appena scoperto della sua malattia e Louis stava cadendo a pezzi piano a piano. Non me la sentivo di affrontare anche quel grande cambiamento, di pensare al matrimonio e di costruire una vita insieme ad un'altra persona quando tutto attorno a me sembrava così incerto.» sospirò. «Ma l'amavo. L'amavo per davvero, Harry.»

«E come siete arrivati alla rottura definitiva allora?»

«Non le ho mai confessato le mie paure e pian piano il silenzio ci ha logorato. Credevo che, se le avessi dette ad alta voce, si sarebbero realizzate una ad una. Ci siamo allontanati a poco a poco e dopo la morte di Cameron è successo. Lei mi ha detto di meritare di meglio e che non avrebbe perso un minuto di più con qualcuno che non l'amava abbastanza perché la vita era breve e imprevedibile e voleva viverla a pieno. Ha colto al volo un'occasione lavorativa irripetibile ed è partita per Parigi, io l'ho semplicemente lasciata andare.»

«E non hai mai rimpianto quella decisione?»

«Ogni giorno, ma ormai era troppo tardi per chiederle di cancellare i mesi precedenti e tornare qui come se niente fosse. Anche per Louis è stato un colpo duro, perché insieme eravamo davvero una famiglia noi cinque, ma aveva ben altro da affrontare in quel periodo e pian piano si è abituato alla sua assenza.» rispose. «Io mi sono concentrato sul lavoro, su Louis, su Mia, e non ho pensato più di tanto all'amore in questi anni. Dopo di lei non c'è stata nessun'altra...o meglio, qualcuna c'è stata perché non sono un santo, diamine, ma per nessun'altra ho provato quello che provavo per lei.»

«Sai, Louis le ha chiesto anche se avesse rimesso insieme tutti i pezzi della sua vita dall'ultima volta che si erano visti e lei gli ha risposto che fosse ancora alla ricerca del pezzo mancante.» Harry esitò per qualche istante. «Magari...»

«Tu sei sempre alla ricerca del lieto fine, eh?»

«Ci provo. Non sei lo stesso Niall di tanti anni fa e lei non sembrava averti dimenticato del tutto. Insomma, sembrava che ci fosse ancora qualcosa in sospeso. Inoltre, è una fan sfegatata della mia rubrica e lo sai che mi piace circondarmi di ammiratori.» scherzò. «Se voi due doveste incontrarvi e dovesse scoppiare di nuovo la scintilla, voglio l'esclusiva su Serendipity

«Non vedo come potremmo mai farlo. La sua vita è a Parigi ormai e suppongo sia tornata in città soltanto per il Fringe Festival. Chissà da quanto tempo è qui e io non l'ho mai incontrata neanche per sbaglio in giro.»

«Non sottovalutare mai la serendipità, Niall. Magari, un giorno, mentre passeggerai per le corsie del tuo supermercato di fiducia, troverai lei al posto dei tuoi sottaceti preferiti.»

Niall ridacchiò e scosse la testa, poi chiese al cameriere di portargli due whiskey. Harry non gli domandò cosa ne fosse dei suoi buoni propositi, del fatto che nessuno dei due si sarebbe ubriacato quella notte come aveva detto poco prima. Poi, guardando la sua espressione assorta, capì che quel whiskey servisse più a lui che a se stesso e liberò un respiro profondo. Per un istante, le disavventure amorose altrui avevano oscurato le proprie preoccupazioni e andava bene così.

A Louis e al modo più veloce di riconquistare la sua fiducia nella loro relazione ci avrebbe pensato l'indomani.









Un capitolo movimentato e un finale ricco di scoperte. Fatemi sapere cosa ne pensate!
A presto,
Lucia

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