05 - In partenza
Binario 9 e 3/4, King's Cross, Londra. 1 settembre 1971
È mattino presto quando mi sveglio, a malapena albeggia. Ma mi sento troppo elettrizzata e nervosa per rimettermi a dormire.
Scendo giù dal letto e mi vesto, infilandomi i jeans e una semplice maglietta di cotone color verde smeraldo, che si intona perfettamente alle sfumature dei miei occhi. Per il momento, preferisco viaggiare con un abbigliamento babbano. Indosserò la divisa da strega quando sarò in treno.
Verifico per l'ennesima volta che il baule sia a posto e comincio a passeggiare impaziente per la stanza, in attesa che i miei genitori si sveglino.
D'un tratto, il ricordo della strana lettera che ho trovato ieri nella camera di Petunia mi riaffiora in mente, occupando prepotente i miei pensieri. A lungo rimugino sulla questione e un poco mi incupisco, dispiacendomi per mia sorella. La conosco bene e intuisco quanto deve essere stata dura per lei andare contro il suo orgoglio e scrivere quella lettera di supplica ad Albus Silente. A quanto pare, Petunia desidera davvero tanto entrare a Hogwarts e finalmente comincio a capire come mai mi abbia trattata con tanta freddezza in quest'ultima settimana. Non provo più rabbia nei suoi confronti, anzi. Una parte di me vorrebbe persino aiutarla, riuscire a trovare un modo per far avverare questo suo desiderio segreto.
Sono così assorta nei miei pensieri, che quasi sobbalzo quando avverto dei rumori provenire dalla stanza accanto, segno che anche i miei genitori si sono svegliati.
Passa poco meno di un'ora e ci ritroviamo tutti in giardino, ad osservare mio padre che si impegna a caricare - non senza una bella dose di fatica - il mio voluminoso baule dentro al bagagliaio. Dopo altri cinque sudati minuti, saliamo in auto, con papà alla guida, mamma al suo fianco, io e Petunia accoccolate sui sedili posteriori.
Come suo solito, mia sorella sfoggia un'espressione infastidita, condita di mutismo e sbuffi insofferenti. A stento mi ha rivolto il saluto stamattina quando ci siamo trovate entrambe in cucina per la colazione. Se non fossi a conoscenza della famosa lettera di Silente, probabilmente me la sarei presa a morte per questo suo antipatico comportamento. Invece ecco che avverto di nuovo quel timido senso di pietà lambirmi la bocca dello stomaco. Per istinto, lancio a Petunia un'occhiata comprensiva, ma lei non mi degna nemmeno di uno sguardo, con la testa del tutto girata verso il finestrino e gli occhi inchiodati al paesaggio oltre il vetro. Evita di parlarmi per l'intera durata del viaggio.
Quando arriviamo alla stazione di King's Cross, sono già le dieci e mezzo. L'Hogwarts Express partirà alle undici in punto, perciò ci affrettiamo a raggiungere il binario indicato sul biglietto che il professor Silente mi ha consegnato. Papà ha l'ottima idea di munirsi di un carrello, grazie al quale posso trasportare il mio pesante baule senza eccessivo sforzo.
Giunti davanti ai binari, io e i miei genitori cominciamo a guardarci intorno spaesati.
«Lily, tesoro... Da quale binario hai detto che parte il treno per la scuola?» mi domanda mio padre, mal celando un moto di apprensione.
«Binario nove e tre quarti...» rispondo titubante, scrutando confusa prima il biglietto del treno, poi i cartelli in plastica che torreggiano sopra i binari: otto, nove, dieci... del numero nove e tre quarti non c'è nemmeno l'ombra.
Ma prima di cedere allo sconforto, noto che mia madre sta rovistando concitata nella borsa. In meno di un secondo, estrae vittoriosa una busta in pergamena ed io mi sento di colpo sollevata. Sono le indicazioni che il professor Silente ci ha lasciato per raggiungere il treno; per fortuna, la mamma ha avuto l'accortezza di conservarle.
«Qui dice che dobbiamo andare alla barriera che si trova tra il binario nove e il binario dieci e di... attraversarla?» legge mia madre dubbiosa, come se fosse convinta di aver capito male.
Confusa almeno quanto lei, allungo il collo verso la barriera indicata dallo sguardo smarrito della mamma, che s'intravede in lontananza tra i due binari. Mi aspetto di scorgere una porta, o una sottospecie di pertugio, ma la superficie mi sembra normalissima. Sospiro delusa, chiedendomi in che modo si possa attraversare un muro compatto, di dura pietra.
Io e il resto della mia famiglia decidiamo comunque di avviarci, nella speranza di scovare qualche ulteriore indizio una volta giunti più vicini.
Mentre avanziamo, una signora alta e dall'aspetto altero mi oltrepassa di gran passo, e per poco non mi urta. Rimango allibita nel notare il bizzarro cappello che indossa, con un avvoltoio impagliato che le torreggia maestoso sulle ventitré!
Dalla fierezza con cui sfoggia l'impressionante copricapo, deduco che lo consideri un accessorio di grande eleganza.
Anche i miei genitori e Petunia devono averlo adocchiato, perché strabuzzano gli occhi esterrefatti.
«Affretta il passo, Frank! L'Hogwarts Express parte fra dieci minuti!»
Mi giro di scatto, all'indirizzo della signora con lo strano cappello e tanto di rapace in testa. È stata lei a parlare e a nominare il treno per Hogwarts, rivolgendosi a un magro ragazzino, dalla folta capigliatura bionda e sbarazzina, che le galoppa veloce accanto per rimanere al passo. Come me, anche lui sospinge un carrello, con sopra un baule molto grosso.
«Ehm... mi scusi!» squittisco senza nemmeno rendermene conto, presa dall'impazienza.
Sentendo il mio - esitante - richiamo, la donna si blocca, e con lei anche il ragazzino; entrambi si voltano verso di me, lanciandomi occhiate curiose.
«Siamo di fretta, signorina.» mi liquida l'austera signora, senza troppi complimenti; da sopra la spalla, mi scruta con espressione torva, del tutto simile a quella dell'avvoltoio che le penzola sul cappello.
È già sul punto di voltarmi le spalle e proseguire, ma io insisto con voce un po' più vigorosa:
«Mi scusi... è solo che l'ho sentita nominare l'Hogwarts Express... Devo prendere lo stesso treno, ma non ho proprio idea di come raggiungerlo...»
«È il tuo primo anno, giusto?» interviene il ragazzino biondo accanto alla signora, ed io timidamente annuisco. Ora che li osservo meglio, noto che sono molto simili sia nei lineamenti che nel portamento, perciò deduco che debbano essere madre e figlio. A differenza della donna, però, il ragazzino pare molto più affabile.
«Non devi preoccuparti, raggiungere il treno per Hogwarts è molto più semplice di quel che ci si immagina» cerca di rassicurarmi, sorridendomi con fare gentile.
Nel frattempo, anche la mia famiglia si è avvicinata e si è messa in ascolto. Per non apparire scortesi, mamma e papà si affrettano a porgere la mano e a presentarsi alla signora con l'avvoltoio impagliato in testa, che entrambi si sforzano di non fissare in modo troppo palese. Non posso fare a meno di soffocare una risatina, prima di rivolgermi di nuovo al ragazzino.
«Dunque... come si raggiunge il binario nove e tre quarti?»
«È facile. Basta camminare dritto verso quella barriera, tra i binari nove e dieci, senza fermarti. Anche se può fare un po' paura, ti assicuro che non andrai a sbatterci contro! Se sei nervosa, però, ti consiglio di andare un po' di corsa... Adesso ti faccio vedere!»
E così dicendo, il biondo ragazzino si avvia, munito di carrello e baule, verso la barriera. Io lo osservo col fiato sospeso, ben attenta a non battere ciglio, in modo da non perdermi nemmeno un movimento. Quando il muso del carrello tocca il muro, già prevedo un doloroso impatto. Tuttavia, non avviene alcuno schianto e vedo il ragazzino scivolare oltre e svanire, inghiottito dalla compatta superficie del muro.
Paralizzata dall'incredulità, sbatto le palpebre un paio di volte, incapace di credere davvero a quello cui ho appena assistito.
«Forza, signorina. È il tuo turno adesso. Corri decisa verso la barriera e non fermarti.» mi esorta la donna con lo strano cappello, la quale ora sembra un poco raddolcita e più incline a dispensare aiuto.
Accolgo obbediente l'invito e mi posiziono incerta di fronte alla solida facciata della barriera. Le mie mani si artigliano nervose alla maniglia del carrello, mentre prendo un lungo respiro per farmi coraggio. Inspiro ed espiro profondamente e comincio a camminare veloce verso il muro. Man mano che avanzo, affretto il passo... ormai non posso più fermarmi... e il muro della barriera si avvicina sempre di più... ancora pochi metri e... Per istinto, serro stretti gli occhi temendo l'inevitabile urto...
Eppure, la mia corsa prosegue, scivola oltre senza ostacoli. Apro gli occhi e la meraviglia mi travolge. Mi ritrovo in mezzo a una banchina affollata, accerchiata da una marea di persone, il cui chiacchiericcio eccitato riempie tutto l'ambiente circostante. Lungo il binario, stanzia placido un treno a vapore scarlatto e scintillante, sul quale campeggia un cartello che annuncia Hogwarts Express, ore 11.
Mi guardo attorno e lì, dove dianzi si trovava la solida barriera, ora spicca alla vista un ampio arco in ferro battuto, con su scritto a chiare lettere Binario Nove e Tre Quarti.
«Ce l'hai fatta! Visto? Te l'avevo detto che era facile.» mi accoglie allegra una voce tra la folla.
Mi volto di scatto e scorgo il ragazzino biondo che mi ha istruito poco fa. Gli corro incontro con stampato in faccia un sorriso colmo di gratitudine.
«Non so proprio come ringraziarti! Non ce l'avrei mai fatta senza il tuo aiuto.»
«Figurati, per così poco.» risponde il ragazzino, con lieve imbarazzo. «Comunque, non ci siamo ancora presentati... Io mi chiamo Frank Longbottom e quest'anno frequenterò il secondo anno a Hogwarts.» dice poi, tutto d'un fiato, porgendomi educatamente la mano.
«Io sono Lily Evans. Primo anno.» mi presento, stringendogliela a mia volta.
«La donna con cui mi hai visto insieme prima, invece, è mia madre. So che può sembrare un pochino scostante ad una prima impressione, ma in realtà è molto gentile.» aggiunge Frank, abbozzando un sorriso imbarazzato.
E, proprio in questo istante, dall'arco in ferro sbucano d'un tratto i miei genitori e Petunia, accompagnati dalla madre di Frank, che incede fiera e decisa verso di noi.
«Saluta la tua nuova amica, Frank! Dobbiamo andare.» incalza la signora Longbottom con fare autoritario, dopo essersi cortesemente congedata dai miei genitori. Frank obbedisce, ma non prima di avermi rivolto un caloroso sorriso.
«È stato un piacere conoscerti, Lily Evans. Ci vediamo fra poco sul treno. O al castello!» esclama, sventolando allegramente la mano. Io lo saluto di rimando, sperando in cuor mio che sia davvero così. Mi è parso molto simpatico e credo che potremmo diventare buoni amici.
Mentre osservo Frank allontanarsi, intravedo Severus in mezzo alla folla che si sta accalcando per salire sul treno. Insieme a lui, noto che c'è soltanto sua madre, del padre non c'è traccia. Quando i nostri sguardi si incrociano, gli sorrido, felice di vederlo.
«Avanti, corri dal tuo amichetto. Si vede lontano un miglio che non vede l'ora che tu lo raggiunga!» mi sibila Petunia alle spalle, con un tono tutt'altro che gentile. Ma io non ho voglia di mettermi a bisticciare, non certo a ridosso della mia partenza, perciò ignoro la frecciatina di proposito.
Mi volto verso mia sorella e, in un improvviso impeto d'affetto, tento di abbracciarla, anche se lei prontamente si ritira.
«Mi mancherai tanto, Tuney» le confesso con sincera commozione. D'altronde, non ci rivedremo prima delle vacanze natalizie e un senso di malinconia inizia a lambirmi la bocca dello stomaco. «Vorrei tanto che venissi con me... a Hogwarts...»
Mia sorella si irrigidisce, mettendosi subito sulla difensiva.
«Oh, Lily! Non essere sciocca!»
«Davvero... mi dispiace, Tuney!» le parole mi scivolano fuori di bocca prima ancora di rendermene conto. Dopotutto, Petunia è mia sorella e le voglio bene. Voglio che sappia che desidero davvero aiutarla. Le afferro una mano e la stringo forte. Lei tenta di ritrarla, ma non la lascio andare.
«Ascolta, forse quando sarò là... no, ascolta Tuney! Forse quando sarò là riuscirò a convincere il professor Silente a far ammettere anche te...»
«Ma che stai farneticando?! Io non... voglio... venirci!» esclama Petunia, strattonando via la mano dalla mia presa. «Tu credi che voglia andare in uno stupido castello per imparare ad essere una... una...»
Mia sorella tentenna per alcuni secondi - che a me appaiono eterni - ponderando il termine più adatto da usare. Intanto, il suo sguardo stizzito vagola lungo la banchina, soffermandosi sui gatti che si aggirano qua e là tra le gambe dei loro padroni, sui gufi e le civette che, bubolando, si chiamano vicendevolmente da dentro le loro gabbie; indugia a lungo sugli studenti che affollano il marciapiede e i vagoni del treno, e sulle loro lunghe divise nere che molti di loro già sfoggiano con orgoglio. Poi, gli occhi di Petunia tornano a posarsi su di me, carichi di un sentimento che non oso nemmeno nominare.
«... Tu credi che io voglia essere uno... uno scherzo della natura?»
La domanda perfida di mia sorella mi colpisce così forte da farmi male il petto. Sento i miei occhi bruciare, mentre si riempiono di lacrime.
«Io non sono uno scherzo della natura! È una cosa orribile da dire.» protesto, singhiozzando mio malgrado.
«È là che stai andando. In una scuola speciale per scherzi della natura» rincara la dose Petunia compiaciuta, «Tu e quel Piton...due balordi, ecco cosa siete. È giusto separarvi dalla gente normale. Per la nostra sicurezza.»
Una vampata di rabbia mi invade. Lancio una fugace occhiata ai miei genitori che, a qualche metro di distanza da noi, contemplano con stupore ed interesse tutto ciò che li circonda, ignari dell'accesa discussione che sta avvenendo tra me e mia sorella.
«Non pensavi che fosse una scuola per balordi quando hai scritto al Preside per supplicarlo di ammetterti.» sibilo a denti stretti, determinata a rendere pan per focaccia all'ingiusta cattiveria di Petunia. Lei trasalisce, il viso le diventa di colpo paonazzo.
«Supplicare? Io non l'ho supplicato!»
«Ho letto la sua risposta. Era molto gentile.» ribatto, inflessibile.
«Non dovevi...» boccheggia Petunia, indignata per essere stata scoperta, «Era una cosa personale... come hai potuto...?»
Senza volerlo, scocco un mezzo sguardo a Severus che, da lontano, ci scruta con lieve curiosità. Mia sorella se ne accorge e capisce.
«L'ha trovata Piton, non è così? Siete entrati di nascosto in camera mia!»
«No... non di nascosto...» adesso sono io boccheggiare scuse incerte, colta da uno sleale senso di colpa, «Severus ha visto la busta e non poteva credere che una Babbana avesse preso contatti con Hogwarts... Dice che alle poste devono esserci dei maghi in incognito per...»
«A quanto pare i maghi ficcano il naso dappertutto!» mi interrompe Petunia, livida in volto per la rabbia e l'umiliazione. «Balorda!» mi grida infine in faccia, prima di precipitarsi dai nostri genitori.
Io resto lì, in parte abbattuta in parte furibonda, lottando con tutta me stessa contro l'istinto di esplodere a piangere in mezzo al marciapiede. Mamma e papà, nel frattempo, mi raggiungono, guardandomi con espressioni comprensive. Immagino abbiano scambiato il mio evidente sconforto per un improvviso attacco di nostalgia prima della partenza.
«Non temere, tesoro! Vedrai che ti troverai benissimo nella tua nuova scuola.» mi rassicura mia madre, mal interpretando il reale motivo che mi adombra lo sguardo. «Scrivici spesso, così ci racconti tutto.» si raccomanda con dolcezza, mentre mi avvolge in un forte abbraccio pieno di affetto.
«Studia tanto e presta sempre attenzione a ciò che ti dicono i professori.» aggiunge mio padre, fedele al suo incrollabile lato pratico.
D'un tratto, si ode un fischio acuto, che annuncia l'imminente partenza dell'Hogwarts Express.
«È meglio che ti sbrighi a prendere posto, il treno sta per partite.» suggerisce papà. Mi dedica un sorriso incoraggiante e mi stampa un grosso bacio sulla fronte.
La mamma, invece, mi stringe ancora più forte fra le sue braccia, ed io mi lascio avvolgere dal suo calore e dal suo buon profumo. So già che mi mancherà tantissimo. Dopodiché, mi riempie le guance di dolci baci, lasciandomi finalmente libera di avvicinarmi alla porta del vagone.
Prima di salire, mi volto verso Petunia, lanciandole un'ultima occhiata speranzosa. Non voglio partire così, senza salutarla. Ma lei rifiuta categorica il mio sguardo, dedicando la sua totale attenzione alle nubi bianche di vapore che si levano dalla testa della locomotiva scarlatta.
Si ode un secondo fischio. Il capotreno avverte i passeggeri e i loro accompagnatori che le porte del treno si chiuderanno fra un minuto.
Saluto un'ultima volta i miei genitori - Petunia ancora finge di non guardarmi - dopodiché mi accingo ad arrampicarmi sul treno. Ignorando l'infido magone che mi si è incastrato in gola, mi metto subito alla ricerca di uno scompartimento vuoto, trascinando con fatica il pesante baule per il lungo corridoio.
Quando fortunatamente trovo un posto libero, sistemo il mio ingombrante bagaglio in un angolo e mi siedo accanto al finestrino. Sento il sedile vibrare sotto di me, il treno comincia a muoversi. Al di là del vetro, osservo la gente sulla banchina salutare con la mano gli studenti dentro i vari vagoni. Sorrisi e lacrime di commiato si mescolano al candido vapore che aleggia su tutto il binario.
I miei occhi restano incollati sulle figure della mamma, del papà e di Petunia, che diventano sempre più piccole, man mano che il treno acquista velocità.
Solo quando di loro non rimane nient'altro che un puntino indefinito in lontananza, il magone che ho in gola finalmente si scioglie, concedendomi il lusso di piangere in silenzio.
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